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Sancho Panzottello contro i cancelli al vento

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Dedicato a chi mi dice davanti a tutti che non leggerà mai il blog fino in fondo perchè è troppo lungo (ed ai "tutti" che ascoltano e fanno vigorosamente cenno affermativo con la testa). Dedicato a chi mi dice in privato che non si vuole perdere una sola riga del blog, perché ci sono più messaggi tra le righe nel mio blog di quanti ce ne siano in un anno di notizie ufficiali di stampa. Dedicato a chi dice che i blog hanno fatto il loro tempo, ma che mi dice che quando vuole sapere dove era e cosa stava facendo in un determinato fine settimana va a vedere qual era l’argomento del blog.

Quello trascorso dal MOO milanese ad oggi è stato un periodo parecchio difficile: ancora non vedo se la luce dal fondo del tunnel è quella del sole o se è il solito Frecciabianca in arrivo a "Paaaarma, stazione di Paaaarma" che mi sta venendo addosso. Ma sono a casa con l’influenza, ed ho abbastanza tempo per scrivere qualcosa, saltando a piè pari (non se ne esclude una ripresa in futuro, appena le cose andranno meglio) le mie avventure nel Far-South del Mediterranean Open Championship, il primo duro impatto con il nuovo Trofeo Bi-Sprint lombardo a Como e persino la conclusione di una esaltante "Milano nei parchi 2017" nella quale anche quest'anno abbiamo superato il migliaio di partecipanti.

E’ più facile riprendere il mio racconto dall'ultimo episodio, quello che ha avuto come teatro delle operazioni le lande marchigiane. Avevo lasciato Massimo Bianchi e Matteo Dini, ovvero IK Prato e Picchio Verde (ma ovviamente non solo loro), sotto la pioggia di Siena al termine della Tre giorni di Toscana che chiudeva la stagione 2016. A pochi mesi di distanza li ritrovo alla Tre giorni delle Marche, inizio della stagione 2017. Per vari motivi mi sono avvicinato alla Tre giorni con parecchi patemi d'animo: oltre alle preoccupazioni e fatiche accumulate, faccio sfoggio di una condizione fisica da immediato ricovero in ospedale (o anche in ospizio) e di una freschezza mentale appena superiore a quella dimostrata al Mediterranean Open Championship (dove non sarei riuscito a fare assolutamente nulla se non fosse stato per la presenza di PLab come cane guida e di un ragazzone svedese alto e bellissimo di nome Emil che è venuto a darmi man forte nei momento più difficili...).

Nonostante una ansia alle stelle ed una condizione mentale ai limiti dell’encefalogramma piatto, sono intenzionato a dare il meglio di me come speaker, e nonostante le condizioni fisiche pietose mi sono iscritto a tutte le gare in Elite... tanto il piano prevede due sprint in centro storico e una middle nel bosco. Che sarà mai, mi chiedo? Ecco. Un giorno troverò la risposta a questa domanda, anche se so già che sarà la risposta sbagliata. E un giorno qualcuno mi convincerà del fatto che sono approdato nella categoria over-50, che non è detto che il fatto di correre in un centro storico equivalga ad avere una gara in formato sprint e che, in ogni caso, sarebbe ora che il sottoscritto tirasse un po’ i remi in barca! Invece io continuo ad andare avanti con cieca incuranza di ogni dato anagrafico, fisico e mentale. Con i risultati che poi si vedono in classifica (ma, anche senza vedere la classifica, con i risultati che può vedere chiunque abbia la ventura di vedermi passare).

 
Comunque la classifica alla fine parla chiaro. Signore e Signori: salutate e rendete omaggio e gloria al vincitore della Tre giorni delle Marche nella Categoria Elite maschile, che è... l'Impiegato Panzottello!!!! TA-DAAAAAA!!! Fuochi artificiali, pyros, Warren Beatty che prende su la busta con il nome del vincitore dell'Oscar e la usa per scopi meno nobili... Ebbene sì: ho vinto la Tre giorni delle Marche. Perché? Non c’era la classifica data dalla somma dei tempi delle tre gare? O ingiustizia delle ingiustizie! Ma io sono infatti l'unico ad aver completato in Elite le tre gare del Castello di Gradara, di Bosco delle Cesane e di Urbino! Perché non c’era una classifica apposita? Abbiamo delle premiazioni che durano una era geologica, premiamo anche la categoria dei lavoratori del terzo settore ma solo se hanno careggiato con una divisa monocolore ed il cognome non contiene la lettera “E”… premiamo TUTTI! come mi dicono ogni volta i sindaci, gli assessori, gli sponsor, i funzionari, i notabili che si installano ai piedi del palco e che alla ventesima premiazione cominciano a guardare nervosamente il sottoscritto e chiedere per quanto dobbiamo andare ancora avanti… e non premiamo chi ha vinto la somma dei tempi nella Tre giorni delle Marche in Elite? (mi sarebbe piaciuto andare sul podio con Heike Torggler, vincitrice tra le donne, ma a lei però sarebbe piaciuto  meno). Insomma: mi meraviglio che una vittoria di questa portata non sia stata adeguatamente celebrata durante le premiazioni! Ma si sa che io sono una personcina timida e modesta e non voglio portare via attimi di gloria ai vari Caraglio, Tesarova (di cui dispongo di un cimelio rarissimo fornitomi da Roberto Sanna: il file audio con la pronuncia corretta del cognome!) e via discorrendo.

Però qui sulle pagine del mio blog lo posso scrivere. Tanto quasi nessuno è arrivato fino a qui a leggere... E’ stata una vittoria sudata, meritata, conquistata con coraggio e un pizzico di incoscienza (forse più di un pizzico), ottenuta nonostante io mi sia trovato a lottare con ostacoli ed imprevisti che avrebbero tarpato le ali a chiunque: i cancelli. Adesso fate tutti quanti quel paio di "page down" con i quali riempirò righe e righe di azzeccati calembour tra "cancelli" e "Cancelli", al secolo "Tonio Cancelli", uno degli amici che da anni vedo sui campi di gara, uno degli avversari più corretti e cordiali con i quali mi sono trovato ad avere a che fare (e il cui quarto posto nella over-40 al Bosco delle Cesane mi farà sbavare di invidia per tutto il 2017...).

Finiti i “page down”? Ancora non si vede uno straccio di cartina? Consolatevi: a questo punto, dei 10 lettori al massimo che ha il blog, siete rimasti al massimo in due o tre. Siete sul podio! Ed è arrivato il momento di partire dal venerdì sera al Castello di Gradara; località nella quale, scoprirò poi, i miei genitori erano stati in viaggio di nozze. La gara che mi aspetto è cittadina, con il castello che ha fatto da cornice alla storia di Paolo e Francesca che fa da cornice alle lampade frontali degli orientisti, ed alle parole dello speaker che parla con dovizia di particolari del quinto girone dell’Inferno di Dante, quello dei lussuriosi! Nella mia mente (bacata) dovrebbe trattarsi di un percorso sprint dal quale spero di uscire meno malconcio rispetto alla gara di Montalcino che aveva aperto la Tre giorni di Toscana… insomma: un buon modo per me per entrare in clima-gara. Tutte ipotesi che fanno a pugni con:

  • la lunghezza ed il dislivello della gara che mi faranno penare le pene dell'inferno
  • la distribuzione dei punti nei pratoni circostanti l’abitato (sequenza 3-9 e poi 11-13) dove le mie scarpe da running "suola liscia più soletta per aiutare la fascite plantare" mi faranno procedere come se io stessi affrontando una lastra di ghiaccio, e infine... infine...
  • all’ ”infine” ci arriviamo presto.
Diciamo che Edoardo Tona ed io affrontiamo la "mass start" dopo che la posa dei punti è appena completata. Edo si scapicolla giù per la discesa, ed al primo punto è davanti a me solo di qualche metro (perché in discesa “anche i sassi rotolano e non fanno muschio”). Balziamo insieme sulla strada sottostante, ed io lo vedo partire per il secondo punto andando dritto verso sud. A quel punto scatta il momento nel quale nella mia testa viene girato tutto un film (completo di titoli di testa e coda): mi immagino di essere uno dei fratelli Hubmann nel loro video "Go Hard or Go Home", e mi viene naturale pensare che la scelta di percorso migliore è quella di buttarmi verso nord a prendere la strada in discesa che mi dovrebbe portare ad un cancello aperto opportunamente segnato in carta con il caratteristico doppio trattino magenta. Da lì, prenderei la stradina verso ovest, poi un volo attraverso il prato, attraverso il cortile della villa fino a piombare sul punto. Già mi vedo mentre punzono, bello e solare come Clint Eastwood ne “Lo straniero senza nome” quando scompare all’orizzonte nel fonale del film, e dal basso potrò vedere Edoardo che risale faticosamente lungo il prato, con la sua scelta di percorso completamente diversa… e completamente perdente. Ecco il mio film.

Di conseguenza corro giù per la discesa come Peter all’inseguimento di Heidi (un Peter che ha l’età del nonno di Peter), curva a destra, svolta a sinistra e vedo il cancello. Chiuso. Ma porc...! E' un cancello di notevoli dimensioni, mica uno di quei cancelletti che fanno accedere all'area-cani dei nostri giardini pubblici. Ma ri-porc...! Vabbé. Questi sono gli inconvenienti dell'apripista. Non posso fare altro che ritornare sui miei passi camminando, mugugnando, imprecando qualcosa verso Edoardo che ha fatto una scelta sbagliata ma che gli consentirà di arrivare al punto senza problemi (e che si chiederà, come in effetti sta facendo da un po’, che fine ho fatto io). Bofonchio qualcosa circa le gare del venerdì sera in Toscana che non mi portano fortuna (ma realizzerò solo in seguito che sono nelle Marche!) e stringo in mano nervosamente la mia carta di gara che riporta in bella vista il mio numero di pettorale 83 e la mia categoria MElite. Poi mi cade l'occhio sull'angolo in alto a destra della carta: dice "M-35". Ma ri-ri-porc...!!! Vuoi vedere che ci sono stati dei problemi nell'abbinamento tra le cartine e le categorie? "Massimo! Massimo! Abbiamo due problemi!". Quando gli organizzatori mi vedono ritornare così al traguardo, capiscono che il primo problema se lo sono creati da soli quando mi hanno chiesto di fare lo speaker… “Abbiamo un cancello chiuso, ed abbiamo le mappe dei percorsi che potrebbero non combaciare con le categorie”. In un istante Massimo “Whites” Bianchi si precipita a passarmi la mappa di un percorso Elite e scatena la crew del Piccho Verde per andare a controllare il percorso.

Scoprirò lo strano finale solo dopo essere arrivato al traguardo, dopo altri 50 minuti, dalla direzione giusta e con tutte le punzonature: il cancello era chiuso, ma in realtà era aperto, nel senso che sarebbe bastato spingere quel cancellone... cosa che mi ero ben guardato dal fare visto che già una volta ero stato fermato dalla pubblica sicurezza per essere entrato in una area privata. Ma soprattutto Massimo aveva avuto il tempo di controllare tutte le carte di gara e verificare che la mia mappa era l'unica a non avere il percorso coincidente con la categoria. Di conseguenza ero l’unico tra tutti gli iscritti ad avere una mappa sbagliata. E quindi, Signore e Signori!, annuncio con gioia a tutti di aver ulteriormente migliorato ilrecord del mondoper l’unica cartina di gara sbagliata in una competizione orientistica: l'unica carta tra tutte quelle preparate dall’organizzazione! L’unica mappa errata presente in una qualunque cassetta posta dopo la partenza.

Dopo una notte di riposo agitato, per il sabato mattina il menu mi offre come colazione il percorso Elite sulla carta del Bosco delle Cesane. Ho chiesto di poterlo fare nella mattinata di sabato perchè: 1) i punti sono già quasi tutti posati e 2) il giorno dopo scatta l'ora legale e non ce la faccio ad alzarmi alle 5 del mattino per andare a provare il percorso. Colgo anzi l'occasione per segnalare che, quando sarò Presidente IOF vieterò la messa in calendario di qualunque gara nel giorno in cui scatta l'ora legale che fa dormire un’ora in meno! (ce ne sono di cose che devo fare da Presidente IOF...). A me si unisce ancora una volta Edoardo Tona, così almeno non avrò la sensazione di essere nel bosco completamente solo. Edoardo parte due minuti davanti a me, ma le nostre scelte per andare al primo punto di controllo sono completamente diverse: lui prende la strada di destra mentre io vado dritto in salita cercando di limare i metri di strada da percorrere. La mia direzione verso il primo punto di controllo sembra essere quella buona finché non supero l'ultimo vallone ad ovest del punto: supero la collina, mi sembra di trovare il sentiero segnato in mappa che taglia in costa (ne percorro per qualche metro uno ben tracciato) e mi lascio cadere sulla roccia dove dovrebbe essere il punto. Sfiga. E’ evidente che si tratta di uno dei pochissimi punti che non sono ancora stati posati. Cerco in lungo ed in largo il segno di una fettuccia, ma non vedo nulla: la parete rocciosa è molto estesa, dai bordi vagamente taglienti, ed il fondo del vallone in quel punto è abbastanza impervio. Tuttavia sono abbastanza sicuro del fatto mio perché la traccia di sentiero che avevo trovato poco prima è inequivocabile, e le altre due pareti rocciose presenti nel vallone sono abbastanza distanti. Decido dunque di uscire dal punto in bussola, lungo la linea di massima pendenza, in direzione del punto 11: se arriverò dritto sul punto, allora vorrà dire che la fascetta c'era e non l'ho vista; certo che se non troverò il punto... sarò già nei guai! Mentre risalgo penosamente la salita, dal fianco del costone sento la voce di Edoardo: "Stefano... mi sa che ti devo salvare da una Punzonatura Mancante!".
Giro sui miei passi e lo raggiungo in discesa. Per farla breve: ero veramente sulla roccia sbagliata, quella più a sud del punto (ed il sentiero che ho visto? Qualcuno mi dirà nel dopo gara di non averlo nemmeno considerato...). Scendo di nuovo nel vallone, risalgo penosamente qualche curva di livello ed arrivo su un'altra roccia: decisamente più piccola, molto meno accentuata, con un bell'albero che sporge sopra di essa... ed una fascetta a fare bella mostra del punto dove dovrà essere posata la lanterna (qualcun altro mi dirà nel dopo gara che la roccia del punto 1 era segnata in carta in modo molto evidente, seppure nella realtà molto più piccola di quella che avevo trovato io, perché più adatta per la posa di un punto di controllo...).

Vabbé... adesso che Tona mi ha salvato dalla Punzonatura Mancante, cerchiamo di fare le cose per benino (il mio tempo di gara è già quasi la metà del tempo che farà caraglio per completare TUTTA LA GARA!). Il punto 2 non è sbagliabile perché è la roccia alla fine di un avvallamento. Il punto 3 si vede arrivandoci di fronte (e intanto ho raggiunto Edoardo). Il punto 4 è in cima al dosso e una volta fatta la coppia di punti 5 e 6 c'è già la sensazione che si stia tornando verso l'arrivo. Menzione particolare per il punto 11 del percorso, quello che mi ero messo in testa di cercare 45 minuti prima per fare il punto della situazione: lo trovo arrivando dal punto 10, ripassando dal punto 2 e poi, una volta che sono ul dosso, "indovino" che lo spazio di un paio di metri che separa in modo abbastanza netto i due lati del boschetto è a tutti gli effetti il sentiero segnato in carta.

Questo "indovino" si rileverà la parola giusta perché trovo il punto in un tempo ragionevole, stacco Edoardo che è andato in crisi di fame (e al quale riuscirò a recuperare il distacco assurdo che mi aveva dato a Gradara), ma soprattutto impiego sulla tratta 10-11 un tempo di 2'45" inferiore a quello dell'atleta che in quel punto l’indomani mattina si troverà in testa alla gara Elite, e che proprio in quel punto ci lascerà le penne. Dalla 11 in poi devo solo far andare quel che resta delle poche energie, per arrivare con un tempo di poco superiore all'ora e mezza di gara (e pensare che una volta mi accontentavo di impiegare il doppio del tempo del vincitore...).
Dopo aver bevuto tutto quello che potevo bere per reidratarmi, arrivano le 12.30 del sabato ed il menu del pranzo del sabato propone la prova del percorso Elite di Urbino. La mia prima considerazione in merito è che Urbino è bellissima, un posto esageratamente bello per farci orienteering… o almeno così mi hanno detto tutti: io ho passato la maggior parte del tempo di gara con le mani sulle ginocchia e la testa bassa, a guardare i piedi e a sentire lo stomaco che aspettava solo di rovesciarsi. A questo proposito dovrei proprio scusarmi con la coppia di ignoti fidanzatini che stavano beatamente limonando sulla rampa di scale che portava verso il punto 13, e che hanno distintamente sentito, anche al culmine del loro ardore, il sottoscritto che una rampa di scale più in alto stava rumorosamente svuotando lo stomaco di acqua e succhi gastrici vari. Ma perché le mie scelte di percorso devono sempre trovare qualche ostacolo imprevisto (leggi: cancelli) lungo la strada?
Accade infatti che per andare dal punto 4 al punto 5, dopo aver fatto il percorso di bob sulla strada dato che non sono riuscito a capire un cavolo delle piccole aiuole con pendenza del 70% (in verde mi sarebbero balzate all'occhio di più) decido di fare la scelta a sinistra e infilarmi quindi nella scala a chiocciola che mi dovrebbe portare al livello del piazzale. Primo giro: scendo ancora. Secondo giro: scendo ancora. Terzo giro: forse non sono ancora al livello giusto, ma tanto c'è un cancello chiuso con tanto di catenaccio e lucchetto che mi impedirebbe di uscire. Quarto giro: altro cancello con catenaccio e lucchetto. Quinto giro: ... comincio a pensare che qualcosa non va per il verso giusto... Sesto giro: sono arrivato in fondo alla scala a chiocciola. Sono praticamente nelle catacombe di Urbino, c'è un po’ di immondizia rotolata fino in fondo alle scale, tanta polvere e terra ma di una uscita nemmeno a parlarne. E comunque sento distintamente che le ruote delle automobili passano SOPRA la mia testa. Ma porc…! Risalgo. Settimo giro: nessuna uscita. Ottavo giro: cancello con catenaccio. Nono giro: cancello con catenaccio. Decimo giro: nessuna uscita. Undicesimo giro: sono di nuovo in cima alle mura.

Mi viene quasi da piangere. Comunque ho abbastanza tempo per finire il mio giro senza dover avvisare immediatamente gli organizzatori (in un perfetto remake di quanto successo il giorno prima a Gradara). Facendo il giro del fullo, raggiungo il punto 5 rischiando la vita per evitare le macchine ed i bus che stanno parcheggiando sul piazzale. La 7 e la 8 sono davvero carine nei vicoletti, ma la strada per la 9 è solo dolore per la salita, la discesa e la risalita. Si sale ancora per andare alla 10, una salita veramente da sbucciarsi il naso. Si sale ancora in cima al mondo per andare alla 11 e, quando dalle mura della fortezza di Albornoz guardo davanti a me e capisco che l'arrivo è più o meno alla stessa altitudine alla quale mi trovo, ma con l'orrido vallone in mezzo, penso che la mia vita potrebbe essere assai meno complicata di così.

Per andare alla 12 scendo dal passaggio ad ovest della fortezza: una nuova scala a serpentina che termina... in mezzo ad un bancale di formaggi! Mi chiedo se ci siano altri orientisti che possono raccontare le peripezie che capitano a me!!! La strada ad ovest della fortezza, infatti, è teatro il sabato mattina del mercato ambulante. Alle 13 tutti i venditori sbaraccano i loro bancali, e quello posizionato proprio ai piedi delle scale non ha trovato niente di meglio da fare che posizionare il bancale dei formaggi contro l'uscita del passaggio per fare spazio al camioncino con il quale deve portare via tutto. Questa è la volta che mi porto via la caciotta, il pecorino e anche tutta la forma di grana... altro che punzonatura! "Ehmmm... scusi... mi darebbe una mano a passare, che dovrei fare una gara e non vorrei rovesciare a terra tutta questa roba?".

L'ambulante si avvicina perplesso, sposta il bancale di quel poco che basta per farmi passare, e così posso riprendere il mio percorso. Discesa in picchiata verso la 12, la risalita-con-vomito fino alla 13 e poi ultime lanterne fino al traguardo. Da qui, nelle due ore successive, lo speaker dovrà cercare di spiegare ai concorrenti che tutta l'area attorno all'arrivo (che è situato proprio al centro della piazza) è zona gara. Il tutto ovviamente senza spoilerare troppo il percorso… Alla fine della mia fatica mi verrebbe da stimare quanto tempo mi sono costati il passaggio chiuso nella scala a chiocciola ed il bancale di formaggio da far spostare, ma sono convinto che resterei ugualmente adesso alle bassissime posizioni della classifica.
Ma poi a me che mi frega? Mi era sufficiente terminare la gara di Urbino per vincere la Tre giorni delle Marche in Elite! Ed è stato esattamente ciò che ho fatto, anche se nessuna premiazione era mai prevista per questa classifica e se nessuno ci crederebbe mai. Sancho Panzottello: il vincitore della Tre giorni delle Marche in Elite. Nonostante i cancelli aperti, chiusi, semichiusi e accostati, e nonostante i formaggi: quelli ingurgitati e quelli schivati lungo il percorso. Continuo a preferire quelli che metto nel piatto, ma deve essere la prima volta che mi tocca schivare una caciotta per arrivare al traguardo: forse potrei inaugurare una nuova classifica, tanto ormai la leadership assoluta totale universale dell'orientista che ha ricevuto più volte l'unica mappa sbagliata di tutto il percorso è mia per i secoli a venire!
Ps: nelle Marche e in Toscana BISOGNA tornare a gareggiare. La prossima volta però chiederò ai sindaci di far votare una legge regionale che impone l’apertura di tutti i cancelli con due giorni di anticipo sul fine settimana. E dico “due giorni di anticipo” perché se il mio stato di forma fisica decade in modo lineare, tra un po’ mi toccherà provare i percorsi il giovedì per essere sicuro di poterli commentare al microfono la domenica!

Vuoto

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Quando guardi il mondo con gli occhi di un bambino, l'eroe di cui vuoi imitare le imprese è tuo padre. Così è stato per me. Mio padre non era una persona di quelli "... guarda invece che scienziati, che dottori, che avvocati, che folla di ministri e deputati". Era un lavoratore onesto, instancabile, di quelli che hanno visto la guerra da bambino e che si era rimboccato le maniche prestissimo per aiutare la famiglia a mantenersi dignitosamente, poi per farsi strada nella vita, poi per costruire la propria famiglia attorno ad un piccolo negozio di generi alimentari, di quelli che ormai sono stati soppiantati dai supermercati, dagli ipermercati, dai fantamercati. Una persona come lui avrebbe potuto costruire una famiglia solo con una donna con gli stessi valori e la stessa dedizione al duro lavoro quotidiano. Questa è mia madre. La leggenda, ma nemmeno tanto, di casa dice che il mio nome è "Stefano" perché il giorno di Santo Stefano era l'unico nel quale i miei erano sicuri che il negozio sarebbe stato chiuso... tenevano aperto anche il giorno di Natale.

Papà amava lo sport. Tutto. Aveva giocato a pallone (non diceva mai "a calcio") vincendo un campionato italiano militare, mi raccontava di quando da ragazzo andava ad imparare il ping pong dai primi cinesi giunti a Milano (poi portava a casa le coppe dei tornei amatoriali...). Ed era tanto buono e paziente, anche se questa cosa la si sente dire di tutti quelli che se ne vanno. Lui mi ha trasmesso l'amore per lo sport, passandomi gli inserti dei giornali che parlavano della storia delle Olimpiadi negli anni in cui imparavo a leggere, parlandomi dei suoi miti: nomi come quello di Peter Snell, Pekka Vasala, Kresimir Cosic o Juha Mieto... Per via del lavoro, sempre per il lavoro, non ha avuto molte occasioni per vedermi giocare a pallacanestro (ma ha avuto molte occasioni per trasportarmi a scuola con una caviglia o un ginocchio rotti in partita...). Quando poi ho cominciato a praticare l'orienteering, ero abbastanza grande per muovermi in autonomia. Ma era sempre pronto a chiedermi come era andata la gara, e soprattutto se mi ero divertito. Aveva capito che per me praticare l'orienteering era soprattutto una questione di divertimento, mentre la pallacanestro soprattutto negli ultimi tempi era diventata una specie di incubo. ad occhi aperti. Era orgoglioso di me, di quello che faccio, non solo nel lavoro ma anche nello sport, e gli piaceva sapere che avevo trovato una dimensione anche come speaker, lui che di sera a Tavon spesso allietava le serate in gruppo cantando o raccontando qualche barzelletta o qualche storia. Ed io ero felice che lui fosse felice per me.

I quattro respiri con i quali se ne è andato venerdì scorso, mentre ero seduto al suo fianco e cercavo di parlargli e dirgli ancora una volta che era il più grande papà del mondo, sono arrivati alla fine di un incubo terribile di 28 giorni, dopo che la malattia aveva cercato di portarselo via una prima volta a novembre 2015.

Ora ci vorrà un po' per riaprire la pagina del tempo che scorre. E fermare le lacrime che sono partite anche pochi minuti fa, quando è suonato il campanello di casa e per un singolo istante la mia mente ha pensato che era l’annuncio del rientro a casa di papà.

Mia madre è rimasta stupita nello scoprire quante persone mi hanno scritto parole di affetto nelle ultime ore. A tutti coloro che mi sono vicini vorrei dire che non sono state solo parole: sono stati momenti di luce nei giorni più brutti che io abbia mai vissuto. Quindi grazie a tutti, dal profondo del mio cuore.

Tornerò nei boschi, tornerò a scrivere il blog. Spero che non mi sentirò in colpa per la voglia di tornare a sorridere, scherzare e parlare con leggerezza, o almeno di provarci. La ragione in fondo è molto semplice: me lo chiederebbe mio padre.

Stefano

Brivio bollente e io… e… SQuagliato e SQualificato

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Ancora una volta un bel percorso sprint in una gara organizzata dalla Pol. Besanese, e questo è il miglior viatico per la gara dell’anno prossimo che sul terreno di Merate varrà per il circuito nazionale Sprint Race Tour; una gara dalla quale mi aspetto tanto perché, per quello che può valere il mio parere, il terreno di Merate valeva davvero una edizione di Campionato Italiano Sprint.

Certo che nella mia non irresistibile carriera orientistica mi era capitato di vincere una gara a pochi metri dall’arrivo, ma questa è la prima volta che mi capita di essere squalificato a pochi metri dall’arrivo. Che poi “squalificato” è una brutta parola… Quando giocavo a pallacanestro, essere squalificato voleva dire aver fatto delle cose proprio cattive! (io le facevo, e di conseguenza venni squalificato più volte). Anche ad una delle prime gare di orienteering venni squalificato: nel lontano 1993 a Monza, dovetti spiegare per bene a mio padre che non avevo fatto proprio nulla di male… mi ero limitato a non punzonare un punto di controllo perché la lanterna era stata presa da qualcuno e buttata via, ma avevo omesso di raccogliere da terra un “coriandolo”, limitandomi a strappare un angolino dell’onnipresente foglio “NON SPOSTARE LA LANTERNA – GARA DI ORIENTEERING IN CORSO” ed arrivando al traguardo con quello (ero l’ultimo in griglia di partenza: speravo che fosse sufficiente chiedere di controllare il foglio rimasto sul terreno di gara con il pezzetto di carta che avevo strappato io).

A Brivio sabato scorso non ho fatto nulla di trascendentale (questo lo dico a beneficio dei colleghi che guardano le classifiche e che mi troveranno “squalificato”). Ho corso addirittura meglio di quanto potessi immaginare, dato che non muovo un passo di corsa da inizio aprile, nonostante la caldazza disumana che si è addensata sulla pianura padana nel fine settimane, con punte superiori ai 30 gradi che neppure il vicino fiume Adda ha potuto calmare. Da qui il fatto che a Brivio mi sono letteralmente SQuagliato… costretto ad andare a cercare i lati ombreggiati delle strade per trovare un minimo di sollievo, ed a guardare con voluttà le poche fontanelle distribuite lungo il percorso (ma non mi sono mai fermato).

Il percorso di Brivio è stato davvero carino, considerato il fatto che il tracciatore poteva contare su un paese già minuscolo di suo, con una sola minima parte un po’ intricata. Il fatto che all’arrivo sono riuscito a mantenere il distacco da Andrea Seppi sotto il doppio del suo tempo vuol dire NON che io sono andato forte, NON che Andrea è andato piano, ma vuol dire che disponendo di punzonatura elettronica e di un cambio cartina per il percorso Elite maschile Mary Crippa è riuscita a tirare fuori un tracciato sul quale anche i più forti hanno dovuto lavorare di testa e non sono usciti esenti da errori.
Io ho cannato il primo punto di una ventina di secondi almeno… potenza del fatto che non riesco mai ad identificare il triangolo di partenza in un tempo decente (eppure questa volta era facile!). Poi ho fatto del mio meglio per districarmi nella prima parte del percorso, in una occasione grazie ad una bella botta di culo che mi ha fatto svoltare al momento giusto quando pensavo di essere finito chissà dove. Proprio mentre pensavo a dove poteva già essere Andrea Seppi, che partiva 4 minuti dietro di me, ho sentito alle mie spalle un galoppo furioso e ho capito che Andrea stava arrivando: il tutto tra il punto 13 e 14, cosicché per venire a capo del grande puzzle del sottopasso non ho dovuto fare altro che seguirlo.

Nella seconda parte del percorso ho rantolato più del dovuto, ma ormai i vicoletti della parte “storica” di Brivio erano diventati più famigliari, così come gli avventori del bar della piazzetta che mi hanno visto passare davanti al loro tavolino almeno 4 volte ed in condizioni sempre più vergognose. Quando sono arrivato “in gruppetto” al punto 25, ho guardato dove era il punto 26 e poi il punto 27 dove di fatto si chiudeva la gara… e sostanzialmente ho messo via la carta (e la testa!) perché il percorso era finito ed i 30 gradi sotto il sole mi avevano ormai bollito.
Invece la gara non era finita, ahimé. Una volta punzonata la 16, mi sono diretto verso il fiume (sempre “in gruppetto”) per la via più breve, e quando ho svoltato l’angolo ho quasi sbattuto contro il ristoro! Ho avuto per qualche istante il dubbio che da lì non si potesse passare… ma in fondo non è la prima volta che mi capita di arrivare al traguardo da una direzione assurda, e anche altri come me stavano passando proprio lì. Volata finale (stesso tempo di Irene Pozzebon!) e vado a cercare con i polmoni un po’ di aria ancora bollente. Dopodiché controllo la carta di gara: tra la 26 e la 27 la mia scelta di percorso è passata proprio nel grigliato rosso! Traduzione: sono passato in una area non attraversabile. Squalificato. Segnalo il mio errore ma vado via tranquillo perché si è trattato, per l’appunto, di un mero errore; nulla che possa inficiare la mia soddisfazione per aver ricominciato a mulinare le gambe dopo quanto successo negli ultimi tempi.
Nel dopo gara mi verrà chiesto se la mia dichiarazione di essere passato nell’area non attraversabile “equivale ad una dichiarazione di auto-squalifica” (cit.), domanda alla quale rispondo che “si, certo, non è che adesso cambio idea e dico che non sono più passato da lì”. Curioso anche il fatto che nelle classifiche trovo solo altri due concorrenti con una SQ a fianco del nome, e nessuno di loro era con me nel gruppetto che è arrivato al traguardo… mi permetto di suggerire che in futuro, in presenza di una situazione simile, occorrerà dotarsi di un qualche strumento di controllo più sofisticato della autocertificazione o del “questo lo conosco, questo no” o della autocertficazione.


Ma tutto questo non cambia la sostanza: divertito mi sono divertito, ed a Merate l’anno prossimo sono sempre più convinto che ne vedremo delle belle!

I’m not Superman… (con sorpresa finale)

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Io non sono Superman, anzi: negli ultimi tempi mi sono scoperto vulnerabile come mai prima. Ma ho una cosa in comune con Superman: così come l’uomo d’acciaio aveva la sua Fortezza della Solitudine dove riposarsi e dove custodire gli oggetti a lui più cari, anche io ho una mia Fortezza nella quale riesco a rimettere insieme ricordi e pensieri, scacciare le ansie e riprendere slancio per proseguire il cammino. Superman, con un certo qual snobismo, non si accontenta di un luogo meno peculiare del Polo Nord per ubicare la sua fortezza. Io, più modestamente, mi accontento di un piccolo paesino della Val di Non al quale si arriva percorrendo una unica strada senza altre uscite: Tavon.

Casa.

Qui ci sono i ricordi, ci sono alcuni “what if…” della mia vita passata, ci sono cose belle di quando ero bambino e cose molto meno belle di quando ero ugualmente bambino. Non c’è un solo mattone, metro di strada, finestra che non mi ricordi qualcosa, anche se l’urbanizzazione della provinciale tra Coredo e Tavon non me la sarei mai immaginata quando, da bambino, andavo a giocare nei campi di papaveri a bordo strada con le mie amiche Claudia e Luciana.

Non c’è un altro posto nel quale preferirei trovarmi quando ho bisogno di tornare a sentirmi me stesso. Mentre torno a scrivere il blog, posso guardare fuori dalla finestra e vedere il campanile, vedere la Forcola e la Val di Non che digrada lentamente verso la Rocchetta e, in fondo, la Paganella e il Bondone se la giornata è particolarmente tersa, o guardare dall’altra parte e guardare la conca del Monte Peller che mi accompagna da quando ero bambino. Per questo motivo sono tornato qui appena possibile, con mia madre, a tre settimane dalla scomparsa di papà: perché volevo ritrovare me stesso e perché sapevo che l’orienteering avrebbe potuto aiutarmi, e con il mio sport anche tutta la famiglia allargata di amiche e amici che da lontano avevano saputo degli ultimi eventi e che mi hanno sostenuto con messaggi, telefonate, l’affetto mostrato in mille modi diversi e sempre con un unico obiettivo: essermi vicino. Volevo ritrovare tutti quanti e, insieme a loro, ritrovare anche me stesso.

L’occasione propizia è venuta con il fine settimana di Campionati italiani Sprint e Middle, e con essi la gara del venerdì sera disputata a Mezzolombardo per il Trofeo “Carlo e Franco”, ovvero Carlo Dorigati e Franco Casatta cui l’Orienteering Mezzocorona dedica ogni due anni un trofeo alla loro memoria. Per me è stato un privilegio poter essere chiamato ancora una volta a coprire il ruolo di speaker; immaginavo che non sarebbe stata “una volta come tutte le altre” perché la mia mente ed il mio cuore ancora adesso reagiscono in modo imprevisto ai ricordi ed alle emozioni. Mi sono preparato mentalmente venerdì mattina, girando per conto mio per Tavon e Coredo e per i boschi della mia infanzia, andando a cercare con la memoria i ricordi di mio papà ed i miei personali.

Casa. La mia Fortezza della Solitudine.

Quando mi sono sentito pronto, ho imbarcato a bordo dell’auto mia madre e sono sceso a Mezzolombardo. Era il momento di ricominciare a far girare anche questo ingranaggio della ruota (un ingranaggio che gira da 25 anni). Ingranaggio della ruota… la ruota della vita che ricomincia a girare… mi sentivo tutto imbottito di una certa “retorica dell’assimilazione del lutto”.


Poi è arrivato papà Pezzé. A lui devo ancora una birra per aver reso possibile, con una sola frase di incitamento alcuni anni fa, il completamento dell’ultima Orienteering Marathon cui ho partecipato. E’ andata più o meno così: dal momento che sono lo speaker, non posso partecipare ad una gara a staffetta che prevede due soli frazionisti per squadra e tre cambi di testimone per quattro frazioni in tutto; ma dato che sono lo speaker e che faccio sempre le gare prima degli altri (talvolta anche il giorno prima…), ho proposto di correre da solo tutte e quattro le frazioni della gara di Mezzolombardo (nella classifica la mia squadra vede come componente femminile una certa SHAron D. OWen, ovvero la mia ombra femminile che per una volta è scesa dall’Aventino ed è venuta a darmi una mano). Primo giro: mi sentivo bello vispo e pimpante, d’altronde corro quasi in casa; le gambe girano bene e mi sento persino atletico e ginnico!
Primo cambio per il secondo giro: quando affronto la prima salita, le gambe mandano un messaggio chiaro “Pistola! Devi fare tutti i quattro giri da solo! Gli altri partiranno più freschi o si riposeranno tra un giro e l’altro… rallenta!” e ho rallentato. Secondo cambio e inizio del terzo giro: sfiga. Rispetto al changeover precedente, sono arrivati un bel po’ di concorrenti che mi vedono passare ansante e paonazzo come una barbabietola o una cipolla di Tropea. Tra questi papà Pezzé. Vorrei cercare di fare bella figura ma… insomma… faccio quello che posso! Terzo cambio e inizio del quarto giro: passo di fianco al gruppo del Gronlait e sento distintamente la voce di papà Pezzé “Ma pensi di essere sulla ruota del criceto?!?”. Il concetto di ruota non è mai stato esposto più chiaramente e più efficacemente come da Roberto in un caldo pomeriggio di Mezzolombardo: ho affrontato i gradini all’inizio del quarto giro ridendo di gusto come un matto, come non facevo da tanto tempo, e ho smesso di ridere soltanto quando la scelta era se continuare a ridere o trovare l’aria per finire la mia staffetta individuale.

Grazie Roberto!

La gara “vera” ha visto andare in scena una kermesse di livello eccezionalmente alto, con le squadre che si sono date battaglia dal primo all’ultimo metro, tutti incuranti del fatto che nei due giorni successivi sarebbero state assegnati i titoli italiani e che qualche tossina avrebbe potuto rimanere nelle gambe. Sono stra-sicuro che Carlo e Franco, dall’alto, abbiano approvato.

Sabato mattina spostamento a Vigolo Vattaro per i Campionati Italiani Sprint. Una gara sotto il solleone, prima dell’arrivo dei circa 800 concorrenti, nella quale sono andato a cercare i passaggi all’ombra per evitare di mandare il motore (già abbondantemente sfiatato di suo) in ebollizione! Dalla 7 alla 8 vivo un autentico “Tenani-moment” in quanto capisco che le due tratte che mi portano al cambio carta sono talmente lunghe, ma a tratti talmente dritte, da consentirmi di studiare in corsa la seconda parte di gara; mi sento talmente reattivo che riesco a studiare (non a mandare a memoria, ma quasi) le tratte fino al punto 12: ovviamente poi sbaglio la 13! Ma si tratta proprio del finale di gara, talmente veloce che mi ritrovo proiettato al traguardo in un battibaleno. Il mio Campionato Italiano Sprint è finito e sono pronto a dare il calcio d’inizio a quello degli altri: il commento al microfono, a tratti fantasioso, è evidentemente condizionato dalle tre birre che mi vengono offerte dagli organizzatori per compensare la caldazza del pomeriggio di Vigolo Vattaro.
Premiazioni e tutti a nanna. Tutti compreso lo speaker, che all’alba di domenica è atteso dal percorso Elite del Campionato Italiano Middle. E finalmente posso dire di essere tornato a fare una bella gara in un Campionato a Media Distanza! Il mio tempo è valido per una delle ultime posizioni, ok, ma sono decisamente contento del fatto mio e, soprattutto, di aver fatto volare tutte le lanterne della parte alta della carta, quelle che mi hanno fatto pensare per una mezz’ora abbondante “ma posso avere tutte le lanterne messe in questa parte di bosco?”. In una descrizione della mia gara lanterna per lanterna “comme un Dariò Pedrottì” dovrei dire:

pusillanime alla 1 = strada, sentiero verso nord-est, al bivio a sinistra e poi dritto al punto (detto anche “giro del fullo”)

imbarazzante alla 2: l’avvallamento alla fine l’ho trovato, ed ero 4 curve di livello più in alto

lentissimo alla 3, cauto alla 4 e poi improvvisamente mi sento pervaso dallo spirito di Daniel Hubmann alla 5, alla 6 (era un avvallamento?), alla 7 in un bosco scuro ma bellissimo, alla 8 in un bosco ancora più bello. La 9 ha il suo bel rudere a fare da sentinella, alla 10 sono Robin, alla 11 sono Batman e quando percorro le tratte dalla 12 alla 14 sono immerso nel bosco delle fiabe e non ho un solo pensiero negativo in circolo.

Dicono le leggende del nord che nel bosco dimorano delle creature fantastiche che ogni tanto giocano qualche piccolo scherzo innocente all’occasionale viandante. Qualcuno chiama queste creature folletti o elfi o gnomi. Ma tutti quanti sappiamo che si tratta solo di leggende, no? Ecco: non proprio. Ci sono occasioni nelle quali la spiegazione più razionale alle mie peregrinazioni nel bosco è che ci sia in giro qualche folletto che sta cercando di farmi fesso: sono lì con la mappa in mano, una mappa che dovrebbe spiegarmi tutto per filo e per segno… “lì c’è il verde, lì c’è la salita, lì spiana…” e l’unica spiegazione davvero razionale che mi passa per la testa è che ci sono in giro i folletti. Probabilmente è anche una questione di concentrazione! Nella domenica di Sabbionare, i folletti e gli elfi sono in giro davvero, ma sono tutti lì per darmi indicazioni di dove troverò la prossima lanterna!

Sono in gara da ormai un’ora e mi sembra impossibile riuscire ad identificare così bene i particolari del terreno che trovo disegnati in mappa. Leggo tutti gli avvallamenti e le canalette ed i cambi di vegetazione, e quando infine trovo il paletto del punto 18 più per culo che per anima (ero salito tra le due collinette più per dare una occhiata intorno che sicuro del fatto mio) mi dico che se avessi abbastanza tempo mi farei dare una seconda cartina (magari la W Elite) per poter tornare nel bosco. La 19, se presa dalla curva della strada a nord est, non è sbagliabile nemmeno bendato perché c’è un “imbuto” (definizione by Andrea Rinaldi) che mi porta dritta al punto. Per la 20 c’è un avvallamento\fossato che parte dalla strada e che va giù dritto al punto come la canna di un fucile. Per la 21 si tratta “solo” di scendere e risalire dalle voragini che si frappongono tra me e l’area di semiaperto, ed alla fine di quell’area mi appare lo zio di tutti i cocuzzoli e so che la mia gara è finita. Persino lo schuss finale è in leggera discesa!

Si. Ok. Le 4 ore successive di commento al microfono saranno a tratti leggermente enfatiche e con un tono che avrebbe fatto passare Giampiero Galeazzi per il conduttore del TG1 degli anni ’70. Ma ormai si sarà capito il motivo per il quale lo speaker va nel bosco prima degli altri: per tutte quelle quattro ore di commento ero ancora pervaso dalla bellezza del bosco nel quale ho gareggiato dalla quarta alla quattordicesima lanterna. E anche dallo spirito sportivo e di amicizia delle squadre che sono venute a Mezzolombardo a ricordare Carlo e Franco.

E, si, dal fatto di essere tornato a casa. Domani mattina si parte per un’altra avventura: Primiero Orienteering Week. Stasera sono a casa, nella mia Fortezza della Solitudine, e mia madre legge qui seduta al tavolo di cucina le parole che senza alcuno sforzo e senza bisogno di alcuna correzione fuoriescono dalla tastiera. Guardo a sinistra, vedo l’orologio del campanile all’altezza della mia finestra. Tres è sullo sfondo, la Forcola non ha il cappello di nuvole e quindi c’è da sperare nel bel tempo.

Sono a casa. Finalmente.

*** ***

Post scriptum: oggi al Lago di Coredo ho assistito alla quarta edizione del “Predaia Boat”, una gara sprint per i dragon boat. Ecco la foto dello speaker e della aiutante speaker:

Non sperate di vedermi conciato così alla prossima edizione dei Campionati Italiani Long e Staffetta al Cansiglio! Non ci sperate proprio!!! (ma dove l’hanno trovata una co-speaker come lei?)

Una storia molto complicata…

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“... Ma se è come dice lei, e questo sentiero non porta da nessuna parte, lei da dove sta arrivando???”
“Signora… è una storia molto complicata…”


Per la serie: drammi in due battute, ecco la cronaca di un breve incontro su un anonimo sentiero carrabile nel bosco. Sul lato sinistro del ring, tre viandanti con accento romano e con le loro brave bacchette da Nordic Walking; sul lato destro, una specie di zombi vestito con più colori di una maschera di carnevale. Lo zombi ovviamente sono io, e in quel momento sono in una situazione un po’ particolare: sto svenendo. Lo scenario è quello del lunedì che precede il martedì il quale a sua volta segna l’inizio della Primiero Orienteering Week; ed attorno a noi c’è il bosco di San Martino di Castrozza, ed io ho da poco trovato il mio undicesimo punto di controllo, gareggiando contro i miei evidenti limiti fisici sul percorso Elite che si disputerà di lì a 5 giorni nel sabato conclusivo della Primiero Orienteering Week. Avevo detto fin da subito che questa era una storia molto complicata…
Una storia che comincia l’estate scorsa, quando comincio a vedere in giro i volantini della gara, e che prosegue poi ad inizio autunno con uno scambio di mail tra Roberto Pradel ed il sottoscritto: io sono nelle vesti dello spiritosone di turno che dice che sono ancora disponibili le iscrizioni tramite il sito della gara, e Roberto che mi dice che devo portare pazienza prima di iscrivermi in Elite, ma che comunque potrei pensare di salire a Fiera di Primiero a fare lo speaker. Quando le iscrizioni finalmente si aprono, sono ancora “caldo” dei campionati italiani di Sgonico e, memore delle parole di Roberto, mi iscrivo repentinamente nella categoria Elite, senza neppure fermarmi un attimo a riflettere sul fatto che le gare di San Martino di Castrozza e Passo Rolle sarebbero state veramente molto dure su due dei terreni più temibili delle nostre montagne (e che avrei avuto un altro anno in più sul groppone...). Soprattutto non potevo sapere in quel momento che il 2017 sarebbe stato un anno veramente difficile.


Passa solo qualche giorno dalla mia iscrizione e mi arriva una mail dal Primiero: Pierpaolo Corona ha visto la mia iscrizione e mi dice che stanno pensando di accorciare i percorsi dell’Elite per consentirmi di arrivare al traguardo in giornata. Ovviamente questa cosa, anziché ridurmi alla ragionevolezza (in fondo potrei cambiare categoria fino all’ultimo giorno ed iscrivermi in M35, M40, M45… persino M50!), mi spinge a pensare che ce la potrei fare anche questa volta. Solo “a pensare”, eh?, mai per un minuto mi è passato per la testa di allenarmi di più! Pensa che ti ripensa, ogni tanto fa capolino nella mia testa anche l’immagine della gara di Passo Rolle ai JWOC nella bufera di neve (in luglio), o quelle di San Martino d Castrozza all’Alpe Adria sotto il diluvio, sempre all’Arge Alp sotto la neve (terzo posto a staffetta con Claudia e Roberta) o ancora ai JWOC sotto il diluvio + sotto la neve. Sono immagini che fanno parte dell’epica dell’orienteering di questo secolo… e insomma! Non è che ogni volta che vado in Primiero devo trovare la furia degli elementi. O no?
Breve salto di scena ed è il momento di spiegare perché, nel pomeriggio del lunedì 3 luglio, a Primiero Orienteering Week non ancora cominciata, io sto svenendo nel bosco di San Martino di Castrozza sul sentiero che esce dal punto 11…


Arrivo a Fiera di Primiero da Coredo. E’ lunedì e sono il primo ad affacciarmi nella sede dell’US Primiero all’apertura del centro gare. Ritiro la busta, scappo a San Martino di Castrozza, scarico i bagagli di tutto il gruppo GOK, mi cambio al volo, afferro la cartina con il percorso Elite che è già stato predisposto e mi precipito nel bosco. Attraversando San Martino, incrocio qualche orientista curioso, ma mi affretto a prendere la strada della partenza: so che il mio percorso sarà molto lungo e che le ombre della sera calano in fretta, allo stesso ritmo con il quale aumenta la probabilità di incorrere in qualche temporale serale. C’è solo un piccolo problema: non solo non ho fatto colazione e non ho nemmeno pranzato, ma per dimenticanza o euforia dimentico di prendere con me il camelbak con la riserva di acqua: l’intelligenza ed il senso di responsabilità devono averle distribuite mentre io facevo la coda altrove.
(il padrone di casa del tratto di prato sopra Malga Ces)

Il primo punto della gara è facile: mi chiedo addirittura perché non posso avere qualche punto anche nella sassaia tra la partenza ed il laghetto. Il secondo punto è banale. Ma Prima di arrivare al terzo punto ho esaurito dalla mia sacca delle parole il numero di volte in cui mi sono dato del pirla da solo; intanto parecchie energie che mi dovevano bastare per tutta la gara se ne sono già andate. Alla 4 mi appoggio al piccolo corso d’acqua (anche se la sponda è molto più selvaggia di quanto mi aspettavo), ed è già il momento della tratta lunga 4-5 che mi sembra un incubo ad occhi aperti; per dirla con le parole di Max Peter Bejmer (che sarà vincitore a Tonadico) “I don’t like nightmares” e la mia scelta è quella di affrontare la montagna facendo il giro lungo da destra, andando a prendere la strada e poi il sentiero a bordo prato. Da lì è una sofferenza continua, con il tentativo di andare a fare scelte sicure - appoggiandomi ai sentieri - che cozzano con le curve di livello e gli inevitabili errori per via della fatica. Finché, sul sentiero in uscita dal punto 11, incrocio i viandanti persi che stanno cercando di arrivare a San Martino di Castrozza ma si sono persi già all’altezza di Malga Ces. Io invece ho un coccolone per la fatica ed il caldo…


Da lì l’assenza di acqua e di benzina nel motore fa diventare il tutto un piccolo calvario: faccio tante scelte il più possibile sicure, andando a fare dislivello inutile per potermi riportare sulle strade forestali appena possibile (ad esempio per andare alla 16), usando molta circospezione e dicendo tante preghiere in zona punto in tutti i 30 minuti che impiego per fare il loop dalla 17 alla 20 dove praticamente butto l’occhio dietro ad ogni pietra del bosco. Per mia fortuna l’incubo alla fine finisce, anche se la mia velocità è tale che sui punti dal 21 alla 23 vengo superato anche dalle famiglie con i passeggini. Quando schiaccio lo stop del cronometro sono passati 178 minuti dalla mia partenza, sta venendo sera, sono sfinito e non posso che augurarmi che tra coloro che frequentano il parchetto del centro sportivo a bordo strada non ci siano orientisti che mi vedono arrivare in condizioni pietose. Mi tolgo però lo sfizio di fare una telefonata al buon Sergio Nicolao:
“Sergio! Ho appena finito il percorso elite di San Martino. Maaaaaa… siete sicuri sicuri di lasciare come tempo massimo le due ore di gara?”
“No Stefano, è davvero lungo e quindi abbiamo deciso che il tempo massimo sarà di tre ore…”
“Bene! Allora sono ancora in gara!!!


Dopo una cena abbondante durante la quale avrei addentato anche le gambe del tavolo, ed una notte abbastanza tranquilla, arriva martedì mattina. Nella pianificazione ufficiale della Primiero Orienteering Week è in programma la prima tappa sprint a Transacqua. Nei miei piani, quelli che ho ipotizzato per cercare di completare tutte le tappe del percorso, bisogna alzarsi presto, puntare verso nord ed andare a fare la long di Passo Rolle. Qui mi aspetta una giornata con un sole fantastico, una partenza in discesa ed una risalita “tranquilla” (come no?) sulla malga verso il secondo punto che sarà quello ad altitudine più alta in questa settimana.


Un errore terrificante alla 3 (ancora!!!) quando praticamente scendo lungo i prati fino all’altezza del settimo punto, e poi un’altra gag al telefono con Sergio Nicolao quando arrivo davvero al punto 7 dopo un bel loop nel bosco, nonostante abbia dovuto attraversare una zona terrificante con gli alberi abbattuti tra la 3 e la 4: “Sergio scusa… ma perché al punto 47 c’è il paletto della 52 e, soprattutto, non c’è uno straccio di canaletta qui attorno?”. Sergio è una persona di gran buon cuore, ascolta la mia telefonata ansimante dal bosco con la rassegnazione di quello che si è portato a casa un matto… ed in effetti tale devo sembrare quando telefono durante la MIA gara e dico che c’è un paletto posato nel punto sbagliato (cosa che in effetti non è: quel paletto era rimasto da un allenamento nel bosco, a una decina di metri dalla canaletta e dal punto vero che troverò pochi secondi dopo!).
La 52 fa davvero parte del mio percorso (punto 8) e ci arrivo percorrendo il Sentiero dei Cacciatori. Dopo la scalata terrificante numero 1 verso la malga per andare a prendere il punto 9 dall’alto, arriva la scalata terrificante numero 2 per evitare i valloni e raggiungere il bellissimo cocuzzolo del punto 10 ancora dall’alto. Fino alla 16 vado via molto più preciso, passando al punto spettacolo della lanterna numero 15 in un’ora e 55 minuti: non posso saperlo, ma sarei soli 90 secondi dietro ad Andrea Brandolini. Dalla 16 alla 17 faccio il “giro del fullo” andando a prendere il sentiero che porta ai bellissimi laghetti di Col Bricon: il sentiero è molto frequentato e sono costretto a “darmi un tono” ogni volta che incontro qualche comitiva. Per arrivare alla 18 per fortuna c’è un sentiero che si interrompe provvidenzialmente in una palude, consentendomi di capire quando è il momento di lasciarlo, sentiero che vado a riprendere per arrivare al taglio di bosco che mi porta alla 19. Dalla 19 alla 20 vado verso sud per la linea di massima pendenza, per andare a cercare un altro sentiero, e quando (sempre “dandomi un tono” perché ci sono in giro un sacco di turisti) mi butto giù di un paio di curve di livello per arrivare ai sassoni, penso che la gara sia finalmente finita perché per trovare la 21 “basta arrivare al fiume”.


Ma non è così: il fiume non è mancabile, ma come scelta orientistica è un autentico suicidio perché nel disastro di enormi sassi che si trovano sulla sponda sud devo perdere un paio di minuti per capire dove sta la mia lanterna. Erano le ultime energie, e se ne vanno: la risalita alla 22 è penosa, e solo la forza di volontà mi fa muovere i piedi attraverso la malga verso il punto 23, il 24 e l’arrivo. Qui fermo il cronometro sui 170 minuti di gara: 8 in meno rispetto alla gara di San Martino di Castrozza, e solo 1 in più rispetto al tempo che farà tre giorni più tardi Andrea. Ma sono felice per aver finalmente domato una gara al Passo Rolle, e quando arriva il mezzogiorno di fuoco è il momento di scendere a Transacqua per affrontare la gara sprint e la prima uscita come speaker: in entrambi le situazioni mi devo limitare a fare del mio “meno peggio”, con le gambe imballatissime, le energie al lumicino ed il cervello abbastanza in panne che ancora crede di rimbalzare tra un masso e l’altro sulla carta del Rolle.


Mercoledì 5 luglio si inverte il piano di volo. Al mattino presto arrivo a Tonadico e, dopo la gara disputata tra i villaggi di Tonadico e Siror e le relative premiazioni, annuncio al pubblico la mia intenzione di spostarmi nel pomeriggio in Val Venegia per affrontare la terza ed ultima tappa (mia), quella che l’indomani mattina per tutti gli altri sarà la prima tappa middle della parte boschiva della Primiero Orienteering Week. Lo scenario che mi trovo davanti quando scendo dalla macchina in Val Venegia è questo:
Ce ne sarebbe di che stare lì a bearsi del panorama e chissenefrega dell’orienteering, ma il dovere chiama… e per fortuna! La prima parte del percorso è davvero molto scorrevole, e non sento nemmeno la salita al cocuzzolo del primo punto; le successive lanterne lungo il fiume fino al punto 6 sono in uno scenario cinematografico, con tutti gli attraversamenti del corso d’acqua gelido in punti molto facili da guadare. Nel loop tra la lanterna 8 e la 11 mi fanno compagnia una quantità di caprioli e cervi che scappano da tutte le parti, e nonostante un errore alla 9 ed un altro alla 11 mi sento perfettamente a mio agio con la carta di gara. Dopo il punto 12, ultimo attraversamento del fiume in un punto davvero profondo e con la corrente molto forte (ne esco con i piedi ghiacciati, e non solo i piedi!) ma poi continua il festival dei punti che piacciono proprio a me: mi appoggio spesso al sentiero che attraversa quella parte di bosco ma faccio anche tanto orientamento fine in zona punto. Dal cielo cominciano a rombare i tuoni, ma il rumore che sento più spesso è il tràppete tràppete dei miei piedi nel bosco: i sassi grandi come villette multifamigliari mi fanno da riferimento preciso per arrivare dritto ai punti, e l’unica cosa davvero impegnativa di tutta questa parte di percorso è la salita che porta al punto 21 e 22, e poi fino al traguardo dove arrivo in 87 minuti circa
Terminato anche il percorso in Val Venegia, il sollievo per avercela fatta si mischia al rimpianto: la mia Primiero O-Week da atleta è finita e sono riuscito a completare tutte le 5 gare in soli tre giorni. E’ stato faticoso, ma è il prezzo da pagare per poter pensare di dedicarmi con una certa tranquillità al compito di speaker, che voglio fare al mio meglio per “vendicare” le tensioni che si erano verificate ai Mondiali 2009 quando, di fatto, avevo abdicato al mio ruolo per i litigi con gli altri speaker (eravamo in troppi… non si sono mai visti 4 speaker internazionali ad una unica gara).


Sollievo quindi ma anche un po’ di invidia per coloro che nei giorni successivi avrebbero preso la strada per il bosco. Io dovrò aspettare altri due anni per tornarci; credo che nel 2019 l’US Primiero dovrà davvero mandare indietro gli iscritti con le ruspe: se riuscirà a trovare la settimana giusta, e se gli orientisti che hanno gareggiato nel 2017 racconteranno nelle lunghe notti invernali della Scandinavia cosa hanno trovato alla Primiero Orienteering Week, allora vi garantisco che tra due anni avremo un autentico pienone.
"Matthias, il tempo da battere a Passo Rolle è quello dello speaker: 2 ore e 50. Pensi di farcela con le tue due medaglie d'oro mondiali?"
"... are you kidding me?..." 


 "Samantha! Sei la storia dell'orienteering a stelle e strisce! Cosa ci fai qui a gareggiare nella categoria Open CortoooooOOOOPSSSS!!!"

Ritorno alla Orienteering Marathon

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Ci sono coloro che affermano che ormai se si corre meno di due ore non va la pena fare lo sforzo nemmeno di allacciare le scarpe. E poi ci sono quelli che se si corre più di due ore hanno già finito la benzina alla prima ora. E’ ovvio che in un mondo normale i primi non parlerebbero mai ai secondi, e nello stesso mondo normale i secondi invidierebbero da morire i primi. Ma c’è una gara, una sola nel calendario orientistico, che fa sentire gli uni e gli altri come appartenenti ad un solo unico gruppo: quelli della Orienteering Marathon degli Altipiani.
Andrea Segatta nel suo bloglo ha scritto come meglio non si potrebbe, e vito che il plagio è una forma d’arte ma non è molto sportiva, oltre al link mi permetto anche di riportare qui le due frasi che mi hanno davvero fatto tornare con la mente sul pratone di Forte Cherle, dove era posta la partenza della edizione 2017: “La O-Marathon è davvero una gara diversa da tutte le altre, altrimenti non mi spiegherei come si possa provare addirittura soddisfazione nel cimentarsi in una competizione che già in partenza sai che può durare dalle 3 alle 4 ore (…) L'atmosfera che si respira prima della partenza della O-Marathon è comunque particolare. Si respira un clima di quasi solidarietà generale, sapendo già la sofferenza che ti sta per aspettare, e quindi è più naturale che il clima competitivo lasci spazio alla goliardia e al reciproco incoraggiamento”.
Parole sante Andrea! Per parte mia devo solo rettificare uno zinzinello la stima “dalle 3 alle 4 ore”: la mia Orienteering Marathon, e di edizioni ne ho fatte parecchie, ha sempre abbattuto la barriera delle 4 ore, spesso delle 5 ore. In questa occasione avrebbero potuto diventare anche 6 se non avessi avuto la fortuna di trovare fin da subito un compagno di viaggio. Ma come in tutte le altre occasioni, la fatica è valsa davvero la pena! Credo che la Orienteering Marathon sia una di quelle gare in grado di esaltare allo stesso modo sia le doti di chi si allena tutti i giorni, i campioni e tutti quelli veramente bravi che impiegheranno meno di 3 ore per fare un percorso assurdo, sia le doti di chi magari è appena meno preparato e deve mettere in conto le 4 ore, sapendo che come nella maratona vera ogni piccolo miglioramento può essere fatto solo al prezzo di sforzi inimmaginabili in allenamento.
Ma vorrei anche spendere qualche parola per coloro che arrivano al traguardo dopo 5 o 6 ore. Questi sono (siamo…) i tapascioni della domenica, quelli che non si allenano, quelli che si iscrivono alla Orienteering Marathon mentre un brivido scorre tra le dita che digitano sulla tastiera il proprio nome e cognome: siamo noi, quelli delle 5 o 6 ore, che diamo il senso maggiore alla “avventura lunga un giorno” nata nella mente di Luigi Girardi e che il Gronlait Orienteering Team mette in scena ogni anno.
Diciamo subito che l’edizione 2017 non poteva che celebrarsi sotto i migliori auspici. Innanzitutto, nonostante l’anno in corso, ci arrivo a distanza di 10 giorni dalle gare long in Primiero; di conseguenza sono abituato, o meglio so come ho reagito solo pochi giorni prima, a uscite di quasi 3 ore in bosco (la follia è nel fatto che so già che la Orienteering Marathon durerà il doppio…). La carta di gara ideale per la O-Marathon è da sempre quella di Forte Cherle, appena davanti nelle mie preferenze a Millegrobbe: dove si gareggia nel 2017? A Forte Cherle. E poi c’è il sole: si parte con il fresco alle 9 e si arriva dopo le 14 ma non si dovrebbe patire né il caldo né la bufera. Infine quest’anno si parte e si arriva nello stesso posto, il che magari fa perdere un po’ di fascino a quel tipo di gara che prevedeva trasferimenti dai monti alle valli e poi ancora ai monti fino ai paesi, ma consente (a chi non ha la fortuna di avere dalla propria parte una “auto ammiraglia”) di poter lasciare gli indumenti in auto e di ritrovarli appena tagliato il traguardo, cosa che a me avverrà dopo 5 ore e 35 minuti di gara in ottava posizione nella categoria over-35 maschile.
Due parole a parte per le sante parole di Dario Pedrotti, vincitorenella stessa categoria: “Il fatto che il manipolo non aumenti vuole probabilmente dire che qualcosa nella formula non ha funzionato, ma chi c'è si diverte sempre molto”. Io non sono così egocentrico da credere che ciò che piace a me debba piacere per forza a tutti gli altri; assicuro però che io alla O-Marathon mi sono sempre divertito un sacco: ci ho sempre scoperto qualcosa di me, ci ho sempre riversato un sacco di energie (anche quelle che non sapevo di avere) e che il mio consiglio è che tutti devono provare almeno una volta questa gara. Il fatto che io riesca a finirla dovrebbe da sempre essere un indizio del fatto che chiunque, davvero chiunque, la può finire!!! Non cambierei mai nemmeno la collocazione temporale durante l’anno: è una gara estiva, è una avventura tra le montagne da fare quando le possibilità di bel tempo sono più elevate. E’ una avventura e va presa come tale, e sono davvero felice quest’anno di aver visto la partecipazione di Gianni Guglielmetti, che non è allenatore della nazionale svizzera per caso! Ovviamente è una gara nella quale quelli come me salutano gli amici presenti al via PRIMA della partenza. Perché, come si è dimostrato anche quest’anno, la stragrande maggioranza di coloro che sono schierati alla partenza hanno preso la strada di casa, o hanno già le gambe sotto il tavolo, prima del mio arrivo.
 La gara, un paio di parentesi a parte, è stata davvero bella. Sui pratoni per andare al triangolo di partenza mi sono trovato già in coda al gruppo, ma il primo punto era posizionato esattamente dove sapevo che fosse. I punti 2 e 3 li ho trovati un po’ per caso (con il senno di poi devo dire che avevo proprio mirato giusto, ma nelle zone di rocce basta girare attorno al sasso giusto nella direzione sbagliata per perdersi). In uscita dalla 3 ho visto arrivare dall’alto anche Attilio e Roberta, e così da quel momento abbiamo deciso di viaggiare “in trenino”. Per andare al punto 4 siamo scesi lungo il sentiero fino al recinto, per poi prendere la “tangenziale” fino al ristoro e poi risalire il costone fino al sentiero che ci ha portato alla 4. Nuovo trasferimento aggirando il costone e le rocce fino al punto 8, dove siamo arrivati un po’ troppo a sinistra ma ci siamo riposizionati subito, e poi nessun problema fino alla 18.
Dalla 18 alla 22, ma direi in particolare sulla 20 e sulla 21, sono stati problemi grossi, di dimensioni paragonabili a quelli dei massi che popolano “la Norvegia del Kerle”. I primi due punti sono andati via ancora ancora abbastanza lisci, ma per arrivare alla 20 abbiamo dovuto attraversare una zona allucinante di sassi, scalate e discese in corda doppia nelle spaccature tra un sasso e l’altro, ed il punto lo abbiamo trovato veramente per caso. Alla 21 la frase “c’era il sentiero” non me la può dire nemmeno chi guarda la carta dal divano di casa: semplicemente il punto era irraggiungibile e lo abbiamo trovato solo gettando uno sguardo nel vuoto (per chi non soffre di vertigini) da tutti i sassoni soprastanti. Dopo che abbiamo trovato a 21 e tirato un sospiro di sollievo (soprattutto per la nostra incolumità… in fondo eravamo già a 3 ore di gara e quindi con una lucidità limitata), la 22 è andata via quasi liscia.
Al cambio carta Roberta si ferma, mentre Attilio ed io proseguiamo dopo esserci assicurati l’un l’altro che non avremmo forzato troppo con il rischio di ritrovarci esausti a tre quarti di gara. Sostenuti dal tifo di alcuni amici che avevano già finito la gara, ritorniamo sul pratone della malga e poi nel bosco. Tra la 3 e la 4, dopo aver passato la borraccia a Fabio Daves che stava completando la sua gara in Elite, riprendiamo la “tangenziale” e la 4 va via liscia. Capisco che sto avendo problemi mentre vado alla 5 perché sento distintamente che il cervello si sta spegnendo, cosa che diventa palese alla 6 che trovo solo grazie ad Attilio. La 7 per fortuna è sopra il sentiero, ma il cervello si spegne del tutto mentre vado alla 8 (che è il punto 4 fatto prima!): il bosco improvvisamente diventa buio e alieno, e mi prende una crisi di panico che riesco a placare soltanto con una decisione drastica: tornare al rifornimento posizionato a nord.
Ritornare alla luce, fuori dal bosco e in una zona “facile” mi calma e mi fa tornare quel poco di lucidità per ritornare nel bosco e tornare alla 8 rifacendo la stessa strada fatta prima. Alla 9 trovo Attilio che, visibilmente preoccupato, mi sta aspettando; da lì in poi procediamo di conserva lungo i chilometri che ci separano dal traguardo, evitando a malincuore di saccheggiare i barbecue dei gitanti che troviamo nei pratoni a sud della strada: il profumo di quelle costine, di quelle salsicce e di quella verdura grigliata avrebbe potuto far fermare persino un maratoneta lanciato alla conquista della medaglia d’oro olimpica!
Sbuchiamo insieme dal bosco prima del traguardo proprio durante le premiazioni (e non è la prima volta nelle mie O-Marathon!), in tempo per sentire Roberto Sartori che annuncia al microfono il mio arrivo, poi quello di “Stefano Galletti e un altro!” e poi quello di “Stefano Galletti con un suo amico!”. Da quel momento abbiamo deciso che candidiamo Attilio per il posto di Milite Ignoto!
E così mi sono messo in saccoccia un’altra O-Marathon. Dall’anno prossimo potrei persino pensare di iscrivermi in over-50… ma poi che ne sarebbe della mia (e non solo mia) “Avventura lunga un giorno”? 

Notti da lupi

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E' evidente che il mio Angelo Custode legge due blog a tema orientistico: il mio (e ci mancherebbe pure altro) e quello di Dario Pedrotti. Dario ed io non facciamo sempre le stesse gare, soprattutto da quando Dario ha cominciato a cimentarsi a piedi su percorsi che non sono mai più corti di una distanza per la quale dovrei fare il pieno all'auto a metà strada (per non parlare del dislivello), che poi riversa con dovizia di particolari sia nel blog che nei suoi libri.

A proposito di libri, ormai non posso girarmi da nessuna parte senza vedere il suo nome su qualche locandina o in qualche bacheca di una libreria famosa... che sia la Feltrinelli in Piazza del Duomo a Milano o un'altra..., o ai Racconti d'autore a Lavarone con partecipazione di Veronica Pivetti, Gherardo Colombo ed altri personaggi di questo calibro, oppure oltre confine in Canton Ticino. Quando il mio Angelo Custode confronta Dario e me, la comparazione è impietosa. Lasciamo perdere l'abilità di raccontare le proprie avventure e limitiamoci ai meri risultati agonistici: non è solo una questione di allenamenti, di velocità e tempo di gara, di vittorie e piazzamenti riportati in questa gara nazionale o in quella sagra stra-paesana; l'orienteering non è uno sport che si pratica in pista, dove le corsie sono (quasi) tutte uguali e solo Dino Ponchio è capace di dire che se agli italiani capita la corsia interna sono sfigati perché è più difficile fare la curva, se capita la corsia esterna sono sfigati perché non ci sono punti di riferimento e se capita la corsia centrale sono sfigati perché quelli vicino partiranno tutti fortissimo e questo fa male al morale (ogni riferimento ai recenti Mondiali di Atletica è puramente casuale).

No.

Orienteering significa correre su terreni sconnessi (tanto sconnessi), passare in pochi secondi dal praticello alla sassaia, dalla salita dove si va su con le mani alla discesa dove si va giù con il culo (o "a culo" quando questo rimane l'unico modo per trovare la lanterna...). Questo è il bello del nostro sport, ed è anche l'aspetto che alla fine della gara crea le differenze piccole o grandi in classifica. Tutti i ragazzi con i quali mi confronto in gara mi batterebbero agevolmente sui cento metri piani; alla fine però, tolti i commenti sul fatto che solo per la mia stazza ho invaso sia la corsia alla mia destra che quella alla mia sinistra, evidenziato che potrei persino inciampare sulla linea del traguardo, la differenza per uno spettatore non sarebbe poi così marcata (una volta che ha terminato di ridere alle mie spalle). Quando invece si tratta di arrampicarsi in posti assurdi o scendere dagli stessi, di affrontare un sottobosco che ti ingoia i piedi, di scavalcare alberi caduti e ramaglie, la differenza tra me e chiunque altro si dilata in modo molto sensibile. Non è un caso se, statistiche alla mano (lasciando perdere quelle del 2017 per evidente senilità unita alla carenza di allenamento), io di solito impiego l'80% in più del tempo del vincitore in una gara sprint, tra il 90 ed il 100% in più del tempo del vincitore in una middle e tra il 100% e l'infinito in più in una long bella tosta.

A questo proposito mi viene ancora in mente una gara di tanti anni fa, un campionato italiano? o una multi-days estiva? Correvo in un bosco bello tosto e cercavo di mantenere una velocità che consentisse ai miei piedi di non farsi avvolgere dal sottobosco pesante. Una ventina di metri alla mia destra, eravamo su un lieve collinozzo, è passato alla velocità del tuono Klaus Schgaguler. Mi è parso evidente che Klaus aveva trovato un sentiero o una traccia di sentiero: nessuno poteva muoversi a quella velocità in quel sottobosco! Ho deviato dalla mia rotta e mi sono spostato nel punto esatto dove avevo visto Klaus (che ne frattempo si era dileguato a velocità assurda) ed ho guardato il terreno: il sottobosco era IDENTICO a quello dove correvo io. Di tracce nemmeno l'ombra. Semplicemente: quelli bravi sono capaci di cose che io non sono capace di fare (inutile dire che quella volta ho proseguito sulla stessa linea di Klaus ed ho continuato a farmi avvolgere i piedi dal sottobosco).

Ma non si tratta solo di velocità ed abilità fisiche. Sono anche le (dis)avventure! Tornando all'esempio di Dario Pedrotti (un mito una leggenda) da quando lui ha smesso di correre a Gardolo e conseguentemente di farsi infilzare dalle cancellate facendo figure da gatto Silvestro, il mio Angelo Custode ha potuto confrontare anche i suoi resoconti di atleta tenace, sempre a caccia del titolo italiano che ancora gli manca (ancora per poco credo), ed i miei racconti di episodi ai confini della realtà comica o tragica o tutte e due le cose insieme.

Fino a quando, dopo l'ultimo episodio alla Wolf-O (o Notte del lupo) disputata a Lavarone, ha chiosato: "è sicuro: tu sei Wile Coyote e Pedrotti è il Road Runner!".


Non posso che essere d'accordo con il mio Angelo Custode (che si è impegnato a fondo e mi ha sicuramente salvato la pelle sabato pomeriggio). Alla Notte del Lupo, Dario P. non ha partecipato, ma la presenza di tantissimi ragazzi e ragazze (soprattutto del Primiero e del Pavione) hanno assicurato una tantum alla gara un aspetto fresco, allegro, competitivo il giusto; guardando le classifiche, per una volta, ho visto che il numero di partecipanti nelle categorie under 12, under 14 e under 16 superava di gran lunga quello delle categorie master.
Guardando il volantino promozionale della gara, invece, avevo visto il mio nome segnato come speaker e mi ero parimenti rallegrato: una estate trascorsa a fare la spola con il Trentino (Coredo) non poteva che concludersi a Lavarone in quella che sarebbe stata una rivisitazione in chiave italiana della Night Hawk cui avevo partecipato l'anno scorso a Passo Coe: in entrambi i casi ci sarebbe stato un lago a fare da scenario alla partenza della gara in notturna (proporrei per l'anno prossimo il lago di Coredo, se non ci fossero così tanti problemi con la proprietà della carta e se, soprattutto, questa fosse aggiornata!), un bel bosco nel quale mandare i concorrenti per le tre gare in programma, un bellissimo fine settimana da trascorrere con gli amici.

Arrivando a Folgaria due settimane prima della gara per qualche giorno di "vacanza attiva", leggi uscite in montagna con tanto dislivello, avevo visto (oltre all'onnipresente nome di Dario Pedrotti intento a presentare il suo ultimo libro) che la sera del 19 agosto sarebbe stata in programma al Lago di Lavarone, il nostro teatro di gara, una cena sul lago e sulle sponde per celebrare la fine della settimana di ferragosto.

Mumble mumble... e noi allora da dove passiamo? Rapida telefonata con un orientista che resterà anonimo e che chiamerò Mister X, conciliabolo e l'organizzazione della notturna deve rivedere i propri piani e far girare la sfilata degli atleti da un'altra parte. Sembra quindi che non ci sia nessun problema: il Gronlait Team ha una organizzazione affidabile e, se ci sono correttivi da apportare in corsa all'ultimo momento, è sicuramente in grado di provvedere.

Il piano sarebbe quello di arrivare il 19 agosto a mezzogiorno al Lavarone-Cappella pronto per una 24 ore molto intensa come concorrente e come speaker. La premessa di tre gare sprint + middle (notturna) + middle (diurna domenica) mi fa propendere per una iscrizione in Elite (tanto è sprint) + Elite (tanto è middle e se sono speaker la dovrò fare verso sera prima degli altri) + Direct perché la domenica mattina non avrei la forza di alzarmi alle 6 per andare a fare un altro percorso Elite.

La realtà delle cose comincia invece a sembrare diversa quando Mister X mi comunica che il mio nome è necessario per chiudere una delle staffette Elite a tre concorrenti: mi toccherà quindi alzarmi all'alba per fare anche la gara di domenica nella categoria più competitiva. La linea telefonica con Mister X diventa poi bollente mercoledì 16, quando escono le lunghezze delle singole gare. Sprint: nulla da dire. Middle della domenica: ok tutto come previsto (mi tocca alzarmi veramente all'alba). Middle in notturna del sabato: 7 chilometri e mezzo + 350 metri di dislivello.

GASP! Questa sarebbe una middle? In notturna per giunta?

Mentre sono al telefono con Mister X, il mio cervello analizza rapidamente le possibilità. O hanno sbagliato a scrivere le lunghezze, o hanno lasciato le lunghezze di un'altra gara, oppure è uno scherzo destinato a me soltanto: dopo anni passati a ricevere l'unica cartina sbagliata di tutto il lotto di concorrenti, adesso il Gronlait pubblica una lunghezza a mio solo uso e consumo, per spaventarmi e farmi sobbalzare sulla sedia.

Ma Mister X è impietoso. Mi dice che la lunghezza è quella giusta, praticamente 11 chilometri sforzo, ma il primo chilometro è tutto piatto attorno al lago (il che mi fa solo pensare "ok, ma poi ci sono ancora 10 chilometri sforzo in notturna...") ed il percorso è stato provato: "a livello Elite si rimane nella forbice di 35 +o- 5 minuti di gara prevista dal regolamento". La mia mente analitica fa calcoli frenetici: 11 chilometri sforzo... mumble mumble... metti che il tempo stimato sia sulla parte alta della forbice a 40 minuti di gara... mumble mumble... aggiungici altri 5 minuti per stare comodi e sono 45 minuti... mumble mumble...

4 minuti al chilometri sforzo? Nel bosco di Lago di Lavarone?? In notturna??? Really??? Ma Mister X è implacabile: i percorsi sono stati preparati apposta... fidati... è tutto ok.. vai tranquillo! Il pensiero che rimane a frullare in testa per un paio di giorni è sempre lo stesso: o si corre davvero solo su sentiero, oppure qualcosa non mi torna.

Restiamo al piano originale: arrivo il 19 agosto a mezzogiorno a Lavarone-Cappella. Fin qui è facile. Alle 12.30, con un passo che NON E' quello dei giorni migliori, prendo il via per la mia gara sprint in solitaria.
Per arrivare al traguardo impiego un tempo assurdo (altro che "80% del tempo del vincitore"), solo parzialmente motivato dal fatto che la ricerca delle fettucce che testimoniano che sono arrivato nel posto esatto mi porta via qualche minuto, soprattutto nella prima parte di gara che si sviluppa su un terreno molto spinoso e dal sottobosco decisamente irritante. Una volta terminata la gara, e assolti i miei compiti di speaker, prendo la strada per il Lago di Lavarone per vedere come diavolo è questo percorso da quasi 11 chilometri sforzo che i concorrenti dovrebbero fare in notturna.

E mi viene un coccolone!

Passi per la risalita dal lago dritta verso il guard-rail, passi per l'arrivo al triangolo di partenza nel quale devo scavalcare alberi caduti e ramaglie, ma davvero il primo punto di controllo dell'Elite e degli under 18 che, fortunelli, sono "accorpati" agli Elite (e se ho capito bene anche della M35 e M45) è quello laggiù in fondo alla rumenta più nera, o più verde, del Lago di Lavarone?

Mi metto in modalità "fai tutto come se fosse davvero una notturna" e mi accingo a fare la gara facendo scelte solo su sentiero, a costo di fare tante volte il giro del fullo attorno al depuratore di Lavarone. La strada per il primo punto è fatta di sentieri, talvolta larghi talvolta stretti, ma quando da nord arrivo ad una cinquantina di metri dal punto, la traccia si limita ad uno spazio di pochi centimetri di rovi pestati dai piedi del controllore del percorso. Really? Il punto, per di più è posto ai piedi di una bella roccia alta e di difficile raggiungibilità persino (per uno come me) di giorno. Really? Non penso a Mamleev o a Beltramba, ad Aaron Gaio ed ai più forti che non avranno difficoltà a raggiungere quel punto neppure di notte. Penso invece a coloro, meno forti, che si sono iscritti in categoria prima che venissero rese note le lunghezze, senza avere idea della difficoltà del percorso (e sono ancora al primo punto), pensando ad una middle di fine agosto inserita in una kermesse come la Wolf-o che non ha uno standard di tracciatura definito. E penso che forse il percorso della sprint, che si è completato con le tante lanterne poste al parco Palù, sarebbe stato più adatto per una notturna.

Per andare al punto 2 torno sui miei passi: le striscie nere sulla carta sono pareti rocciose di tutto rispetto e mi chiedo come sarebbero apparse alla luce della lampada frontale. Mi chiedo con una ansia ed una angoscia sempre crescente se io sarei stato in grado di trovare il varco giusto tra le rocce per scendere fino al prato. Anche il terzo punto è ai piedi dell'unica roccia posizionata nel punto di massima pendenza del costone.

Ma il colpo di grazia al mio morale, e soprattutto manda fuori scala il mio ansiometro e angosciometro, è il punto 6. Ci arrivo da nord, ripassando dal depuratore, poi dalla palude del biotopo e infine seguendo il sentiero fino al tornante che si trova ad est del punto. Guardando verso l'alto, osservo una risalita di 11 curve di livello (really?) da fare in pochi metri per arrivare al punto 7, il centro della "farfalla". Guardando dritto davanti a me, vedo una roccia sul bordo del cerchietto e decido di passare accanto ad un albero che sta sopra la roccia spiovente.

E' un attimo: il terreno molle cede sotto i miei piedi


E' l'albero che mi salva: allungo un braccio e mi aggrappo, nell'incavo del gomito, ad un ramo sporgente. Resto lì appeso per qualche secondo (è proprio vero che sembra una enormità di tempo, ma si deve essere trattato solo di qualche secondo).

Lucido. Resta lucido, mi dico. Niente panico. Comincio a dondolare, dando solo una fugace occhiata ai piedi che penzolano a tre metri di altezza con sotto altre rocce. Un altro dondolio e con i piedi arrivo a toccare la parete con erba mista a sassi mista a terra davanti a me. Appoggio il piede, mi spingo forte con il braccio e arrivo ad appoggiare anche l'altro piede. Mi giro, guadagno un passo verso l'alto, poi un altro e finalmente esco dalla situazione di pericolo.
E adesso? "Via di qui!" mi dico. Via di qui con tutta la velocità che riesco a mettere nelle gambe! La salita al punto 7, inutile dirlo, la farò lungo il naso che porta alla zona di rocce... solo per trovare un punto posato in mezzo ai sassi ma anche posato in mezzo ad alberi caduti, ramaglie, una radice (really?). Sull'ala di farfalla 8-9 mi metto più tranquillo: questa è una bella parte del bosco del Lago di Lavarone, ma per arrivare alla 11 ritorno alla modalità "se fosse davvero notte ed io non avessi problemi di tempo, cosa farei?"; poiché la scalata della parete rocciosa è inutile anche di giorno, ed il suo aggiramento mi porterebbe di notte a vagare chissà dove, decido di salite a nord lungo il biotopo, poi ad est fino alla strada e poi a sud fino al punto. Mantengo la mia idea che la tratta 11-12, di notte, non è proprio una delle cose più belle da proporre al popolo orientistico, e mi concedo una digressione orientistica per tornare alla 13 girando attorno alle pareti rocciose. Anche la 14, vista con gli occhi della notte non è questa passeggiata di salute, ma ormai ho capito che la tragedia l'ho scampata al punto 6 ed ho ancora parecchi punti davanti a me. Nel frattempo si è messo anche a diluviare...

Gli ultimi punti dopo l'attraversamento della strada sono ancora una volta da "really?": il punto 18, ma soprattutto il 20 ed il 21 li raggiungo lasciando abbondanti striscioline di pelle delle gambe sull'infame sottobosco che cresce sotto le linee elettriche, ed è solo dopo oltre 2 ore e 10 minuti che completo la mia fatica al Lago di Lavarone.

Giunto a questo punto decido che ci sono alcune cose che devo fare. La prima è ovviamente quella di dire a Mister X che il mio nome non deve comparire in alcuna staffetta, perché mai e poi mai e poi ancora mai sarei stato in grado di terminare quel percorso di notte, nemmeno avendo a disposizione TUTTA la notte (molto probabilmente sarei stato trovato dai concorrenti della gara diurna, ancora in gara o forse sfracellato da qualche parte). Poi prendo da parte il direttore gara ed esprimo tutte le mie perplessità sul percorso, dicendo che non credo che corrisponda alle caratteristiche di una gara middle, o di una notturna sostanzialmente aperta a tutti.

Mi viene concesso di dare qualche avvertimento ai concorrenti, soprattutto agli under 18 che dovranno fare il percorso Elite, ed alle under 18 che si sono effettivamente già iscritte sul percorso Elite. La mia stima è che meno della metà dei concorrenti sarebbero stati in grado di fare quel percorso, e che probabilmente saremmo andati tutti quanti in cerca di grossi guai senza un qualche ripensamento, magari di spostare tutti quanti inuna categoria con un grado di difficoltà meno elevato.

Mi prendo ovviamente ogni responsabilità (o colpa) per quanto dico, ma adesso vorrei spiegare una volta per tutte il mio pensiero: nel mio ruolo di speaker-apripista mi sento molto responsabilizzato di fronte al fatto che sono in grado di vedere il percorso prima degli altri concorrenti. Tante volte, davvero tante, fin dall'inizio della mia avventura al microfono ho indicato agli organizzatori fili spinati non segnati, aree pericolose o fili metallici posti ad altezza d'uomo da fettucciare, recinti segnati come attraversabili presidiati da cani randagi o cavalli portati al pascolo il giorno prima, rave party di cui non si sapeva nulla...

E' una responsabilità che sento nei confronti di tutti gli orientisti, soprattutto quelli di seconda fascia che magari si iscrivono ad una gara con un entusiasmo che travalica le reali possibilità, o con una aspettativa di gara che diventa completamente diversa rispetto alla realtà delle cose. Soprattutto quando vengono proposte gare con un formato insolito, gare notturne in primis (soprattutto quando non sono "notturne di Coppa Italia" bensì regionali o promozionali), credo vada posto ancora di più l'accento sulla salvaguardia dell'incolumità di tutti i concorrenti. Poi Mamleev e tutti coloro che sanno veramente fare orienteering troveranno da soli il modo migliore di fare allenamenti in notturna per preparare le varie staffette Jukola e Tiomila, e quante volte siamo rimasti svegli la notte a fare il tifo per loro aspettando gli aggiornamenti della pagina dei risultati, nella speranza di veder comparire prima possibile il nome di Misha, di Klaus, di Alessio...


Come è andata a finire, poi, lo sanno tutti coloro che hanno visto la news sul sito Fiso nei giorni precedenti la vittoria di Luca Dallavalle al mondiale di MTB-O: dal cielo ha cominciato a venire giù di tutto... grandine, acqua, tuoni, lampi, un vento da regata che ci ha costretti a metterci in 6 per tenere ancorati i gazebi a terra. Mentre i concorrenti, quelli rimasti, aspettavano nelle macchine una decisione, la giuria di gara ha stabilito che non ci fossero le condizioni di sicurezza sufficienti per lo svolgimento della notturna, ed ha rimandato tutto alla mattina dopo.

Il percorso in notturna, fatto alla mattina, si è rivelato come effettivamente è: una bella middle allungata, a tratti davvero tecnica, che avrebbe potuto essere persino una Coppa Italia, in un bosco molto bello da affrontare di giorno. Ma tutti quanti i concorrenti, nessuno escluso (nemmeno Misha!) si sono astenuti dal dire che di notte quello stesso percorso sarebbe stato "molto difficile" (parole di Misha stesso) o molto pericoloso, o che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di completare il percorso. Mi scuso con il tracciatore Samuele T. che ci ha messo sicuramente l'anima per realizzare quel tracciato (e forse lui, con i suoi 20 anni e le sue capacità, è tra i pochi in grado di farlo in qusi totale sicurezza), ma credo che Qualcuno lassù abbia visto giusto e, spedendo sulle nostre teste quel po' po' di uragano, ci abbia risparmiato parecchi grattacapi.

A proposito: Misha domenica mattina è arrivato al traguardo in 52 minuti... chi è che ha provato il percorso e ce ne ha messi 40? E' stato Mister X? (segue smile)

 Il resto della domenica trascorre sotto un cielo finalmente amico. I concorrenti finiscono la gara, si pongono la domanda in merito a cosa sarebbe successo di notte, seguono premiazioni (che premiano sempre i soliti, ma questo è il significato della parola "sport") e le parole di elogio per il Gronlait Team che seppure in una situazione ai limiti dell'impossibile ha trovato ancora una volta la soluzione giusta al problema. Durante il pomeriggio, per i pochi rimasti, c'è la possibilità di riprendere la strada del bosco per provare anche il percorso che originariamente era previsto per domenica mattina, ovvero la middle della staffetta


Ci provo anche io, rimanendo in giro quasi 100 minuti e spendendo le ultime energie, al punto che rientrerò poi domenica sera a Coredo bollito oltre ogni dire.

In definitiva credo che la Wolf-O sia una esperienza da ripetere, soprattutto per il periodo nel quale viene proposta, per i boschi nei quali viene organizzata, per il clima competitivo ma anche di comunità che si crea quando per 24 ore si fa sport con le stesse persone accomunate dalla stessa passione.

Solo, per favore, per il prossimo percorso in notturna abbiate pietà!

Promozionali’s Karma

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Il mio blog non segue necessariamente in ordine cronologico le vicende che mi portano a girare per boschi con una cartina ed una bussola in mano alla ricerca di una lanterna o del Sacro Graal, cose che talvolta coincidono, soprattutto quando le lanterne si dimostrano altrettanto introvabili.
Se ci fosse un ordine cronologico, qui ci dovrebbe essere un resoconto dettagliato delle gare alla Foresta del Cansiglio, valide per i Campionati Italiani Long Distance e Staffetta: queste due gare mi hanno lasciato nell’anima una sensazione impagabile, ma dopo averne scritto anche per Azimut, e dopo aver girato (metaforicamente, via outlook) come una trottola per trovare le foto dei protagonisti, ho deciso che mi regalerò “IL” pezzo definitivo sul Cansiglio per la giornata di Natale. Il filo logico del blog ricomincia quindi dalle gare post-Cansiglio; il che, va detto a difesa di queste gare, è un po’ come salire sul palco del Live Aid dopo che ne sono appena usciti i Queen…
Di tutti i possibili posti nei quali andare a correre nella prima uscita post-Cansiglio, il destino mi ha portato a Vergo Zoccorino per una gara promozionale organizzata dalla Polisportiva Besanese, come se fosse una specie di celebrazione non preventivata dei successi che la squadra brianzola ha mietuto agli Italiani. Dicevo “di tutti i possibili posti” perché fino al giorno stesso della gara io non avevo la più pallida idea che esistesse un posto chiamato Vergo Zoccorino… In una giornata caratterizzata dal solito crollo fisico post-Campionati Italiani, ho capito a malapena che avrei dovuto prendere la “solita” Valassina, il “solito” bivio per Carate, imboccare il “solito” bivio verso Besana, e poi da qualche parte dopo il rettilineo del “Campo delle cento Pertiche” avrei dovuto trovare le indicazioni per questa località. Sono così arrivato davanti al “solito” bivio per Veduggio prima del passaggio a livello, e proprio lì ho trovato bello chiaro il cartello per Zoccorino. Che deve esserci sempre stato! Ma è proprio vero che il cervello funziona (quando e se funziona) in modo selettivo: di conseguenza, pur essendo passato mille volte da quel bivio, non mi ero mai accorto di quella scritta.
La gara è stata quanto di più easy si potesse immaginare (easy ma degnamente organizzata!): iscrizioni volanti, partenze libere e volti rilassati, anche quelli di tutti coloro che fino ad una settimana prima se le sono date di santa ragione. Un sacco di esordienti veri, che magari in un paio di anni andranno a rinforzare la corazzata Besanese, e cartine che pian piano vengono esaurite a rappresentare il successo della manifestazione e l’ottima attività di promozione della gara. Il percorso Agonisti non può offrire molti voli pindarici, a parte un paio di trappole rappresentate da lanterne “civetta” messe strategicamente in bella vista (ma quelle degli Agonisti sono nascoste a qualche metro di distanza).
Finisco la gara più o meno a metà classifica, facendo segnare un tempo del 50% più alto di quello del vincitore. Davanti a me e dietro a me in classifica spuntano i nomi dei soliti amici, con distacchi davvero risicati su un percorso che obiettivamente non poteva fare tantissima differenza (anche se non ho potuto evitare di farmi passare sulle orecchie da Fabrizio Berni, uno che non ho chance di battere in nessuno degli sport che entrambi pratichiamo). Al traguardo vedo la faccia nota di un mio collega di 20 anni fa, che abita proprio a Vergo Zoccorino e che ha portato la figlia a gareggiare. Nemmeno il tempo di mandare un messaggio e scrivere “sapete che sono a Vergo Zoccorino a fare una gara e ho visto un nostro ex collega che abita qui?” che ricevo in risposta “si, so che Tizio abita lì, salutamelo!”. Peccato che Tizio non sia la persona che ho incontrato! Al che deduco che a Vergo Zoccorino (paese di due case, una chiesa ed un campo di calcio) abitano due ex colleghi. Poi Attilio si fa vivo al telefono per dire di passare dalla pasticceria di Vergo Zoccorino a comprare le paste, pasticceria che trovo con facilità perché per puro caso ci ho parcheggiato davanti… ora: a parte che le paste sono davvero buone e costano una frazione di quanto le avrei pagate a Milano, non è che ho scoperto che l’ombelico del mondo non sta a Parigi o a New York ma che tutte le strade portano proprio a Vergo Zoccorino? Boh!
Il weekend successivo si sale a Vestreno e Sueglio, due paesini arroccati sulla sponda orientale del Lago di Como, proprio a strapiombo sulla più celebrata Dervio dove quest’anno abbiamo già corso una tappa della Sprint Race Tour. Inizialmente pensavo di cogliere l’occasione per passare un fine settimana di assoluto riposo, ma poi su facebook si scatena il tam-tam degli orientistiperché la gara, messa a calendario come Trofeo Lombardia, è “declassata” a promozionale in quanto c’è qualche strana magagna che coinvolge regolamenti, standard di mappatura del terreno, scala della mappa, equidistanza delle curve di livello… comunque sempre roba che riguarda i regolamenti (bleah!).
Breve interludio: io non sono contro i regolamenti. Io sono contro la regolamentite (già declinata e cassata su queste pagine web un paio di anni fa). Ma forse la mia idiosincrasia è legata anche ai ricordi d’antan, di quando si andava a fare le trasferte di pallacanestro alla Terzerina di Pregassona dove il campo era nettamente in discesae nessuno faceva un plissé… che di campi non proprio “in bolla” ne avevamo anche dalle mie parti, e in uno di questi il post basso di una delle aree era perfettamente presidiato da una pertica (non nel senso di giocatore alto e magro ma proprio di pertica, quelle incastrate in un buco nel pavimento ed in una griglia appesa al soffitto), ma pur di giocare una partita di campionato ci si faceva bastare anche questo genere di posti.
Comunque alla fine si sale fino a Vestreno, per fare una delle gare più belle dell’anno! Una fatica da bestie, d’altra parte l’organizzazione è Nirvana Verde ed il tracciato è di Mario Ruggiero, ma in uno di quei posti che a fine gara mi fanno dire che la fatica ed il tempo sono state ben spese e ripagate. Il terreno di gara, anzi i DUE terreni di gara, sono quanto di più lontano dal consueto di possa trovare:
Praticamente una specie di Venezia con le scale a mandare tutti su e giù. Soprattutto “su” per andare al primo punto di controllo, e poi da lì è tutto un continuo salire e scendere sui gradini, cercando di tenere il segno sulla mappa (sennò bisogna ricostruire la strada dalla lanterna precedente per capire a quale bivio si è arrivati). Vado ovviamente molto piano, ma è la classica gara che ho persino qualche possibilità di vincere! Infatti, mi dico, se tutti quanti fanno una punzonatura errata o una punzonatura mancante ed io no, alla fine vinco io. Sfiga! Solo un terzo dei concorrenti sbaglia percorso, e assicuro che non è facile fare il percorso corretto quando, soprattutto nel finale, gli occhi “vanno insieme” e la testa non va più alla stessa velocità dei piedi. Dicevo: un terzo sbaglia percorso ed è escluso dalla classifica, ed io mi piazzo proprio a due terzi della classifica. Mi sembra chiaro, no?
L’ultima delle gare di questa sequenza mi vede protagonista (già, come no?) a Serrada di Folgaria, il che praticamente è come tornare a casa. E’ una promozionale sui generis, made by Roberto Sartori che approfitta dell’occasione per celebrare la medaglia d’oro mondiale del suo atleta Luca Dallavalle: c’è la possibilità di gareggiare nella C.O. (a piedi), nella MTB-O (in bicicletta) e di fare un duathlon. La maggior parte dei presenti viene per il duathlon, ma comunque sono tutti dei fenomeni della bicicletta come quello che fa l’inviato “a bombazza!” di Striscia la Notizia. Inoltre la giornata ci riserva un trattamento meteorologico tra lo schifoso ed il suggestivo: o piove, con la conseguenza che il percorso in bici diventa una specie di calcio saponato, o le nuvole si abbassano rendendo il campo di gara paragonabile a quello di Belgrado durante il celebre Stella Rossa-Milan di tanti anni fa quando c’erano Sacchi e Gullit; a tratti bisogna usare la bussola anche per trovare le lanterne nei prati a 20 metri di distanza, perché non si vede da qui a lì.
Anche in questo caso la competizione è serrata ma gestita in modo assolutamente amichevole. In sottofondo si potrebbe persino sentire la musica del Trio Lescano che canta “le gocce cadono ma che fa…” e, in occasione dei non rari incroci tra i concorrenti, ci si saluta come se in fondo la classifica fosse una cosa che si, insomma, conta ma fino ad un certo punto, tanto siamo venuti a Serrada solo per divertirci insieme, no? La mia gara non è proprio magistrale, d’altra parte sono appesantito dall’allenamento che il giorno prima mi ha portato, lungo la direttissima in salita, fino a Forte Cima Vezzena (dove sono praticamente collassato). Ma, nonostante le nuvole e la pioggia, andare via da Folgaria mente sempre un po’ di malinconia.
Promozionali di settembre. Quelle che introducono al finale di stagione pirotecnico. “Sembrano” solo delle promozionali, ma lasciano sempre dentro il cuore qualcosa di buono da ricordare.

Dopo 18 anni, di nuovo posatore (alla Besozza)

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Ebbene è successo! Dopo millanta tamanta (cit.) anni dall’ultima organizzazione di una gara di Trofeo Lombardia, l’Unione Lombarda torna a calcare le scene delle gare regionali (adesso mi pare che si chiamino “di secondo livello”) con la gara al Parco della Besozza di domenica 12 novembre. Non è certo la Foresta del Cansiglio, o la piana di Millegrobbe, ma a correre nella zona del Lago Malaspina sono arrivati in 140, e tanto basta per una gara di fine stagione che più fine stagione non si può. Il titolo dovrebbe alludere proprio a loro, alla “gente della Besozza” che ha sacrificato una fredda mattina di una domenica di metà novembre per farsi una corsetta con cartina e bussola nell’unico posto al mondo dove non c’è una curva di livello manco a pagarla! (al parco di Trenno c’è una depressione nella parte sud della cartina, quindi le curve di livello ci sono anche lì!).

Abbiamo celebrato i vincitori durante le premiazioni, tutti quanti hanno avuto la loro brava foto al traguardo, tutti più o meno sono arrivati a casa ad un orario decente per il pranzo domenicale e la pennichella post-prandiale. Bravi tutti. Ma un piccolo monumento al “posatore ignoto” non vogliamo proprio farlo?

Ecco: il posatore. L’eroe apònimo delle nostre domeniche orientistiche. Colui che se le cose vanno bene (leggi: i punti ci sono e sono posati bene) ha fatto solo il suo dovere, e comunque gareggia per il premio “bastardo dell’anno” per aver messo una lanterna proprio dietro all’unico tronco in grado di nascondere ogni pixel bianco ed arancione visibile da lontano. Se le cose vanno meno bene, c’è il rischio che la gara vada in malora… Poi non c’è nemmeno da chiedersi il perché uno si sveglia nella notte tra il sabato e la domenica in preda al panico, dopo aver sognato di essere in gara in un Fot-O a Conegliano (5 punti di controllo, tutti riferiti a monumenti\dipinti\graffiti con figure di cani… ma quanto si deve mangiare pesante la sera per passare una notte del genere?). Schieramento dei posatori alla Besozza? Eccolo qua.
Al primo carrello Remo: ha fatto lui la cartina ed il tracciato, ed è campione europeo di trail-O. Direi che basta e avanza. Al secondo carrello Lucia: al Parco della Besozza praticamente ci ha costruito le ultime 13 vittorie consecutive nella classifica generale di Coppa Italia. Direi che basta e avanza. In coda al gruppo come zavorra il meravigliosamente vostro redattore del blog… e non si può aggiungere altro. Quando mi hanno chiesto di posare i punti ho pensato “che problema ci sarà?”. Ecco… andare a cercare “un albero diverso dagli altri nel fitto del bosco là dove non c’è una curva di livello manco a pagarla…” per esempio potrebbe essere uno dei problemi. La giornata era partita bene, perché l’organizzazione si è dotata di paletti futuribili in scocca di carbonio, del peso di pochi milligrammi, ben diversi da quelli che mi scarrozzo sulle spalle alla Milano dei Parchi, che pesano una tonnellata e hanno spuntoni metallici dappertutto, cosìcché alla fine di ogni tappa ho la pelle delle braccia e delle mani che sembra che mi sono infilato nel tritatutto fino ai gomiti.

Partito con tutto il mio armamentario di borse, pali, teli e scatole come nemmeno l’arrotino e l’ombrellaio, ho scopetto che persino al Parco della Besozza riesco ad incastrarmi e avvilupparmi nel fitto dei rami e del sottobosco: non conto le volte che i rami mi hanno portato via il berretto, ed in una occasione sono riuscito persino a perdere gli occhiali! Dopodiché ho scoperto le delizie della “posa del XXI° secolo” (giacché l’ultima volta che avevo posato per una gara seria era stato alla Coppa Italia di Golasecca di fine secolo scorso, di cui avevo già parlato qui); cosa succedeva, per l’appunto, nel secolo scorso? Succedeva che, trovato il punto giusto, piantavi il paletto, piazzavi la lanterna e via verso mille altre mirabolanti avventure (leggi “punti”). Alla Besozza, alba del XXI° secolo appunto, una volta che ho avuto la fortuna di trovare il punto giusto, la posa diventa una roba che al confronto la checklist della partenza dello shuttleè una versione semplificata del “unisci i puntini da 1 a 56: cosa apparirà?”:

prendi la stazione, infilala nel contenitore-cassaforte a prova di bomba\furto\esplosione atomica, spingi bene… non incastrarla, stupido!... ecco, ora che da bravo babbeo l’hai incastrata e non va più né avanti né indietro, passa i successivi 5 minuti a tentare di disincastrarla con le mani gelate… ora che non ce l’hai fatta, scassina il contenitore-cassaforte, estrai la stazione a viva forza usando pure i denti,… riprova che sarai più fortunato… inseriscila bene, controlla che il chip si possa infilare nel contenitore ed anche nella stazione, e che la lucina che lampeggia corrisponda all’altro buco del contenitore metallico… ora inserisci nei fori appositi il blockster per fissare il contenitore… cerca la chiave del blockster in un mazzo da 32 chiavi come nemmeno quello di San Pietro!… comincia a snocciolare i nomi dei Santi del Paradiso… quando arrivi più o meno a nominare il santo del 27 aprile, finalmente trovi la chiave giusta… chiudi il blockster, che improvvisamente da pezzo di ferro inanimato e anelastico prende vita propria e si annoda vorticosamente posizionandosi in modo da nascondere il codice presente sul contenitore… riprendi la chiave… come sarebbe a dire che hai già rimesso in tasca tutto il mazzo???… Riparti dal 28 aprile e continua a nominare Santi… riapri il blockster, ricolloca il contenitore, ora prendi una lanterna, legala da qualche parte, NON COSI’ STRETTA!!!che quando ti toccherà andare a riprendere i punti dopo la gara dovrai consumarti le unghie per sciogliere i nodi!... sistema la lanterna in modo che abbia un minimo di appeal, un minimo di forma di prisma e non sembri uno straccio buttato lì nella rumenta!... attacca il bigliettino “gara di orienteering in corso – si prega di non spostare” (credo che il Terzo Segreto di Fatima sia la risposta alla domanda “ma che cosa se ne fanno quelli che rubano una lanterna?”), attacca il punzone che ci serve per portare a casa la gara se la stazione elettronica non funziona… rimetti tutto nella scatola, rimetti tutto nelle borse, rimettiti tutto in spalla e avanti con il prossimo punto.
AH NO! ASPETTA! RICORDATI DI ACCENDERE LA STAZIONE ELETTRONICA CON IL TUO CHIP! Come sarebbe a dire “dove avrò messo il chip…”? (continua… continua… continua per altri 13 punti di controllo…)

Sarà un caso che il gioco nel quale da bambino mi sono sempre dimostrato incapace era il Meccano?!? SGRUNT!!! Con tutte le cose inutili che si inventano a questo mondo, un pensierino alle lanterne autoposanti ed alle stazioni di controllo virtuali io lo farei.
Tutto questo per spiegare come mai sono stati aggiunti al rettilineo di arrivo quei 30 metri in più (che, in caso di pioggia, mi sarebbero serviti per accogliere i concorrenti stando al riparo della tettoia): erano semplicemente la vendetta per le unghie nere e le dita maciullate… che poi: posare 14 punti in 120 minuti vuol dire impiegare quasi 10 minuti a punto: se mi avessero chiesto di aiutare a posare alla Foresta del Cansiglio, avremmo assegnato il titolo italiano Elite sabato sera a tarda ora!

Tutto in una notte (parte prima)

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Dall’8 ottobre all’11 novembre. Tutto in un fiato, tutto in una notte. Come in uno dei miei film preferiti, quello con Jeff Goldblum (che è alto esattamente quanto me) ed una Michele Pfeiffer che non sarebbe mai più stata così bella. Ci sono periodi dell’anno nel quale guardo il calendario aggiornato delle gare, dove sono evidenziate quelle nelle quali sarò speaker, e degli impegni di lavoro all’estero. Fin dall’estate avevo mirato a quel periodo lungo più di un mese durante il quale si sarebbero susseguiti nell’ordine: Lussemburgo – Toronto – da qui paracadutato direttamente al weekend di Bobbio e Ceci – vari viaggi a Parma – poi la 3 giorni a Roma – ancora Parma – il weekend di finali di Coppa Italia a Bologna. Infine sarebbe arrivato sabato 11 novembre, e avrei potuto dormire senza dovermi più preoccupare di mettere la sveglia… (ma domenica 12 novembre ci sarebbe stata la gara alla Besozza!).
Quando si profilano all’orizzonte questi periodi, la prima cosa da fare è mettere mano alla lista. LA LISTA. Stegal’s List. La lista è l’ancora di salvezza, seconda in ordine di importanza solo all’Angelo Custode che mi protegge dai guai e dalle cadute. E’ stata redatta in unica copia in occasione di chissà quale dimenticanza di un oggetto essenziale per la trasferta, e da allora si è arricchita di ogni cosa che poteva tornare utile. La Lista è unica: non distingue tra trasferte di lavoro, vacanze non orientistiche, vacanze orientistiche e impegni da speaker. Soprattutto, la lista è un lascito della lettura di due libri che ho sempre amato: “Tre uomini in barca” e “Tre uomini a zonzo”. Credo che sia nel secondo libro la descrizione della famosa lista dello Zio Podger che, in procinto di partire per un viaggio, al momento di fare la valigia elencava le cose che sarebbero servite: “Comincia dalla testa. Che cosa si metti? Cappello… SEGNA! Cappello!” e così via.
Poi lo Zio Podger perdeva la lista.
Anche io comincio dal cappello, e a seguire tutto quanto il resto; che sia un vestito per andare ad un incontro con un cliente o la termica a maniche lunghe per affrontare le gare invernali, sulla lista c’è tutto. L’unico limite della lista è che, prima o poi, la disponibilità di materiale si esaurisce. Ho già citato da qualche parte nel blog che il materiale di consumo a più veloce esaurimento sono le mutande: considerata una contingency del 30% (per un viaggio di 3 giorni metto in valigia 4 paia di mutande, più ovviamente quelle che indosso al momento di partire, perché non si sa mai…), si comincia a mettere da parte il trolley piccolo per andare in Lussemburgo. Sopra ad esso finiscono i vestiti e le scarpe per il viaggio con il biglietto delle cose che vanno inserite in bagaglio all’ultimo momento. Poi si inizia con le due valigie per andare a Toronto, sopra alle quali finiscono altri vestiti ed un biglietto dove sta scritto ciò che manca e ciò che dal bagaglio di Lussemburgo dovrà essere trasferito a quello di Toronto.
Poi è la volta degli zaini per andare alle gare di Bobbio e Ceci, con tutte le cose dell’orienteering ed il solito biglietto che spiega cosa dovrà essere preso dal bagaglio di Toronto e ficcato negli zaini. Infine, ma è per puro sfizio, ci sono le borse per le gare di Roma e poi di Bologna, che sono sostanzialmente borse quasi vuote con i volantini, i biglietti del treno già acquistati, e l’elenco di tutto ciò che da Bobbio e Ceci dovrà esservi distribuito. E’ in questa fase che, tipicamente, terminano le mutande a disposizione (giacché per le magliette sono disposto a mettere in borsa reperti bellici del Thermenland Open del 2003 o della 6 giorni di Scozia del 1999…).
Il passaggio cruciale per tutta questa operazione della durata di 34 giorni, da vivere tutti di un fiato, era l’arrivo a casa da Toronto e la immediata (nei piani) partenza per il campionato italiano sprint relay di Bobbio. Il piano di volo prevedeva infatti un atterraggio da Toronto via Monaco attorno alle 14.30 di venerdì 20 ottobre, rientro immediato a casa, rapido travaso di valigie, partenza in auto per Bobbio e crollo sul letto per devastazione da jet lag; non sapevo infatti se sarei stato in grado di partire da solo sabato mattina: sapere di poter essere a Bobbio venerdì sera, magari con la prospettiva di provare il percorso middle di Coppa Italia a Ceci sabato mattina, era tranquillizzante.
(intanto, visto che non dispongo di una foto della gara che sono riuscito a infilare tra i mille impegni lavorativi a Toronto, sulle sponde del Lago Ontario con partenza e arrivo a Coronation Park, vi beccate Michelle Pfeiffer…)
Sfiga. Frau Merkel e la sua caxxo di compagnia di bandierane combinano una più di Bertoldo tra ritardi, stra-ritardi e bagagli smarriti. Di conseguenza arrivo a casa stravolto venerdì sera tardi, e tutte le aspettative e le pianificazioni sono andate a ramengo. Catalessi sul letto fino a sabato mattina, affronto il viaggio per Bobbio in condizioni rivedibili, con l’Ipod a palla nelle orecchie e dandomi pizzicotti in serie sul braccio per non addormentarmi. A Bobbio è in programma la seconda edizione del Campionato Italiano Sprint Relay ed io non ho una staffetta con cui gareggiare ma sono speaker. Speaker e quindi ho voglia di provare il percorso Elite, di cui mi è stato detto un gran bene, che si sviluppa nella zona della rocca di Bobbio e del centro storico, poi del ponte romano e della zona lungo il Trebbia.
(carta by www.alessiotenani.it)
La mia partenza, un’ora prima del lancio dei primi frazionisti è spiata da parecchi concorrenti che vogliono vedere da che parte mi dirigerò una volta raggiunto il centro della piazza di Bobbio. Per questo motivo, non avendo appunto una staffetta con la quale gareggiare, mi dirigo volutamente dalla parte sbagliata, ad ovest: faccio il giro del castello in salita, scendo dalla parte opposta del castello verso il punto 1 e poi risalgo per affrontare il labirinto del castello. Che tale si rivela, almeno al mio cervello che ha una concentrazione pari a zero e per il quale l’orario delle 12.30 corrisponde di fatto alle 5.30 del mattino cui ero ormai abituato. Per venire a capo del castello ci metto un’era geologica, e per fortuna che da lì e per qualche punto di controllo si tratta solo di lasciar andare le gambe in discesa.
Mentre sto per andare dal sesto al settimo punto, dietro al primo angolo incrocio una coppia di giovani. Lui è decisamente belloccio, ben piantato e tutto sommato credo che farebbe la sua porca figura da Abercrombie & Fitch. Lei è semplicemente una fata bionda che in una scala da zero a cento prende il voto “copertina di Playboy”. Sapete quelle sensazioni che capitano ogni tanto, no? Beh… io sto correndo la mia gara e cerco solo di darmi un tono, ma la voce che sento da dietro è femminile e dice distintamente “Heja! Heja!”. Mumble mumble… se quella è bionda e mi urla dietro “Heja!”, può venire da un solo paese al mondo, no? Ma chissà se mi ricapita di incontrarli… e infatti, mentre vado al punto 10, rieccoli! La ragazza urla più forte “Heja! Heja!” ed io, esalando l’ultimo respiro, chiedo “Where are you come from?”. Lei risponde con un ovvio “Sweden!” e a questo punto è il ragazzo che mi indica ed esclama “Ehi! This is the O-Ringen!!!”. Già… perché io sto gareggiando proprio con la maglietta dell’O-Ringen. Chissà che cosa avranno raccontato di Bobbio una volta che saranno tornati a casa!
Il finale di gara, dopo un tratto sulle sponde del Trebbia nel quale rinuncio ad ogni velleità agonistica, è abbastanza scontato: per tornare in zona arrivo c’è una sola possibilità di scelta, ma la gara è stata davvero soddisfacente per me (non come tempo di percorrenza, certo!) per via di tutte le variazioni di terreno che ho incontrato nel giro di 25 minuti. Passerò poi le due ore successive a raccontare in campionato italiano nella postazione “da occhi di mosca”: infatti il passaggio dal punto spettacolo e l’arrivo sono disposti a 180° tra loro, ed è solo grazie all’aiuto di Anita Cozzi ed Irene Tomiello che riuscirò (non sempre riuscendoci) a non perdere la maggior parte dei passaggi e degli arrivi). Mi perdo invece del tutto la volata nella categoria under-16 perché la categoria non prevede passaggio in zona speaker e, di conseguenza, mi accorgo che il titolo italiano è stato assegnato quando ormai tutto i protagonisti sono arrivati al traguardo.
Poi arriva sera, ed io finalmente vado a letto distrutto dal sonno. Tappi nelle orecchie per difendermi da un autentico Trans Europe Express che dorme nello stesso stanzone (la definizione non è mia!), fascia sugli occhi, pantaloni imbottiti e pile. La catalessi è ancora una volta immediata. Alle 5.50 del mattino suonano le varie sveglie per sbrandare i protagonisti-organizzatori della gara di Coppa Italia in programma a Ceci. Lungo il trasferimento al rifugio che ospita il centro gare, a 40 minuti di auto, la strada è tutto un susseguirsi di curve, nebbia, curve con nebbia, talvolta nebbia che non fa vedere se davanti c’è una curva o un rettilineo. Tuttavia sono anche in grado di distinguere una luce, ed è quella nella mia testa: sarà che quella appena passata è la prima notte di sonno autentico da quasi 10 giorni, ma mi sento concentrato al massimo e le gambe una tantum sembrano persino rispondere bene.
Quello che mi succede nei 66 minuti successivi è un replay della sensazione di totale coinvolgimento con la carta di gara, come mi succede ormai sempre più di rado. Ma quando succede… La carta di gara qui sotto è sempre quella con il percorso di Alessio Tenani ma, fatte salve le due scelte per andare al punto 3 e al punto 5 dove mi sono appoggiato ai sentieri, posso tranquillamente dire che fino al punto 10 ho corso sulle tracce di Teno (o Teno sulle mie… vai a sapere!).
La sagra delle cose strane comincia sulla strada per il primo punto, quando faccio una scelta “destra sul sentiero-sinistra sulla traccia” e poi già lungo il nasone: dal vivo (nel bosco, mentre sto correndo) mi dico da solo che è pusillanime e da vergognarsi, anzi mi sembra di sentire la voce del mio amico Marco che mi dice “corri per l’ultimo posto in classifica e non hai nemmeno il coraggio di buttarti fuori dai sentieri?”. Quando arrivo al primo punto di controllo, il mio tempo è di 3 minuti e 29 secondi. Che è sempre più del doppio di quanto ci ha messo il primo. In quel momento non posso sapere però che alcuni compagni di brigata impiegheranno 4 minuti, 7 minuti, 9 minuti, 11 minuti, 16 minuti per venire a capo di quel punto… Quello che so è che per motivi ignoti sono riuscito a fare il primo punto proprio bene, e che il mio secondo pensiero è di continuare così senza inanellare troppe vaccate.
Il secondo pensiero. Perché il primo pensiero è rivolto al cacciatore che, non lontano da me, sta sparando a qualche animale… Mentre già vedo il mio nome nei titoli di cronaca “Cacciatore di frodo spara nel culo a impiegato orientista panzottello” penso che potrei palesare a questo sciagurato il fatto che nel bosco stanno transitando anche persone oltre che selvaggina, mettendomi a parlare da solo. Già, ma che cosa mi metto a raccontarmi da solo? Potrei canticchiare qualcosa… ma non mi viene in mente niente! Finché, come nelle migliori tradizioni, non sono io che scelgo la canzone, ma è la canzone che sceglie me: ed è ovviamente quella che mi ha ispirato il titolo del pezzo sul blog.
I'm gonna wait till the midnight hour \ That's when my love comes tumbling down \ I'm gonna wait till the midnight hour \ When there is no one else around…
Dubito che ci siano caprioli che si mettono a cantare “In the midnight hour” nel bosco, e se ne accorge anche lo sciagurato che spara, che incrocio sul sentiero tra la 4 e la 5 mentre se la sta svignando di buon passo se non abbastanza precipitosamente e con il cappuccio tirato sul viso.
Fino alla 10 il percorso mi sembra persino fin troppo facile per una Elite middle di Coppa Italia: la lanterna 9 mi era parsa addirittura niente di più che un punto da esordienti in un classico bosco brianzolo, e la selletta con la 10 era evidentissima da lontano, soprattutto se ci si arriva passando al sasso di destra, quello più grosso che ha le dimensioni di un condominio (oppure se ripenso a tutte le selle e sellette della gara al Cansiglio…). Qui comincio a pagare cari i primi 45 minuti di gara, perché per andare alla 11 vado tutto a destra fino ad incocciare su un grosso sasso di evidente forma fallica, e su Francesco Buselli che sta facendo il suo giro di controllo nel bosco. Dal fallo sasso mi butto a sinistra e poi di nuovo a destra verso la 12 (facile), e poi per la 13 e la 15 è solo tanta fatica in un bosco disegnato con il colore verde che a me non sembra offrire grandi ostacoli. Per la 16 si tratta solo di “correre dietro ai miei piedi”, i quali evidentemente oggi di spingere ne hanno tanta voglia, ed è con enorme soddisfazione che per una volta posso dire a me stesso di aver davvero sfidato la velocità più elevata che posso produrre. Alla 17 ci arrivo seguendo le tracce dei posatori, ed è con orgoglio che metto assieme uno sprint finale degno di questo nome mentre il nebbione comincia ad invadere la zona arrivo.
Lo stesso nebbione che, una volta smessi i panni del concorrente “per una volta soddisfatto della sua gara” (ma i più forti ci hanno messo ugualmente meno della metà del mio tempo… SGRUNT!) e vestiti quelli dello speaker infreddolito, invaderà ad ondate successive e sempre più pesanti l’arena di arrivo; la conseguenza è che ad un certo punto, con una visibilità peggio di Stella Rossa Belgrado – Milan al Marakana di Belgrado, l’arbitro Zonato stava per dare il triplice fischio finale e mandare tutti quanti negli spogliatoi anzitempo…
Invece la gara riesce ad andare in porto regolarmente e pure le premiazioni, effettuate con una visibilità ormai da nebbione in Val Padana: dobbiamo qui ringraziare il Duca Della Vedova del reame di Lombardonia (e anche l’arbitro Zonato) per essersi piazzato a metà strada tra lo speaker ed il podio, a 10 metri dall’uno e dall’altro, perché dalla mia postazione non vedevo un palmo dal naso.
Come se tutto fosse successo “In the midnight hour”…

Tutto in una notte (seconda parte)

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(…) Dopo un rientro da Toronto traumatico, ed un fine settimana così impegnativo, sarei pronto ad accasciarmi sul letto e dormire per una settimana. Ma la sveglia suona ancora una volta alle 5 del mattino del lunedì, perché il piano di lavoro prevede che io scenda a Parma. Sono ancora una volta i pizzicotti sul braccio a tenermi sveglio sul treno, e poi durante le riunioni che si susseguono nel corso della giornata: non posso dire di essere stato molto attento e presente, ma sono ampiamente giustificato dal fatto che non ho ancora smaltito il jet lag (nessuno è al corrente del fine settimana di-non-riposo…). Al rientro a Milano, scopro con raccapriccio che la Signora Merkel deve aver fatto qualche pasticcio anche con le Ferrovie dello Stato, perché i treni per tornare a casa sono tutti in straritardo! Avevo intenzione di cominciare in serata il travaso dalla borsa di Bobbio alla valigia di Roma, e per mantenermi in linea con i programmi finisco di preparare il bagaglio a tardissima sera.
Per fortuna a Roma mi attende un tempo decisamente più caldo rispetto a quello appenninico. E per ulteriore fortuna, a Roma mi attende Mike!
Per chi ancora non lo conoscesse, Mike Edwards è un bravissimo speaker, di enorme esperienza. Quando io nel 1999 ancora mi aggiravo nei boschi con l’aria di quello che non saprebbe raggiungere da solo nemmeno la partenza, Mike era già nel parterre dei Campionati Mondiali disputati in Scozia (è stato lui ad innalzare sul pennone più alto la bandiera britannica per la vittoria mondiale di Yvette Baker). Ancora di più, Mike ha una competenza davvero sconfinata, che emerge ulteriormente nel momento in cui fa da speaker in una gara nella quale ci sono così tanti atleti provenienti dalla Gran Bretagna, di cui ovviamente conosce vita e miracoli. Ma molto molto più importante: Mike è un autentico mattacchione! Come a me, anche a Mike piace divagare su qualche aneddoto del passato, magari neppure relativo all’orienteering ma a vicende sportive in generale. Di conseguenza, la coppia che si presenta al microfono del Rome Orienteering Meeting è la migliore che si può mettere in campo, ovvero “Mike e chiunque altro al suo fianco” (“the best pair of speakers in orienteering is Mike and anyone”): lui copre la parte agonistica, io mi metto alle sue spalle e faccio la spalla comica!
Arrivato a Roma con il treno di venerdì mattina (mi sono addormentato che il treno era ancora in centrale, e mi sono svegliato più a meno a Roma Tiburtina), scongiurato il pericolo dello sciopero della metropolitana che mi avrebbe costretto ad arrivare sul campo gara facendo 5 km a piedi con la valigia appresso, posso salutare la compagnia del CCR Roma e cambiarmi subito: è già l’ora di affrontare il percorso disegnato la Caffarella da Stefano Zarfati.

Un po’ infangata la carta, isn’t it? Non ci sarebbe stata alcuna ragione per rovinare la mappa di gara in quel modo, se non fosse stato per una tonnàta ciclopica tra il punto 14 ed il punto 15. In quel momento, infatti, forse mi sono sentito bello veloce per via della discesa appena fatta in mezzo ai coniglietti che scappavano via da tutte le parti… forse ero troppo veloce (?), e non ho visto l’accesso verso sinistra per andare al punto 15. Tutto ciò che vedevo della mappa, tutto ciò che pensavo, era di girare a sinistra non appena terminata la rude macchia impenetrabile color verde, superare la curva di livello che corre parallela al sentiero ed arrivare al punto.

Curva di livello? Quale curva di livello? Trattasi in effetti di un fosso abbastanza profondo, maleodorante e fangoso come la mitica fogna di Calcutta. Il fatto è che, quando mi sono girato a sinistra alla fine del macchione verde, non ho trovato alcuna salita ma un fosso; nessun dubbio mi è passato per la testa se non una cosa del tipo “nessun fosso mi può fermare”. Eh… ma il fosso non era mica d’accordo! La constatazione amichevole tra me ed il fosso non mostra con chiarezza che ero io a venire da destra, ma la carta di gara uscita dal confronto con uno strato uniforme di fanghiglia marrone dimostrava che una curva di livello in quel punto c’era eccome, a rappresentare la profondità del fosso! Oltre alla carta marrone, il risultato dell’attraversamento del fosso è che mi trasformo immediatamente in una sorta di mostro della laguna nera maleodorante, o una specie di maialino che ha appena finito di rotolarsi nel fango. Accade così che il mio arrivo al traguardo, in uno stato pietoso, venga accolto dagli occhi sgranati di parecchi partecipanti che pensavano ad un tranquillo parco cittadino (come in effetti è il Parco della Caffarella). Ola Skepp, capostipite della omonima famiglia, si limita a sollevare gli occhi al cielo sapendo che per tre giorni gli toccherà sorbirsi la voce del matto che aveva già sentito a Siena. Papà Gajda, coach dei vari fratelli che mettono a ferro e fuoco le gare estive e finanche i Campionati Europei Giovanili, se ne esce con un “ma non è un parco questo?” ed io rispondo “it’s only a shortcut!”. E tutti tornano felici e contenti (e tutti torneranno al traguardo puliti come appena usciti dal bucato…).
Completata la raccolta punti con il buio, si ricomincia all’alba di sabato con la seconda tappa al parco di Villa Pamphilj. Un posto che sarebbe stato perfetto per una gara sprint olimpica (Roma 2024 che non ci sarà più), ma è sempre perfetto anche per una gara middle soprattutto da quando c’è la possibilità di passare sopra il Viale Olimpico e, quindi, correre sia nella parte est che in quella ovest della mappa.
Nella mia gara riesco a fare tutto ed il contrario di tutto. In partenza mi sembra che le gambe siano abbastanza reattive (potere del comodissimo divano letto messo a disposizione da Zarfo, e del fatto che con i tappi nelle orecchie non sento Mike che russa sul divano a fianco…), ma una volta arrivato sul ponticello che passa sopra la strada olimpica finisco lungo e disteso per terra: un tondino di ferro che sporge dalla spalletta del ponticello ha agganciato la parte superiore della scarpa e l’ha letteralmente divelta dalla suola! Probabilmente se fossi passato con il piede un millimetro più in alto non sarebbe successo niente, ma un millimetro più in passo sarebbe “partito” anche il mio piede. Con una scarpa in quelle condizioni, devo rallentare ed optare per una tattica molto conservativa: cerco di tenere il piede in quello che rimane nella scarpa quando devo fare salite e discese nei boschetti, mentre cerco di correre a piedi scalzi come Abebe Bikila o Zola Budd quando sono su terreno pianeggiante e c’è l’erba. In ogni caso, quando arrivo al punto il piede comincia a fare davvero male perché anche la calza ormai si sta disintegrando: il finale sulla ghiaia del sentiero che porta all’arrivo è una sofferenza, ma almeno anche questa gara è fatta.
Purtroppo tutto questo mi si ritorcerà contro nella gara di domenica mattina (ancora una volta all’alba) nel centro storico di Roma. Le scarpe con cui corro non sono adatte per nulla, le gambe non ne vogliono sapere ed io comincio ad avvertire un po’ di “saturazione”: già per venire a capo del reticolo di punti alla partenza di Coppe Oppio, con lo sguardo che indugia sempre a destra verso il Colosseo, impiego un tempo indecente; mi riprendo un po’ nella parte centrale della gara, ma dopo la salita al dedalo di “sentieri pensili” dei punti 17 e 18 posizionati nel giardino che sta 15 metri sopra il livello della strada, le gambe decidono che non ne hanno più.
Gli ultimi 10 punti del percorso si traducono quindi in una stanca passeggiata attorno al Campidoglio: ogni volta che cerco di rimettermi a correre, invogliato dal passaggio di decine di podisti che corrono veloci attorno a me lungo i Fori Imperiali e la collina del Campidoglio, le gambe mandano un severo monito al cervello ed i piedi ricominciano immediatamente a strascicare sul terreno. Imbarazzante il passaggio davanti alla postazione dell’Esercito per andare alla 24: cerco di fare il brillante salutando come al solito tutti i vigili gerdarmi guardiegiurate forestali e poliziotti che incontro “buongiorno… sono l’apripista della gara… tutto ok nessun problema!”. Mentre mi allontano lentamente, sento uno dei soldatini che dice all’altro “se il pericolo è lui, lo acchiappiamo senza fare nemmeno fatica…”. Per fortuna da lì non sono passato una seconda volta.
Poi anche il Rome Orienteering Meeting finisce in gloria: puntualissime e molto partecipate fino in fondo le premiazioni by Mike con la colonna sonora di Don’t let me be misunderstood nella versione di Leroy Gomez & Santa Esmeralda; in fondo sarebbe bastata la voce con accento british e la cadenza di Mike, e che Leroy Gomez si vada a nascondere…
« The best doubles pair in the world is John McEnroe and anyone »  (Peter Fleming)

 

 

Tutto in una notte (terza e ultima parte)

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(…) Al rientro da Roma il mio fisico semplicemente dichiara di non averne più: né energie per correre ancora, né voglia di cercare lanterne o di mettermi dietro ad un microfono. Per tutta la settimana vengo sballottato in giro qua e là, ma in anticamera è rimasto un ultimo trolley a ricordarmi che per completare questo tour de force manca ancora un fine settimana da “tutto in una notte”: manca infatti il weekend di Bologna con le ultime due gare di Suunto Sprint Race Tour e la finale di Coppa Italia. I presagi che mi accompagnano mentre vado a prendere l’ennesimo treno per Bologna (sono io l’azionista di maggioranza di Trenitalia, altro che Frau Merkel!) sono foschi: mal di testa, gambe doloranti, fiatone anche solo a salire le scale mobili, ma mi riprometto che cercherò di tenere duro per onorare le gare organizzate dagli amici del Circolo Dozza.

Poi, quando arrivo nel piazzale della stazione di Bologna, cominciano a succedere delle cose strane. Per prima cosa mi accorgo che sono arrivato ad un orario antelucano, e che è assurdo andare così presto al Quartiere Navile dove si correrà la finale di Coppa Italia. Il bollettino della manifestazione dice che c’è la possibilità di fare un allenamento ai Giardini Margherita, cosa che non avevo affatto previsto di fare; così prendo il bus che fa la circonvallazione della città, metto su l’Ipod in modalità shuffle e vado a vedere questo allenamento: su 500 canzoni disponibili, la prima che entra il playlist è “Eye of the tiger” a tutto volume nelle orecchie. Se alla fermata in attesa c’era una specie di walking dead, quello che sale sul bus è Clint Eastwood che manca poco che apra le portiere con un calcio come se fossero le doppie ante del saloon. Il fiatone sembra attenuarsi, le gambe di puro legno di massello si sciolgono e pure il mal di testa manda segnali di resa. All’interno dei Giardini, che credo di aver visitato da bambino più di 40 anni fa, faccio un po’ di orienteering con Google Maps, raggiungo il ritrovo, mi faccio dare una cartina dell’allenamento; decido di farlo in t-shirt e jeans, nonostante faccia davvero freddo, camminando per tutto il parco alla ricerca delle lanterne predisposte.

Non so bene cosa sia successo durante i 20 minuti abbondanti passati a girare qua e là: fatto sta che quando ritorno a prendere felpa e bagaglio posso constatare che alle gambe è tornata la voglia di mettersi a correre, che il mal di testa è passato (ci sono poche sensazioni così belle come quella del mal di testa che scompare) e che mi è persino tornata la voglia di fare il buffone con gli amici della Picchio Verde, che nel frattempo sono arrivati ad allenarsi anche loro. Riprendo l’Ipod, rimetto la modalità “shuffle”, rifaccio partire la musica a tutto volume: su 500 canzoni disponibili, la prima che entra il playlist è… “Don’t let me be misunderstood”! (e ormai lo sanno anche i sassi che è una delle mie canzoni preferite). Decisamente, lassù c’è qualcuno che mi vuole tonico, pimpante e soprattutto molto aggressivo questo pomeriggio! La canzone della versione di Leroy Gomez rimixata dura 13 minuti: è il tempo necessario per portare Cline Eastwood (che nel frattempo ha sterminato tuti i walking dead) alla fermata del bus, tornare in stazione e prendere l’altro bus che mi porta al Quartiere Navile. Quando ci arrivo, posso salutare Clint perché sento di essere in uno stato di nirvana che vorrei che durasse almeno il tempo della gara.

E infatti dura!

Sarà anche il fatto che in partenza ci arrivo accompagnato da Gabriele Bettega, ed io so già per esperienza diretta che quando c’è Gabriele in giro le cose possono solo andare bene (prima o poi ci dovremo decidere a nominarlo santo protettore di tutti gli orientisti…). Prendo il via. Non ho ancora finito di girare il primo angolo della casa ed arrivare alla lanterna svedese che il mio cervello manda un messaggio perentorio: “Dove credi di andare a questa velocità??? Guarda che crolli prima ancora di essere arrivato alla 1!!!”.  Mi si parano davanti due scelte (e sono praticamente più di quelle che ho per andare al primo punto, al secondo, al terzo…): o do retta al cervello e metto la marcia su un ritmo più basso, o do retta alle gambe che nel frattempo sono arrivate alla seconda svolta e vogliono soltanto correre dietro ai miei piedi. Clint, ormai padrone del mio subconscio in versione poncho e sigaro tra i denti, colpisce con violenza l’opzione “rallenta”: addirittura riesco ad accelerare ancora! Se va avanti così, giuro che questa volta non dovrò calcolare il doppio del tempo del vincitore, e nemmeno il 90% o l’80% in più: questa volta non dovrò cercare il mio nome in fondo alla classifica.

Per andare dalla 4 alla 5 faccio il giro delle due “mezzelune” da nord, così intanto guardo dove sta il cespuglio della 7 ed il salice con la 6. Verso la 8 passo in mezzo ai due montarozzi, senza fare un metro di salita: mi sembra di avere una fugace visione di Clint che, ai comandi della cloche nel mio cervello (tipo Actarus con Goldrake, ma ha il cappellaccio, il poncho ed il sigaro) continua a dire di correre, di spingere e di fregarmene apertamente della tratta “corri mona! che passando sotto la tangenziale di Bologna mi avrebbe riportato in zona arrivo. Fino alla 14 non ho un solo ripensamento, un solo problema, un solo dubbio: la fatica comincia a farsi sentire, ma quei portici che nella mente del tracciatore dovevano rappresentare una specie di labirinto diventano una specie di trampolino per me che sono un veterano di mille corse a Monza, a Muggiò, a Desio, a Sesto San Giovanni… Passo dalla 14 con un tempo attorno ai 16’10”, ma sono evidentemente oltre il mio limite perché per andare alla 15 commetto l’errore fatale. O meglio, alla 15 ci arrivo anche molto bene: solo che il mio primo piano di volo prevedeva di arrivarci da nord per continuare a correre in direzione della 16; i piedi invece, dopo aver punzonato la 14, si buttano verso sud attraversando il portico in diagonale, ed io, Clint, Actarus, Uncle Tom Cobbley and all (ovvero tutta l’allegra compagnia che alberga nel mio cervello) andiamo loro dietro. E’ a questo punto che Clint decide di lasciare per un istante i comandi per andare nel retro a lumare qualche bella hostess…

Succede così che, dopo aver punzonato la 15 provenendo da sud, continuo a correre come il peggiore dei coglionazzi… verso nord! Arrivo alla siepe e la scambio per il muretto non attraversabile, guardo verso destra cercando le scale ma vedo un portico e, al di là, 4 piccole aiuole. Ho già superato il muretto??? “Ma no, cretino! Queste aiuole sono piccolissime, buttati a sud, buttati a sud!!!”. Per farla breve, sbaglio là dove non avrei mai e poi mai dovuto sbagliare. E poi ri-sbaglio, perché già che c’ero a quel punto avrei potuto arrivare alla 16 da est anziché da ovest.

(in rosso il mio giro del fullo...)

In condizioni normali, dopo aver letteralmente buttato nel cesso una bella gara, mi sarei messo a corricchiare fino al traguardo. Ma Clint torna ai comandi, ancora sporco di rossetto, e intima: “Nella mia lingua non esiste la parola arrendersi! Nella mia lingua la parola corricchiare si legge “continua a sprintare finché non vomiti l’anima!” e, quando vomiti, girati di spalle che anche quello ti da una bella spinta!!!”. Punto 17, poi subito fuori sulla strada, ponte della tangenziale, lungo recinto privato (del Cus Bologna, mi pare) e poi al primo varco mi butto a sinistra. Ormai sono in zona arrivo e ho davvero il vomito (*), ma cerco di disimpegnarmi come meglio posso tra i recinti dei campetti di calcio e sprintare fino alla fine. Tempo finale: 23’17”.

(*) poi scoprirò che qualcuno, su quel rettilineo finale, ha finito per vomitare davvero…

Dovrei essere contento, molto contento, ed invece con il mio cervello è tutto uno scambiarsi parole brutte e insulti per i secondi persi dopo la 15: forse avrei potuto stare attorno ai 22’15”… e a quel punto voglio vedere se i migliori riescono a doppiarmi facendo 11’07”! Non riesco proprio a mettermi tranquillo e, per i successivi 20 minuti (in maglietta e calzoncini mentre attorno fa un freddo polare) devo assolutamente condividere con chiunque mi passa vicino quanto sono stato pirla e come io sia riuscito a buttare alle ortiche una gara quasi perfetta, in uno dei pochi giorni nei quali i miei piedi correvano veramente davanti a me, e correvano bene!

La pianto di autocommiserarmi quando il dovere mi chiama alla postazione microfonica, dalla quale potrò seguire il duello al calor bianco sul filo dei decimi di secondo tra Elena e Ursula per la vittoria, dalla quale mi dovrò sporgere per vedere Anna C. che a 50 metri dal traguardo davvero non riesce a trattenere il vomito. Non mi dovrò sporgere invece per vedere che le squadre austriache e croate hanno eletto il gradino sotto la postazione microfonica come spogliatoio…





(Elena)



(postazione speaker)


(si... la sotto poco oltre l'arco c'è Anna che sta vomitando...
ma non lo posso mica dire in cronaca diretta!)



(arrivo di .. CHI??? Ma Ursula Kadan no?
E' quella là sotto, dietro le spalle della signorina)

Premiazione fatta a lume di candela, anzi alla luce dei fari di una automobile… ed ancora più tardi, durante la serata, il quartetto di moschettieri composto da Gabriele Bettega, Edoardo Tona, Eddy Sandri ed il sottoscritto proverà a mettere una pezza ad un buco informatico che non consente di stilare le classifiche di Coppa Italia, provando a redigerle con il classico sistema “carta e penna” accompagnato da qualche birra: il tutto senza computer, senza regolamento alla mano ma con qualche birra di troppo (gli altri avventori della pizzeria se ne sono andati disgustati da tanta cagnàra…)







Verrà poi la domenica di Bologna, una domenica bagnata non dalla birra ma dalla pioggia che renderà scivolosissimo il terreno di gara. Partenza ed arrivo (con passaggio al tempo intermedio) in Piazza Maggiore dove lo speaker segnala (agli orientisti ed ai turisti che lo stanno a sentire) che le sbrecciature sul selciato del sagrato non sono indice di cattiva manutenzione ma il segno di dove sono passati i carri armati degli eserciti di liberazionealla fine della seconda guerra mondiale. La mia gara non è né difficile né memorabile, ed avrei persino evitato di mettere il loop prima del passaggio al punto spettacolo. D’altra parte è una gara sprint e quindi il percorso non si può allontanare molto da Piazza Maggiore perché poi bisogna far tornare tutti i concorrenti nel giro di 15-20 minuti al massimo…

D’altra parte, come diceva quel sommo poeta che ha vissuto a meno di 200 metri dalla postazione microfonica dello speaker:
“…Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto / Gli ho detto che nel centro di Bologna / non si perde neanche un bambino…”
Oh! Io “Disperato Erotico Stomp” di Lucio Dalla la conosco a memoria… ed ho avuto modo di spiegarlo abbondantemente durante la lunga cronaca della giornata (ma non di cantarla al mcrofono, come mi è stato chiesto). Non si può dire la stesa cosa a proposito dei baristi di alcuni locali che si affacciano sulla piazza, dove il quartetto dei moschettieri è andato a fare colazione e merenda: dei versi di Lucio Dalla e della sua poesia, non fregava proprio niente a nessuno.
(mentre NON canto "Disperato Erotico Stomp" o "Piazza Grande"... perché sono timido e poi perché Lucio Dalla è Lucio Dalla e va rispettato)

(con le gambe di legno al termine del tour de force)
(sempre a spiegare qualcosa... ma chi mi sta mai a sentire?!?)



50 lanterne: clamoroso al Cibali!

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“Frozen Tundra” in gergo sportivo sta a rappresentare uno sport preciso in un posto preciso: il football americano, la squadra dei Green Bay Packers, lo stadio Lambeau Field. Uno stadio all’aperto a Green Bay, Wisconsin, dove in inverno si raggiungono condizioni estreme e prevalgono le tre “effe”: freddo, fango e fatica. Lasciamo il Wisconsin ma portiamo con noi le tre “effe”, aggiungiamoci una buona dose di rovi, buttiamo tutto in salsa orienteering ed otteniamo la gara che da qualche anno a questa parte chiude la stagione regionale lombarda: la “50 lanterne” che comincia ad attirare partecipazione anche dalle regioni limitrofe e dalla Svizzera. 50 lanterne distribuite su un’area che fa provincia, 3 ore di tempo massimo per punzonare più lanterne possibile, e chi sgarra anche solo di 1 secondo è fuori classifica.

L’edizione 2017, disputata il 10 dicembre nella frozen tundra dei Boschi di Calò, Montemerlo e Canonica con partenza ed arrivo a Calò, sarà ricordata come la più dura nella storia ormai quinquennale di questa competizione: una autentica mazzata di oltre 18 chilometri stimati, con dislivello stimato di 400 metri positivi da fare su e giù lungo i valloni fangosi e pieni di rovi delle Valli del Pegorino e Cantalupo. Per fortuna degli orientisti (ma non del clima meteo di questi ultimi anni), la siccità ha prosciugato i torrenti rendendoli talvolta simili ad un sentiero sconnesso ma chiaramente tracciato in mappa; altrimenti, se si fosse aggiunta anche l’acqua, alle 3F ed ai rovi si sarebbero aggiunti chissà quanti attraversamenti dell’acqua gelida… Mi basta ricordare che l’anno scorso la gara era stata vinta da Sebastian Inderst con il tempo di 1 ora e 7 minuti, e che quest’anno la gara è stata vinta da Alessio Tenani e Samuele Curzio con il tempo di 2 ore e 12 minuti! Praticamente il doppio!

In questo contesto di frozen tundra è “CLAMOROSO AL CIBALI!” il secondo posto conquistato dallo speakernella categoria M19-34 dietro (molto dietro…) a Samuele. Tra i miei innumerevoli difetti: non corro forte sui sentieri, non corro-e-punto in salita, incespico in ogni ramo e mi potete trovare spesso a litigare con i rovi. Se proprio dobbiamo trovare due doti: mi fiondo giù per i valloni fangosi con il posteriore per terra come nemmeno il miglior Armin Zoeggeler (per la delizia di tutti i presenti che non ci si azzardano nemmeno…) e, dopo aver seguito pedissequamente per due ore il coach Marco Giovannini, decido di fare ritorno al traguardo nell’ultimo momento utile per far segnare un tempo di 2 ore 58 per 43 punti di controllo. Gli altri iscritti in categoria? O non pervenuti al traguardo entro le tre ore, o arrivati con un numero di punzonature inferiori. E chi ha detto che l’orienteering non è (anche) un sport di cervello?
Quando, subito dopo le premiazioni, ha cominciato a nevicare di brutto qualcuno ha detto che è stata colpa mia, perché con un secondo posto nella “50 lanterne” potevo solo far venire la neve!

Going the distance

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Sarebbe stato il momento epico dell'anno. Quello in cui ce la stavo facendo contro ogni più fosca previsione. Sarebbe stato ancora più perfetto se io avessi trovato ad accogliermi uno speaker che inneggia al mio nome, magari con il sottofondo di una colonna sonora trasmessa da un Ipod un po' scassato: "Going the distance" di Bill Conti, sarebbe stata perfetta in quel momento. Come perfetta lo era stata nell'accompagnarmi per tutte le tre ore nelle tre ore precedenti. Che poi va bene tutto, ma dopo tre ore che te la ripeti nelle orecchie perfino "Going the distance" scassa un po' la minchia...

Mi sarebbe piaciuto tagliare il traguardo a braccia alzate, con quel tipo di smorfia masochistica sul viso che sta a dire che hai dato tutto quello che avevi da spendere, che sei andato ben oltre i limiti fisici e che ne sei orgoglioso. Sarebbe stato perfetto, se non fosse che a 200 metri dal traguardo mi sono praticamente fermato, indeciso se continuare fino al traguardo o mollare tutto. E quando scrivo "tutto", intendo proprio "tutto". Sono rimasto un paio di minuti abbondanti fermo al freddo, al buio del pomeriggio inoltrato, poco prima del trentunesimo punto di controllo. Fino a poco prima di fermarmi, nonostante la fatica ed il tempo passato nella foresta, i piedi stavano ancora rispondendo come raramente li avevo sentiti in tanti anni di orienteering. Poi quel pensiero mi è passato in testa, e mi sono fermato: potevo finire la gara, potevo aver avuto successo o essere arrivato a fondo classifica, potevo essere stato coraggioso o pavido nell'affrontare il percorso, ma in ogni caso non avrei potuto raccontarlo a mio padre.

Nelle settimane passate dal 19 maggio mi sono posto qualche volta la domanda se avesse senso continuare a fare orienteering, se fare finta di essere ancora un ragazzino o un atleta dal momento che né ragazzino né atleta lo sono più da parecchio tempo. Quest'anno ho compiuto 25 anni di orienteering, e mi chiedo quanta strada avranno fatto le mie scarpe da quel primo giorno a Ronzone. Tanta, sicuramente tanta. Non sempre lieta, non sempre in discesa. Più spesso in salita, commettendo errori dal marchiano al surreale fino al "ma ti sei bevuto il cervello o cosa???". Sono stato superato da ragazzini alle prime armi che magari adesso calcano i palcoscenici internazionali, sono stato superato da anziani master... che continuano a sorpassarmi a 25 anni di distanza! Ho chiesto indicazioni ad esordienti spaesati... e vabbé dai: ho dato indicazioni a 3 campioni del mondo!

C'è stata però sempre una costante: per tutti questi 25 anni, c'è sempre stato mio padre a chiedermi come era andata la gara. Mi ricordo benissimo il giorno in cui, ridendo, disse che era sorpreso che suo figlio avesse sviluppato una strana insensibilità a spine e ortiche, dal momento che da bambino non facevo altro che tornare a casa in lacrime dopo essere caduto in un roveto o essere scivolato sulle ortiche al bordo dei sentieri sterrati. Da quando quella costante della mia vita è venuta a mancare, mi ero chiesto più volte se valeva la pena continuare. Mi ero dato una prima risposta nel primo pezzo sul blog scritto dopo la scomparsa di papà, ma quel dubbio era rimasto. Fino a ritornare forte nella testa in un tardo pomeriggio di un giorno di settembre, in prossimità del trentunesimo punto di una gara fin lì perfetta. Durante quel paio di minuti in cui sono rimasto fermo, accucciato a terra, ho ripercorso in un lampo 25 anni di gare (25 anni sono la metà della mia vita) e di nuovo mi sono rivolto a mio padre per sapere cosa dovevo fare. Non ci sono stati lampi nel cielo, squarci tra le nubi, raggi di sole venuti a lambire i miei piedi. Papà ed io non abbiamo bisogno di questi mezzucci per comunicare: dal 19 maggio siamo tutti e due nella stessa testa, la mia, dove sono passate immagini di amici che ho conosciuto e che sono rimasti attratti dalla forza di gravità dei boschi e delle lanterne, di persone che hanno incrociato i miei passi una o due volte e poi come comete si sono allontanate verso l'infinito, di racconti scritti sul blog quando questo era la "new frontier" della comunicazione e di altri racconti scrtti adesso che il blog è un reperto dell'era dei dinosauri, immagini di microfoni e di parole, immagini di fatica "questa è l'ultima volta giuro!" e di lanterne che solo per vergogna non ho abbattuto a calci dopo una ricerca fatta in stile "livello vice-aiuto-esordiente".

Pensavo a tutto questo ed improvvisamente ho sentito una specie di spinta arrivare all'altezza dei piedi, come se qualcuno mi avesse tolto da sotto la zolla di terreno, ed ho sentito un desiderio irrefrenabile di correre verso il traguardo. Dove non c'era lo speaker, non c'era la colonna sonora di Rocky, non c'era la folla di orientisti, non c'era nemmeno la linea del traguardo con il gonfiabile. Potrei quasi dire che non c'era veramente nessuno, se non fosse che sono sicuro che sulla linea del traguardo mi aspettava mio padre. Grazie papà!

(Foresta del Cansiglio - venerdì 8 settembre 2017)


Un posto perfetto. Una gara perfetta. Un giorno perfetto. Un finale perfetto. Ma avrebbe potuto essere un posto da incubo, una gara terribile, nel giorno sbagliato, con un finale diverso. D'altra parte il Cansiglio non perdona. Non perdona chi ci accede con le migliori intenzioni e forte di una preparazione fisica e tecnica condizionata ad arrivare al meglio a quella particolare gara; figuriamoci se può perdonare lo speaker che arriva al Cansiglio il giorno prima per cimentarsi sul percorso Elite dei Campionati Italiani Long Distance, che si disputano una tantum in un’autentica foresta "come mamma l'ha fatta". Ricordo benissimo la telefonata di Valter Giovanelli di due anni prima: stiamo pensando di organizzare i campionati italiani sul versante del Cansiglio che butta verso il Lago di Santa Croce, è un posto bellissimo, verresti a fare lo speaker? Come si fa a dire di no? In due anni ho sentito tante volte la voce di Valter che mi aggiornava sullo stato dei rilievi della mappa, sulle idee del tracciatore: una voce sempre rotta dalla commozione per un posto che avrebbe potuto rappresentare nella sua immaginazione "il posto definitivo" per una gara di orienteering. E in due anni tante volte gli ho sentito dire "sono andato nella zona della foresta per fare un controllo, e mi sono perso!". Non è proprio un commento da lasciare tranquillo il sottoscritto...

La mattina di venerdì 8 settembre la GOK-car lascia Milano in direzione Cansiglio. A bordo uno speaker che non ha la più pallida idea di che cosa gli sta venendo addosso. Una sola certezza: i ragazzi dell'Orienteering Dolomiti si sono fatti il mazzo per mettere giù un giorno prima il percorso Elite (con lanterne e tutto) per darmi la possibilità di fare la gara nelle stesse condizioni degli altri. Il viaggio è lungo. Si fa presto a farsi assalire dai pensieri: la lunghezza, il dislivello, la difficoltà del percorso, la foresta dove sarà dentro da solo... Al cambio driver all'autogrill di Piave Ovest mangio qualcosa... ma con il senno di poi sono convinto che la signora Marta dell'autogrill mi abbia messo il Prozac nella coca-cola, perché da quel momento in poi mi sembra di non avere più un solo cattivo pensiero: la giornata è perfetta, non fa né caldo né freddo, Valter mi aspetta per portarmi in partenza ed io non mi sento nemmeno stanco dalle ore passate in macchina.

Rapido cambio di scena. Sono ancora in auto, ma questa volta il guidatore è Valter che mi sta portando verso l'arena di gara e poi da lì in partenza. Sono vestito a strati, con la termica a maniche lunghe perché la gara sarà lunga e terminerà a pomeriggio inoltrato, e ho con me tutto il carbogel che posso stivare in tasca. Mentre andiamo, Valter mi indica una zona di bosco sulla destra della strada dicendo: "vedi quel vallone? da lì ci passa la staffetta di domenica... ma quella parte di bosco non è altrettanto bella di quella che farai oggi". Io guardo giù, vedo un bel vallone pulito con il terreno compatto, penso a certi terreni dalle mie parti si intende "rovi-fango-spine-brutte parole alla mamma del tracciatore" e penso che in fondo tutto è relativo...

Zona di partenza. Ultime raccomandazioni di Valter. Consegna della cartina e via. Da quel momento sono da solo. Tutto quello che deciderò di fare saranno solo caxxi miei dettati dal mio desiderio di provare il percorso di quelli forti. Dovrei smetterla, lo so. Sono tre ore di gara come tempo massimo, e ben difficilmente ce la potrò fare: prima ora di riscaldamento, seconda ora ad andare avanti a colpi di carbogel, terza ora non lo so... forse "Going the distance" mi verrà in aiuto. Magari l'anno prossimo faccio una scelta diversa, mi dico... intanto vediamo come inizia questa gara.

Inizia che sul sentiero in leggera salita che mi porta verso la prima zona di lanterne sento le gambe che rispondono bene. Non sono ancora arrivato al primo vallone che a sinistra sento una specie di crepitìo: mi giro di scatto e vedo dei cervi che corrono paralleli a me in direzione della Foresta. Qui sono io l'intruso, mi dico.


L'inizio non è dei più geniali: per evitare di stare troppo basso, in una foresta nella quale la visibilità è solo poco al di sotto di quella dell'altro versante del Cansiglio, mi alzo decisamente troppo e finisco sul mio punto 5. Che tratta perfetta che sarebbe stata, se fosse stato quello il punto 1! Il Prozac della signora Marta ed il carbogel che ho preso prima di partire scorrono forte nelle mie vene: mi giro di 90 gradi e, camminando e contando i passi come mi ha insegnato Roland Pin, punto dritto al mio vero primo punto di controllo cercando di capire quali sassi sono stati cartografati e quali non lo sono. "Trova il primo punto e il resto verrà da solo" mi dico sempre. TAAAAAACC!


Dopo il primo loop arriva la tratta lunghissima che mi aveva segnalato Paride Grava nel pre-gara. Avrei una tentazione fortissima di scendere sulla strada e fare il giro del mondo fino al tornante ad est dei punti 6 e 7. Però almeno fino al sentiero che passa tra il punto 2 ed il punto 3 ci so arrivare, poi c'è un altro pezzo sul sentiero forestale, poi da lì potrei provare a buttarmi dentro con un po' di sana incoscienza e vedere se riesco ad orientarmi tra le colline e le depressioni. Ora... io non saprei esattamente descrivere se nei successivi 45 minuti è stato più l'effetto del carbogel o di Thierry Gueorgiou che si è impadronito della mia testa. Sta di fatto che l'unico pensiero che ho, una volta lasciato il sentiero, è che potrei correre sulle creste che sembrano lisce come un biliardo, che potrei orientarmi con l'area fettucciata con le strisce bianche e rosse (e la trovo appena alla mia sinistra) e infine ci sarebbe persino una radice poco prima del sentiero ad indicarmi dove mi trovo... una radice? E' un albero secolare alto 30 metri buttato giù per terra! Credo di ricordare che Paride si era cronometrato su quella tratta in 13 minuti circa, con tempo stimato per i migliori di meno di 11 minuti. Io mi ero messo nel mirino una tratta da 25 minuti circa... quando sbarco sulla sesta lanterna e faccio scattare lo split del cronometro, il tempo segna 17 minuti e 20 secondi.


"Le Roi" continua a guidare sicuro i miei passi almeno fino in prossimità del punto 8, dove perdo almeno 6\7 minuti girando ben lontano dalla zona punto (ne approfitto per prendere il secondo carbogel). La 8 è in effetti parecchio problematica (vedi alla voce "hai rischiato di essere abbattuta a calci"), così proseguo al passo verso la 9 per riprendere un po' di morale e di energie. Ne approfitto anche per guardare intorno a me, e quel che vedo è pura beatitudine: ci sono alberi, c'è la foresta, non c'è un solo bipede nel raggio di qualche chilometro, ma c'è tantissima vita... ci sono i gufi che ogni tanto planano lentamente verso di me, vedo qualche cervo in lontananza e caprioli che fuggono quando mi avvicino. Mi sembra di percepire la forza che emana ogni albero attorno a me, alberi che abitano la foresta da tanto prima che io nascessi e che resteranno lì quando non ci sarò più. Io sono l'intruso oggi, mi ripeto, e per questo voglio essere rispettoso del posto che mi sta ospitando (anche quando si tratta di cercare di non calpestare le distese di funghi, soprattutto sanguignoli e mazze di tamburo, che crescono ovunque). Ritornando nella zona del punto 13 mi appoggio sempre ai sentieri: aumento il ritmo quando corro sulle tracce e cammino, cercando di leggere le curve di livello, quando mi avvicino ai punti. La visibilità è sempre perfetta, i movimenti del terreno sono sempre dolci, le gambe reggono. Non sono ancora a metà gara ma, come diceva ad ogni piano quello che stava precipitando dal grattacielo, "fin qui tutto bene".

Punto 13-14. O "della superbia". Non mi è passato neanche per l'anticamera del cervello di andare a prendere la strada. Non l'ho proprio vista! Ho visto dopo la gara le tracce gps dei campioni, e mi sembra che nessuno si sia avventurato lungo il bosco (d'altra parte i campioni solo loro e ci sarà un perché). Io ho seguito tutte le tracce, soprattutto quella del sentiero ad est del punto 19 che, con il suo "sentiero cugino" poco più ad est ospiterà l'inizio della seconda parte di gara. Avrò fatto bene? Non avrò fatto bene? Boh? Il fatto è che continuo ad essere in uno stato di perfetto "flow" con la foresta e con il percorso; i piccoli sentieri, che talvolta si riconoscono solo perché sono proprio una linea pulita tra gli alberi tutto attorno, mi accompagnano lungo il percorso. Quando sbaglio il punto 17, arrivando alla depressione più ad est, mi fermo addirittura a salutarla e a dire qualcosa del tipo "mi dispiace cara, non è il tuo turno, devo andare a visitare la tua amica qui a fianco". (poi non si vede bene per via della traccia disegnata con paint, ma quella ansa tra il punto 18 ed il punto 19 è praticamente tutta su sentiero). Il punto 19 è il cambio carta: giro il percorso sull'altra facciata e ne approfitto per sedermi accanto ad un albero.
Prendo l'ultimo carbogel che mi deve bastare fino al traguardo e intanto mi guardo intorno ancora una volta cercando di immagazzinare le immagini dello spettacolo attorno a me; oppure, come dico di solito, di mettere il silenzio e la bellezza che mi circonda in una bottiglia che poi stapperò nei momenti più difficili.


La prima parte del secondo giro non mi fa paura: ormai conosco come le mie tasche quei due sentieri che corrono paralleli da nord a sud, e la rete di sentieri tutta intorno è quella che mi ha già aiutato a terminare il primo giro. Per andare dal punto 20 al punto 21 non mi azzardo nemmeno a mettere fuori il naso dalle tracce perché al solo pensiero di buttarmi a casaccio in mezzo alle depressioni ed alle colline mi fa pensare che resterei a vagare senza meta fino alle luci dell'alba di sabato. Con calma arrivo al punto 22: sentieri e tracce = corsa, fuori da sentieri = si cammina con gli occhi aperti a controllare le curve di livello. La punta della bussola che tiene il segno sulla mappa è la mia migliore amica. Per andare al punto 23 mi infilo sulla cresta tra le due depressioni: non è un punto difficile, ma è difficile evitare di calpestare il tappeto di funghi che, lungo quella cresta, separa il sentierino dalla madre di tutte le carbonaie del Cansiglio. La prossima parte del percorso è la più dura: il tempo di gara sta già correndo oltre le 2 ore di gara e manca ancora parecchia strada. Soprattutto mi mettono una gran paura le lanterne 25 e 26 che sono buttate in mezzo ad un "frattale" di buche sassi depressioni colline e qualunque altra cosa possa essere disegnata in marrone su una carta da orienteering. Visto che dalla 23 alla 24 non trovo niente di meglio da fare che corricchiare sui sentieri (mi punge vaghezza di andare dritto verso la 24 al grido di "tanto troverò il pratone che mi ferma e mi dice che devo tornare indietro!", ma mi sa che alla fine lo farà solo Mamleev...)


(nella foto il più famoso e iconico tesserato della FISO... quell'altro è Mamleev)

... ma dopo la 24 decido che per arrivare alla 25 è meglio entrare dalla porta posteriore! Punto alla 27, poi corro parallelamente alla strada e arrivato all'avvallamento mi butto in mezzo. Questo è il piano di battaglia. In realtà faccio su un casino che metà basta...

In pratica. La linea gialla è quello che avrei voluto fare: avvallamento, proseguo nell'avvallamento, piccola depressione e poi la roccia sul bordo della collina. Quello che succede nella realtà è che in realtà il primo avvallamento sono due avvallamenti che si biforcano, ma non me ne accorgo; vado lungo, entro nell'avvallamento successivo, piego verso ovest e trovo una lanterna. Per fortuna di tutti i posti dove potevo finire sono arrivato proprio sulla mia 26! Da lì cammino fino alla 25, resistendo alla tentazione di segnare la strada con il tacco come se io fossi Pollicino... e con circospezione ancora maggiore ritorno sui miei passi fino al punto 27, dove trovo un pennarello perduto da Valter Giovanelli durante una delle sue mille uscite di controllo.


Da lì in poi si tratta solo di resistere. L'effetto dell'ultimo carbogel sembra svanito e le scelte diventano di pura sopravvivenza e minimo rischio. "Going the distance"è diventata irritante nella mia testa e non ci sono più energie per accelerare nemmeno quando decido di appoggiarmi alla strada per andare alla 28. Sono a 2 ore e 55 minuti di gara ed il sogno di arrivare al traguardo entro le 3 ore tramonta definitivamente mentre sto andando al punto 29 cercando di non farmi distrarre dai paletti delle lanterne che saranno posate per la staffetta. L'ultima parte nella Foresta del Cansiglio resta pura poesia: le pendenze del terreno sono dolcissime, il terreno è uniformemente ricoperto di muschio o di sottobosco e mi sembra di essere ancora una volta il primo essere vivente a passare in un'area incontaminata.

Poi arriveranno i pensieri e i dubbi, il momento di chiedermi se dovevo arrendermi e quello successivo nel quale mi sono reso conto di una verità: tutte le sensazioni che ho vissuto al Cansiglio e durante tutti i 25 anni precedenti hanno contribuito a fare di me quello che sono adesso. Un "me" che non ho nessuna intenzione di tradire e di rinnegare, perché a conti fatti nei panni dell'orientista (a volte un po’ clowneschi e troppo variopinti) mi ci trovo benissimo. Per questo motivo ho ricominciato a correre, sono arrivato correndo in cima alla salita (un po' alla Rocky), ho piegato a sinistra e mi sono infilato tra le fettucce che portavano al traguardo.

Dove fisicamente non c'era nessuno, ma nella mia testa c'erano esattamente tutti coloro che porto con me ogni volta che vado nel bosco. Se devo ringraziare per una gara del 2017, ringrazio proprio la Foresta del Cansiglio perché mi ha fatto riscoprire quello che c'è di buono nello sport che faccio e nelle passioni che vivo. I dubbi e le angosce sono rimasti indietro: dentro di me restano la realtà ed i ricordi delle cose belle che ho vissuto e che vivrò ancora.
Sarebbe stato il momento più epico dell'anno: e lo è stato!

Vecchia fine nuovo inizio

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Martedì 26 dicembre, come da tradizione, Marco ed io siamo andato a correre la 20esima edizione della StraMoncucco, gara podistica sulla distanza di 12,5 km che si tiene a Moncucco di Vernate nella prima occasione utile tra Natale e Capodanno (una domenica, o il giorno di Santo Stefano). Terreno piatto che più piatto non si può, con i due cavalcavia sopra l’autostrada a fare da Gran Premio della Montagna: il primo mitigato dal fatto che in cima c’è il ristoro, il secondo un autentico Golgota che sbuca all'improvviso dal nebbione al nono chilometro.
 

La foto ci ritrae insieme in zona arrivo. Però, onde evitare che poi 200 persone scrivono a Dario P. dicendo “Hai visto che lo speaker è arrivato secondo alla 50 lanterne dietro a Curzio ha finito la Stramoncucco con lo stesso tempo di Marco?”, onde evitare che poi Dario P. va a cercare le classifiche e onde evitare conclusioni scellerate da parte di quest’ultimo e post memorabili su dopolavori.blogspot.com, dirò subito che io Marco l’ho appena visto al terzo chilometro (partiva dietro di me di non so quanto), l’ho visto sparire nella bruma dell’alba della pianura padana e l’ho visto ricomparire all’undicesimo chilometro… mica perché sono andato a riprenderlo in un impeto di orgoglio atletico, ma perché lui ha finito la gara, ha girato i tacchi e mi è venuto incontro per tirarmi nell’ultimo miglio. Altrimenti, tra un fastidioso accenno di pubalgia e la noia mortale che mi ha preso per non aver trovato un anima che mi facesse il ritmo, ero ancora lì che caracollavo nei viottoli tra Moncucco, Trovo, Torrino e Battuda.
Vecchia fine e nuovo inizio: non ho mai deciso se la StraMoncucco rappresenta la fine delle fatiche di un anno sportivo o l’inizio di quelle dell’anno successivo. Ma poco importa perché non fa nessuna differenza: come ha detto un ex collega di lavoro che ho trovato al ristoro del sesto chilometro “l’importante è avere ancora voglia di esserci”.
*** ***
Quest’anno mi sono trovato sui campi di gara per 46 volte. Togliendo le occasioni nelle quali ho vestito i panni del tracciatore e\o posatore e\o organizzatore e non del concorrente (quindi le tre Milano nei Parchi, una tappa al Trofeo Lombardia e due tappe al BeGreen) fa 40. E 28 di queste 40 sono stato anche speaker. Sarà questo il motivo (uno dei motivi) per il quale l’anno 2017 mi è sembrato lunghissimo e faticosissimo come se avessi fatto 80 gare?
Non sono andato forte molte volte, anzi… Dal punto di vista agonistico il risultato migliore è arrivato alla “50 lanterne” nella finale di Coppa Italia al quartiere Navile di Bologna, che però ha avuto un percorso Elite maschile davvero tanto lineare e che non poteva fare molta differenza tra il primo e l’ultimo. Sono rimasto piacevolmente sorpreso del mio risultato alla “50 lanterne” Coppa Italia disputata nel nebbione a Ceci dove con una gara pulita e con un solo minuto di errore ho raccolto gli scalpi di qualcuno che è andato assai più veloce di me ma si è evidentemente perso in qualche vallone. Ovviamente sono assai più che soddisfatto del Campionato Italiano individuale alla Foresta del Cansiglio: non potendo puntare a finire sotto le tre ore di gara, ho gareggiato in modalità “survivor” andando a cercare tutte le tracce del bosco a costo di fare ogni volta il “giro del fullo”, laddove spesso con la parola “traccia” si intende una linea continua e pulita tra gli alberi che non corrisponde necessariamente ad un sentiero nemmeno appena accennato sul terreno.
E ancora, perché la parte alta della carta di Sabbionare è davvero fantastica, il Campionato Italiano a media distanza. Infine il mio ritorno alla O-Marathon nella categoria over-35, gareggiando per 5 ore fianco a fianco con Attilio: non avrei proprio sperato di riuscire a finire di nuovo la Maratona degli Altipiani. Ho già detto della “50 lanterne” 3 giorni del Primiero? Eh… ok… sono stato nel bosco ogni volta per quasi tre ore (Passo Rolle e San Martino di Castrozza) o un’ora e mezza (Val Venegia), ma sono state delle ore e delle energie veramente ben spese! Ed i posti, ragazzi… che posti da favola! Il cielo del Primiero senza una nuvola vale da solo il prezzo del biglietto.
Sul lato di Wile E. Coyote, il 2017 va in archivio con le prestazioni atleticamente incolori al MOC, nonostante Agropoli, Paestum e la Reggia di Caserta siano stati scenari davvero fantastici per una gara di orienteering e sono stato orgoglioso di essere io lo speaker; va in archivio con la fatica ed anche con qualche cancello aperto\chiuso dei tracciati di Gradisca ed Urbino alla 3 giorni delle Marche, ma vale quanto detto prima: come scenari per una gara di orienteering in centro storico l’Italia non ha eguali al mondo e non venitemi a parlare di Egitto e Piramidi, di grande muraglia cinese o di grattacieli della Canary Wharf. Così come non hanno eguali al mondo le salite che ha piazzato Mario “me la pagherai” Ruggiero nel finale della gara di Coppa Italia di San Primo…
A questo punto facciamo tutti finta che l’ultima foto non mi ritragga praticamente svenuto all’arrivo della gara di San Primo (ho anche la foto di Dario P., la posizione è la stessa…): diciamo solo che stavo dormendo. Ora è tempo di dormire e ricaricare un po’ le batterie. Me ne vado per un po’ in letargo come l’orso Yoghi, ma c’è voglia di continuare: “l’importante è avere ancora voglia di esserci”. Tanto l’anno prossimo, con tutta la pubblicità che ho fatto alla “50 lanterne” (ci sarà persino Dario P.!!!) arriveranno iscritti da tutto il mondo: per andare a racimolare un secondo posto, dovrò veramente chiedere l’introduzione della categoria “impiegati panzottelli e cinquantenni che si iscrivono ancora in M21”. D’altra parte, finché non sarò presidente della IOF, dovrò barcamenarmi con le categorie che ci sono adesso e resterò in balìa dei Pedrotti qualsiasi. Ci ritroveremo nei boschi tra qualche settimana: io sarò quello vestito da puffo.
E quando intendo “da puffo”, parlo anche delle scarpe: sono arrivate le scarpette nuove in tinta con tutto il resto! Chi ha detto che “orienteering is not a fashion event”? Ah si… l’avevo detto io tanti anni fa. Tendo a ripetermi. Forse sto davvero diventando vecchio.
See you soon!

Rompendo il ghiaccio...

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Finalmente sono entrato a tutti gli effetti nella stagione sportiva 2018. Con pochi allenamenti alle spalle, con un anno in più sul groppone, con qualche chiloparecchi chili di troppo sulla tartaruga. Ma con un paio di scarpe nuove da orienteering che mi calzano a pennello come un paio di pantofole e mi fanno dimenticare che un anno fa, a quest’ora, mi svegliavo di notte in preda ai dolori della fascite plantare.
Tra tutti i posti possibili per iniziare l’anno sportivo, il 3 febbraio sono andato ad infilarmi in una gara del circuito promozionale organizzato dal Nirvana Verde in quel di Civate, nella zona assai scoscesa che si affaccia sui due bacini del lago di Annone.
Ovviamente io e tutti gli altri abitanti di Orientonia sappiamo che “Nirvana Verde” è sinonimo di fatica e di sofferenza fisica: d’altra parte da sempre i ragazzi del team che una volta aveva sede a Bellano e adesso proprio a Civate corrono tutti come bestie, si allenano facendo su e giù per il monte Bolettone e mangiano chiodi e ferri di cavallo. Altrettanto ovviamente, ho pensato che per un circuito promozionale non avrebbero calcato troppo la mano: di conseguenza quando Piero ha fatto le iscrizioni e mi ha scritto su whattsapp il messaggio “Va bene il percorso Nero per te?” ho pensato “Ma si dai! Cosa sarà mai? E’ una promozionale…”. Pensiero che è tornato a sfiorarmi la mente quando dall’auto (eravamo ancora sulla strada statale) ho guardato a sinistra ed ho capito quando era ripido il crinale sovrastante l’abitato di Civate. Infine la sensazione di aver appoggiato il cul0 (il mio, bello grosso) sulla pedata è stata forte e chiara quando Piero mi ha detto che il comunicato gara diceva qualcosa a proposito del Percorso Nero.
Sono andato a leggere e ho scoperto che il percorso al quale mi ero così incautamente iscritto si sarebbe svolto dapprima su un “corridoio”, cioè su una mappa di cui era stampata solo la sottile striscia di terreno che congiunge le lanterne entro la quale bisogna necessariamente rimanere (il che non è proprio la mia specialità). Da lì si sarebbe passati su una parte di mappa - grande come un francobollo di una volta dell’Italia Turrita da poche decine di lire - stampata “al completo”, cioè con tutti i particolari al loro posto. Infine gran parte della gara si sarebbe svolta su una carta stampata senza i sentieri, ma con una tale abbondanza di curve di livello in salita da rendere il tutto praticamente marrone.
Ho già detto che io odio le gare in notturna e le gare con partenza di massa? Aggiungo un terzo fattore di odio: le mappe nelle quali, volutamente, non sono riportati tutti i dettagli. Intendiamoci: io adoro correre su terreni dove non c’è uno straccio di sentiero nemmeno a pagarlo. Se, però, i sentieri effettivamente non ci sono nemmeno a pagarli. Ma se ci sono, li voglio trovare in mappa (anche a costo di non percorrerne nemmeno uno). Di conseguenza mi sono girato verso il buon Stefano Gottardi e, con tutto il carisma e la credibilità data da 13 anni e 228 gare come speaker, cioè praticamente implorando, ho tolto il cul0 dalla pedata ho chiesto di essere spostato sul Percorso Rosso per correre su una mappa normale. Oh! Non ho nulla né contro chi ha organizzato quel percorso né contro chi lo ha fatto… ma non è proprio nelle mie corde: io la mappa la voglio completa. Punto!
Comunque anche sul Percorso Rosso c’erano dei varchi spazio temporali mica da ridere: i due secondi impiegati dalla 2 alla 3 me li spiego solo ipotizzando che ho punzonato la numero 2 per due volte, e così si spiegano anche i 5 minuti per andare dalla 3 alla 4 in quell’impasto di case-strade-rocce (ho girato i tacchi per evitare di passare in casa di un indigeno, e invece era proprio da lì che dovevo passare). Di sicuro non ho impiegato 36 minuti per andare dalla 7 alla 8, ma sono sicuro che degli 11 minuti impiegati per andare dalla 8 alla 9 ne ho passati almeno la metà a sbucciarmi il naso contro la salita, da tanto che era ripida. Ne è valsa la pena però, perché dal punto 10 in poi è stato davvero divertente, con il punto 14 collocato in una specie di Monte Livata in miniatura trasferito nel lecchese. Discesa dalla 16 alla 17 a cercare di non distruggersi le ginocchia (non si sono distrutte) e volata finale con Oscar fino al meritato traguardo.
Il giorno successivo, clamoroso a dirsi, non ho nemmeno un dolorino alle articolazioni. Cosa che non si può dire del post-Milano nei parchi al Parco Forlanini del 10 febbraio. Ma questa è tutta un’altra storia. 

Tutti i colori del MOO

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Lo dico subito, a scanso di equivoci. Sono innamorato del MOO. Lo trovo affascinante. Una iniziativa meravigliosa partorita dalla mente di un genio.Lo penso al punto che, ogni volta che vengo interpellato da questo o quello per tirare fuori una idea nuova per fare orienteering "... dai! Sei nel giro da 25 anni, possibile che proprio tu non sei in grado di partorire una idea nuova per attirare le masse a fare orienteering???", la mia risposta è sempre la stessa: l'idea nuova c'è già. Si chiama MOO. Ed è una idea definitiva.
A parte che queste domande mi fanno sembrare una specie di "grande vecchio" dell'orienteering italiano (sono vecchio, ma non così tanto, e sono grande, ma mai come tanti altri). A parte che, se davvero io avessi una idea buona pronta in saccoccia, la vengo a dire a voi?L'ultima idea buona che ho avuto è stata la Milano nei Parchi, e correva ancora l'anno 2005 e c'era il Governo Berlusconi III: il fatto che stiamo già lavorando al calendario Milano nei Parchi 2019 mi dimostra ogni volta di più che l'idea era buona davvero! Poi sulla questione del prossimo governo ci ragioniamo domani mattina 5 marzo...
Ma perché sono così innamorato del MOO? Perché è una gara? No, la classifica in quanto tale è l'ultima cosa che mi interessa. Perché si corre a Milano? Ma io non vedo l'ora che Remo trasformi tutto questo in un format nazionale: un ROO (Roma), un TOO (Torino o Trieste o Trento), un *OO dove "*" significa "la qualunque". Arrivo addirittura a pensare che se un'arma "Fine di mondo" dovesse far scomparire tutte le carte da orienteering sulla faccia della terra lasciando solo quelle del MOO, io penserei: "ok, posso sopravvivere a questo!". Perché le lanterne del percorso sono spesso degli enigmi da risolvere con il cervello bene attaccato? Mmmmmhhhh... qui già ci avviciniamo molto agli argomenti che da sempre toccano il mio interesse e stimolano la mia curiosità. Perché traccia Remo? Beh... io con Remo, il deus ex machina del MOO, mi sono trovato a discutere spesso: talvolta dalla stessa parte della barricata, altre volte su posizioni decisamente contrapposte.
Ma io voglio dare a Cesare quello che è di Cesare, ovvero a Remo quello che è di Remo: il MOO mi piace perché non si limita alle mappe, alla gara, alla corsa da un posto all'altro, ai quesiti. Il MOO secondo me è una storia che Remo ci racconta ogni anno, una narrazione che si dipana attraverso le mappe e che costa al suo autore una fatica che non è in alcun modo commisurabile alle 5 ore di durata della gara in se stessa. Per dirla tutta: vogliamo parlare della mappa della Stazione Centrale realizzata con i soli camminamenti dedicati ai non vedenti? Oppure alla mappa della zona di Piazzale XXIV Maggio che urla una denuncia per il modo in cui certi arredi urbani deturpano una piazza altrimenti meravigliosa? O la mappa "a livelli" del City Life (dove non ero mai stato prima del MOO) oppure quella del Parco Trotter (idem). Qualcuno era a conoscenza della nuova toponomastica dei quartieri attorno a Piazzale Loreto, che nella mente di Remo sono diventati "NOLO" e "SUCA"?
Credo di poter dire che in questi ultimi 3 anni ho scoperto più cose su Milano attraverso il MOO di quante ne ho scoperte vivendo la città negli altri 364 giorni. Il tutto, mi ripeto, attraverso un racconto che Remo ci sciorina negli ultimi minuti prima della partenza, emozionato come un artista che sta per svelare la sua opera al pubblico, avvincente al punto da farci pendere incantati dalle sue labbra e farci dimenticare che, come ogni anno, mentre Remo parla e ci ipnotizza come il pifferaio di Hamelin (siamo tutti novelli bambini e le mappe ci attirano come la musica del pifferaio) alle nostre spalle succede SEMPRE un preparativo della prima fase del MOO.
Finché Remo con uno schiocco di dita ci libera dall'ipnosi con il consueto "la prima mappa è alle vostre spalle". E' il primo atto del MOO, comincia lo sballo (e soprattutto, per il prossimo anno ricordarsi di questa cosa: occhio a quello che succede alle nostre spalle mentre Remo da le ultime istruzioni! Si Remo, lo so che questo ti costringerà a trovare un altro trucco... ma confido che ce la farai a distrarci ancora una volta).
 
***
L'opera quest'anno ha avuto un prologo. Bellissimo ed entusiasmante come le musiche di Andrew Lloyd Webber nel Jesus Christ Superstar prima che la voce di Carl Anderson attacchi l'immortale "Heaven on their minds". Il prologo è cominciato mentre ero in trasferta di lavoro. Mercoledì, con il MOO ancora abbastanza lontano. Improvvisamente lo smartphone si anima, i commenti si susseguono, i messaggi si affastellano l'uno sull'altro: pare che Remo abbia pubblicato su facebook una foto nella quale compaiono alcuni angoli delle mappe che saranno usate
Io non so se Mr. Whattsapp abbia registrato un picco di messaggi tra mercoledì sera e venerdì. Quello che so è che da mercoledì sera le migliori menti del pianeta (... più o meno...) hanno lasciato lì gli studi sul Teorema di Riemann, sulla biologia molecolare, su come compilare quella cacchio di scheda elettorale senza incorrere nell'annullamento della stessa, e si sono buttate full time anima e corpo nel tentativo di scoprire indizi da questa foto. Così ho scoperto persino che la mia squadra (il "Crypto Team"... ci arrivo tra poco) era diventata praticamente una succursale dei RIS di Parma. Prima Marco riesce, dall'angolo "Corpi Santi" della mappa numero 6, ad identificare l'intera mappa storica di Milano, che io provvederò a corredare con una mappa google dello stesso formato per riuscire a leggere le due mappe sull'altra. Poi, unendo la "TR" del nome della mappa numero 5 e l'indizio del "Portello" sulla mappa generale sono io a scoprire che una delle mappe di gara sarà quella delle Tre Torri del City Life. Infine dalla "C" sulla mappa numero 2 ed il simbolo delle lunghe scale mobili che corrono in direzione est-ovest capiamo che un'altra delle mappe di gara sarà quella della Stazione Centrale.
Ovviamente tutto questo non ci serve praticamente a nulla perché poi i quesiti proposti da Remo sono impossibili da identificare a priori e bisogna davvero andare al centro del cerchietto e trovare la vetrina, l'oggetto, la targhetta giusta. A dire proprio tutto il vero, c'è una cosa che riusciamo ad identificare, e cioè che alla zona delle Tre Torri potremo arrivare servendoci della metropolitana Lilla ma che potremmo uscirne andando a prendere la linea Rossa alla fermata di Amendola (il che sembra una banalità ma, quando sei in giro da 4 ore ed il cervello tende ad andare in pappa, è una intuizione alla Ellery Queen che consente di salvare energie e tempo...).
Ma io so che mentre il 90% delle squadre si scervella su questi indizi, ecco una rara foto di Remo che se la ghigna allegramente... perché so benissimo che la pubblicazione di quella foto era volutamente tesa a scatenare l'inferno già da mercoledì sera:
***
Il Crypto Team.
(Piedone e i Piedoni)
Dopo quanto scritto sopra, appare evidente che mi ero segnato da tempo sul calendario a caratteri cubitali la data del MOO 2018: evitate cresime, comunioni, eventi lavorativi, pranzi con i parenti, convocazioni con la nazionale di orienteering... Giusto, no? Invece sbagliato. Io quest'anno al MOO non avrei dovuto esserci. Con mio ENORME rammarico. Quando ho scoperto che un altro appuntamento, per il quale mi ero già dato disponibile, coincideva con la data del MOO mi sono detto "Ma noooooooooo!!!". Delusione. Così ho dato buca al mio compagno di avventure al MOO, Marco "Rusky", che necessariamente si è dovuto cercare una squadra alternativa dato che al MOO non si può correre da soli. Poi succede che "l'altro appuntamento" non si concretizza: la data del MOO torna ad essere libera ed io mi inserisco di nuovo in squadra con Marco, con il terrore che lui nel frattempo abbia costruito attorno a se un team di corridori ultrastrong da meno di 4 minuti al chilometro, e di ritrovarmi come nel 2017 a fare la zavorra. La storia del MOO dimostrerà poi alcune cose:
1) che nonostante gli allenamenti stiano a zero, il MOO ha la capacità di farmi muovere le gambe più velocemente di quanto io non faccia in gara di solito
2) che Marco non ha nulla da imparare da nessuno dal punto di vista della lettura di una carta orientistica;
3) che Marco ha sempre uno stile tutto suo per motivare i compagni di squadra durante la battaglia
(... questo stile... e garantisco che a Marco il sergente Hartman fa solo una grossa pippa)
D'altra parte è chiaro che un team Rusky-Stegal vedrà sempre Rusky nella parte del Wolfgang Hoppe ed il sottoscritto come Dietmar Schauerhammer (nel senso che lo freno). Il nostro risultato finale in classifica avrebbe potuto essere migliore, ma anche peggiore. Il divertimento-metro invece è sempre stato fuori scala dall'inizio alla fine. 
***
E il MOO? E le carte? Eccole:
l'inizio nella zona dei murales per arrivare al Parco Trotter
la mappa del Parco Trotter fotografata sul cellulare, necessaria per arrivare al punto di consegna delle carte


la carta della zona Garibaldi, o "Gariboldi" (I can't stop laughing) dove purtroppo abbiamo perso la metropolitana per un soffio e siamo stati fermi 8 minuti in banchina, e poi ancora abbiamo mancato di un altro soffio il treno "passante" per scoprire che i due treni successivi erano stati cancellati...

la carta della Stazione Centrale realizzata con i soli sentieri dedicati ai non vedenti... una cosa che l'assessorato alle Politiche Sociali dovrebbe dare un premio a Remo per il solo fatto di averci pensato
la carta "storica" di cui abbiamo visitato solo i tre punti nella zona ovest
foto di Marco sotto la neve davanti alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
 

la carta NOLO-SUCA con i bellissimi enigmi attorno a Piazza Caiazzo

la carta del City Life, dove Marco ha tirato come un pazzo e si è orientato come nemmeno Gueorgiou
la mappa generale del MOO 2018
Si, ok, ma il racconto punto per punto, metro per metro, quesito per quesito? Quello non c'è. Sarebbe troppo lungo da scrivere e soprattutto non aggiungerebbe nulla alle emozioni provate durante le 4 ore e 50 minuti passate in gara. Mi viene solo da dire: provate anche voi! Così conoscerete tutti i segreti del MOO. Io in queste tre edizioni credo di averne scoperto il "fil rouge", che parte dalla testa di Remo e si espande fino a coprire le sensazioni proposte da una intera area metropolitana. Venite a provare anche voi nel 2019. Non ve ne pentirete, parola mia!

L’ingresso è gratuito…

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… è per uscire che bisogna pagare. Parole e musica degli “L(P)”, gruppo musicale che si fregia della presenza di Lorenzo Pinna alle tastiere e, a partire da domenica scorsa al Montello, della “quote” di inizio delle premiazioni ogni qualvolta si tratterà di andare a combattere gareggiare in un terreno adatto a “Rambo in the Jungle”.

L’ingresso nell’annata sportiva 2018 è stato caratterizzato da una carenza di allenamenti quasi totale (colpa mia che trascorro troppo tempo in ufficio) + motivazione abbastanza assente (colpa mia che consumo tutte le mie energie nervose al lavoro) + peso forma fuori scala (colpa mia che arrivo a casa e non ho più voglia\tempo\forza di mangiare qualcosa che non sia precotto). Non sono nemmeno riuscito a mantenere la promessa di scrivere con cadenza periodica sul blog, di conseguenza adesso i miei tre due lettori si devono beccare il resoconto minuto per minuto dei primi tre week-end di gare, tutti in una volta: Cantù + Monza + gare nazionali al Montello.

Terrorizzati per la lunghezza di questo blog? A me, dopo aver affrontato le lanterne 10-11-12 della gara di Coppa Italia, non fa più paura nulla. Ci vuole altro per spaventare noi che abbiamo infilato la bussola, bricchetto, mani e braccia nel tritacarne e ne siamo usciti intatti!


(… insomma… più o meno intatto)

La prima uscita a Cantù, per l’inizio delle gare lombarde, è avvenuta sotto un diluvio che lévati. Da far passare la voglia a tutti, tranne che a coloro che erano in piena astinenza da lanterne. Sono salito a Cantù fiducioso e speranzoso in una bella gara, che mi potesse riconciliare con le sprint made by Oricomo dopo che l’anno scorso, in occasione della bi-sprint disputata proprio a Como, ero andato a casa un po’ con le pive nel sacco a causa (lo dico accodandomi al parere di altri concorrenti) di un tracciato non del tutto corrispondente alle mie aspettative; di questa gara non avevo parlato sul blog dell’anno scorso, infatti, ma il titolo era già pronto: “Seconda strada a destra” a rappresentare le scarse, se non nulle, difficoltà del percorso 2017 che aveva davvero poco appeal.

Arrivato a Cantù sotto la pioggia diventata man mano sempre più copiosa, ho raccattato la descrizione punti e ho avuto il primo shock: 12 punti di controllo. Ancora? Va bene che è una gara sprint, ma ormai 12 punti di controllo sono davvero pochini per una gara in qualunque categoria… infatti c’erano categorie con meno di 10 punti, e la categoria dei bambini forse 6 o 7, quando dovrebbe essere chiaro che i bambini più piccoli vengono solo per il divertimento di punzonare le lanterne, ce ne fosse anche una ogni 10 metri. Presagi foschi mi portano quindi ad affrontare il freddo fino alla partenza, dove scopro che partirò allo stesso minuto di una Giovane Promessa dell’orienteering lombardo (da qui in avanti la chiamerò G.P.) che sta crescendo proprio nella mia piccola ma onesta società.

Nonostante le infauste premesse, la gara si dimostrerà comunque attraente, con un risultato finale di prestigio ottenuto grazie ad una scelta particolarmente efficace. Una scelta di percorso? No. La scelta di imbustare nella apposita cartellina trasparente la “carta antispappolo” consegnata in partenza. Accade infatti che due minuti prima di me parte Stefano De Favari il quale, con la di gara carta umida, le mani umide e la cartelletta di plastica umida impiega un minuto e mezzo per infilare la mappa dentro la protezione plastificata. Mentre assisto al piccolo dramma di Stefano, due cancelli di partenza dietro a lui si svolge il seguente teatrino:

  • Stegal: “Posso avere la cartelletta per proteggere la mappa?”
  • Addetto alla partenza, paziente: “Certo… eccola…”
  • G.P. chiede anche lei la cartelletta

Stegal: “Ma la carta è antispappolo vero?”

Addetto alla partenza, meno paziente: “Certo… era scritto sul comunicato…”

Stegal rimette la cartelletta al suo posto.

Anche G.P. rimette la cartelletta al suo posto

  • Poi Stegal pensa: “Oddio! Non è che magari la carta non è proprio antispappolo e G.P. rischia di perdere la gara perché fa quello che faccio io?”
  • Stegal: “Però… ripensandoci… non è che posso avere la cartelletta lo stesso?”
  • Addetto alla partenza, disappointed: “…”
  • G.P. ri-chiede anche lei la cartelletta.
Risultato finale: tutti coloro che partono senza cartelletta arriveranno al traguardo con in mano una sorta di “bolo” fradicio, facendo a memoria gli ultimi punti o accodandosi a qualche concorrente partito dopo. Tra “PM” e ritirati per scioglimento del papiro, alla fine mi ritrovo nono in classifica persino molto vicino a concorrenti assai più forti di me.

(la carta di Cantù: un autentico francobollo, ma il percorso è stato davvero carino)

Una settimana più tardi è il momento di andare a gareggiare a Monza, per una seconda gara sprint su un terreno arci-noto. Gli organizzatori della Polisportiva Punto Nord hanno però ampliato la carta alla zona “Monza sobborghi”: un po’, immagino, con l’idea di variare il percorso rispetto agli anni passati e, magari, un po’ anche per evitare gli slalom alla Alberto Tomba degli orientisti tra i monzesi paludati a festa e dediti al rito del cappuccino e brioche in centro della domenica mattina. Questo va un po’ a discapito delle difficoltà orientistiche trovate in gara che, soprattutto nel finale quando si tratta di ritornare in zona ritrovo, non possono che essere limitatissime visto che sostanzialmente si tratta di correrecorrerecorrere(specialità che non mi vede tra i suoi principali protagonisti)

(il memorabile post di Edoardo Tona…)

La mia gara parte già con il botto… è prevista una partenza senza griglia prefissata: ci si mette in coda nel corridoio di partenza corrispondente al proprio percorso, in fondo al quale si trova la propria carta di gara nella unica cassetta ivi predisposta. Il distacco in minuti dal concorrente precedente sostanzialmente ce lo decidiamo da soli (può essere un minuto, due minuti, enne minuti se nessuno si presenta nel corridoio di partenza…). Io vedo partire davanti a me Matteo Molteni (vincitore a Cantù) poi Francesco Radice e dietro di me si prepara Federico Navarra. Francesco mi ha battuto di pochi secondi a Cantù (non so ancora che è stato uno dei concorrenti penalizzati dallo spappolo della carta) e mi piacerebbe provare a raggiungerlo, mentre Federico mi prenderà di sicuro ma vorrei rendergli la vita dura. Di conseguenza esco dal cancelletto di partenza come un assatanato, prendo la carta dall’unica cassetta davanti a me che recita “Percorso Nero” e mi butto all’inseguimento di Francesco. Piego la carta, piego leggermente a destra, sento il mio emisfero destro che dice al sinistro “ma guarda che pochi punti che ci sono in questa parte di mappa!” e l’emisfero destro che risponde “saranno tutti nella parte di mappa che hai appena piegato!”.

Sto per arrivare al punto 1, che non è nulla di difficile, e mi vedo correre incontro Matteo: avrà sbagliato scelta… ‘sti ragazzi corrono corrono ma si vede che poi tecnicamente non sono in grado di tenere il passo di un esperto… ehi! Anche Francesco mi sta correndo incontro!!!Stefano! Controlla la mappa perché il percorso è sbagliato!”. Frenata da 5 a zero in un nano secondo. Controllo la descrizione: percorso Azzurro. Ma porc! Dietro front e mi butto all’inseguimento di Matteo e di Francesco. Nel frattempo incrocio Federico: “Federico! Controlla la mappa perché il percorso è sbagliato!”. Ritorniamo tutti quanti in gruppetto alla partenza, dove Luigi Fantin e Irene Tomiello cominciano a gestire la situazione con calma e tranquillità davvero encomiabile (o qualcuno aveva messo loro una abbondante dose di Prozac nel cappuccino). Matteo riparte, poco dietro parte Francesco. Poi lascio andare avanti Federico (che si butta a sinistra e qualche secondo dopo ripassa a tutta velocità andando verso destra, in piena trance agonistica) e infine parto anche io.  
(la mappa… quella giusta)

Ecco. Diciamo che dopo questa partenza con il botto, il mio animus pugnandiè andato un po’ a donne di facili costumi. Non che avessi velleità di vittoria... ma così mi ero un po' smonato. Mi limito quindi a caracollare stancamente lungo il percorso, cercando di mimetizzarmi con i dintorni durante i passaggi nel centro di Monza per evitare di farmi vedere da qualche collega che sicuramente era in giro per il rito mattutino del bar pre-pranzo. Il mio tempo finale mi posiziona abbondantemente, meritatamente e coerentemente a fondo classifica, perché quella è la mia posizione, anche se poi viene “limato” di una quantità di secondi pari al “tempo che più o meno ha perso Navarra per questo inconveniente, però tu sei un po’ più lento di Navarra… diciamo che ti togliamo quattro minuti”. Oh! Io mi ero divertito lo stesso! (secondo me una soluzione era quella di togliere a tutti il tempo impiegato per arrivare alla prima lanterna, e far “partire la gara” dalla 1… ma va benissimo così).

Dopo la gara di Monza si comincia a preparare il trolley verde avuto in regalo con i punti dei Ringo Boys, per la prima trasferta nazionale in provincia di Treviso: il weekend prevede la sprint a Susegana e la middle sulla collina del Montello: per questa seconda gara i bene informati dicono “presenza di ampia sentieristica, ma una vegetazione da entrarci con il machete e l’armatura”. Vedremo…

La gara di Susegana si sviluppa per la prima parte in mezzo ai vigneti: diciamo che praticamente è come correre in mezzo alle case (che non sono attraversabili, così come lo sono i filari di viti), solo che ci vedi attraverso. Di conseguenza l’intera zona di gara appare tappezzata di lanterne ovunque e sembra lo scenario per una gara di Trail-O (con i punti messi a lunga distanza dall’osservatore) tracciata da un matto che oltre alle consuete piazzole Alpha-Bravo-Charlie… ha messo anche Whiskey-XRay-Yankee


Memorabile la salita dalla 3 alla 5 dove bisogna usare la piccozza sulle zolle di terreno del vigneto. Tirata dritta che dalla chiesa (punto 10) verso il piccolo nucleo attorno all’ansa del fiume, d’altra parte non c’erano altre scelte possibili. Passo al punto spettacolo confidando nel fatto che tutti gli atleti siano rimasti al ritrovo, che dista dall’arrivo qualche centinaio di metri, e invece tutti gli atleti sono in zona arrivo e mi vedono passare bolso come un ronzino sfiatato. Anche nell’ultima parte di gara ci sono lanterne posizionate molto vicino l’una all’altra, e penso che questo potrebbe creare una ulteriore difficoltà per gli atleti che si giocano la gara sul filo dei secondi: infatti gli under 20 saranno falcidiati uno dopo l’altro, cosa che contribuirà molto al brio dato al commento in diretta (l’altra cosa che contribuisce è la gara pazzesca – no shit! – di Mattia Ferrari in Elite… e poi dicono che non ci sono mai sorprese). Finisco la gara con un tempo rivedibile e dico ai favoriti di non impiegare un solo secondo di meno della metà del mio tempo: tanto sono reduce da Monza dove alla fine sono in classifica con un tempo che è solo il 60% in più di quello di Tenani… ecco: il vincitore (lui, sempre lui, Riccardo Scalet) impiegherà DUE secondi meno della metà del mio tempo. Sgrunt!

Il sabato sera che precede il cambio da ora solare a ora legale è sempre quello nel quale si vive il patema di animo “lo smartphone aggiornerà l’orario da solo o la mia sveglia suonerà con un’ora di ritardo?”. Situazione vieppiù complicata dal fatto che dormiamo in pieno Montello, dove non è che Tim e Vodafone abbiano piazzato ripetitori su ogni albero, e quindi la rete internet è ridotta ad una bava sottile che si capta qua e là. L’”operazione sveglia” viene comunque assolta: ho dormito un’ora in meno ma questo non influirà sulle mie prestazioni atletiche (nel senso che “peggio di così…”) e, quando alle ore 7.45 circa prendo il via della prima gara di Coppa Italia Elite 2018, ho letteralmente tutta la collina del Montello a mia disposizione.



Ampia sentieristica. Almeno fino a questo punto i bene informati erano nel giusto. Praticamente la mia tattica è sentiero sentiero sentiero “zona di bosco aperto dove le tracce un po’ si mescolano tra loro” sentiero punto di controllo subito a destra. Poi sentiero sentiero sentiero e al bivio mi butto a destra con il punto subito sotto. Rapido taglio nel bosco, sentiero e poi alla curva mi butto di sotto in un’altra canaletta. Sentiero sentiero sentiero… faccio un po’ il giro del fullo ma l’ultimo sentiero mi porta praticamente a 20 metri dalla lanterna 4 che è subito sotto. In pratica è un po’ una HB dei vecchi tempi.

Per la 5 sentiero carrabile e poi sentierino, e dalla curva si vedono benissimo le due collinette in mezzo alle quali si trova la lanterna, anche se tra il sentiero e la lanterna comincia a stendersi un sipario di vegetazione rognosa senza soluzione di continuità. Siamo intanto a 25 minuti di gara e comincio a sperare che in fondo potrei finire il tutto attorno ai 60 minuti (si, certo, e Scalet negli stessi 25 minuti sarà al traguardo… mi dice l’omino nel cervello!). Così per andare alla 6 prendo il sentiero che mi porta alla 7 per utilizzare il prato come punto di attacco, ed improvvisamente vengo assalito da un profumo di wurstel che arrostiscono sulla brace: prima ancora di pensare che sto diventando matto, scopro di essere finito in mezzo alle tende degli scout! Ma quale cavolo di scout mangia wurstel alle 8 del mattino???

Dalla griglia dei wurstel Dalla 7, scendendo nel prato e poi risalendo i vari avvallamenti in mezzo ad una insalata di rovi, arrivo alla 6. Poi torno alla 7, prima lanterna in 25 anni di orienteering che posso trovare a olfatto! Per arrivare alla 8 non devo fare altro che lottare con un altro po’ di vegetazione, arrivare alla strada forestale, poi al prato: c’è una specie di basso cunicolo tra i rovi in fondo al quale si vede benissimo la lanterna numero 8. E’ chiaro che tra rovi, wurstel, tende degli scout e ulteriore comprensibile casino, la mia velocità ha avuto un crollo paragonabile solo a quello delle azioni Facebook dopo lo scandalo Cambridge Analytica. Ma penso ancora che potrei finire la gara in meno di 1 ora e 10 minuti… tanto la 9 non è lontana, alla 10 ci potrei arrivare facendo la circonvallazione di tutti i sentieri, la 11 è vicino ad un disbosco e la 12 è la lanterna prima dell’arrivo e di solito si trova, no?

Povero illuso che sono!

Intanto dovrei trovare la 9, che è la classica lanterna che mi fa mandare una preghiera al Geometra dell’Universo (che però quando ha creato il Montello doveva essere parecchio nervoso…) e dire “fammi trovare questa che le altre le trovo da me”. Purtroppo manca la rete, e la connessione con il Geometra dell’Universo non è possibile: il risultato è che passo parecchi minuti a combattere nella giungla più nera cercando un avvallamento che corre da sud a nord, e trovando solo valloni che non ne vogliono sapere di orientarsi nella direzione che dico io (ed ogni vallone mi costa un combattimento corpo a corpo con la vegetazione). La velocità scende tanto quanto le percentuali del PD alle ultime elezioni, e quando finalmente trovo il punto più per culo che per anima, penso che anche un tempo di 1 ora e 20 minuti mi potrebbe andare bene, o no?

No.

Intanto bisogna scendere sul sentiero e fare la tangenziale fino quasi a tornare al punto 2. Poi scendere lungo la strada forestale verso sud fino al punto dove sta la croce. Da lì il piano originale mi vedrebbe scendere lungo un qualunque avvallamento fino in fondo al vallone dove passa il sentiero, e poi percorrere il citato sentiero fino all’avvallamentone grosso dove sta la 10. Tutto giusto?

Tutto sbagliato. Il primo problema è rappresentato dalla discesa dalla croce verso il fondo del vallone, che è allucinante: sento la mancanza di una armatura o di un machete, ma anche il tenente colonnello Bill Kilgore (Robert Duvall) e la sua Cavalcata delle Valchirie potrebbero aiutarmi mandando giù dal cielo una massiccia dose di napalm… Quando infine ho percorso il sentiero e vedo il vallone, mi scappa da ridere: per la risalita alla lanterna 10 mi servirebbe la piccozza (ma l’ho lasciata nel vigneto di Susegana), i ramponi e i guanti da saldatore per potersi almeno aggrappare ai rovi (alcuni dei quali grossi come un alluce del mio piede). La discesa dalla 10 verso il fondo del vallone la faccio sul mio nobile posteriore… mi dico che almeno adesso è finita, e va quasi bene lo stesso finire la gara in 1 ora e 30 minuti. Sentiero verso sud est e poi verso sud fino alla strada. Dalla strada parte un bel prato, che mi lascia su un sentiero, che mi conduce ad un disbosco, e nell’angolo dovrei trovare la lanterna. Sarà l’idea giusta almeno questa volta?

Nemmeno per sogno. La lanterna 11 in effetti sta nell’angolo del disbosco, ma uno o due piani sotto al livello del disbosco. E non c’è ascensore, ma solo un muro di Berlino di rovi e sterpaglie. Mi affaccio dal bordo e guardo giù: un solo pensiero “Il primo che deciderà di passare da qui è un eroe”. Ma io di fare l’eroe non ne ho proprio voglia: le chiazze rosse sui pantaloni e l’appiccicaticcio che mi cola sulla faccia sono più che sufficienti, e quindi opto per fare il giro sul sentiero ed entrare nel canalone dalla porta di servizio a nord. Anche il mio primo tentativo per arrivare alla 12 verrà completamente respinto dalla vegetazione, cosicché alla fine mi riduco a scendere lungo la strada asfaltata (incurante del fatto che da quella strada stanno arrivando le macchine che conducono gli orientisti al ritrovo… figura di m…!) e a risalire lungo il sentiero per affrontare l’ultima insalata di rovi e vegetazione impossibile lungo la linea più breve.

1 ora, 38 minuti, 59 secondi e spiccioli per una media distanza di Coppa Italia. Walter Peraro è solito dire “abbiamo affrontato il bosco e abbiamo vinto”, ma non sono sicuro di poter dire la stessa cosa questa volta. Più probabile che il verdetto sia una specie di “no contest”. Per i soli finali: “La FISO era rappresentata dal Presidente FISO, Tiziano Zanetello che ha premiato i concorrenti ed ha insignito Stefano Galletti di un riconoscimento ufficiale in quanto speaker federale di riferimento”. Sono stato tentato di pensare che Per Forsberg non sarebbe mai andato nel bosco a farsi spatassare la faccia e le gambe dai rovi, ma poi mi sono detto:

Per Forsberg sarà mai stato nella sua vita “speaker federale di riferimento”?
Probabilmente no. Quindi stavolta vinco io

Elettrificato a Mussolente

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Qualche settimana fa, prima ancora di essere nominato Speaker Federale di Riferimento (con quella che potrebbe deve essere stata l’ultima delibera del Consiglio Federale appena decaduto) ho ricevuto una telefonata da Bepi Simoni e Luigi Bordignon per andare a fare lo speaker ai World Ranking Event di MTB-O a Nove e Mussolente. Sapevo già che quel fine settimana sarebbe stato abbastanza libero da altri impegni, e in fondo andare ad aiutare due amici come Bepi e Luigi ad una distanza da casa gestibile (poco più di tre ore di auto) era fattibile.
Così ho riportato la mia unica richiesta: avrei voluto provare a fare le due gare anche io prima di mettermi al microfono. Memore di quello che avevo fatto un bel po’ di anni fa ai Campionati Italiani vicino a Como (entrambe le volte i percorsi Esordiente) e due anni fa a Lavarone, dove ero partito per provare il percorso Elite almeno il sabato e dove infine avevo fatto ancora i due percorsi Esordienti, memore degli ammonimenti di Ivan Gasperotti “tu non sei un biker!”. Sia Bepi che Luigi mi avevano tranquillizzato: “Nema problema!”. E così sabato mattina in una bella giornata di sole mi sono messo alla guida ed ho affrontato le tre ore di strada che mi avrebbero portato a Nove, sugli stessi terreni dell’area golenale del fiume Brenta che mi avevano visto nel corso degli anni impegnato sia nella C.O. (una divertentissima gara di campionato regionale sprint nella quale me la ero cavata anche bene) che nel Trail-O (una tappa per me poco felice all'interno di un Campionato Italiano che Marco ricorderà a lungo per una lanterna posizionata un po’ “a muzzo” e per la spiegazione ancora più “a muzzo” con la quale successivamente venne motivata la posizione della lanterna…).

Una breve sosta sulla piazza della chiesa di San Pietro in Gu che mi piace tanto per la tranquillità ed il silenzio, nonostante la vicinanza con la provinciale ed i negozi…
… ed alle 12.30 circa sono al centro gara alla palestra di Nove. Insieme a me ed agli organizzatori, l’unica altra presenza è quella di Olga Vinogradova: si tratta della sempre sorridente e solare campionessa del mondo di MTB-O ma meno campionessa di lettura delle istruzioni di gara, visto che ha interpretato l’orario di apertura del centro gare (13.30) come orario di inizio gara. Chiedo alla campionessa se ha portato le medaglie d’oro mondiali da farci ammirare e lei risponde: “Perché tu sai chi sono io e io non so chi sei tu?” ed io rispondo “Perché tutti conoscono Peter Sagan, ma Peter Sagan non conosce tutti!”. Segue sguardo perplesso della campionessa che si smorza solo quando concludo dicendo “… e tu sei la Peter Sagan della MTB-O!”.
Passano pochi minuti e Luciano Sonda arriva a portarmi la MTb che userò “in gara”: si tratta di una bellissima e fiammante E-Bike! Il primo pensiero è di pura preoccupazione: già non sono bravo ad andare in bici… quell’aggeggio avrà un costo di qualche migliaia di Euro e la propulsione di un piccolo motorino, ed io in motorino non ci sono mai andato in vita mia. E poi dai, che vergogna, mi tocca fare il giro-speaker con la bici elettrica! Dico a Luciano di impostare la pedalata assistita sul minimo sindacale e, con un pensiero alla mia Fondriest bianca rimasta in box ed una occhiata di disgusto alla E-Bike, salgo in sella e accendo il motore do il primo colpo di pedale.

Figata! Figatissima!!!
Trattasi di amore a prima vista. Non ci sono parole adatte per descrivere la sensazione provata nello schiacciare il pedale (partire per me è sempre l’azione più a rischio caduta, come sanno bene i vagabondi che mi hanno visto cadere da fermo durante il Be Green di Monza di qualche anno fa) e sentire il velocipede che parte da solo. In sella al mio nuovo amore, mi dileguo velocemente verso l’area golenale del Brenta e pochi minuti dopo sono in partenza
La mappa è quella che già conoscevo, ma venirne a capo in sella ad una bicicletta a pedalata assistita è una impresa. La prima cosa di cui mi accorgo è che ci sono troppe cose da fare contemporaneamente: trovare la strada, agire sul rapporto della ruota posteriore, agire su quello della ruota anteriore, azionare i freni, stare in piedi, orientare la mappa e tenere il segno sulla posizione in mappa… qualcosa bisogna eliminare! La prima cosa che elimino è “orientare la mappa”: ciò che mi riesce così naturale quando corro nei boschi, diventa un gesto innaturale in bicicletta. Per i rapporti, mi limito ad aiutare o rinforzare la pedalata solo quando proprio è indispensabile, ed agendo solo sul pignone posteriore per togliere un’altra variabile: faccio sempre confusione tra le due levette, mi sono sempre chiesto (e me lo chiedo ancora) perché ci sono due levette diverse su ciascuna manopola…, che agiscono tra l’altro in modo una contraria all’altra.

Non mi resta quindi che pedalare, stare con le mani incollate ai freni perché sembra di essere ad un rodeo, e trovare le lanterne. Il che si dimostra non così facile come pensavo speravo: la prima lanterna sembra da Esordiente facile, ma alcuni sentieri proprio non si vedono e alla fine ci arrivo tagliando per i prati perché scorgo il “nasone” che va da nord ovest a sud est. Nasone che poi, per andare alla 2, ovviamente confondo con uno dei sentieri e mi tocca farlo avanti e indietro… Alla 3 comincio a prendere dimestichezza con i sentieri ed il fondo sconnesso, meno con i rovi e la vegetazione che si spingono ad invadere i sentieri: finirci addosso alla velocità di un ciclista non è proprio un piacere, e capisco perché i bikers utilizzano i guantini per proteggere le dita (che sono le prime ad incocciare contro rametti e cespugli).

Con la E-Bike è un piacere sviluppare tanta potenza in più nei tratti come quello 7-8-9, poi dalla 11 alla 12 dove sulle rive del laghetto faccio scappare via un branco di oche starnazzanti. Sull’argine dalla 13 alla 14 incrocio qualche passante e distinguo chiaramente i commenti “guarda quello lì con la bici elettrica!” e mi sento come il milanese imbruttito in Corso Buenos Aires con la Lamborghini a sentire i commenti di quelli sul marciapiede… Gran giro completo dalla 15 alla 16, ripassando dalla 1, per godermi ancora una volta le prestazioni della E-Bike fino ad arrivare sul greto del Brenta con una lanterna al pelo dell’acqua, prima del finale in un labirinto di sentieri dove bisogna stare con le mani ben incollate ai freni e gli occhi ben incollati alla mappa.

Il rientro al ritrovo a consegnare il destriero al legittimo proprietario è accompagnato dai frizzi e lazzi degli atleti che nel frattempo sono arrivati nel paddock. Si va dal ritornello “guarda quello lì con la bici elettrica!” al “ma allora è vero! C’è anche LUI!!!”che mi fa sembrare una specie di Papa sulla papamobile…

La E-Bike si manifesta in tutto il suo splendore anche la mattina di domenica. E’ prevista infatti la gara di World Ranking Event sulla distanza media, con un percorso di 22 km che a me sembra eterno; ma con un aggeggio simile posso provare a fare anche tutto il percorso Elite, il che è proprio quello che faccio partendo alle 7.40 del mattino.
Dopo una prima difficoltà per uscire dal muro del Koppenberg situato proprio dopo la partenza, e dopo una discesa nei prati da “vento nei capelli” per arrivare alla prima lanterna che sembra di essere a Gardaland, la E-Bike diventa un piacere nella lunga tratta a bordo carta per arrivare alla seconda lanterna. Le lanterne successive sono abbastanza distanziate tra loro da consentirmi di dover memorizzare solo concetti semplici come “la terza a destra, poi sempre dritto” (anche se il sentiero è tutto tranne che dritto, ma basta stare sulla linea principale).
Per arrivare alla 6 c’è un bel pezzo di strada asfaltata da fare. E ancora di più per andare alla 7 e poi alla 9 fin dentro l’abitato di Sant’Eulalia. Proprio su queste tratte capisco due cose: la prima è che siamo proprio nella zona dove spopolano i cicloamatori, perché ne incrocio a mucchi (dagli isolati, a quelli che vanno in coppia, alle squadre complete). La seconda è che anche tra i ciclisti c’è una netta distinzioni in classi sociali, e che quelli con la E-Bike stanno proprio all’ultimo gradino nelle considerazioni degli altri che faticano: gli insulti e le battutacce che non mi sono sentito rivolgere! Nessuna pietà per il mio abbigliamento che non ci azzecca nulla con il ciclismo, nessuna pietà per lo strato di fango che ricopre ormai buona parte della carena e della mia schiena. Le piogge abbondanti degli ultimi giorni hanno trasformato buona parte dei sentieri tra i campi in piccole piscine di acqua o di fango, alcune elle quali talmente profonde da trasformare la E-Bike in una specie di hovercraft. Dopo aver fatto tutto il giro del colle di Liedolo, e alle 9.30 circa rientro alla base con la E-Bike anch’essa abbastanza esausta. Lo stato dei miei vestiti è la testimonianza del fatto che sono andato anche io ad affrontare le piste dei bikers, ma è solo grazie alla E-Bike che ho potuto davvero provare a completare il percorso e vedere con i miei occhi dove sarebbero passati gli atleti.
(lato A)
(lato B)

La MTB-O rimane una bella disciplina, ma io posso trovarmi a mio agio solo se il terreno non è troppo pendente o troppo tecnico, e se i sentieri rimangono privi di ostacoli. Altrimenti è un rodeo, ed io non sono pronto per precipitare da cavallo ogni due svolte. Perché questi che fanno MTB-O non sono soltanto dei campioni con i muscoli d’acciaio, ma sono anche degli autentici funamboli. Complimenti a loro, io torno a fare la C.O. dove mi freno da solo e dove tutto quello che devo fare è orientare la mappa.

Anche se il ricordo di quella E-Bike verrà con me ancora tanto a lungo…

Anger(a) Games

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Prima che cominci il periodo di impegni infernali del mese di maggio, nel quale la profondità del mi cassetto di mutande sarà messa a dura prova, rimane il tempo per una menzione sulla gara bi-sprint disputata domenica scorsa ad Angera, sulla sponda del Lago Maggiore: una prima assoluta per me, non per tanti altri che avevano già assaggiato nel novembre 2015 il terreno misto asfalto-campagna della cittadina su cui vigila la Rocca omonima.

In una gara bi-sprint la prima difficoltà da affrontare è il dover far ripartire le gambe (ed il cervello) quando comincia la seconda manche. Per me sarà quasi l’ultimo dei problemi, in quanto sabato sera vengo preso da un forte attacco della mia sinusite ormai cronica: la notte prima della gara risulta parecchio travagliata e soprattutto non risolutiva, cosicché al mattino di domenica dovrei prendere un’altra dose di medicine, ma non mi azzardo perché devo guidare fino appunto ad Angera. E non riesco nemmeno a fare colazione. Come ovvia conseguenza, arrivo alla partenza della prima manche che sono una specie di sacco vuoto ed ho appena preso la medicina per la sinusite che mette un po’ di sonnolenza.


Il percorso prevede una partenza davvero cattiva: fatta salva la prima lanterna, cui fa da guardia un bel capanno che non è sbagliabile, basta muovere qualche passo in direzione nord-est che tutti i particolari della mappa in scala 1:4000 mi vengono letteralmente addosso: credo di immaginare che le scalette riportate in mappa saranno molto più visibili di quanto lo siano nella realtà, poi vedo poco più in basso Dario Galbusera punzonare una lanterna che mi figuro “albero isolato” (ma non lo trovo in mappa). Mentre attorno a me tutti corrono in ogni direzione, mi astengo dal chiedere a Dario il codice della sua lanterna e continuo a muovermi come una gallina senza testa: quando arrivo ad un punto di controllo in un piccolo terrapieno, e leggo il codice “67”, mi dico “Ok, sono finito alla mia quarta lanterna…”. La lanterna che Dario stava punzonando, per la cronaca era la mia 3. Per andare al secondo grappolo di punti, giro in senso orario perché non mi fido più ad attraversare i vigneti. Poi altro giro da nord per andare dalla 8 alla 9, ed una volta terminata la salita verso la 10 non rimane che lasciar andare le gambe verso il lago fino al traguardo.

Una volta qui, commetto l’errore cruciale di giornata: passo dal ritrovo a scaricare il chip della prima manche ma mi fermo a parlare de percorso e non mi rifocillo con un Enervit o un Carbogel che mi sarebbero tanto serviti


(la foto - by Mariano Maistrello - in realtà è del post-seconda manche, perché abbiamo in mano le carte di gara, ma il concetto è lo stesso)

Sacco-vuoto-2-la-vendetta parte per una seconda manche che prevede una prima serie di rimbalzi tra punti molto ravvicinati, una parte centrale “a lunghe percorrenze” (che non sono affatto sicuro di aver interpretato correttamente) ed un finale ancora tanto movimentato fino alla “volata” sul lungolago.

Percorso gradevoli, con Maurizio Todeschini che ha tirato fuori quanto di meglio di poteva fare per una doppia sprint intrigante e variata. Il titolo del blog non ha nulla a che fare con la parola italiana “rabbia”: sarebbe stato un gioco di parole quasi perfetto se ne avesse con la parola “fame” che però in inglese è “hunger”. Ma se di Hunger Games si fosse trattato, a causa delle condizioni in cui ho gareggiato i tributi del Distretto 2 mi avrebbero fatto secco nei primi minuti di gioco…
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