Quantcast
Channel: Stegal67 Blog
Viewing all 204 articles
Browse latest View live

Coliche, collisioni e colpi di testa

$
0
0

Correva il giorno 21 aprile 2018 quando scrivevo l'ultimo pezzo per il blog. Io già correvo molto meno. Davanti a me si stava spalancando un periodo di impegni che avevo definito "infernali" per continuità e gravosità, ma che immaginavo ricchi di soddisfazioni personali e di sorrisi. Non sapevo ancora, avrei cominciato ad accorgermene solo nei giorni immediatamente successivi, che un po' di inferno personale si stava spalancando davvero davanti a me: il mondo dal 21 aprile è andato avanti quasi 3 mesi, ed io nello stesso periodo di tempo mi sono sentito invecchiare di almeno 15 anni in un colpo solo.  

Provo a scrivere il blog per riportarmi alla pari con un racconto che in oltre 10 anni ha avuto alti (pochi) e bassi (molti), un racconto che ho scoperto essere letto da tante persone che poi, quando mi vedono alle prese con la tastiera, si danno di gomito con il vicino o la vicina e dicono "guarda... guarda... sta scrivendo IL BLOG!". Ho collezionato mappe, meno di quante avrei voluto e soprattutto che non daranno molte soddisfazioni a coloro che le scaricano per guardare i percorsi. Ho collezionato foto, parecchie. Ho continuato a collezionare ricordi, spesso annebbiati dalla fatica, dall'ansia, dai dolori fisici e dalla confusione mentale. Ma fino a questi giorni non sono riuscito a radunare la forza per rimettere su tastiera il tutto.
Cerco di portarmi in pari con la linea temporale, associando ad ogni mappa e ad ogni foto qualche impressione veloce che mi aiuterà in futuro a ricordare meglio cosa è successo e cosa sta succedendo in questi lunghissimi mesi.

***

 L'inizio: 28 e 29 aprile - Vittorio Veneto e Cansiglio

Avrei dovuto saperlo: Cansiglio non perdona! Mi viene da piangere, pensando che nel settembre 2017 ero in grado di concludere appena sopra le tre ore di gara uno dei campionati a lunga distanza più faticosi e appassionanti del secolo, ed ora non sono in grado di affrontare il vialetto di casa in leggerissima salita senza essere preso dal fiatone. Il fatto è che nel fine settimana di fine aprile non mi ha perdonato neppure la sprint di Vittorio Veneto! Sarà stato il caldo, sarà stata la precognizione di tutto ciò che mi sarebbe arrivato addosso... A Vittorio Veneto do la colpa al caldo, il primo improvviso caldo afoso di stagione.

(partenza Vittorio Veneto - la pancia non c'è più, ma non per merito di allenamento ben fatti...)

Posso solo addossare a me la responsabilità per aver mancato la strada giusta per andare in partenza (ci arrivo già bollito e disidratato) e per aver completamente mancato la lanterna 8 pur avendo scelto di correre il più possibile lungo la strada: quando mi sono trovato all'imbocco della galleria (in grigio chiaro) ho capito che non c'ero più con la testa e non posso nemmeno dare la colpa al fatto che le gallerie mi attirano sempre (Brescia docet...). Il loop finale è una sofferenza di caldo ed afa che mi lascia in testa tante tossine, come capiranno tuttti coloro che avranno la ventura di ascoltare la confusa cronaca dello speaker, il quale non ha nemmeno la decenza di cambiarsi tra la propria gara e l'inizio di quella di tutti i concorrenti (poi sono proprio io che vado a fare le pulci ai sindaci che alle premiazioni si presentano vestiti in modo improbabile...).




 

Domenica mattina all'alba il meraviglioso Ercole Pin mi porta a Valsalega, uno dei tanti ineffabili travestimento con i quali il Cansiglio Stanislao Moulinski si presenta agli orientisti. L'impatto con le pendenze che si vedono da bordo strada è pesante. Ancora di più lo è il consiglio del tracciatore Roland Pin in partenza: "Stefano, prendi la carta M40... ti diverti di più che con quella dell'Elite". Mi fido di Roland, ma sarà sofferenza e dolore lo stesso. Non entro MAI veramente in contatto con la carta di gara: in un bosco nel quale cervi e cinghiali la fanno da padroni, le tratte dalla 4 alla 8 mi vedono appoggiato SEMPRE alla strada forestale che corre parallelamente alla linea rossa da ovest ad est, con un dislivello che sale oltre la soglia del sopportabile. Arrivato al punto 8, decido di salire verso nord-ovest fino al tornante della strada forestale (la stessa di prima!) e per ingraziarmi i favori del bosco raccolgo un bottiglione di vetro lasciato lì da chissà quale viandante per portarlo almeno fino alla strada... la fatica mi fa venire da piangere. Viaggio tranquillo per 3 lanterne, ma poi l'effetto bottiglione svanisce e impiego 22 minuti per venire a capo della 12, completamente perso: quando penso di dover salire, sto scendendo; quando perso di dover scendere, ho davanti a me la montagna.


 Riesco ad arrivare al traguardo pochi minuti prima che arrivino i primi atleti veri, minuti che trascorro praticamente boccheggiante e sdraiato a terra nella (GIUSTA!) totale quasi indifferenza del resto del mondo.


 
Alla postazione speaker si avvicenderanno con me Federico Venezian, Edoardo Tona e soprattutto Elia Vettorel. Purtroppo, dopo 3 ore circa di commento con le gambe anchilosate sotto il tavolo, faccio un movimento brusco e partono ad entrambe le gambe quel genere di crampi che ti cambiano la vita! Notare che, mentre mi contorco a terra, Elia continua a smanettare sul computer per darmi gli aggiornamenti ed io tra uno spasmo e l'altro continuo ad impugnare il microfono e riferire gli arrivi. Colgo distintamente un commento che giunge dall'altra parte delle transenne, zona pubblico: "Ma guarda quel poveretto! Deve continuare a commentare nonostante il dolore!!!".




Brinzio 1° maggio

Incredibile ma vero. Nonostante i crampi ed il viaggio eterno di ritorno, ho voglia di salire a Brinzio (carta che NON amo) due giorni dopo per il Trofeo Lombardia. Non amo la carta, ma adoro il tracciato realizzato da Roberto Pompele. Gareggio sul percorso Nero e mi godo i passaggi degli Elite stranieri che dopo qualche giorno saranno al via ai Campionati Europei. Nonostante tutti mi passino come se io fossi (e lo sono) un paracarro, ogni tanto riesco a raccapezzarmi meglio in zona punto finendo per ripartire prima di qualche celebrato campione arrivato in zona a velocità da Frecciarossa. Tutto questo fino alla 16: quando penso di aver ormai superato le difficoltà più grosse, faccio un errore madornale che mi fa perdere parecchi minuti e qualche posizione in classifica.



Campionati Europei 5 - 12 maggio

Avevo preso da un anno e mezzo un impegno: essere al microfono dei Campionati Europei in Canton Ticino. Come spalla "locale" (italian speaker) di Per Forsberg: lavorare con lui è come fare un corso accelerato sul campo di "master in orienteering speakerage", ma talvolta il compito risulta parecchio impegnativo. Quando arrivo sabato in Ticino, ho il tempo di andare a fare il model event di Comano e poi quello di Cademario, prima di partecipare alla prima riunione tecnica degli Europei...






Qui scopro ciò che già sapevo: in pratica per tutta la settimana sarò il taxista-tuttofare di Forsberg.


Domenica 6 fa caldo, molto caldo. Già al mattino presto per la qualificazione sprint si boccheggia nella piazza che ospita l'arrivo, ai piedi della fortezza. Di fare il giro-speaker non se ne parla... ma è giusto così perchè il tempo è poco e c'è la postazione speaker da preparare. Ma cosa preparo, se manca l'impianto audio??? Per qualche minuto Forsberg rivive la situazione di Burano - qualificazione Mondiali 2014: anche lì mancava l'impianto audio, anche lì c'ero io come spalla. Per fortuna non è necessario cercare microfoni volanti e badanti rumene per l'allacciamento alla corrente: il camion della Rivella viene recuperato a Lugano e possiamo cominciare la cronaca in tempo.


 

Il commento di una qualificazione sarebbe una passeggiata di salute, assistita dal fatto che gli italiani vanno pure forte!, se non fosse che mi salta un dente all'annuncio dell'arrivo di Scalet. Un dente davanti, esploso proprio!

Al termine della gara cominciano i miei problemi con i cervelloni dell'IOF, già ampiamente vissuti nel 2014 (le lezioni io non le imparo mai). Nello specifico il mio problema si chiama Caroline Gjotterup, ignota (a me) concorrente danese che PER ME è qualificata per la finale e che PER IL RESTO DEL MONDO non è qualificata per la finale. Poiché sono bastian contrario, mi impunto nello spiegare perché a norma di regolamento ho ragione io. La risposta che ottengo è che le informazioni ufficiali le da Forsberg: io sono lì soltanto per dire due parole ai "minus habentes" che non riuscissero a capire l'inglese dello speaker. Se lo capisco, bene. Se non lo capisco, quella è la porta (leggi: il valico di Brogeda che mi riporta a casa).

(Forsberg, l'assistente tuttofare che ha già gli occhi neri, e l'IOF alle spalle che controlla cosa faccio e cosa dico...)

Quello stesso pomeriggio, a Mendrisio fa ancora più caldo: asfissiante. Con un dente in meno e una ferita aperta in bocca, mi chiedo cosa altro possa andare male mentre arranco sul difficile e bellissimo percorso MElite della finale sprint


 
Ciò che può andare male è la gara di Elena Roos, mia carissima amica e beniamina del pubblico ticinese, che "salta" nelle prime tratte del percorso passando all'intermedio oltre la ventesima posizione e, di fatto, uscendo dal radar di Forsberg. Dopo le varie caxxiate del mattino, i miei interventi al microfono sono ridotti alle sillabe, ed ho quindi la possibilità di seguirne la gara e la rimonta che la portano prima in quindicesima posizone, poi in settima. Il radar di Forsberg ha la caratteristica che di essere sempre più stretto mano a mano che ci si avvicina al traguardo. Io invece decido che qualche soddisfazione al pubblico ticinese bisogna pur dargliela, e di fatto alzo il volume della mia radio mentre Elena vola le ultime tratte che la portano in sesta posizione finale: di fatto sul podio lungo delle premiazioni. Risultato? Ennesimo ca$$iatone al sottoscritto. In sostanza "devo essere felice del fatto che al settimo posto c'è Sarina Jenzer (altra svizzera) altrimenti avrebbe potuto esserci un bel reclamo per via delle parole dello speaker in italiano".



Mentre il cielo sopra di noi diventa nero come il carbone, mentre i reclami e controreclami veri si susseguono in campo maschile fino a far rimandare ad altro giorno le premiazioni, la tempesta comincia ad infuriare anche nel mio cervello: grandine o non grandine, strade allagate o non strade allagate, decido di prendere davvero la strada di casa e dormire una notte nel mio lettino. Ne approfitterò per sbollire e magari per farmi mettere una toppa al dente spaccato di netto.
La sera successiva sono di nuovo a Lugano, deciso almeno a vendere cara la pelle. Martedì è prevista la qualificazione middle a Carona, con arrivo davanti alla Madonna d'Ongero in mezzo al bosco.


L'arrivo è un po'"sacrificato", ma in fondo è una gara di qualificazione ed il pubblico che arriverà nel pomeriggio per la prima tappa della 5 giorni non è quello delle gradi occasioni. Mentre la nazionale svedese perde tocchi da ogni parte, subendo una debacle, io decido di perdere un altro tocco (caviglia) andando a fare la gara del pomeriggio in Open



Il bello (brutto?) della faccenda è che non mi sono nemmeno accorto di dove ho preso la scavigliata, ma di sicuro c'è che torno a casa con una articolazione grossa come un melone: il mitico Patrik Rossetti mi vede ogni giorno sempre più infortunato e dolorante, e si chiede se non sia meglio un bel viaggio a Lourdes...


Il risultato è che il giorno dopo, a Monte San Giorgio, dove nel lontano 1999 ho vinto la mia prima gara di orienteering e dove negli anni successivi ho vinto per tre volte di fila al TMO, devo limitarmi a zoppicare tra la postazione speaker e gli immediati dintorni. Con me zoppicano anche Tove Alexandersson, che si infortuna mentre perde una chiara medaglia d'oro, e Marika Teini, che si infortuna pure lei ma la medaglia d'oro insperata la vince dopo che la svizzera Julia Gross viene squlificata per aver saltato un punto di controllo.

A me però stanno facendo effetto le miracolose cure della farmacia di Vezia: venerdì riesco addirittura a schierarmi al via del Campionato Svizzero sprint che si disputa a Tesserete: gareggio in Open ed il percorso è decisamente carino tra i vecchi borghi di Vaglio


Mi sento persino in grado (camminando) di andare a provare una delle frazioni della staffetta sprint relay che si disputa a Tesserete nel pomeriggio, e che vedrà tra le protagoniste anche la nazionale italiana (il che mi consentirà di prendere un po' di spazio al microfono). La vittotia finale della svizzera, con Elena Roos in quarta frazione, mi regala persino una intervista finale in italiano, in diretta per la televisione, con la protagonista.



Si arriva al venerdì, ua giornata che per molti altri versi sarà molto molto complicata. Il mio impegno orientistico si limita alla partecipazione alla rapidissima "VIP race" che si disputa ancora a Vaglio quasi sullo stesso terreno della gara sprint del giorno prima



Il sabato si corre la staffetta "boschiva". Se la caviglia va meglio, le forze sono al lumicino ed il cielo promette disastri. Però il bosco di Tesserete è uno dei miei preferiti ogni epoca, e quindi riesco a fare il giro di una delle frazioni maschili in poco più del doppio del tempo che impiegheranno alcune staffette impegnate negli Europei

Visibilità ampissima, fondo del terreno in perfette condizioni, passaggi ravvicinati nella zona della Torre di Redde... è la mia ultima fatica nei boschi del Ticino: il giorno dopo è prevista la long-ultra-long a Capriasca e non ho intenzione di mettere il naso fuori dalla postazione speaker; alcuni anni fa ho deciso che "io Capriasca la voto" (nel senso che ci ho messi una croce sopra) e per evitare altri guai decido di rimanere ben adeso al piano originale.


Durante la gara si scatena il sole, il diluvio, il di-tutto-di-più. Le premiazioni sono interminabili ma la regia è impeccabile come l'abbiamo avuta per tutti i giorni dei campionati Europei

 (schema premiazioni - mi sembra di ricordare qualcosa che avevo scritto sui Mondiali 2014...)

Ne posso approfittare quindi per girare nel parterre e dimostrare ancora una volta che non sono il campione del mondo dei selfie...









Quando domenica sera rientro a casa sono sfinito, distrutto nel fisico e nel morale; le cose cominciano ad andare a catafascio ma ancora non mi rendo conto di quanto sta diventando profondo il pozzo.

Campionati italiani a Passo Lavazé: 19 e 20 maggio. Non pervenuti.


Dopo tantissimi anni, devo rinunciare ai Campionati Italiani. Ci sarei ansato ovviamente anche senza essere speaker: il GS Castello mi aveva annunciato il fatto che sarebbe stato Mario Broll, lo speaker di alcune delle mie gare da concorrente tanti anni fa, a condurre la cronaca live dal campo gara. Ho rinunciato per le mie pessime condizioni fisiche, unite al fatto che il 19 maggio era il primo anniversario della scomparsa di papà.

Coppa Italia e Relay of the Dolomites 25-26-27 maggio

In un dei momenti peggiori di queste settimane arrivo a Mezzolombardo per il "Trofeo Carlo e Franco" del venerdì sera. Le mie condizioni fisiche mi consentono di fare solo una breve passeggiata lungo il percorso: l'anno scorso avevo fatto tutti i 4 giri da solo... C'è folla di orientisti tedeschi, che ovviamente non riconosco il che rende un calvario (per chi mi sta a sentire) la cronaca della gara con i continui cambi tra le 4 frazioni della staffetta.



Il giorno dopo, sabato, si sale a Costalovara-Wolfsgruben per una delle gare che stavo aspettando da più di un anno. Ovviamente non sono in grado di fare quasi nulla, e mi accontento di fare una passeggiata sul percorso Esordienti, beandomi di passare in un bosco bellissimo e silenzioso.




Quando il giorno successivo si prosegue il tour per andare alla Relay of the Dolomites, la salita per arrivare alla zona di partenza (1,5 km + 150 metri di dislivello) risulta troppo per le mie condizioni. Niente foto, niente mappe, niente di niente per una giornata che anche come speakeraggio si dimostrerà molto lunga e faticosa (probabilmente troppo per il mio stato).


Gare lombarde - 2 e 3 giugno

Nonostante i giorni che passano, lo stato generale non migliora. La cosa migliore da fare sarebbe stare a letto e recuperare energie fisiche e mentali. Spinto dagli amici, scivolo fuori dal letto per andare a gareggiare in una bi-sprint a Loreto-Longuelo. Si tratta di una gara di Trofeo Lombardia tracciata in un quartiere nel quale le siepi che delimitano le case formano una specie di labirinto. I percorsi di Maurizio Todeschini, già testato come coursesetter, risultano davvero avvincenti al punto che riesco persino a non arrivare ultimo in classifica nella prima manche nonostante il pessimo stato di forma. Devo ancora scoprire il segreto per poter affrontare le seconde manches, però: la mia testa ci mette del suo, regalandomi una partenza nella quale sbaglio di quasi 180° la direzione da prendere (finendo dritto al punto 7); il caldo ancora una volta asfissiante mi da la mazzata finale, facendomi barcollare persino per i pochimetri che separano il ritrovo dal luogo in cui ho parcheggiato l'auto. Bellissima gara, però: percorsi divertenti e complimenti per il coraggio mostrato dagli amici dell'Agorosso nel portare una gara di Trofeo Lombardia in un luogo fuori dal comune.

Domenica ci sarebbe un'altra gara di Trofeo Lombardia, ma la Liguria mi appare lontana come Shangri-la. Su una pagina facebook compare l'annuncio di una gara promozionale a Moltrasio, sulle sponde del Lago di Como. E' organizzata dai ragazzi del locale Liceo Sportivo che si sono appoggiati all'Orienteering Como per realizzare una carta di gara, un percorso, una gara promozionale: come si fa a non avere voglia di andare a sostenere con la propria presenza una iniziativa come questa? La gara risulta essere una specie di remake della bella promozionale dell'anno prima a Sueglio-Vestreno organizzata dal Nirvana Verde: il paese sulla sponda del lago è praticamente "in piedi" e le curve di livello si macinano a decine andando su e giù per le scalette ed i gradini che costellano il paese.


Con le mie condizioni fisiche sempre al limite, faccio alcune tratte del percorso insieme ad un gruppetto di signore che evidentemente conoscono molto bene il posto ma che si fanno su da sole quando è il momento di andare al punto 13: "bisogna arrivare fino al molo!" dice la prima... "ma intendi il molo o l'imbarcadero?" dice la seconda... la terza prende la testa del gruppetto e si dirige verso... verso l'arrivo praticamente! Seguiranno altri incroci con il trio di sciure: le sentirò a lungo smoccolare tra di loro per essersi mandate in confusione da sole, e poi smoccolare nei miei confronti perché "quello là aveva trovato la strada giusta e non ci ha detto niente!".

Al termine del percorso, il mio stato fisico mette fuori un conto salato, al quale aggiunge come "mancia per il cameriere" un dolore al ginocchio che mi seguirà per tante settimane.

Due giorni di Coppa italia - 9 e 10 giugno

Arrivo in condizioni più che pietose al termine del tour de force: nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto essere un periodo faticoso e ricco di impegni ma da concludere con il sorriso sulle labbra. Fisicamente sono uno straccio e mi reggo in piedi solo se non tira vento. A Merate, per la gara sprint di sabato, avevo corso due anni fa in un campionato regionale sprint sotto la pioggia ed il vento forte: una bella carta, un bel percorso, e l'invito personale alla Polisportiva Besanese a proporre Merate per una gara nazionale. La Besanese prende atto, mette in atto e a due anni di distanza corriamo un'altra bella gara che credo abbia soddisfatto soprattutto i concorrenti della Elite, quella categoria alla quale avrei voluto prendere parte con l'unica velleità di correre dal primo all'ultimo metro. Mi devo accontentare di arrivare al ritrovo con ampio anticipo e prendere le due carte del percorso Elite, da camminare dal primo all'ultimo metro perché i piedi non mi consentono di fare altro. La partenza è in discesa, nel parco dove tante volte da studente sono andato a pranzare o fare merenda quando frequentavo l'Osservatorio, alla ricerca della agognata laurea in fisica... parto con una lacrimuccia di commozione, che va a confondersi presto con il sudore provocato dall'afa di questa fine primavera brianzola.

Menzione speciale della gara per il piccolo Mattia Vecsey che alla partenza anziché la M12 prende la carta della M21, non si fa scoraggiare in alcun modo dal percorso ed arriva al cambio carta di metà gara per il secondo giro. Purtroppo non sono disponibili foto delle facce degli organizzatori al cambio carta!


Dopo un trasferimento epocale attraverso la brianza lecchese, si approda in Valle Imagna a Fuipiano. Si tratta del paesino che lo speaker aveva decantato durante tutte le cronache primaverili "Fuipiano = Fui piano!" per i dislivelli che i concorrenti avrebbero trovato in gara. Tutto ciò che riesco a fare, prima di abbandonarmi alla cronaca della gara (senza mai avere certezza del fatto che la mia voce stava raggiungendo o meno il luogo del ritrovo dove stavano tutti gli atleti) è il percorso Esordienti-under12. Riuscendo a perdermi anche su questo percorso...

Poi arriva il momento di tornare a casa. Ho un fine settimana di riposo prima di quello che avrebbe dovuto essere un altro degli appuntamento clou di questa stagione: la 5 giorni d'Italia a Madonna di Campiglio.
Troverò le forze per scrivere anche di questa?


5 giorni di Per e di me (senza per forza scomodare Baglioni...)

$
0
0


Per la mia seconda settimana di orienteering del 2018 non ho bisogno di attraversare il confine di stato: mi basta arrivare a Madonna di Campiglio per la 5 giorni d'Italia. Mi sono iscritto con ampio anticipo, un po' spaventato (e forse anche "incentivato") dal numero chiuso posto dall'organizzazione a 1500 iscritti. Dopo aver valutato le mie forze, per una volta consapevolmente, ho optato per una iscrizione in una saggia categoria over-45; poi, improvvisamente, mi arriva dalle terre scandinave la richiesta di affiancare Per Forsberg come speaker in italiano. Ho pensato: "Vabbé... già che sono lì..."
La questione-speaker assume, mano a mano che ci si avvicina alla gara, una connotazione che prende la piega di una sorta di dualismo tra le due persone che dovranno condividere il microfono. Io sono sempre felice di poter commentare le gare, di poter dare una mano ad una organizzazione nostrana: d'altra parte o faccio lo speaker o faccio il parcheggiatore di auto… lo dico con il massimo rispetto che provo per tutti coloro che sacrificano giornate di ferie e tempo per immolarsi in ruoli che non hanno una visibilità e non trovano un riconoscimento immediato, ma che rivestono tutti una notevole importanza per garantire la riuscita di una manifestazione sportiva. D’altra parte nessuna persona sana di mente mi affiderebbe un ruolo tecnico, e diciamo pure che dopo tanti anni sono arrivato persino io a convincermi che come speaker non sono malaccio.
Ovviamente sono rimasto fin dall'inizio molto perplesso per via del fatto che le presenze italiane alla gara di Madonna di Campiglio rimanevano molto limitate nei numeri, con gli scandinavi a farla da padrone: appare evidente che l'evento ha un appeal maggiore per i nordici, nonostante i costi calmierati per i tesserati FISO, ed è altrettanto evidente che uno speaker come Per Forsberg costituisce per tutti gli stranieri non sono una fonte di richiamo ma anche una ulteriore garanzia del livello dell'organizzazione. Nel momento stesso in cui Forsberg viene annunciato come speaker, so che il mio ruolo non potrà che essere quello di spalla-tuttofare: in effetti nel corso di 5 intensissimi giorni farò da commentatore televisivo, da intrattenitore, da autista... darò la caccia alla carta igienica per i toi-toi quando rimangono senza, procaccerò metri di nastro adesivo per fissare al tavolo dello speaker le classifiche, cercherò di rubare al ristoro le casse di acqua necessarie per alzare il livello dei monitor a disposizione dello speaker al livello giusto, gestirò anche un incidente avvenuto in parcheggio tra due auto di svedesi. La postazione speaker costituisce sempre un polo di attrazione inevitabile per tutti coloro che devono segnalare qualcosa, o che vogliono lamentarsi per qualche situazione strana (ma anche per fare complimenti ed apprezzamenti): quando succede qualche imprevisto, Forsberg prende nota, di solito dopo aver ascoltato l’interlocutore in qualche lingua a me ignota, e poi si gira verso di me come a dire “io sono lo speaker e da qui non mi muovo, tu hai capito cosa sta succedendo e quindi tocca a te trovare qualcuno che risolva il problema”. Di episodi di questo tipo se ne verificano sempre parecchi, d’altra parte la postazione speaker alle nostre gare non è “blindata” come all'O-Ringen.
(... il guardiano del corridoio di arrivo alla quinta tappa...)
Credo a questo punto di potermi permettere, visto che sono alla terza esperienza come spalla del grande Forsberg (e avendo "testato" anche altri speaker internazionali) un parere personale sul personaggio, sull'uomo e sul suo ruolo.

Per Forsberg è incredibile! Sarà che c’è una certa compatibilità di ricordi perché, viaggiando entrambi verso i 55 anni, abbiamo vissuto più o meno le stesse imprese sportive (talvolta lui le ha viste da vicinissimo come tv-commentator o come spettatore dal vivo, mentre io posso rammentare solo qualche immagine televisiva dello stesso evento). Ma assicuro che passare una sera con Forsberg a sentir raccontare storie sportive che risalgono fino agli anni '70 è qualcosa di impagabile. Tra l'altro sembra che disponga di una sorta di "memoria totale", e con quella può cominciare a snocciolare aneddoti conditi da risultati, prestazioni, tempi, piazzamenti... l'unica volta che l'ho visto in difficoltà è stato quando ho citato Heini Hemmi e le Olimpiadi del 1976 di Innsbruck (ma, bisogna capirlo, quella volta Hemmi e Good misero nel sacco un certo Ingemar Stenmark... e quindi forse Forsberg ha intenzionalmente rimosso l’evento dalla memoria). Quando mi è capita di dargli il "go" su qualche ricordo del passato, vedo i suoi occhi fissare nel vuoto per un paio di decimi di secondo... il tempo di recuperare il file dalla memoria totale..., e poi quegli stessi occhi si spalancano e la voce che tutti gli orientisti conoscono benissimo inizia il suo racconto, dal vivo e non su uno streaming scalcagnato! E’ come il pifferaio di Hamelin: starei ad ascoltarlo per ore.

Cosa potrei mai insegnare io ad uno così? Forse solo di andare a provare il percorso prima delle gare, che è quello che faccio da più di 10 anni a questa parte? Beh... non so da quando Forsberg si cimenta anche in questa veste, ma a Madonna di Campiglio lo ha fatto: si è messo la tuta e le scarpette, ha preso su la sua cartina e la sua bussola ed è andare a testare il percorso H55 in modalità-gara. Avendo visto i suoi tempi ed i suoi percorsi, posso assicurare che dal punto di vista tecnico ed atletico darebbe la paga a tanti master nostrani!

Poi c'è il Per Forsberg al microfono. La sua professionalità raggiunge livelli inimmaginabili, da autentico numero 1 del ranking: non può che essere così, visto che è il suo lavoro. Sono convinto che una settimana a fianco di Forsberg costituisca per qualunque aspirante speaker una sorta di dottorato da mettere nel curriculum: l’attenzione nell'allestimento passo dopo passo della postazione (ne ha fatto una scienza in fatto di ergonomia… cosa indispensabile quando ci si prepara ad una cronaca che dura alcune ore), la preparazione della gara fatta di ricerche certosine dei risultati precedenti, dei medaglieri degli ultimi anni, degli orari di partenza dei favoriti e dei potenziali tempi di passaggio ai punti radio ed al traguardo degli stessi favoriti. E poi la verifica sulla carta di gara della posizione dei punti radio; oppure ancora l'allestimento di quei “pre-punti radio” che costituiscono uno dei segreti di Forsberg: punti che restano invisibili al pubblico che segue dal vivo o su internet ma che gli danno la possibilità di anticipare e dare la giusta enfasi a quello che potrebbe succedere... e che ovviamente poi succede veramente! Chiaramente tutto questo è funzionale al commento di una gara a beneficio di un pubblico pagante, che vuole trovare nel commento competenza e ufficialità.

In queste situazioni emergono tutte le differenze tra un professionista, che rimane tale anche quando la gara è un po' più rilassata (come nel caso della 5 giorni), ed il cazzaro rappresentato da me medesimo, visto che io tenderei a mantenere il mio consueto registro anche al commento del campionato del mondo. Nel mio mondo da speaker non sempre (anzi quasi mai) ci sono i punti radio, anche se posso contare ormai sempre più spesso dell’ausilio di un computer (contrappasso: non sempre posso avere gli aggiornamenti on line) e quindi il mio registro è tutto dedicato a tenere chi mi ascolta “attaccato all’evento”, in attesa che si verifichi qualcosa di imprevisto, di memorabile o semplicemente di strano; sono diventato lo “speaker del popolo" che nelle prime ore di gara dedica un filo di voce ed un annuncio un po' a tutti, senza dover pesare il rango, i quarti di nobiltà, le medaglie vinte. Questo è il mio mondo. E lo sarà finché me ne sarà data la possibilità o finché avrò le forze ed il tempo per girare in lungo ed in largo per frequentare le gare di orienteering.

Da sportivo, auguro a tutti i veri sportivi ed appassionati di poter passare almeno una serata in compagnia di Per Forsberg per apprezzarne le competenze, lo humour, il senso della storia e dei ricordi: tutte cose che vanno a costituire la trama su cui poi intesse le storie sportive che racconta al pubblico. Allo stesso modo, da speaker auguro a chiunque abbia voglia di imparare come si fa davvero questo mestiere, ma impararlo in modo professionale intendo, di poter affiancare Forsberg durante una cronaca diretta.
(la premiazione per i miei 25 anni di orienteering)

***

Iscritto in M45 senza alcuna velleità di classifica, al mio arrivo a Madonna di Campiglio con incarico di speaker ho pensato che avrei potuto operare qualche variazione sul tema, soprattutto in considerazione del fatto che ci sarebbero state due gare sprint (a mio parere ne sarebbe bastata una: due gare sprint cittadine su cinque tappe sono una percentuale un po’ troppo sbilanciata…).

Martedì mattina il mio primo impegno è stato sul percorso di Madonna di Campiglio, in veste di apripista sul percorso Elite maschile. Dopo essermi recato alla partenza sotto gli occhi di metà degli stranieri partecipanti alla gara, ho avuto la fortuna di rantolare tra una lanterna e l’altra proprio nell’orario in cui tutti quanti erano probabilmente più impegnati a mangiare in albergo che a passeggiare in zona gara


(… con Marco Bezzi, che il cielo ce lo conservi a lungo… in fase di controllo di un paio di passaggi che avevo trovato chiusi lungo il percorso…)

Per la seconda tappa si sale finalmente nel cuore della 5 giorni, al rifugio Boch ai piedi della Pietra Grande, ovvero sul Grosté. La carta è praticamente quella della Luna e sfido chiunque a trovarne un'altra simile! Trovo il primo punto praticamente “per grazia ricevuta”, seguendo i rilievi una buca dopo l’altra, ma per arrivare al punto 4 devo appoggiarmi al posatore Maurizio Ongania, che mi indica letteralmelmente la posizione della lanterna. In caso contrario sarei ancora lì a cercarla!

(la zona di arrivo vista dal penultimo punto: un piccolo spettacolare avvallamento che meritava la foto)

(il punto 9 visto dalla cima della discesa)
(il punto 9 visto dalla fine della discesa... fatta sul mio onorevole posteriore!)
Tappa 3. Ancora Grosté, ancora un posto benedetto dal Geometra dell'Universo. Questa volta si gareggia dalla parte opposta, verso le malghe. Rispetto alla “Luna” del giorno prima, il terreno sembra un parco cittadino ed i rilievi si leggono benissimo, ma la fatica del rientro al traguardo in salita è una sofferenza indicibile.



(la mia panza in posa per un fotografo d'eccezione: Denny Pagliari. D'altra parte anche il mio punto 9 è stato eccezionale, ed una foto la meritavo proprio)

(terzo punto del percorso, con panorama sulle malghe)
(quarto punto del percorso: non è proprio lo sfondo di cui posso godere ad ogni gara)
(decimo punto: qui Denny non era ancora passato... in questi punti il mio orienteering stava diventando "gueorgiouiano" - si può dire così?)
(con la lingua tra i denti - come Michael Jordan - al punto 17: la salita comincia a farsi sentire)
(il punto 12: uno scherzo dopo aver trovato tutti i precedenti... e quelli del giorno prima!)
(si vedono bene le curve di livello, vero???)
Tappa 4. Passo Campo Carlo Magno. Non è una delle mie carte preferite, ma credo che cominci a farsi sentire soprattutto la fatica dei giorni (e delle settimane) precedenti. Un sacco di marmotte in giro, tanto bosco “sporco” nelle prime lanterne e la soddisfazione di aver trovato Forsberg perso vicino al punto 2!
L’ultima tappa è ancora cittadina, tra Carisolo e Pinzolo. In partenza sono completamente bollito dalla fatica: la prima tratta che mi porta fino al boschetto di Carisolo posso affrontarla solo camminando

***


Già che sono arrivato fino a qui... tanto vale che aggiungo anche questa (non breve) conclusione per un argomento che mi sta molto a cuore.

Sono stato speaker alla "5 giorni d'Italia" di Madonna di Campiglio, così come in passato lo sono stato all'edizione di Agropoli-Paestum-ReggiadiCaserta dei Mediterranean Open Championship (e, se vogliamo mettere la ciliegina sulla torta, posso dire di essere stato uno dei quattro soli italiani a partecipare alla 5 giorni di Toscana disputata dopo i Campionati Italiani di Loco di Rovegno, la 5 giorni con l’indimenticabile – almeno per me - kermesse finale sulla carta della "Buca del gatto"). L'organizzazione di queste gare ha un comune denominatore nella società PWT.
Mai come quest'anno mi è capitato di sentirmi definire "dalla parte dell'uno \ dalla parte dell'altro" sulla base delle mie adesioni a ricoprire il ruolo di speaker a questa o quella gara. Ad esempio, la prossima gara per la quale mi sono dato disponibile è il Campionato Italiano che si disputerà in Puglia il secondo fine settimana di settembre. A chi mi chiede “alla fine da che parte stai?” essendosi costuito uno scenario plausibile sulla base delle gare alle quali partecipo o faccio lo speker, rispondo questo: finché qualcuno me lo chiederà ed apprezzerà il mio contributo, nei limiti delle mie possibilità di tempo, di energie e di ferie disponibili, cercherò di fare il mio meglio come speaker e, in generale, come sportivo. E questo vale per tutte le organizzazioni e per tutti gli orientisti.
Mi accorgo che il mondo dell'orienteering è sempre più un piccolo specchio della nostra società civile, con tutti i comportamenti, le espressioni, le lotte e le polarizzazioni del caso (si, Marco: hai perfettamente ragione quando dici, come stai facendo adesso "te ne accorgi solo ora? E ti meravigli pure?"). Mai come quest'anno mi è capitato di assistere ad una polarizzazione così forte tra i due schieramenti che (se succederà davvero?) si confronteranno nella prossima edizione della Assemblea Elettiva Fiso.

Per quanto possa sembrare strano a qualcuno, sarei davvero felice se tutte le anime della FISO che si stanno dilaniando in lotte ormai fratricide potranno trovare spazio adeguato all'interno di un Consiglio Federale che ha la fortuna di gestire, in un territorio tra i più scenografici del pianeta (mari, montagne, laghi, città d’arte…), uno sport che rimane tra i più attraenti sotto qualunque punto di vista. Pago la mia quota di iscrizione alle gare, e ricevo in cambio la possibilità di gareggiare fianco a fianco con tanti appassionati in un contesto nel quale difficilmente mi troverei in circostanze meno agonistiche: a me valutare se la spesa che ho affrontato è stata "value for money". Durante l'ultimo viaggio per andare a gareggiare alla Wolf-O si ricordavano le gare di Volterra, meravigliosa sotto la pioggia. O quella di Vieste sotto il sole con il passaggio nella città alta e l'arrivo sul lungomare. Oppure il borgo di Castagneto Carducci nel quale ci ha accolto un vento freddo da regata. I borghi dell'entroterra pugliese con i loro labirinti. Paestum! Ci sono orientisti che hanno nel loro profilo facebook la foto di una lanterna a pochi metri da uno dei templi! Una gara "once in a life" che, campassi 102 anni (perché devo pur sempre vincere 2 volte l’O-Ringen in H100...), potrò citare in qualunque consesso orientistico per dire "io c'ero e voi no (suka!)". La stessa cosa vale ad esempio per le due tappe della 5 giorni 2018 disputate al Grosté, la seconda e la terza. L’orientista che è in me (uno dei molti orientisti, vista la stazza che mi porto in giro… ) si chiede se mai la carta del Grosté potrà essere riutilizzata in una qualche manifestazione nazionale o internazionale: troppo irraggiungibile senza l'ausilio dell'ovovia (che costituisce un costo a parte da aggiungere a qualunque entry fee), forse anche il Grosté ha rappresentato per me una "once in a life", ma è valsa la pena andare a gareggiare su quel terreno.
Quindi io partecipo alle gare organizzate da "questa" e da "quella" parte, e se qualcuno me lo chiede faccio pure lo speaker . Ascolto gli organizzatori di "questa" e di "quella" parte e costruisco i miei pareri personali. Tra questi, c'è il fatto che l’idea di una 5 giorni congegnata per portare gli orientisti in luoghi sempre più scenografici a me piace: riconosco il fatto che ci sia un chiaro fattore economico che muove l’evento, e spero che un evento di queste dimensioni (anche proprio dal punto di vista del bilancio) possa continuare a costituire un valore aggiunto per la FISO. Dopodiché sono il primo a dire che mi dispiace (l'ho fatto presente anche durante la cerimonia di inaugurazione) che sia molto lontana l’immagine di una FISO coesa, a partire dal Consiglio Federale di cui sono note le vicissitudini. “Gens una sumus”, che sarebbe pur sempre il motto di un’altra federazione, non sembra più essere tanto di moda dalle parti di chi si cimenta con cartine e bussole. Ad esempio durante la cerimonia di inaugurazione sono stati citati e ringraziati per la loro presenza gli ex consiglieri federali presenti di "questa" parte e non di "quella" parte, sebbene io li conosca tutti quanti come persone meravigliose che dedicano tempo, fatiche, preoccupazioni al nostro sport: sia quelli che stanno da una parte che quelli che stanno dall'altra.

Sono tutti atleti, dirigenti, tecnici pronti a darsi da fare nel fango o sotto la pioggia per posare una lanterna, per combattere con la burocrazia fino a pochi secondi prima della partenza di una gara nazionale, per trovare una soluzione alle mille incombenze di una organizzazione sacrificando le ore di sonno tra una giornata lavorativa e l'altra oppure la cura e l'attenzione verso la propria famiglia. Quando guardo e parlo con gli orientisti, di “questa” e di quella” parte, vedo tantissime qualità positive che superano di gran lunga gli aspetti negativi con i quali ormai ci si accusa vicendevolmente di peccati imperdonabili. Quindi, lasciando da parte il microfono ed il ruolo di speaker e tornando a vestire i panni del semplice orientista quale sono, vorrei chiedere perché non è possibile andare d'accordo e trovare una sintesi tra le diverse posizioni ed i punti di vista? Per favore spiegatevi, parlatevi, non lanciate agli orientisti messaggi del tipo "un giorno saprete la verità...""se soltanto sapeste cosa sta succedendo realmente...". Perché sta succedendo tutto questo?Talvolta trovare una lanterna in un sottobosco fitto, con qualunque punto di attacco lontano mille miglia dal centro del cerchietto color magenta, sembra essere diventato un gioco da bambini rispetto alla soluzione a questa domanda.
Ma si tratta di un gioco pericoloso, a causa del quale stiamo tutti rischiando di perdere qualcosa che ci sta molto a cuore: il nostro sport preferito.


 

La leggenda di papà Grassi

$
0
0


Questa mattina su whattsapp si è diffusa la notizia della scomparsa di Maurizio Grassi. Forse è un nome che non dice molto agli juniores di fuori Lombardia, o ai neofiti approdato all'orienteering in questi ultimi anni, ma si tratta di una delle persone più competenti e squisite che ho mai incontrato in 26 anni di cartine e bussole, ai cui sforzi dobbiamo la possibilità di poter praticare il nostro sport preferito ancora oggi.
Se chiudo gli occhi, mi sembra di vederlo o di sentire le sue parole: la sua presenza e la sua voce mi hanno accopagnato fin da quando ho cominciato a praticare l'orienteering. Una persona sempre gentile anche con chi, come me, nei primi anni si faceva vedere davvero di rado; un viso sempre solare e sorridente, sempre paziente, con una voce calma e pacata e soprattutto sempre positiva quando si trattava di dare un piccolo incitamento prima di andare in partenza, o persino nel bosco quando ci si incontrava lungo una tratta o in prossimità di una lanterna. Un Signore dei boschi.

Ricordo la sensazione all'arrivo nel prato alla "5 giorni del Portogallo" ad Aveiro. In mezzo ad un nugolo di stranieri arrivati fino a lì da ogni dove, la prima persona che ho incontrato, seduta all'ombra della veranda dell'onnipresente camper di famiglia, è stato proprio papà Grassi. Il solo vederlo, lì a 2000 km da casa come poi ad altre gare internazionali, mi dava immediatamente l'impressione di essere a casa; anche se quella volta, per sua stessa ammissione, le sue prime parole furono "di tutti i posti dove pensavo di incontrarti, questo è sicuramente l'ultimo". Ma erano bastate queste parole per farmi sentire protetto: dovunque io mi fossi perso nei boschi del Portogallo, papà Grassi sarebbe comparso da dietro un albero per indicarmi la strada per la prossima lanterna.

Non ci metto molto a trovare il pezzo del blog dove avevo citato un particolare episodio:
"... affronto il mio percorso W16 “à la papà Grassi”. Breve inciso: tutti gli orientisti lombardi che sono passati dalla categoria HC hanno una leggenda da raccontare su papà Grassi. La mia risale a metà anni ’90 in zona Sesto Calende: io, giovane ed inesperto, a correre a destra e a manca senza testa; papà Grassi a camminare da un punto all’altro sullo stesso percorso, arrivando sui punti ogni volta prima di me, o insieme a me, ma mai dopo. Questa leggenda l’ho sentita raccontare anche da PLab, da Alessio, da altri. Bene: la mia W16 è stata una gara “à la papà Grassi”, con le ragazzine scandinave che correvano attorno a me ed il sottoscritto, sulle rocce di Mala Lazna con le scarpe da passeggio, a fare spesso da punto di riferimento".

Avevo collocato questo episodio "in zona Sesto Calende", ma sono sicuro che la stessa cosa si è verificata anche a Meda (1993), o in qualche gara sulle carte della Brughiera Nord o Sud. Posso cambiare la località, ma non cambieranno mai le ultime tre parole del brano che ho citato: "Punto di riferimento". Papà Grassi (non sono mai riuscito a chiamarlo per nome, Maurizio, in nessuna occasione) è davvero un punto di riferimento per me e, penso, per tanti altri orientisti che hanno cominciato negli anni '90. Non scrivo "è stato" un punto di riferimento, perché continuerà ad esserlo: lo cercherò con gli occhi ai ritrovi delle gare regionali e nazionali, sono sicuro che il mio cuore mi farà vedere la sua immagine sorridente, ed io continuerò a sentirmi protetto come quella volta in Portogallo.  
Grazie papà Grassi per tutto quello che hai fatto per gli orientisti. Ai nostri comportamenti ed ai nostri sforzi sportivi affidiamo il compito di non disperdere tutto ciò che ci hai insegnato.

Una estate tutta Gronlait

$
0
0
Come resistere al richiamo della O-Marathon, la gara promozionale più "mittica!!!" del calendario orientistico? Beh… Sarebbe sufficiente dare ascolto alle gambe che, durante la 5 giorni di Campiglio, si sono mosse a velocità-bradipo; o al cervello che ha mostrato di essere in totale cortocircuito durante la medesima 5 giorni. Anche i polmoni, svuotati da una bronchite cronica con complicazioni di altro tipo, potrebbero facilmente mettere il veto su una mia eventuale partecipazione alla gara. La quale è posizionata in calendario a due settimana di distanza dalla 5 giorni, e quindi troppo presto per sperare in un rigurgito di energie in quantità sufficiente da poterle spalmare sui non meno di 20 chilometri con non meno di parecchie centinaia di metri di dislivello che mi aspettano anche nella categoria di contorno.


Quindi è deciso: quest'anno la O-Marathon si salta! Non ci si va! Punto. E' ufficiale. Lo dico anche agli amici. Mentre lo dico, anzi ogni volta che lo ripeto, scorrono davanti a me le immagini degli amici che si troveranno nel parcheggio dell'Hotel Vezzena: si troveranno da una parte i pratoni delle malghe che portano verso il bosco, dall'altra la strada che sale dolcemente verso Forte Kerle, dietro di loro i boschi di Spiazzo Alto o quelli che partono dalla Scala dell'Imperatore.


Ma se ho deciso che non ce la posso fare, non ce la posso proprio fare! Il volantino parla addirittura di "Traversata del Monte Durer"! Non riesco neppure a salire un piano di scale a piedi... cosa voglio attraversare? Il fatto è che gli amici arrivati al parcheggio dell'Hotel Vezzena si sarebbero trovati davanti anche Dario Pedrotti (uno spettacolo quando corre, anche se non paragonabile alle bellezze di Passo Vezzena). Il quale alcuni anni fa aveva scritto: È ad una ora imprecisata fra le 7.30 e le 8.30 che ha inizio la o-marathon 2012, e il momento esatto è quello in cui al ritrovo di forte Cherle scende dall'auto Stegal. Può essere che il cappellaccio sgualcito, gli speroni, il sigaro smozzicato e il giubbotto in velluto con le frange me li sia immaginati io, ma lo sguardo alla Clint Eastwood, quello no. Lo sguardo che dice "tranquilli ragazzi, ci sono, si può cominciare anche questa volta”


Mmmmm… E se invece ce la facessi? Ci provo, non ci provo, ce la posso fare, no non ce la posso fare... mi iscrivo! Mi iscrivo e poi vediamo che succede. Insomma. Parafrasando Andrea Castelli al cospetto delle stanghe del treno di Mattarello: "Prima mi iscrivo... e poi con la O-Marathon in qualche modo ci veniamo incontro!".
Alcuni anni fa nel parcheggio dell'Hotel Vezzena di era svolta una strana cerimonia: Matteo Sandri e Roberto Pezzé mi avevano consegnato il mio primo pettorale over-45 della carriera. Gli anni passano... quest'anno per la prima volta mi sono iscritto alla O-Marathon (mai fatto prima, mai fatto dopo... finora) in over-50: troppo dura la over-35 per il mio stato di forma, ed in over-50 avrei potuto fare la gara insieme ad Attilio. Credo che mai scelta fu più azzeccata! Lo dico giudicando dalla faccia di Fabio Hueller (lui si ancora over-35) che è 100 volte più forte di me e che negli ultimi km del percorso era davvero sfinito sia dal punto di vista fisico che da quello orientistico. Io di sicuro non avrei mai potuto farcela. Forse.


Iscrivendomi in over-50, tra l'altro, lancio una provocazione agli organizzatori del Gronlait: dopo aver partecipato a N edizioni in Elite e ad una edizione in over-35, sono il primo ed unico concorrente ad aver preso parte alla O-Marathon degli Altipiani in tre differenti categorie! Annuncio anzi con fervore che, per battermi, i ragazzini che in questi ultimi anni si sono iscritti in under-20 dovranno aspettare più di 30 anni per arrivare alla over-50 e fare meglio di me! Quindi per 30 anni il mio primato dovrebbe essere salvo. L'organizzazione del Gronlait, bonta sua, non chiama l'ambulanza con la camicia di forza ma si limita ad una risposta via email: "Hai ragione, abbiamo controllato, sei il primo che riesce in questa impresa". Impresa... è sufficiente invecchiare!

 



Forte del mio primato riconosciuto, arrivo al parcheggio dell'Hotel Vezzena intenzionato innanzitutto ad arrivare al traguardo in condizioni appena decenti. Attorno a me, in una splendida giornata di sole, ci sono tutte le bellezze naturali che conosco bene, c'è Dario Pedrotti ancora più magro del solito, e ci sono i ragazzi del Pavione che mi fanno diventare alto tre metri annunciando di fronte a tutti che, durante il viaggio tra Imer e Vezzena, avevano studiato sul mio blog le carte e le scelte di percorso e tutti i trucchi per venire a capo del percorso! Scusatemi se ancora adesso, al solo ripensare a quella frase, mi alzo di qualche decina di centimetri...



In partenza si respira la solita belissima atmosfera del tipo "si ok è una gara, ma diciamo che aspettiamo qualche chilometro prima di cominciare a scannarci... la partenza è sempre una festa".


E' una partenza già vista: si evita (grazie!) il pezzo di carta noto come "la Norvegia del Kerle", che reputo inutile in una gara come la O-Marathon, si sale subito sulle malghe e si entra nel bosco  che ha ospitano decine e decine di battaglie orientistiche, e purtroppo anche battaglie vere e proprie tra gli eserciti italiano e austroungarico durante la prima guerra mondiale. Attilio ed io restiamo fin da subito in fondo al gruppo, ma la zona di gara ci è famigliare e la presenza di una farfalla di punti già nella prima parte di gara mantiene attorno a noi parecchi concorrenti, il che crea sempre un effetto positivo del tipo "non sono solo in questa foresta".

Non sono solo, non lo resterò quasi mai perché Attilio ed io procediamo tenendoci sempre a vista: ad un certo momento, sul terreno accidentato che porta al punto 13, il terreno cede sotto i miei piedi, rivelando che stavo corricchiando su un enorme tronco cavo coperto di aghi di pino e terriccio. E' sufficiente però il primo momento nel quale ci separiamo per gettarmi in un pozzo nero di fatica e di ansia: io vedo passare Dario Pedrotti e decido di seguirlo in una autentica scalata da free climber su una parete rocciosa, Attilio fa un giro più largo ma poi non ci si ritrova più. Il risultato è prevedibile: quando la seconda tratta mi porta sulla cresta di Monte Durer tra il Kerle e Passo Coe, la mia testa decide di mollare il colpo: così faccio l'unica cosa che mi sembra plausibile in quel momento (e che si rivelerà ovviamente la meno plausibile a conti fatti): scendere per la linea di massima pendenza verso Passo Coe stando a fianco della linea della seggiovia.


(tratta "Rocco Siffredi")
Dovrei saperlo che le zone sotto le seggiovie sono sempre impervie, sconnesse, con il bosco ai bordi poco curato e ricco di detriti. Al prezzo di tante piccole cadute, rotolo (letteralmente!) fino a Passo Coe dove mi imbatto nelle lanterne posizionate in quella zona dai partecipanti ad un corso della protezione civile...


... praticamente a poche decine di metri dal laghetto delle Coe. Sono ovviamente rimasto indietrissimo rispetto al gruppetto di cui facevo parte, e mi tocca anche risalire un po' di dislivello per arrivare al Passo vero e proprio e infine al lungo sentiero che passa dalle rovine del Rifugio Camini, devastato qualche tempo fa da un incendio, e poi al Rifugio Stella d'Italia. Lungo il sentiero ritrovo Attilio, che mi ha aspettato per parecchi minuti, ed insieme procediamo con un buon ritmo fino al rifugio dove ci aspetta l'ultimo ristoro.


Ci gettiamo sul buffet di integratori, the, cioccolato, biscotti e uvetta senza pensarci due volte, anche se la parte finale di gara è molto più breve rispetto alla strada che ci siamo già lasciati alle spalle: l'unica vera difficoltà dell'ultima mappa (visto che siamo ancora abbastanza lucidi per trovare le lanterne al primo colpo) è costituita dalla terribile discesa di 35 curve di livello per andare al punto 15, che fa davvero esplodere le rotule.
Una volta usciti dal bosco, è soltanto corsa: il biotopo, i campi da golf, le solite suorine di Casa Santa Maria a passeggio ed infine la discesa fino al traguardo a fianco dell'Hotel Bucaneve. E così anche quest'anno ci siamo messi in saccoccia una bella e dura edizione della O-Marathon!


*** ***
Il racconto non sarebbe completo senza citare anche le due gare con le quali si è virtualmente conclusa l'estate orientistica: ancora made by Gronlait, la seconda edizione della Wolf-O, la notte del lupo. Rispetto alla prima edizione, di cui avevo lungamente scrittonon è prevista la gara in notturna (che, sono convinto, sarebbe stata disputata su una distanza più consona e su un terreno più praticabile). Il tempo è perfetto, le condizioni fisiche sono ancora rivedibili, ma il numero di partecipanti in crescita e la presenza di qualche atleta estero rende l'arrivo al ritrovo di Francolini davvero piacevole. La prima tappa, disputata nel tardo pomeriggio, rende onore all'invenzione dello sport-ident ed alla possibilità di tracciare un percorso piacevole con continui cambi di direzione anche in un francobollo di cartina.

Si riesce per la maggior parte del tempo a correre sotto la linea rossa, ed al traguardo sono abbastanza soddisfatto della mia gara. Non altrettanto deve esserlo il mio stomaco, che passa i 30 minuti successivi a svuotarsi progressivamente costringendomi a continue corse dietro alla casetta dell'arrivo per evitare quanto più possibile ai presenti uno scenario davvero pietoso.


Domenica il ritrovo è a Fondo Grande per la partenza a caccia, con i distacchi accumulati il giorno prima, il che è sempre una bella scossa di adrenalina. Dopo la partenza in salita sulla pista da sci, le prime lanterne vanno via bene e riesco a recuperare il distacco che mi seprara dai due concorrenti partiti prima di me.

Poi però le energie finiscono proprio quando è il momento di affrontare la tratta 7-8, nella quale ancora una volta decido di staccare il cervello e procedere più o meno a caso allungando la strada a dismisura. Poche energie, stomaco vuoto e orientamento a casaccio sono proprio gli ingredienti giusti per farmi staccare dal gruppetto che avevo raggiunto e farmi prima raggiungere e poi superare da chi mi stava inseguendo. Ultimo colpo di grazia dallo spagnolo che mi supera in salita tra la 10 e la 11 e che poi riuscirò a ritrovare solo al traguardo. Ma anche in questo caso posso dire: un'altra Wolf-O messa in saccoccia!


Ora è tempo di partire: destinazione Martina Franca.

Se non ci avessi provato...

$
0
0

Se non ci avessi provato, mi sarei rimproverato di aver avuto una occasione e di averla sprecata, e a 50 anni passati, le occasioni in campo orientistico non capitano tutti i giorni. Intendo le occasioni per lasciare il segno, per ottenere un risultato. I Campionati Italiani 2018 in Puglia sembravano essere l'occasione propizia: ci sarebbe stata meno partecipazione del solito, questo era scontato, e di conseguenza avrei avuto maggiori chance di raggiungere il mio obiettivo. Mi sono messo alla prova dei fatti. Ed ho fallito. Con il senno di poi, non poteva che andare così.

Senza essere un telepate, so cosa sta pensando il 50% dei lettori del blog che sono arrivati fino a qui: "ecco un altro che pensava di andare a fare man bassa di medaglie in un campionato italiano a partecipazione ridotta, per poi bullarsi per anni davanti a tutti!". In effetti, non è un caso se il mio unico podio in Coppa Italia (categoria H40, qualche anno fa) è stato nella gara di Porto Selvaggio del 2011. Sempre Puglia, sempre Salento, sempre caldo e sole che picchia sulla testa e terreno a macchia mediterranea (con qualche passaggio sugli scogli, quella volta): una gara di lunghezza epocale, perché al tracciatore era stata chiesta una long distance, ma definita “a media distanza” perché la carta di gara era 1: 10.000. Ah la regolamentite! Ai Campionati Italiani 2018 erano previste le due distanze Sprint e Long. Qualcuno può pensare che avessi velleità di medaglie? Iscrivendomi in Elite ed over-40?

No. Il risultato che volevo ottenere era di tipo diverso. Volevo approfittare dell’occasione per provare a parlare con alcune persone (prese da entrambi gli schieramenti contrapposti) che, presumibilmente da dicembre 2018, detteranno la rotta politica dell'orienteering italiano a seconda di come andranno le elezioni del prossimo Consiglio Federale. Avevo scritto un paio di pezzi fa: “lasciando da parte il microfono ed il ruolo di speaker e tornando a vestire i panni del semplice orientista quale sono, vorrei chiedere perché non è possibile andare d'accordo e trovare una sintesi tra le diverse posizioni ed i punti di vista? Per favore spiegatevi, parlatevi, non lanciate agli orientisti messaggi del tipo "un giorno saprete la verità...""se soltanto sapeste cosa sta succedendo realmente...". Perché sta succedendo tutto questo?...
Speravo che qualcuno, leggendo, si sarebbe fatto vivo anche solo per eccepire, contestare, criticare, chiedermi chi diavolo mi credo di essere! Ma il risultato è stato zero, ma forse è proprio vero che i blog non li legge più nessuno, o non rappresentano lo strumento giusto. Più presumibilmente: chi sono io per poter sollevare una reazione, anche solo un minimo di confronto positivo, scrivendo parole su internet? Così ho provato a rivolgermi direttamente ai diretti interessati. Intendo proprio "in modo diretto", anche a muso duro: cosa pensate di ottenere? Perché non vi confrontate in modo aperto e costruttivo? Perché non riuscite a fare una sintesi tra le idee degli uni e le iniziative degli altri? Come pensate che ci potrà essere un futuro al nostro sport se non riuscite a lavorare in armonia?

Devo dare una cattiva notizia ai pochi orientisti arrivati fino a qui: le speranze stanno a zero. Diciamo a un epsilon piccolo a piacere (in fondo è stato proprio quell’epsilon a portarmi su quel podio a Porto Selvaggio). Ho sentito risposte che parlano di un ambiente ormai polarizzato, di “radicalizzazione dello scontro”, di guerra! Sono tutte parole che andrebbero usate con il bilancino: quando purtroppo le guerre scoppiano davvero, capita che le persone restino in silenzio perché mancano i termini di riferimento che sono già stati sprecati inutilmente altrove. Ascolto le accuse reciproche di organizzare gare farsa, di malversazione (uso questa complicata parola per non dire peggio), di "sovvertimento degli ordini democratici" (vedi mio commento alla voce "guerra"), oppure buon ultimo quando mi sono sentito rispondere "il tuo tentativo di farci dialogare è paragonabile ad avere allo stesso tavolo partigiani e fascisti. Si andrà avanti fino a che una parte non distruggerà l'altra".

Sono rimasto senza parole, quasi choccato. Non pensavo certo di essere un novello Kofi Annan, non ambivo certo al Premio Nobel per la pace orientistica, ma forse è davvero meglio che io mi limiti a scrivere di percorsi per i quali non sono preparato, di classifiche che mi vedono ben adeso all'ultimo posto, di tratte che palesano i miei evidenti limiti orientistici. D'altra parte mi diverto così: la mappa mi mette alla prova, la classifica non toglie nulla alle emozioni che mi offre lo sport che considero più bello al mondo. Se dicessi che mi interesso di politica orientistica, forse mentirei e forse no. Una persona migliore di me una volta ha scritto che “la politica in fondo è avere a che fare con le situazioni di tutti i giorni e cercare di cambiarle in meglio”. Ma forse siamo arrivati al punto in cui non abbiamo più mattoni su cui costruire una solida base comune.

*** ***

Sabato a Martina Franca mi sono iscritto in categoria Elite. Sprint e Middle riesco ancora a correrle così, mentre per la long credo che ci siano ormai pochissime speranze (la Foresta del Cansiglio 2017 potrebbe aver rappresentato davvero il mio addio alle armi e, per quanto sembri impossibile, questa cosa mi fa davvero sorridere e mi rende orgoglioso). Davanti a me avevo la gara e l'impegno come speaker, ma attorno a mezzogiorno le mie condizioni mentali non erano proprio tali da poter affrontare una lunga e calda giornata. Serve una buona oretta di riscaldamento, correndo tutto attorno con l'ipod a palla nelle orecchie, per rimettermi in forma e di buon umore. Entrambe le cose mi serviranno nei 23 minuti successivi alla partenza per mettere insieme la gara sprint che probabilmente ho corso meglio in questo 2018: sempre concentrato sulla mappa, sempre in anticipo sulle scelte (magari non le migliori ma quelle che mi hanno guidato con sicurezza su tutti i punti).
Un unico momento di difficoltà tecnica al cambio carta, per riposizionarmi sulla seconda parte del percorso, ed una sensazione stranissima quando nel primo giro sono stato inseguito dal fotografo d'eccezione Francesco Franz che mi ha immortalato per un paio di tratte lungo le quali una parte della mia mente ha "switchato" in modalità "non sbagliare, non sbagliare! Non fermarti! Nessuna indecisione! Staccalo! Staccalo! Staccalo!" finché non ho sentito i passi di Francesco rimanere indietro. Per qualche istante mi è apparsa chiarissima la sensazione che possono provare alcuni atleti agli Europei o ai Mondiali quando nel bosco vengono inseguiti dalla telecamera o sentono la voce dello speaker che parla di loro (o forse sono talmente bravi e concentrati che se ne sbattono...).

(qui Francesco Franz è riucito a prendermi quasi staccato da terra!)

(qui invece sono decisamente adeso al terreno...)

La gara "da duri"è quella di domenica, il campionato italiano long. Quando sul sito della gara era stata pubblicata una vecchia carta di esempio per illustrare come sarebbe stato il terreno, io (ma di sicuro non solo io) sono rimasto senza fiato: praticamente alcune zone sembravano delle pennellate di verde fitto con le rocce in mezzo! Poco dislivello, ma dove cavolo avrebbero potuto andare a mettere i punti in quell'insalata verde che sembrava tanto la famigerata carta di Carvico? Le ultime informazioni, che consigliavano l'uso di protezione alle braccia ed alle gambe, confermavano i timori più ansiosi e hanno sicuramente dato linfa ai commenti "dal divano" di tanti che, rimasti a casa, commentavano "mille chilometri per andare a correre in un posto simile?". Una informazione che non deve aver fatto molta paura a Matilde Pin, o a Vera Chiusole ed altri ancora, che hanno affrontato la gara con i soliti calzoncini corti e ne sono uscite senza un graffio!

Al solo scopo di provare a testare un percorso lungo ma con un minimo di sicurezza di poter essere al traguardo prima delle canoniche ore 10, mi sono iscritto al percorso over-40. A digiuno ed in una bellissima alba pitturata dal sole, alle 6.52 mi sono avventurato in partenza (distante poche centinaia di metri dalla mia camera) ed ho cominciato ad affrontare i primi appezzamenti di macchia mediterranea suddivisi dai famigerati muretti alti fino a un metro e mezzo o anche di più. La prima parte di gara mi ha ricordato molto la carta di Gropada, tanto cara a Larry: la vegetazione non è poi così opprimente, anche se bisogna fare lo slalom tra i cespugli, le macchie di pruno, i rami bassi. Spine non ce ne sono, ma chiaramente non ci si può tuffare a testa bassa contro la vegetazione, perché è talmente secca che i rametti sembrano fatti di acciaio.


I primi 5 punti vengono via abbastanza lisci: devo trovare i paletti metallici in un paesaggio molto simile a quello della luna, con i cespugli al posto dei crateri; quando mi muove verso est, e quindi in direzione del sole basso, non sempre riesco ad identificare il paletto al primo colpo: d'altra parte la vegetazione è davvero uniforme ed il fatto di riuscire ad arrivare su tutti i paletti (lascio un sasso sul piattello metallico che dovrà ospitare la lanterna, per testimoniare il mio passaggio) mi fa sentire un ottimo orientista anche se la velocità con la quale mi muovo in zona punto è necessariamente bassissima. Dopo le prime 5 lanterne di tipo Gropada, arriva il momento della prima galoppata lunga per spostarsi nella seconda zona di muretti fitti. Per arrivare al punto 6 e poi da qui fino alla 8, le mie scelte sono molto più in sicurezza, viaggiando avanti e indietro per i due grossi sentieri agricoli. Seconda tirata lunga verso la 9, attraversando un terreno che sembra essere stato incendiato da poco (e che lascerà evidenti tracce nere sulle divise, le braccia e persino i volti dei concorrenti... vero Noemi Inderst?). Su questa parte di percorso il vento secco che spira contrario alla mia direzione di marcia mi prosciuga, e istintivamente lancio un messaggio di auguri agli amici ed alle amiche che affronteranno quella parte di percorso a mezzogiorno con il sole a picco.

Il punto 9 lo vedo da lontano, perchè il sole ad un certo momento picchia dritto sul piattello metallico con il codice della lanterna: il luccichio mi permette di identificarlo perfettamente tra le rocce, come Henry Fonda riusciva ad identificare le bisacce piene di dinamite del "Wild bunch" dal riverbero del sole sulle borchie, in un perfetto remake di una delle scene più belle di "Il mio nome è nessuno". Dopo l'incrocio con il coach Bellotto nella tratta 9-10, riesco ancora ad avanzare con un minimo di efficacia sui punti 10, 11 e 12 (evitando qua e là mandrie di mucche, cani liberi e contadini sospettosi), ma dalla 12 alla 13 letteralmente scoppio.

Con il senno di poi, sarebbe stato meglio se mi fossi appoggiato alla ferrovia, anche senza correre sui binari, ma il pensiero del titolo di un giornale locale "Ennesimo viandante travolto dal treno sui binari delle ferrovie pugliesi" mi fa desistere. Non ho quasi più forze per scavalcare gli ultimi muretti in uscita dalla 12: mi tocca ogni volta arrampicarmi a fatica, appoggiare il sedere sui sassi, ruotare su me stesso e scivolare cautamente dall'altra parte. Arrivo alla 13 in pieno debito di forze fisiche ma, anche se la fatica orientistica è quasi finita, i muscoli devono ancora lavorare parecchio: prendo ancora a testate la vegetazione per uscire in un'area pelata, poi cerco di sfruttare tutti i sentieri agricoli possibili per arrivare al traguardo, e sono decisamente sfinito. 2 ore, 28 minuti e 52 secondi di fatica che mi aiuteranno, nei commenti al microfono che andranno avanti fino alle 14.30, a capire ed a descrivere le fatiche di tutti gli oltre 400 atleti che entreranno nella carta del Parco delle Querce dopo di me.

Se non ci avessi provato io stesso, forse non avrei saputo interpretare i crolli sul traguardo, l'incedere sfinito di alcuni Elite al punto ristoro in vista del traguardo e poi sulla corsia finale, i volti talvolta allucinati di chi ha dato veramente tutto lungo il percorso.
(allucinato e pitturato di nero)

A me resta un decimo, ultimo posto, nel campionato italiano long 2018 in categoria over-40. Non ero arrivato in Puglia con quell'obiettivo in mente, ma è tutto ciò che sono riuscito a portare a casa.

 

Per chi non ha abbastanza tempo

$
0
0

Per venire incontro alle esigenze segnalate da numerosi fedeli lettori attraverso mail e commenti del tipo "vorrei avere il tempo di leggere il blog ma non mi sono rimasti abbastanza giorni di ferie..." nonché facilitare chi è interessato solo alle carte di gara e non gliene potrebbe fregare di meno del mio stato psico-fisico, presento una facile tabella riassuntiva che utilizzerò d'ora in avanti e mi risparmierà le classiche frasi a corredo del racconto delle mie prestazioni:

Magari avete anche voi la vostra tabella?

In questa foto sembra che io stia "pontificando" al termine di qualche gara. Cosa che qualcuno mi ha detto che sto facendo (peraltro "a vuoto") anche tramite il post precedente. A prescindere dal fatto che le mie condizioni mentali al termine di QUALUNQUE gara sono di due gradini peggiori rispetto a quelle che avevo al momento di partire, ribadisco il concetto che sembra non aver fatto del tutto breccia:
Finché avrò tempo \ forze \ salute \ giorni di ferie disponibili \ possibilità economiche \ attitudine, e finché gli orientisti avranno voglia di sentire il mio commento al traguardo, io farò da speaker a chiunque me ne farà richiesta. Non tiratemi dentro in questo o quello schieramento giudicando dalle gare a cui partecipo, please.

Dalla terra al cielo, passando per Civertaghe

$
0
0

Il lasso di tempo tra i Campionati Italiani individuali in Puglia e quelle a staffetta sprint di Mezzano si era prospettato privo di appuntamenti nel bosco. Guardando il calendario, non avevo visto nulla di così eclatante da farmi rinunciare alla monotona routine del fine settimana senza gare, con spesa + visita alla mamma + passaggio dal centro commerciale + sbadigli post-prandiali: sarebbe stata una lunga serie di ponti grigi tra le due settimane lavorative, con il classico rimpianto del lunedì mattina di non aver approfittato abbastanza della pausa del week-end per ripulire un po' la testa dalle tossine.

La telefonata che mi fa preparare lo zaino per andare ad una gara che non avevo messo in calendario giunge all'improvviso: "Perché non vieni a Sighignola?". Già. Perché? Nello specifico, Sighignola significa Campionato lombardo a media distanza, in quella zona della alta Val d'Intelvi che non ho mai amato molto sia per la distanza da casa (*) sia per le pendenze stratosferiche di cui sono ricche le carte della zona. Per motivi di concomitanza con un'altra manifestazione sportiva, la gara si svolge di domenica pomeriggio, il che mi evita una levataccia che non ho proprio voglia di fare; inoltre, disponendo ancora del bollino autostradale svizzero acquistato per i Campionati Europei in Ticino, ho l'opportunità di salire in quota partendo dal Lago di Lugano lungo la ripidissima e strettissima Val Mara, evitando di ingorgarmi lungo la statale del Lago di Como con tutti gli altri milanesi imbruttiti in gita domenicale. Così sabato mattina recupero al volo una iscrizione in straritardo (grazie Beppe ed Alessio!), pagando la relativa sovratassa, e mi presento a Sighignola.

(*): lo so. E' una mia tara mentale, una delle tante. Sono disposto a fare centinaia di chilometri per fare una gara, con ore di autostrade e statali, ma quando la gara è "regionale" mi aspetto sempre di poterla trovare ad un massimo di poche decine di minuti di auto da casa. Ripeto: è solo un mio problema mentale. Questo inciso serve solo per rispondere a chi mi ha già accusato più volte di rinunciare talvolta alle gare regionali (soprattutto quando si disputano in Piemonte (**) o in Liguria o sull'Appennino piacentino), quando poi sono il primo ad andare a gareggiare in Trentino...

(**)Non è del tutto vero… aspettare per vedere!

La condizione fisico-mentale alla partenza di Sighignola è riassunta nella nuova tabella di facile consultazione qui allegata:

PESO
DIMINUITO MA NON ABBASTANZA
STATO DI ALLENAMENTO
HO CORSO PER NON PERDERE IL TRAM
SALUTE
STANCHEZZA
 
ANSIA
RUOLO
CONCORRENTE IMPIEGATO PANZOTTELLO
CATEGORIA
M45
STATO D’ANIMA PRE GARA
MA DAI PROVIAMO E VEDIAMO COME VA
SONO PASSATO
DA TUTTE LE LANTERNE
 
DALL’AMBULANZA

Dal punto di vista meteorologico la giornata è molto bella: nonostante l'altitudine e l'autunno appena iniziato si può correre in maglietta. L'iscrizione tardiva mi posiziona in fondo alla griglia di partenza, dietro di me partono solo le ultime ragazze della categoria under-18, e quando prendo il via capisco subito che la gara sarà soprattutto una questione di come andrà la sfida tra me e le curve di livello tipiche delle carte di stampo ticinese (anche se in questo specifico caso siamo ancora un paio di chilometri entro i confini nazionali); la cattiva notizia la conosco già: di solito in questo genere di sfide sono le curve di livello ad uscire nettamente vincitrici

L'inizio non è difficile. La carta ci viene data nel tratto di sentiero a sud dell'area privata color verde oliva, ma mi accorgo subito che la risposta delle è un po' balbettante: il triangolo rosso di partenza sembra non arrivare mai, così come il tornante del sentierone (che ora non si vede più in carta) dal quale entro nel bosco. Dopo essere venuto a capo senza problemi delle prime due lanterne, a coefficiente di difficoltà basso, affronto senza una idea chiara la terza lanterna e finisco sulla carbonaia più a sud, proprio di fianco al numero "3": qui c'è una lanterna di un altro percorso ma anche un paio di concorrenti che purtroppo hanno avuto in sorte una carta con la categoria sbagliata e che stanno cercando di raccapezzarsi. Mi raccapezzo anche io, che la carta ce l'ho giusta, e dopo aver finalmente trovato il mio terzo punto mi accingo ad affrontare la serie di lanterne "andata e ritorno”.

Tra la 3 e la 4 c'è una orribile zona piena di alberi abbattuti, che supero a prezzo di notevole perdita di tempo e fatica (tutto pur di non fare dislivello!). Il punto 4 sta 60 metri più in basso rispetto al 3, il punto 5 ancora più in basso. Mi capita di incrociare i miei passi con quelli di concorrenti di altre categorie che stanno ritornando indietro e, dai loro volti, capisco che anche le mie lanterne di ritorno "a risalire" saranno decisamente faticose. Anche perché il terreno è morbido e in molti tratti, seppur cercando di correre in costa, devo tenere il peso a monte, mettere i piedi un po’ di traverso e fare forza sulle gambe come se stessi correndo in una perpetua salita, onde evitare di franare ulteriormente verso valle.

La prima scalata al punto 6 va via abbastanza in scioltezza, ma dopo il tuffo verso la 7 occorre affrontare i primi 70 metri di risalita, al termine dei quali comincio ad avere le allucinazioni come Fantozzi in cima alla salitella di Viale De Amicis (cit.). Rimpiango di non aver portato almeno un carbogel, perché a causa dell'orario "primo pomeriggio" della gara non sono riuscito a mettere insieme un pranzo, e la colazione estremamente risicata del mattino è diventato un lontano ricordo perduto nelle nebbie della digestione già avvenuta.

Dalla 9 alla 10 comincia il mio piccolo calvario: affrontati lungo la linea di massima pendenza sotto la linea magenta, gli ultimi metri di salita sono penosi, e la lanterna che si vede da lontano al termine del fossato sembra rimanere eternamente alla stessa irraggiungibile distanza. Poi è un continuo salire: fino al sentiero, usato per circumnavigare il vallone, e dalla pista di sci in lenta risalita arrivo al punto 11 (almeno sono preciso ed arrivo dritto alla lanterna). Da lì ci sarebbero altri 35\40 metri di risalita verso il punto 12, ma quando arrivo nelle vicinanze della carbonaia, semplicemente non ne ho più: non si tratta di uno di quei momenti nei quali mi posso limitare a camminare per riprendere fiato, o fermarmi del tutto per recuperare energie. Io mi sento proprio svenire! In un ultimo attimo di lucidità, mi viene in mente in fatto che potrei essere l'ultimo nel bosco e che quindi sarebbe meglio crollare una volta raggiunto il punto: da lì passerà di sicuro qualcuno a ritirare le lanterne!

Trovo la carbonaia più per culo che per anima e, prima ancora di aver punzonato, mi accascio sul terreno e resto lì un paio di minuti. In effetti qualcuno passa, ma è un cercatore di funghi (che si spaventa pure!). Di affrontare la strada per la linea di massima pendenza 12-15 (con conseguente ritiro) non se ne parla nemmeno; l'unica soluzione quindi è raggiungere il punto 13 stando in costa, poi la 14 cercando di fare il minimo dislivello possibile ed infine, arrivato sul rettilineo di arrivo in totale pendenza, camminare rantolando fino alla linea del traguardo e tornare ad accasciarmi per un paio di minuti sotto gli occhi esterrefatti di tutti quanti gli altri, che hanno finito la gara senza eccessivi problemi. Credo che sia stata una delle pochissime gare al termine delle quali mi sono avventato immediatamente sul ristoro e sul cibo, nel tentativo di recuperare un po' di energia. Comunque quello disegnato da Erika Ceresa è stato un campionato regionale middle davvero durissimo: Sbrambi, che una medaglia d'oro individuale quest'anno se la è messa al collo, termina in 50 minuti ed io, nonostante nefandezze tecniche, crolli atletici e svenimento ci metto poco meno di un'ora e mezzo...

***

Ce ne sarebbe abbastanza per prendersi effettivamente qualche fine settimana di riposo e rimettere in sesto testa e fisico, ma il dovere torna a chiamare la settimana successiva: era da qualche anno che non andavo più a gareggiare alla Due giorni del Primiero e, nonostante la concomitanza con la gara regionale al quartiere "Barona" di Milano (500 metri in linea d'aria da casa mia), non posso rinunciare all'invito a presentarmi al via laddove ancora si celebrano le mie gesta in qualità di speaker dei JWOC 2009 (la mia foto mentre impedisco che il tendone speaker voli via nella tempesta di Passo Rolle è ancora celebre in Norvegia…)
(… e qui siamo proprio sul prato del Lago Welsperg!)
… il giorno in cui abbiamo imparato a conoscere una certa ragazza svedese con il cognome lungo lungo, chiedendoci "ma diventerà davvero forte o sarà solo un fuoco di paglia?"...
… e infine apprezzando i gesti atletici e la leggiadria del campione del mondo Gustav Bergman!

(… d'altra parte è iniziata da qui la sua fuga per la vittoria…)

Il menu prevede un arrivo a Transacqua nel primo pomeriggio di venerdì, dopo il classico passaggio dalla piazza centrale di San Pietro in Gu che, come sempre, è inondata di sole sotto un cielo blu che più blu non si può

Giunti a destinazione, si va subito a testare le gambe in un allenamento atletico che mi porta da Rifugio Caltena lungo i sentieri forestali fino al Lago di Val Noana, con dislivello a profusione. Sabato mattina, mettiamo insieme un ulteriore "richiamo atletico": si lascia la macchina poco sopra Siror per raggiungere lungo strade forestali e sentieri dapprima Malga Civertaghe (che sta diventando un gioiellino di ospitalità, provare per credere!), poi Malga Col, Malga Fontanelle e infine San Martino di Castrozza lungo un sentiero che prevede anche tratti di dislivello "da sbucciarsi il naso" (contro la pendenza). Da San Martino, si scende a riprendere l'auto lungo il sentiero che passa dall'Ecotermica,  sul cui piazzale durante la 5 giorni di contorno ai JWOC avevo messo insieme una delle migliori prestazioni da speaker della mia carriera, in una giornata nella quale avevo dapprima gareggiato in solitaria sotto la neve, poi avevo visto un sole caldo da invogliare a mettersi il costume (Helena Jansson lo ha fatto), e che si era conclusa in serata in preoccupata attesa di Attilio, il quale aveva affrontato la stessa gara a fondo griglia quando il cielo era tornato a farsi nero e le nubi avevano ricominciato a buttare giù grandine a profusione.

Venerdì sera passo dalla sede dell'US Primiero a vedere se c'è qualcuno... mi presento all'improvviso in casa altrui senza nemmeno aver avvisato prima. Nella ampia sala che ha fatto da segreteria per tante manifestazioni internazionali, e che ormai ho imparato a conoscere anche io, trovo un numero spropositato di campioni\campionesse ed ex campioni\campionesse italiani che, in una atmosfera serena e tranquilla, stanno finendo i preparativi per il giorno dopo: qualcuno controlla le cartine, qualcuno parla già delle prossime gare, altri guardano i mondiali di pallavolo sul laptop. Il tutto è gestito con competenza e parole appena sussurrate: quando vado a dormire, mi sfiora il pensiero di essere stato in visita in uno dei luoghi davvero sacri dell'orienteering italiano.

I chilometri messi assieme in poche ore sono davvero tanti e fanno temere per la tenuta delle gambe durante la gara promozionale del sabato, prima tappa della due giorni del Primiero, tracciata da Erik Nicolao e che promette di avere uno sviluppo ancora più lungo del campionato regionale middle del giorno successivo. Ma per qualche motivo mi sento assai fiducioso: se lunghezza e dislivello sono comunque inferiori a quelli di Sighignola, la carta del Lago Welsperg mi consentirà di sciorinare tutta la mia abilità tecnica (...) ed il cielo che fa da cornice alle Pale di San Martino ed alle Dolomiti tutte attorno a noi non è blu cobalto come il giorno prima, ma è sempre meraviglioso.
La condizione con la quale affronto il percorso è questa:

PESO
DIMINUITO MA NON ABBASTANZA
STATO DI ALLENAMENTO
MENO PEGGIO DEL PREVISTO
SALUTE
A POSTO
RUOLO
CONCORRENTE IMPIEGATO PANZOTTELLO
CATEGORIA
Percorso NERO
STATO D’ANIMA PRE GARA
MA DAI PROVIAMO E VEDIAMO COME VA
SONO PASSATO
DA TUTTE LE LANTERNE

Alla partenza mi suggerisco da solo di andare cauto, perché comunque si tratta di una carta nella quale posso fare grossi errori ad ogni punto. Tuttavia accade al triangolo di partenza mi trovo faccia a faccia con Roberto Pradel che mi sta riprendendo, il che mi induce a buttarmi fin da subito nel fitto del bosco (con una azione, per una volta, decisamente irruente) al solo scopo di sparire subito dalla sua visuale ed evitare quegli imbarazzanti momenti durante i quali mi fermo ad esaminare tutta la cartina in cerca del primo punto, indeciso sul da farsi come un M12 di città che è stato strappato dalla playstation per essere catapultato in un bosco sconosciuto.


(… notare lo sguardo terrorizzato…)
Infatti finisco subito lungo, una cinquantina abbondante di metri più a sud, su un altro cocuzzolo con lanterna. Curiosamente, era il punto di Roberta, che invece dalla partenza finirà sul mio punto... "Se il buongiorno si vede dal mattino...", mi sfiora il pensiero che potrei completare il percorso al tramonto. Invece i punti 2 e 3 vengono via bene. Il 4 è facile, e la ritrovata serenità mi consente di esibirmi in un attraversamento della strada decisamente aggressivo sotto gli occhi dei controllori del traffico Alessio Tenani e Francesca Taufer (e forse Elisa Lucian? Ma ero troppo concentrato per accorgermene...). Le successive lanterne non sembrano poi così difficili, ma forse è solo il fatto che devo comunque procedere con una certa cautela per evitare strambate, ed anche per evitare che le risalite dalla 6 alla 7, e poi quella tostissima dalla 8 alla 9, consumino non solo le energie fisiche ma anche quelle mentali.
Una volta arrivati al gran premio della montagna del punto 9, affronto il tuffo verso un'altra zona tecnica che presenta il loop 13-17. Prima del quale mi esibisco io stesso in qualche tuffo sul terreno, perché la vegetazione a tratti mi avvolge le caviglie e finisco un paio di volte lungo e disteso: solo la mia prontezza di spirito in una occasione mi aiuta ad afferrare gli occhiali che stanno cadendo ancora più lontano di me (e chissà se li avrei mai ritrovati)!

Il loop 13-17 è ovviamente divertentissimo, ed è con una certa dose di rammarico che esco da quella zona, indenne e senza pagare troppo in termini di ICI (Incapacità Chiaramente Innata) ed IMU (Immobilismo Motorio Umiliante). Il traguardo giunge, per una volta, troppo presto!

Al mattino della domenica, mi accorgo che se mai ci sono state preoccupazioni per lo stato con il quale le mie gambe avrebbero affrontato la seconda tappa, queste devono essersi perse il giorno prima nella "Norvegia del Welsperg".

PESO
DIMINUITO MA NON ABBASTANZA
STATO DI ALLENAMENTO
MENO PEGGIO DEL PREVISTO
SALUTE
A POSTO
RUOLO
CONCORRENTE IMPIEGATO PANZOTTELLO
CATEGORIA
M45
STATO D’ANIMA PRE GARA
OGGI BATTO ANCHE MARCO
SONO PASSATO
DA TUTTE LE LANTERNE

In più, le previsioni del tempo che danno la possibilità di pioggia sono clamorosamente smentite da questa foto:

(… eppure Roberto Barbiero, il "Bernacca" del TG regionale del Trentino, ha studiato fisica con me!)

Chiaramente abbiamo compreso tutti che la distanza tra il ritrovo e la partenza ci butterà sul costone ripido ad est della carta, ma per qualche motivo oggi non mi fa paura nemmeno quello. Arrivo a dire che l'unico momento di difficoltà è poco dopo la partenza, quando occorre trovare il punto più agevole per salire la rampa che dal sentiero forestale porta nel bosco. La costa non sembra così terribile (eppure è più ripida di quella che ho affrontato a Sighignola) così come non lo è l'unica salita del percorso, dalla 1 alla 2: non riesco neanche a capire dove era il dislivello indicato per il mio tracciato, da tanto che era distribuito!
E' vero che alcune parti di bosco le ho affrontate il giorno prima, ma è anche vero che mi sento bene e che penso di poter affrontare a viso aperto tutte le insidie tecniche; qualche volta sbaglio, mai di più di qualche manciata di secondi, e ricordo distintamente il mio pensiero una volta raggiunto il punto 11: "Ma come? E' già il momento di andare verso il traguardo???". In effetti chiudo la mia fatica in poco meno di 50 minuti, ma che 50 minuti sono stati!





Dopo la gara, la voglia di non tornare mai più a casa è fortissima. Solo un pensiero mi è di conforto: tra tre settimane (ormai ne resta solo una, nel giorno in cui scrivo questo pezzo del blog) sarà il momento di tornare in questa zona per il campionato Sprint Relay e la Coppa Italia. Spero con tutto il mio cuore che saranno giornate come quelle trascorse al Welsperg: indimenticabili!





































































































































Tutti i miei orrori a Moncalvo

$
0
0

Questo pezzo, che in un impeto compulsivo esce a soli tre giorni dal precedente dedicato alle mie recenti gare Middle, avrebbe dovuto intitolarsi “Tutti gli orrori del Mon…calvo”: un simpatico (???) calembour che, tuttavia, avrebbe potuto dare l’impressione di una critica verso la gara di Moncalvo. Si sa che ultimamente la maggior parte delle persone legge solo i titoli dei giornali, e che i titoli vengono fatti per lo più da titolisti sottopagati, o da strapagati specialisti nel creare la frase acchiappa-click che però talvolta non si avvicina nemmeno al contenuto dell’articolo. Quindi, per evitare di dare adito a qualsiasi congettura, dico subito che il titolo fa riferimento esclusivamente alla mia gara disputata ieri a Moncalvo (Asti) ed ai miei errori, anzi alle mie due tappe bi-sprint ed agli orrori che vi ho disseminato.

Cominciamo però dalla tabella riepilogativa:
PESO
DIMINUITO MA NON ABBASTANZA
STATO DI ALLENAMENTO
HO CORSO PER NON PERDERE IL TRAM
SALUTE
ANSIA
RUOLO
CONCORRENTE IMPIEGATO PANZOTTELLO
CATEGORIA
PERCORSO NERO
STATO D’ANIMA PRE GARA
PERPLESSO
SONO PASSATO
PER MATTO
IL TEMPO
PIU’ BELLO DI COSI’
LA GARA MI HA REGALATO
LIVIDI IN POSTI IMPENSABILI
I FAN SONO RIMASTI
SPAVENTATI
Innanzitutto va detto che la gara era una prima assoluta: carta realizzata e raccomandata da Remo Madella, organizzazione by OriNichelino che insieme all’OriCuneo sta rinfrescando a prezzo di tanti sforzi le presenze piemontesi alle gare di orienteering. Un impegno che, quindi, cerchiamo di ripagare andando a gareggiare in questa gara di 1° livello con i percorsi suddivisi per colori, da bianco a nero, per livello di difficoltà e lunghezza. Al ritrovo, avendo poco sopra menzionato l'azione di "refresh" dei quadri orientistici locali, devo ammettere che anche lo “speaker del popolo” si arrende all’evidenza: riconosco infatti Miniotti, lì ci sono Luigino e Carla, vedo laggiù Faetanini e Carbone, vicino a me ha parcheggiato il prof. Zamperin, là c'è un altro gruppetto di storici orientisti torinesi, ma il 90% delle presenze (costituite, cosa ancora più interessante, per lo più da tanti giovani!) mi è del tutto sconosciuta. Sembra quasi di andare a correre all’estero, eppure ho fatto solo 90 minuti di macchina e sono nella regione vicina… Sulla piazza principale di Moncalvo convergono quindi gli orientisti, i viandanti interessati alla Fiera del tartufo, una decina di appassionati in auto d’epoca che “sgaseranno” spesso e volentieri nei pressi della partenza e dell’arrivo. A proposito: parecchie di quei modelli di auto esposti in piazza me li ricordo da quando ero bambino… vuol dire che anche io ormai sono d’epoca?!?!?!?!? (/mode “tristezza inside” on).
(foto by Dario Bertolini)
 E via che si parte per la prima tappa: mi aspetto pendenze importanti in salita ed in discesa ma sono accompagnato dal ricordo della mia bella sprint a Martina Franca e sono fiducioso. Il primo punto, in effetti, è ancora nella piazza Carlo Alberto dove è sita la partenza, ma poi ci si butta subito per le stradine del paese in discesa. Purtroppo ho un primo calo di concentrazione per andare alla 4 (un errore da autentico principiante): confondo infatti il cerchietto del punto 4 con il 14, perdo subito un minuto buono e con esso tutta la mia fiducia in me stesso, mentre vedo sfrecciarmi accanto il primo dei ragazzini in tuta OriCuneo in gara sul mio stesso percorso.

Le tratte 5-6 e 6-7 sono un po’ il leitmotiv della mia intera giornata a Moncalvo: faccio una strada per andare al punto, e poi ritorno sui miei passi per andare a quello successivo. Fino alla 9 riesco a restare a tiro delle giovani tute dell’OriCuneo, ma l’elastico si allunga nelle tratte 10-11-12. Il passaggio nell’area grezza verso la 12 mi costa il primo ruzzolone di giornata ed i conseguenti lividi… Dalla 12 alla 13 ci sono due scelte: riguadagnare curve di livello in salita verso est o fare il giro attorno al recinto non attraversabile verso sud. Io mi invento la terza: tagliare attraverso il verde “a vegetazione bassa” per guadagnare qualche metro: purtroppo nessuno mi ha ancora insegnato il trucco per galleggiare sui rovi! Il mio tentativo si risolve in una perdita di tempo (per attraversare quel centimetro di verde impiego una eternità), di energie (spese per scavalcare alcuni rami di rovo spessi un pollice) e di pelle, lasciata appesa ai suddetti rovi. L’ultimo orrore di tappa alla 14: se all'andata avevo confuso il numero 4 con il 14, andando al punto sbagliato, al ritorno riesco a confondere il 14 con il 4…

 
Passa un’ora e mezza tra la prima e la seconda partenza. Quando riprendo il via cerco di essere concentrato, incisivo, e mi riprometto di andare a recuperare qualche posizione nella classifica fatta a somma dei tempi, cercando di tenere dietro il più possibile il ragazzino dell’OriCuneo che parte sempre dietro di me! Faccio un po’ di fatica ad identificare in mappa il punto 1, che sta “dietro” al cerchietto del punto 11 (ma questa possibilità era ben spiegata nel comunicato gara), ma finché si tratta di andare in discesa tutto va bene. Alla 2 non vedo ancora nessuno dietro di me, il ragazzino è ancora lontano, ma per andare alla 3 succede una di quelle cose che riescono a mandarmi totalmente in bambola…
[NdA: nella prossima parte del pezzo descriverò una situazione che si è verificata ieri: non lo faccio per dare una connotazione specifica sulla gara di Moncalvo (se volete un commento finale sulla gara, vi rimando direttamente all’ultima frase che ho scritto in questo pezzo), ma per illustrare una situazione generica che purtroppo capita ogni tanto agli orientisti nelle gare in centro storico: mi piacerebbe sapere come le gestite voi...] All’ingresso dell’area grezza poso ad ovest del punto 2, che vorrei attraversare per “salire di un livello”, trovo due persone che mi apostrofano pesantemente al grido di “dove credi di andare? Questa è un’area privata!” “Qui ci abito io e tu non ci puoi passare!” fino al classico refrain “adesso chiamo i carabinieri!” (nella mia testa risuona da sempre il celeberrimo “Mì mòlo i caniiiii!!!!!” sentito a Roncegno – Valsugana). Messo di fronte a queste situazioni, che purtroppo mi sono capitate più volte in tutti questi anni, considero sempre i seguenti fattori:
  • Quel che dicono i due tizi (anche se un po’ di garbo non avrebbe guastato, comunque…) potrebbe avere senso: è vero che siamo nel paese del “e qui comando io \ e questa è casa mia \ ogni dì voglio sapere \ chi viene e chi va”, ma è anche vero che potrebbero esserci dei lavori in corso, dei pericoli, dei bambini, cani liberi, qualunque cosa... potrebbe essere passato prima di me un concorrente che ha effettivamente creato un disturbo, i proprietari potrebbero essere ritenuti responsabili di qualunque cosa succeda in un loro terreno privata (ogni riferimento ai Campionati Italiani sprint a Lavarone di qualche anno fa è puramente voluto);
  • Io non sto gareggiando per un titolo italiano, o per qualcosa di irrinunciabile: sono sempre in gara per gli ultimi posti e questa è una gara promozionale, quindi posso decidere di ingoiare il mio malumore ed evitare (a me e a chiunque altro) di passare un guaio;
  • Se anche io decidessi di fregarmene e passare attraverso quell'area, dietro di me arriveranno altri concorrenti tra cui ragazzini e ragazzine. Che ne so io di quello che potrebbe succedere a quelli dietro?
  • Immagino che l’OriNichelino a Moncalvo vorrà tornarci, prima o poi: se questi tizi del terreno vanno dal sindaco a lamentarsi, questo potrebbe rimanere l’unico feedback (o quello più vivido) che arriva all’amministrazione comunale… poi col cavolo che danno ancora il permesso di correre a Moncalvo!
Mi posso trovare parzialmente d’accordo con chi gareggiava a Moncalvo (o altrove) per la vittoria e, dopo la gara, mi ha dato sull'accaduto un parere del tipo “se mi dovessi fermare a dare retta a tutti gli abitanti del posto…”. Resto molto più perplesso di fronte a chi, sempre a Moncalvo, ha avuto un approccio del tipo “se la carta mi dice che posso passare, io passo perché ha ragione la carta! E’ la carta che conta!”: credo che questo assunto possa cozzare contro qualche codicillo della legge… ma poca roba eh?
 


Alla fine di tutto, comunque, cerco di spiegare la situazione (invano), di rabbonire i due tizi (invano) e proseguo verso nord-ovest un po’ sballato e un po’ deconcentrato. Per “salire di livello” fino al punto 3 utilizzo ancora una volta l’area dove era il punto 12 della prima manche (ma evitando di ripassare tra i rovi!). Poi, una volta arrivato al punto 4, il resto della manche vola via con delle tratte davvero interessanti sotto le mura e la torre panoramica, e con i continui passaggi nella zona della chiesa, fino al traguardo.

(foto by Dario Bertolini)
A conclusione di questo racconto, non mi resta che identificare il nome del ragazzino che mi ha sverniciato nella prima manche, e che non ho neppure visto durante la seconda perché, piuttosto che affrontare i due locali arrabbiati, ha girato i tacchi ed è risalito alla 3 ripassando dal punto 1: si tratta di Edoardo Pellegrino Tecco (Oricuneo); nella classifica finale è arrivato terzo con un secondo ed un terzo posto parziale. Gli voglio dire solo una cosa: hai un gran talento, ragazzo mio, e dalle quattro chiacchiere fatte dopo la gara mi sono accorto che sei anche estremamente educato, sei spigliato e sei un ottimo sportivo. Quindi non posso che augurarti ogni bene per il futuro della tua carriera sportiva, a te così come che agli ragazzi e ragazze educati, spigliati e sportivi che ho incontrato a Moncalvo: il futuro dell’orienteering piemontese è cominciato da qui, ed io l’ho visto succedere con i miei occhi. Non potevo chiedere di meglio.



Ultimi scampoli di 2018

$
0
0
E’ il pomeriggio del 31 dicembre. Guardando davanti a me, vedo il 2018 che si appresta a completare la sua fatica passando il testimone al 2019. Come al solito si avvicina anche per me il tempo dei bilanci, per scrivere di quanto ho visto e vissuto di positivo, ma anche di negativo, nel corso dell’annata appena trascorsa. L’ultimo mese e mezzo non è stato proprio così disastroso, e se non posso proprio dire che la mia annata 2018 sia stata fenomenale, penso di poter chiudere l’ultimo pezzo “corso e orientato” del blog con più di una nota positiva.


L’orienteering è quello sport nel quale ogni metro che percorri non è detto che ti porti più vicino al traguardo”. Non sono certo un novello Oscar Wilde, ma persino io posso andare orgoglioso per una citazione semplice, essenziale e così realistica da essere stata citata persino da Dario Pedrotti nel suo “Confessioni di un runner d’alta quota”. Quando l’ho spiegata in inglese al grande Per Forsberg, mi ha guardato come se gli avessi svelato chissà quale segreto. Ma non è la mia frase preferita, che rimane “La vita è una metafora dell’orienteering” con la quale ho accompagnato la partenza della prima Night Hawk attorno al laghetto di Passo Coe; mi lascio guidare da questa frase e provo a guardare indietro agli ultimi due mesi, riavvolgendo il nastro a ritroso e ritrovando sorrisi e paure, orgoglio e disastri in abbondanza fino all’oblio. Ogni tanto nel nostro sport bisogna fermarsi e guardare indietro alla strada che si è appena percorsa, a meno che non ci si chiami Tero Fohr e nel bosco si preferisca guardare sempre avanti verso la cima della prossima collina, anche quando si cammina all’indietro per riportarsi sulla curva di livello giusta (ho paura che questa la capiranno solo Marco e coloro che hanno gareggiato alla Due giorni del Ticino di qualche anno fa… nella famosa sfida stellare Finlandia-Svizzera).
***
Qualche ora fa: 21° StraMoncucco


Non ho ancora deciso se la stagione agonistica comincia o finisce a Moncucco di Vernate. Anche quest’anno Marco ed io siamo riusciti a rispettare la tradizione ed andare a correre tra le nebbie e nel gelo della “bassa” al confine tra le province di Milano e Pavia. Il percorso è ormai consolidato, non cambia più ogni anno come le prime volte che l’ho affrontato, e quindi ne ricordo bene le curve, i cambi di direzione ed i due passaggi sopra l’autostrada che ne costituiscono le uniche salite 


Un’altra cosa che ricordo bene è lo stato pietoso nel quale mi ero presentato al via l’anno scorso. Di solito le cose vanno così: io parto con qualche minuto di anticipo su Marco e lui mi raggiunge da qualche parte lungo il percorso: l’anno scorso mi aveva raggiunto al km 2,5 e, al traguardo, mi aveva dovuto aspettare tanto a lungo e al freddo. Quest’anno non volevo che andasse nello stesso modo e sono partito più tranquillo per accelerare lungo il percorso. Ho passato il km 2,5 e di Marco neppure l’ombra, poi il ristoro dei 5,5, le curve all’altezza del km 8 ed il rettilineo infinito dei km 10 e 11. Ho tagliato il traguardo andando a 4 minuti e mezzo al km ed è subito partita una contrattura al polpaccio destro. Un istante dopo è arrivato al traguardo marco, il cui tempo per completare il percorso… beh… diciamo che non sarà una sorpresa per me vederlo battagliare nelle parti altissime della classifica con i vari Anuchkin, Beltramba, Brambilla e Dalla Santa: io vi ho avvisato!
***
Qualche giorno fa: San Donato – MOO in notturna.


Le volte che ho scritto che odio le gare in notturna non si contano più. Probabilmente non si contano più nemmeno le volte che ho scritto che Remo M. è un maledetto genio. L’ultima sua trovata è l’organizzazione di una serie di allenamenti infrasettimanali in notturna nei quali le tradizionali punzonature con chip, o testimone cartaceo, sono sostituite dall’utilizzo dello smartphone e di una applicazione che legge i QR code con cui sono contrassegnate le lanterne (quelle per fortuna ci sono sempre). L’applicazione si potrebbe sostituire, così mi dicono, con una tecnologia “NFC” che consentirebbe persino di punzonare al volo senza doversi fermarsi ad inquadrare il QR code… ma io non ci capisco un’acca e la mia descrizione della soluzione tecnologica si ferma qui.
Il primo allenamento a cui partecipo si svolge a San Donato, che secondo la definizione di Remo è “sprint paradise da periferia sovietica”. Sarà per quello che l’ultima volta che ero andato a posare lì un allenamento mi avevano praticamente arrestato? Comunque si corre di notte, e a me questa cosa non piace: sarà per il fatto che non ho mai potuto disporre di una luce frontale “Fiamme Gialle style” in grado di illuminare a dovere sia il punto dove poso i piedi sia l’ambiente circostante. Sarà per via di alcune terrificanti notturne trentine (in particolare quella del 2003 a Bedolpian) tracciate in perfetto stile diurno “tanto ci sono i catarifrangenti sulle lanterne”. Sarà per il fatto che ho bisogno di vedere bene tutto attorno e non, alternativamente, la carta di gara o il metro di terreno immediatamente davanti a me o uno scenario lontano confuso. Sarà per una serie di cose, ma a me correre le gare in notturna mette davvero paura. Il che per contrappasso si traduce nel fatto che, se posso, mi iscrivo ancora a questo tipo di gare per cercare di guarire dalle mie idiosincrasie: portandomi dietro tutte le mie paure di cadere e farmi male o di perdermi irrimediabilmente nella notte fonda, e sapendo che durante questo tipo di gare arriva sempre il momento nel quale penso “chi me lo ha fatto fare???”.


Quindi si va a San Donato. Dove Remo mi tiene in corso veloce durante il quale imparo ad usare l’app per scansionare i QR code… insomma, più o meno imparo. La lucina frontale (che non è il faro di cui disporrò già al prossimo allenamento) illumina, debolmente, uno spazio molto piccolo attorno a me, e per evitare guai corro con lo smartphone in una tasca che tengo sulla spalla sinistra. Rispetto ad altri partecipanti meno impediti di me, la mia azione risulta un po’ raffazzonata: trovare il punto nel buio pesto di San Donato è già una mezza impresa, poi devo trovare il cartellino con il QR code, estrarre lo smartphone dalla tasca senza far scattare con le mie ditacce il blocco della tastiera, sbloccare lo smartphone se occorre con le dita mezze congelate, spostare la mappa dalla mano destra a qualunque altra posizione dove non impiccia (in bocca, per terra, nelle mutande, tra le ginocchia), inquadrare il cartellino ed il QR code con la lucina, inquadrare il tutto con lo smartphone senza fare ombra al QR code, aspettare che l’app decodifichi il codice… poi rimettere tutto a posto (mappa in mano, smartphone nella tasca, lucina frontale) e ripartire per il prossimo punto.
San Donato è San Donato: ovviamente è lo sprint paradise annunciato da Remo (che non è solo un maledetto genio, ma anche un ottimo tracciatore e per questo mi sarebbe piaciuto correre lo stesso tracciato di San Donato di giorno e per una gara ufficiale). Altrettanto ovviamente non poteva mancare il solito punto sottratto da chi, evidentemente, pensa che il parchetto non recintato davanti a casa è roba sua e che i tizi che corrono con le frontali possono essere solo ladrimalfattoripocodibuono… L’allenamento serale rimane molto divertente nonostante la mia incapacità con le tecnologie: da ripetere, con (finalmente!) il mio faro nuovo sulla testa per vedere l’effetto che fa: magari mi passa anche la paura!
***
Qualche giorno prima: 50 lanterne a Brivio


L’anno scorso, più o meno in questo periodo, scrivevo del mio clamoroso secondo posto dietro al solo Samuele Curzio nella “50 lanterne 2017” Da una simile performance non è saltata fuori nemmeno una convocazione per la nazionale, sgrunt! Quest’anno la Besanese ha riproposto la 50 lanterne, ma in una versione più edulcorata e tranquilla: ci sono sempre i 50 punti sparsi sulla mappa, c’è sempre un tempo limite entro il quale rientrare alla base pena squalifica, ma stavolta la carta non è un’area che fa provincia bensì il delizioso paese di Brivio, dove avevo già corso benino anche se con un risultato negativo . Due ore il tempo massimo rispetto alla classica mazzata da tre ore, e la novità di 15 lanterne da fare “a memory” con il solo ausilio di due mappe posizionate nella parte ovest del percorso.


Stare dentro le due ore non è un problema. Venire a capo delle 15 lanterne a memory lo è un po’ di più, perché sbaglio in pieno la strategia di memorizzazione: in pratica, anziché fissarmi nella testa la posizione delle lanterne, cerco di ricordare la sequenza delle svolte destra-sinistra-avanti-indietro che devo fare (forse ho visto troppe volte in televisione Marcel HIrscher che mima lo slalom speciale…). Il risultato è che la mia RAM va in overflow troppo presto e mi tocca passare tre volte (una volta di troppo) dai tavolini dove sono posizionate le mappe con tutti i punti. Nonostante ciò, la classifica mi gratifica con una serie di scalpi mica da poco… in una gara che vede un altro “Clamoroso al Cibali!” ovvero la vittoria in MElite di un neofita dell’Unione Lombarda, cosa che credo non si verificava dai tempi di Giorgio “The Great” Deligios! Ma lo scalpo che avrei veramente voluto portare a casa è quello del passante che in pieno svolgimento della gara si ferma a pisciare a 50 centimetri dalla lanterna numero 45 proprio mentre la sto punzonando, e alle mie rimostranze replica con un seccatissimo “Quando scappa, scappa…!”.


***
Fine novembre: “El Clasico” al Monte Stella


L’inizio della “MiPa 2019” (Milano nei parchi) non poteva che svolgersi alla mitica Montagnetta di San Siro. Per il quattordicesimo anno di fila cerco di cavare fuori dall’unica mappa in scala 1:3.500 del circonDario qualche cosa che risulti: comprensibile per chi si cimenta per la prima volta, comprensibile ma un pelo più sfidante per chi magari ha qualche anno in più rispetto ai più piccolini ma non è ancora arrivato alla seconda uscita orientistica, infine abbastanza sfidante da attirare qualche agonista che vuole sfidare la salita… perché al Monte Stella c’è quella (la salita) e poco altro, soprattutto per chi ci ha già corso in tutte le altre 13 occasioni. Mi sono inventato un percorso “corto”, due percorsi “medi”, due percorsi “lunghi” con un transito in cima al Gran Premio della Montagna, ed un percorso “agonisti” che prevedeva tre passaggi ed un cambio carta.
La storia dei numeri degli iscritti al “Clasico” è sempre quella: fino al martedì prima della gara riceviamo qualche sporadica iscrizione che fa pensare ad un autentico fallimento. Poi Marco Lombardi comincia a macinare numeri che crescono come lo spread nei periodi davvero brutti: 90 iscritti, poi 140, poi 200 in totale, che diventano improvvisamente 220 iscritti sul solo percorso medio… alla fine conteremo 420 iscritti, che scenderanno a poco meno di 400 alla conta dei testimoni cartacei. Oggigiorno poco meno di 400 partecipanti, che hanno sfidato la pioggia gelida caduta fin dal mattino presto durante la posa, non te li tira dietro nessuno signora mia!
Non saranno sicuramente 400 tesserati in più per la FISO, ma saranno quasi 400 persone che avranno una possibilità di rispondere correttamente ad una delle domande più insidiose formulate in uno dei programmi-bufala più penosi e pietosi della storia recente della RAI Radiotelevisione Italiana:
E pensare che in televisione l’hanno sbagliata TUTTI!
***
Metà novembre: campionato regionale sprint a Barzanò


Una giornata fredda nonostante il sole, ma le mie condizioni fisiche non sono proprio le migliori: la settimana era cominciata sette giorni prima con la gara organizzata dall’UL al Parco Nord di Milano, dove cerco di contribuire come posatore e come giudice di arrivo (passando altre tre ore al freddo e sotto la pioggia) ma era proseguita come peggio non si poteva; di conseguenza la gara di Barzanò è arrivata come il cacio sui maccheroni per assicurarmi qualche ora di stacco mentale, anche se ero sicuro che avrei fatto più fatica di quanto sarebbe stato lecito. Luigi Giuliani ha tirato fuori un bel percorso divertente, e a giudicare dalla mappa di gara secondo me restano ancora zone adatte per farci passare la gara già annunciata per il calendario 2019. Dato che è una gara sprint, le partenze sono ogni minuto ed io ce la devo mettere tutta per non farmi passare sulle orecchie da Angelo Occhi già al primo punto in salita.
Qualche svarione qua e là (leggi: scelte di percorso non proprio ottimali nelle tratte 2-3 e 4-5) ma il percorso mi aiuta a non mollare mai. Sul rettilineo finale ci presentiamo in tre con lo stesso tempo a giocarci il terzultimo, il penultimo e l’ultimo posto: anche se non mi sembra di essere andato proprio piano, l’amico Fabio Gaspari dell’UTOE Bellinzona (vecchiaccio quasi quanto me, ma anche lui coraggiosamente iscritto in M21) mi rifila due secondi e mi lascia in penultima posizione.


***
Inizio Novembre: Toscana Orienteering Classic


Continuo con il rewind. Ultima tappa a Montalcino, dove avevo cercato invano di correre nel 2016 nei giorni più duri per la fascite plantare, in una notturna con mass start nella quale la luce frontale mi aveva abbandonato subito costringendomi ad un ritiro quasi immediato in preda sia al dolore che al panico. Montalcino 2018 va in scena di domenica mattina, io sono speaker e l’organizzazione dell’IK Prato mi consente di provare il percorso Elite con un certo anticipo rispetto alla gara che, almeno per quanto riguarda gli atleti Elite, parte in una zona remota del bellissimo borgo medioevale. Cerco di fare del mio meglio e darmi un tono, o perlomeno di giocare le mie residue energie quando lungo il percorso incrocio gli orientisti che cercano parcheggio o fanno colazione o escono dai loro B&B, ma sono veramente stanco dopo una settimane di gare che arrivano in un periodo dove non sono al mio meglio fisicamente.

Il pomeriggio precedente, sabato, ho ricoperto gli stesso ruoli di apripista-Elite e speaker a San Giovanni d’Asso. Mi sento in dovere di riprendere un commento fatto già da Dario Pedrotti sul suo blog: la carta non è proprio il borgo medioevale nel quale mi sarei aspettato di correre, ma evidentemente l’organizzazione deve fare i conti con dei permessi negati all’ultimo momento (il pensiero mi corre spontaneo ad alcune situazioni che, in passato, hanno costretto le organizzazioni ai salti mortali quando qualcuno ha cercato di lucrare all’ultimo momento qualche compenso extra per il passaggio su un proprio terreno…). Rimaneggiamento dopo rimaneggiamento, la gara sprint è partita su una autentica “creta senese” che mi si è incollata ai piedi in quantità inaudita, appesantendo la mia già faticosa andatura.
Non oso pensare a cosa devono essere state quelle zolle dopo il passaggio di tanti concorrenti! Prima discesa verso il ritrovo e passaggio al punto spettacolo cercando di darmi “il solito tono”, cosa per niente facile visto che gli orientisti sono sparsi lungo tutto il percorso! Il secondo giro per fortuna non ripassa dalla zona della creta senese, ma mi trovo ugualmente coinvolto in un paio di situazioni decisamente curiose: la prima quando giro l’angolo della lanterna 15 e mi trovo improvvisamente immerso nelle lenzuola stese di traverso lungo tutto il passaggio, come in una comica degli anni ’30; la seconda alla 20, con la lanterna posizionata sopra le ciotole per i gatti: appena giro l’angolo per punzonare, partono gatti da tutte le parti!
Le gambe, ma soprattutto il mio stato d’animo, era stato messo alla prova la sera precedente a Castelnuovo dell’Abate durante la notturna che faceva da collante tra le prime due gare in bosco al Monte Amiata e le ultime due gare sprint in centro storico. Notturna a sequenza libera: ce n’è a sufficienza per farmi salire l’ansia anche adesso che sono seduto al tavolo di casa! Giusto per la cronaca, sono talmente affannato che il solo portarmi sulla linea di partenza diventa una impresa… dapprima mi metto in fila con dietro ai concorrenti già presenti, ma mi rendo conto solo dopo qualche minuto che ho con me la bussola ma non ho preso il chip. Torno alla piazzola dove ho posato lo zaino, vicino ai ragazzi dell’Orsa Maggiore Roma, prendo il chip e ritorno in coda. Qui vedo Alessandra Gariboldi che mi guarda perplessa: io guardo perplesso lei, perché la luce frontale che indossa, e che mi punta negli occhi, mi acceca… la frontale! Ho dimenticato la luce frontale! Torno allo zaino e poi ritorno a mettermi in coda. Dove vedo che tutti i concorrenti indossano il pettorale con il numero e la categoria di iscrizione… il pettorale! Non ho preso il pettorale! Avanti e indietro ancora una volta… scoprirò l’ultima dimenticanza solo dopo aver preso il via: non ho indossato le scarpe da corsa, e terminerò il percorso con i miei vecchi scarponcini Nike azzurri.
La parte nel piccolo borgo medioevale è davvero suggestiva, ma finisce troppo presto e le discese verso il punto 43 prima ed il 36 dopo non sono delle più agevoli su sentieri sconnessi, con i sassi che affiorano qua e l e qualche rovo che potrebbe farmi lo sgambetto ad ogni passo. La luce frontale appena comperata per pochi euro presso la ferramenta di Montalcino è davvero fioca (non è il faro che userò il 9 gennaio, supportato dalle nuove pile arrivate per Natale) ed è solo per la presenza di altri orientisti che riesco a disimpegnarmi al punto 32. La maestosa Abbazia di Sant’Antimo per fortuna è abbastanza illuminata di suo da consentirmi di trovare il punto 33 e 34 senza problemi, ma il punto 35 è cacciato in una zona più buia del lato oscuro della Luna, con la lucina frontale insufficiente in una zona completamente aperta e senza alcun fondale a fare da punto di riferimento (per non parlare della creta senese che abbonda e degli scarponcini inadatti…). Gli ultimi scampoli di luce li uso per evitare di sfracellarmi sul filo spinato che ad est separa la creta senese dalla strada, mentre gli scarponcini li distruggo definitivamente sui sentieri del vigneto per andare e tornare dal punto 37. Notturne? Sono sempre un disastro!


Le prime due gare boschive al Monte Amiata non sono proprio da annoverare tra le mie migliori prestazioni orientistiche del 2018. Nella prima tappa, complice forse anche il lungo viaggio di andata da Milano, ho abbandonato ogni velleità di classifica già al primo punto di controllo affrontato per la direttissima sotto la linea rossa: il fondo del terreno, argilloso come pochi, ha respinto a lungo i miei tentativi di arrampicata dal fondo del torrente… quanto sarebbe stato più vantaggioso fare il giro in senso antiorario lungo la strada! E nonostante la maggior parte della strada per arrivare al punto 2 si potesse fare utilizzando un sentiero, sono riuscito a trovare quel punto solo accodandomi ad una amica ticinese che stava andando ad un punto di controllo completamente diverso, e facendomi dire da lei la posizione una volta che lo abbiamo trovato insieme (il suo punto!).


Andando al punto 3 sono stato così lento e impreciso da continuare a pensare che la carta di gara segnata al 1:10.000 fosse in realtà rilevata al 1:15.000 : nulla mi sembrava a posto, ed i miei punti di riferimento sembravano non arrivare mai. La vegetazione, poi, nella mia percezione non ha quasi mai combaciato con la realtà! Sia come sia, il primo punto che ho fatto decentemente nella prima tappa all’Amiata è stato il punto 4 (d’altra parte il laghetto davanti al punto non era mancabile), ma di quella tappa ce ne sono stati gran pochi di punti che ho fatto bene: anche in quelli vicino al traguardo tra le case mi sono perso.
Infatti durante la seconda tappa ho badato più a controllare quelli che mi correvano vicino, sperando che fossero loro a portarmi ai punti, che a fare orienteering da solo. Il primo che mi è capitato vicino è stato il mio amico svedese Ola Skepp, che qualche Tiomila e qualche Jukola le ha fatte durante la sua lungimirante carriera piena zeppa di successi: stavamo cercando insieme il punto 66, e ad un certo punto mi ha detto “looking for sixty-six?” e io ho pensato “cazzarola! Ola Skepp sei tu! Trovala tu per me la lanterna, che io ti vengo dietro!”. Beh… per una volta nella vita che decido di seguire un toro come Skepp, la lanterna 66 la troverò prima io.
La tappa alla fine la porterò a casa con fatica e qualche buon punto di controllo, ma nonostante io sia andato più forte e più preciso rispetto al primo giorno, la mia posizione in classifica sarà decisamente peggiore…


***
Fine ottobre: Mezzano e Caltena


Risalendo il corso del tempo, arrivo alla gara di Mezzano valida come Campionato Italiano Sprint Relay… Un momento!Come sarebbe a dire “Mezzano”? La staffetta sprint è stata disputata al sabato, e la domenica era in programma la Coppa Italia long a Caltena. Vuol forse dire che non ho corso alla Coppa Italia? Non esattamente. E’ successo invece che per una serie di fortunate circostanze io sono riuscito a correre la gara di Coppa Italia il sabato mattina. Ed ho fatto il percorso Elite, perdindirindina! Mettendoci, chiaro, una iradiddio di tempo, ma arrivando al traguardo ancora con un minimo di energie per potermi cimentare a pochi quarti d’ora di distanza sul percorso M50 della staffetta sprint nelle vesti di terzo frazionista dell’OK Trzin Slovenia.
Vado con ordine. Succede che in settembre, in un giorno imprecisato, vengono pubblicate le lunghezze della Coppa Italia long di Caltena, tracciata dal mio buon amico Fabio Dalla Riva a fianco del quale ho combattuto innumerevoli battaglie. Io leggo e trasecolo: 11 km + 650 di dislivello a Caltena non sono uno scherzo per nessuno… quella sera stessa mi attacco a Facebook e mando un messaggio a Fabio, avendo anche letto la sua intervista per il sito Fiso.

La risposta di Fabio è lapidaria come un guanto di sfida:
A questo punto il gioco era fatto. Sarei salito a Caltena il venerdì sera. Sabato mattina presto Fabio (e Fabiano, e Simone, e Ivano, e non so quanti altri…) avrebbero posato i punti di controllo perché la giornata coincideva con il compleanno della bimba di Fabio, e bisognava finire la posa molto presto. Io sarei andato dietro alla loro posa facendo il percorso Elite, e magari controllando qua e là se la posa era stata fatta a puntino.
Insomma: questa cosina qui:


Parto alle 7.52 e già sulle prime due salite per la 1 e per la 2 mi chiedo chi me lo sta facendo fare.
(uscita dal B&B…)
(luce e sorriso alle 7.52...)
La discesa agli inferi per la 3 mi vede incrociare le orme proprio di Fabio, ma poi il punto 3 me lo devo cercare da solo e sarà un avanti e indietro poco divertente. Da lì in poi mi sembra di vivere in una bolla: decido di appoggiarmi a tutti i sentieri, e trovo i punti proprio dove mi aspetto che sono anche a costo di fare una quantità di dislivello inaudita. Fabio mi aveva avvisato di stare molto attento alla salita micidiale per la 11, ed io sono il campione del mondo di fare attenzione: sentiero verso est, strada tortuosa fino al ristoro (che ovviamente ci sarà solo l’indomani), sentiero verso nord fino alla malga dove la proprietaria mi chiede se ho una sigaretta da regalarle (!), poi sentierino verso nord fino al fiume e da lì ci si mette la carta in bocca, le mani sul terreno, la testa a sfiorare il terreno stesso ed arrivo al punto 11 senza nemmeno la sensazione di aver fatto tanta fatica!
(… espressioni varie in gara…)


(in cima al mondo, prima della discesa…)
(lo sfondo delle Pale… prima della 14)
La 12 e soprattutto la 13 vanno via come se niente fosse, ma il conto da pagare arriva salato alla 14 ed alla 15 che costano uno sforzo supplementare imprevisto e non auspicabile, visto che sta per arrivare l’ora della micidiale pietraia di Caltena. Pietraia che affronto con la stessa circospezione di un cercatore d’oro, ottenendo all’inizio gli stessi risultati di Paolino Paperino: il nulla cosmico! Ad un certo momento mando a ramengo la “circospezione” e comincio a muovermi nella zona tra le rocce con una sola tattica: nella pietraia ci sono solo le lanterne dell’Elite, basta che ne trovo una e da lì faccio il punto per localizzarmi e trovare le altre… adesso capite perché Gueorgiou in questo momento ha una lancinante fitta al duodeno! Sia come sia, alla fine mi imbatto in un telo che risulta essere quello della 18. Da lì è (quasi) uno scherzo arrivare alla 19 (c’è il sentiero, sia ringraziato lui) e poi alla 20 (sette minuti per fare 150 metri). Per la 21 si usa il sentiero verso sud e, al bivio, ci si butta dentro fino al cocuzzolo… si, col caxxo! Al terzo tentativo lo trovo! La 22 semplicemente non è sbagliabile, o meglio non posso sbagliare a trovare il masso che è grosso come un condominio, ma sbaglio arrampicandomi sulla cima del masso quando la lanterna è alla base. Uscito dalla pietraia, la 23 è banale come un bivio di sentiero al Parco di Trenno, l’orrido vallone tra la 23 e la 24 lo scalo mentre parlo al telefono con Marco che nel frattempo sta arrivando a Mezzano, e le ultime lanterne sono altrettanti bivi di sentieri al Parco di Trenno.

(nella sassaia… e la faccia è cambiata!)
Finale in debito di energie e traguardo in tre ore, cinquantanove minuti e cinquantanove secondi. Si. È vero, ho perso una decina di minuti a fare le foto alle lanterne, ma in meno di 3 ore e 45 minuti non ce l’avrei mai fatta. Però ogni tanto bisogna fare qualcosa di pazzo, o no? (cit. Rudolph Ropek-Carsten Jorgensen per gli orientisti più anziani). La cosa pazza non sarà, a conti fatti, provare il percorso long Elite di Caltena, ma presentarmi al via di Mezzano anche solo per la frazione a staffetta M50; convincere le gambe a ripartire è impossibile, e mi tocca aspettare di essere sul percorso con il bravissimo tracciatore Emiliano Corona per avere quello stimolo (si chiama orgoglio) per muovere le gambe ad una velocità superiore rispetto a “strisciare sul terreno”. A proposito di tracciato, ancora complimenti ad Emiliano per aver tirato fuori da Mezzano un tracciato mai banale e davvero impegnativo, ed aver utilizzato l’escamotage delle barriere artificiali in modo da rendere ancora più intricato il percorso.


Dovrebbe essere tutto per quest’anno, ma forse è già ora di ricominciare: 9 gennaio notturna alle Tre Torri di Milano, con la speranza di essere un po’ più puntuale anche nell’aggiornamento del blog (e con tante altre speranze per il 2019).


Auguri a tutti!


Nelle nebbie del tempo: 21 maggio 2004, il primissimo "MOO"

$
0
0

Milano. Una di quelle sere nelle quali tornano in mente le parole di Alberto Fortis “Mi piacciono i tuoi quadri grigi, le luci gialle e i tuoi cortei. Oh Milano sono contento che ci sei”. In sere come queste uscire dall’ufficio è lieve e dolce come l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, ho voglia di fare tutto, di sentirmi vivo fuori e di sentirmi vivo dentro...
Mi hanno detto che l’appuntamento è a Porta Ticinese, proprio in mezzo al piazzale. Ma poiché è una di queste sere strane, io parcheggio l’auto un po’ lontano e poi continuo a piedi lungo Via Col di Lana, tra i negozi che chiudono lentamente le saracinesche e i tram che passano portando a casa i lavoratori usciti tardi e che ancora non trasportano i lupi della notte verso i locali. Infatti sono il primo ad arrivare al ritrovo.
Ma ecco i miei amici, Remo e Tatiana. Probabilmente hanno appena finito di fare il giro e di controllare che tutto sia a posto. Arrivano Oscar, Luca ed Alberto, i vari Stefani, Emanuela, Paola, Farah con le sue amiche, altri ragazzi che non conosco, il microcosmo degli Stankanov quasi al completo: ragazze e ragazzi che riescono a trovare una idea comune del divertirsi e dello stare insieme che va al di là delle età e della provenienza di ognuno di loro, per questo li invidio molto. Spiegazioni rapide delle caratteristiche della gara, poi mi ritrovo in mano la cartina: è un gesto che faccio 60 o 70 volte all’anno, ormai dovrei esserci abituato.

Non questa volta, però. La cartina sembra un oggetto strano, che mi lancia strane sensazioni ... come delle onde ... i rumori li sento attutiti e cambia la prospettiva di ciò che vedo intorno a me. Non vedo più nessuno, ma ovunque poso lo sguardo, colgo lampi in bianco e nero, fuori fuoco e sgranati dal tempo. So che devo andare... devo andare da quella parte, attraverso la strada che non è più una strada; è come se passassi in un tunnel, in un caleidoscopio, nel mio “stargate”. Non ho ancora raggiunto il marciapiede opposto ma so che sto puntando verso il piazzale della chiesa di Sant’Eustorgio, dove ci sono i bambini che giocano a pallone nell’unico spazio aperto disponibile; non importa se io sono quello che non è capace di colpire bene la palla, perché la darsena è lontana e non c’è pericolo che i miei tiri a banana facciano finire la palla in acqua… non importa se c’è Don Nino che viene fuori a mandarci lontano perché al posto della porticina usiamo l’ingresso piccolo nella cancellata e ogni tanto la palla finisce contro il portone della chiesa.
Poi esco dal piazzale ed entro in un altro quadro, mi sto infilando in una stretta viuzza del Ticinese e sto andando in giro con i sacchetti di riso e di pasta, a fare il fattorino della drogheria per le signore che si facevano portare la roba a casa... mi sembra di sentire in tasca il fruscio della prima banconota da 500 lire di mancia, che sono tornato al negozio come se avessi in tasca i diamanti, ma vergognandomi perché le 500 lire le avevo avute io e non Pinuccio, l’altro fattorino. I giardinetti in fondo alla via non c’erano ancora...
Vado avanti e di colpo è il 1984, sono in Via Correnti e c’è la sala giochi dove andare quando il prof di ginnastica all’ultima ora ci faceva uscire prima, una partita veloce a “time pilot” e poi via a pigiarsi sulla 97 per tornare a casa puntuali. Al di là del portico, all’angolo della strada, c’è ancora il vecchio baretto tre metri per sei... siamo lì il 12 giugno 1985, seduto attorno ad un tavolino in cinque: solo in cinque, pochi e maledetti, e stiamo per andare alla palestra dell’Ariberto a giocare la finale dei campionati studenteschi, senza cambi perché Andrea e Sergio si sono sbragati in malo modo facendo i cretini in moto per la strada, e sulla balconata dell’Ariberto non abbiamo nessuno che tifa per noi, perché nessuno crede che possiamo vincere... l’altro Andrea arriva all’Ariberto con lo Zundapp, è l’unico motorizzato, è quello ricco col Monclair e le Timberland ma almeno sa giocare. Noi altri andiamo all’Ariberto a piedi, guardiamo malissimo l’altra squadra che si è portata pure le cheerleaders, lottiamo per tutta la partita e alla fine vinciamo di un punto dopo due supplementari ed andiamo a fare festa da soli sulle note di Don’t You Forget About Me. Ma quando giro in Via Lanzone sono passati solo pochi mesi, e chi si ricorda più del trofeo? Ci sono i ragazzi dell’85 per le strade a protestare per lo stato delle scuole italiane, 17 giorni di fila di scuola occupata, e per la prima volta abbiamo dovuto organizzarci le lezioni da soli perché ci sono gli esami di maturità e i commissari se ne fregano se abbiamo saltato la scuola per un buon terzo dell’anno scolastico, nonostante i gran premi di Formula 1 in tv siano annunciati dalla sigla “i ragazzi dell’85 e i ragazzi dell’86 – tutti insieme sulla strada del 2000”.
Non devo aspettare il 2000 per girare attorno al Corso, perché adesso è il ’93: sono già grande e mi tocca studiare sul serio per laurearmi, anche di sera in osservatorio a Brera che è il posto più silenzioso e lugubre dove si può stare il sabato sera mentre fuori c’è la vita; qui invece al posto delle finestre abbiamo i tendoni di plastica che fanno ululare di più il vento, e se c’è corrente le porte sbattono come in un film di Dario Argento, e se all’improvviso suona il telefono in laboratorio si salta sulla sedia con i capelli dritti e la pelle d’oca spessa... meglio tornare verso casa, passando da Piazza Fontana, che è un luogo che qualcosa rappresenterà pure nel modo in cui ognuno di noi è cresciuto, nel bene e nel male, anche se siamo ancora qui adesso a capire cosa è successo veramente e forse nessuno ce lo dirà mai; meglio tornare verso casa, passando giù per Via Olmetto dove andavo a portare le buste con i biglietti del Milan e dell’Inter, e questo succedeva prima che passasse il ciclone di Tangentopoli... e chissà quante persone sono passate di qua a consegnare qualcosa, senza immaginare che stavano entrando in una storia brutta, solo perché era il loro turno nel tabellone delle consegne.
E’ il momento di tornare verso casa passando per i giardini di Piazza Vetra, la ex casa dello spaccio, adesso Parco delle Basiliche ma quante volte da ragazzo ho visto arrivare le ambulanze per portare via i ragazzi per via delle dosi tagliate male, e magari io avevo in borsa “I ragazzi dello zoo di Berlino” che a scuola ci hanno fatto leggere nella speranza che qualcuno capisse e non ci cascasse dentro, ma Andrea Antonio e Pinuccio non ci sono più ... loro quel libro non hanno fatto in tempo a leggerlo e la lurida maledetta fottutissima neve se li è portati via da ragazzi, che non è la neve dell’85, quella caduta copiosa che ci faceva dire “torno a casa a piedi da scuola e speriamo di arrivare”... Voglio andare via da questo giardino che non mi piace perché è un buco nero nei miei paesaggi, è un quadro offuscato in cui il mio sguardo si perde in lontananza e non riesce a fissarsi su nulla, perché da quando Pinuccio se n’è andato dentro lì per me non c’è davvero nulla che valga la pena di ricordare...
A pochi passi da lì ci sono le colonne di San Lorenzo, un tram numero 15 che passa per portarmi a casa e chissà quante volte l’ho preso di corsa, ma questa volta lo lascio passare perché non ho fretta, non devo andare a casa a studiare, c’è il sole e voglio sentire il tempo che passa sulla mia pelle e risentire tutti i momenti di questa giornata, perché ho appena visto il tabellone con i voti della maturità e per questa volta posso andare a casa orgoglioso del lavoro che ho fatto. E poi a vedere i risultati c’era anche Alessandra, che è venuta a salutare me anche se lei la maturità l’ha fatta l’anno scorso, è fidanzata con Andrea e aspetta un bambino da lui, ma io l’avevo aiutata a preparare greco quando la maturità toccava a lei, e se ne è ricordata ed è venuta a salutarmi ed è stata l’ultima volta che l’ho vista, sono convinto che lei non si ricorda più di me, ma io si perché di quel giorno in cui ho vinto la mia prima battaglia non dimentico nulla.

Adesso il tunnel si restringe e in fondo vedo quasi le luci, non è più il bianco e nero di prima, sono in Corso di Porta Ticinese e là in fondo c’è il mio presente, quello per il quale vale la pena di vivere tutti i giorni, sento che ho in mano una cartina e sono felice come un bambino. Intorno a me la gente guarda e non capisce ma forse percepisce anche solo per un istante che sono felice. Ecco. Sono tornato dal mio viaggio. Vedo Porta Ticinese e lì ci sono Remo e Tatiana. Ci metto un po’ a rientrare nel presente perché qualcosa di me è rimasto agganciato al passato: è il fardello e la piuma che mi porto dietro tutti i giorni in tutte le cose che faccio. Nel bene e nel male sono passato attraverso tanti stargate ed ognuno mi ha lasciato una cicatrice, un segno, un capello bianco ed un sorriso, e stasera ne ho rivissuti tanti... avrei dovuto essere qui a festeggiare un compleanno (un altro stargate per un amico ed un compagno di squadra), invece resto sovraeccitato a pensare al regalo che proprio io ho ricevuto questa sera. Tornare a casa lungo la Col di Lana non mi sembra nemmeno vero, alcuni negozi sono ancora aperti per il popolo della notte ed i tram continuano a passare semivuoti perché i lupi si muovono per i fatti loro... per il mondo sono passate due ore, per me è passato molto di più.

Piovono Mazzate

$
0
0
Ogni tanto mi capita di raccontare, in mezzo a qualche cronaca dal vivo o più spesso durante le premiazioni nelle occasioni in cui ci sono un sacco di scandinavi, il vecchio adagio relativo agli orientisti che si ritrovano davanti al caminetto nelle lunghe e buie serate invernali a raccontarsi aneddoti risalenti a competizioni vecchie di settimane o mesi, ma più spesso vecchie di anni se non di decenni. Sono sicuro di averlo detto in più di una occasione (si, lo so, invecchio e tendo ad essere ripetitivo). Recentemente mi è capitato di partecipare a due serate a tema orientistico: prima la celebrazione dei 30 anni del Trofeo Lombardia, poi l'annuale ritrovo dell'Unione Lombarda. In entrambe le situazioni, nonostante l'assenza di caminetti accesi, di scandinavi e di metri di neve all'esterno, mi sono accorto di aver raccontato a qualcuno che mi stava a sentire lo stesso identico episodio, capitatomi proprio agli inizi della mia carriera orientistica (si, lo so, invecchio e tendo ad essere ripetitivo... l'ho scritto appena sopra!).


L'episodio è legato a quella volta che mio padre mi ha accompagnato a due gare in Brianza che si disputavano a poche ore di distanza l'una dall'altra: la prima, il sabato sera a Carate Brianza (quando la Valassina era ancora una strada con i semafori e non arrivava al bivio di Giussano), la seconda poche ore dopo, domenica mattina a Monza. La prima gara a formula score è rimasta celebre nella memoria di chi c'era per le 5 lanterne (su 25) che vennero incendiate da una banda di simpatici ragazzotti locali che volevano divertirsi a spese degli almeno 200 concorrenti al via; il conseguente caos all'arrivo, con la gente in coda che sentiva quali lanterne non avevano potuto punzonare quelli davanti, e le aggiungevano all'elenco delle lanterne che essi stessi non avevano trovato, è rimasto parimenti impresso nella memoria.


Nella seconda gara ho incocciato per la prima volta in una squalifica per punzonatura mancante, dopo che al termine del percorso in H21 avevo portato come "coriandolo", e testimonianza del passaggio da una lanterna che era stata spostata, un lembo del classico foglio "Non toccare la lanterna - gara di orienteering in corso". Il direttore gara stabilì che il lembo che avevo consegnato all'arrivo "fittava combaciava" con il foglio di carta rimasto a terra, ma che il foglio, il telo ed il paletto (senza punzone, portato via) erano stati gettati ad una decina di metri di distanza dal punto esatto; di conseguenza, essendomi io fermato all'altezza del telo buttato per terra, non ero arrivato al punto e quindi non avevo completato il percorso. Sono ancora convinto che, nella cervelloticità della decisione, la mia squalifica sia più o meno allo stesso livello del mancato rigore sul contatto Iuliano-Ronaldo in Inter-Juventus di qualche anno fa. Parlo di squalifica perché io venni inserito in classifica come SQ, e non come PM. Mio padre, seppur abituato negli anni precedenti alle squalifiche comminate dalla commissione giudicante della Federazione Italiana Pallacanestro allo scapestrato figliolo (perché in fondo Ron Artest è solo un simpatico imitatore...), era rimasto perplesso davanti ad una squalifica comminata durante una gara di corsa (di orientamento, ok, ma sostanzialmente di corsa...). Corsa che, per di più, avevo concluso con il viso coperto di sangue in quanto l'ultima lanterna era posizionata proprio sotto un segnale stradale, di cui non mi ero accorto e che quindi avevo colpito in pieno nel tentativo di punzonare il cartellino cartaceo velocemente. Facendo 2+2, il suo ragionamento era stato pressappoco il seguente: "intanto io ti accompagno alle gare con la mia auto, visto che tu non ce l'hai, rubando tempo al mio sacrosanto riposo... che io lavoro ancora e tu studi ancora. Poi ad una gara sento parlare di lanterne incendiate. Infine ti fai squalificare. Sei sicuro che questo sia lo sport per te?".


Chissà... forse la risposta giusta sarebbe stata che l'orienteering non era lo sport per me.


Racconto questo perché, dopo quella prima volta a Monza, mi è capitato altre volte in carriera di concludere la gara con una PM: assimilabile in alcune situazioni ad un "mi ritiro consapevolmente e passo dall'arrivo ad avvisare di non far uscire il soccorso alpino", in altre ad un "ehhhhh??!?!? ma no!!! ma io da lì ci sono passato!!! aspetta... come mai non mi ricordo di aver fatto questa tratta??? ... scusate, non vi faccio perdere altro tempo". Tuttavia non mi era mai capitato di iniziare una stagione sportiva con due gare già nel mese di gennaio e terminare PM in entrambe le occasioni. Come dire che il buongiorno si vede sicuramente dal mattino, ma la sveglia è suonata mentre io sono alla base scientifica Outpost31 e fuori dalla porta c'è un cane siberian husky incaxxato. E se non avete riconosciuto la citazione, chiudete il blog perché non vi voglio nemmeno conoscere... e si! Anche la frase "non vi voglio nemmeno conoscere" viene spesso citata nei miei commenti dal vivo, ma se ancora non l'avessi detto, invecchio e tendo ad essere ripetitivo.


PM numero 1 - MOO notturno
"Quel gran genio del mio amico (Remo), lui saprebbe cosa fare..." con una mappa a disposizione fa miracoli! Il miracolo del MOO notturno si ripete il 9 gennaio alle Tre Torri di Milano, luogo ameno adatto alla vita notturna, nel bel mezzo del progetto CityLife di riqualificazione della vecchia Fiera Campionaria. L'appuntamento con i mai banali percorsi in notturna, con una gara raggiungibilissima in metropolitana e con la novità tecnologica della punzonatura via lettore QRcode o via tecnologia NFC comincia ad essere sentito da una platea orientistica sempre più numerosa; di conseguenza sale anche l'adrenalina all'approssimarsi della serata. Io esco dal 2018 con il bel responso cronometrico della gara di Moncucco, sono gasato, sono lanciato, sono incattivito e ho proprio voglia di iniziare la stagione 2019 con una bella prestazione. Inoltre, per la prima volta disporrò di una luce frontale degna di questo nome, in grado di darmi visibilità su quello che succede attorno a me e a cui vado incontro. Sono caldo, sono convinto del fatto mio, sono sicuro che farò bene. Carico le pile della frontale una, due, tre volte per essere sicuro che non mi pianti al buio a metà percorso, e per ulteriore stimolo attivo sul mio Ipod di primissima generazione una playlist da paura che Rambo si va a nascondere (no... non dirò cosa c'è sulla playlist perché in fondo le canzoni che ci danno stimolo sono diversissime da persona a persona, e magari nella scala di apprezzamento di quei tamarri che trovo sulla linea tram del 15 Linda Valori è meno apprezzata di Josh MCK).


Sfiga. La giornata del 9 gennaio, che nelle ipotesi era del tipo "esco dall'ufficio alle 17.30, metto la playlist, mi carico ben bene, arrivo a Tre Torri, mi cambio, parto e spiano tutti quelli che incontro" si trasforma in una di quelle giornate nelle quali sento tanto la mancanza dell'ippopotamo di ghisa che stava sulla mia scrivania a perenne ricordo (per i colleghi) del fatto che l'ippopotamo poteva anche mettere le ali ed atterrare violentemente sulla tempia di disturbatori ed affini. Alle 18,40 sono ancora in ufficio a litigare su alcuni contratti. Decido che ne ho abbastanza, mi cambio alla scrivania, pianto lì le discussioni sterili e perditempo ed esco come una furia dallo storico palazzo di Piazza Scala, diretto alla metro gialla che, con cambio alla metro lilla, mi porterà alle Tre Torri. Ho dimenticato qualcosa? Si: l'Ipod. L'errore è stato quello di mettermi ugualmente le cuffie... ero già abbastanza carico, e "Il caffé della peppina" avrebbe potuto contribuire a calmarmi un po'. Invece la musica è stata l'equivalente di assumere tutto il blister di integratore di caffeina in capsule per uno che aveva già bevuto dieci caffé doppi. Il risultato è che sono arrivato alle Tre Torri con le pulsazioni e la pressione minima a 3 cifre, condizioni per nulla adatte ad iniziare una corsa. Al freddo della sera del 9 gennaio si è aggiunto il vento gelido che ha agitato i cartoncini sui quali avrei dovuto leggere con lo smartphone il QRcode e registrare la punzonatura. Smartphone che, come nella precedente esperienza a San Donato, si è dimostrato lento ed inaffidabile (ehi! ma sto descrivendo proprio il sottoscritto! Evidentemente lo smartphone ha preso proprio da me): lento al punto da costringermi a stazionare anche 30 o 40 secondi su parecchie lanterne (che hai voglia ad inseguire e cercare di tenere il passo di Luigi Giuiani o Federica Negri se poi sto fermo 30 secondi per punzonare) ed inaffidabile per avermi abbandonato attorno al decimo o undicesimo punto, quando l'app ha continuato a dare ok ai miei passaggi dalle lanterne, senza però registrare alcunché. Ovvio risultato finale di PM, il che non mi impedirà di prendere parte alle prossime edizioni del MOO in notturna, ma probabilmente in modalità "allenamento puro": i tempi parziali e finale me li registro con il vecchio Casio Lap Memory 30, e le app le lascio a chi è più giovane di me di qualche generazione.


PM numero 2 - Abbadia Lariana
Ogni tanto mi capita di citare anche il detto "Nirvana a destra - io a sinistra". Ovviamente scherzo, perché di società che organizzano gare ed allenamenti come i nirvanici "Inscì a vèghen". Il riferimento è ad alcune gare organizzate dal Nirvana Verde nelle quali uno come me deve cercare l'iscrizione in una categoria "precauzionale" (di partecipare ai loro raid, invece, non se ne parla proprio): sono tutti cari amici ed amiche, tutti ragazzi e ragazze in gamba, ma sono davvero i più tosti del reame, e da sempre le loro gare sono le più dure, le più massacranti, le più sofferte del territorio di Lombardonia e non solo. Ovviamente tra i ricordi citati dai più, in occasione della festa per il trentennale del Trofeo Lombardia, c'erano le terrificanti mazzate ai Piani Resinelli... ma perché la Coppa Italia a San Primo che cosa vi ha fatto? O la notturna di Magreglio? Comunque il Nirvana ha messo in piedi da qualche tempo il "CLOM" che ho spacciato a destra e sinistra come "Circuito Lariano Orientamento e Mazzate" e invece sta per "Como Lake Orienteering Meeting". Il primo appuntamento è stato per l'appunto ad Abbadia Lariana, su un percorso ("nero" per me) pieno di cambi di direzione e lanterne vicinissime, inframmezzate da tratte lunghissime e per nulla banali di spostamento tra un nucleo di case e l'altro.


E' venuta fuori una gara divertente, con i fiocchi di neve caduti proprio nel finale, con una analisi post-mortem con il tracciatore Maurizio Todeschini che ha evidenziato che le scelte lunghe le ho fatte proprio tutte bene. Quello che non ho fatto bene deve essere stato il passaggio dalla lanterna 20, perché Andrea G. al traguardo mi ha detto "eh... manca la punzonatura della lanterna 20...".
Ovvio risultato finale di PM, il che non mi impedirà di prendere parte alle prossime edizioni del... CLOM!

Perchè è vero che io mi ripeto, mi ripeto, mi ripeto sempre... ma quando le cose si fanno dure, i duri continuano a giocare. Anche a costo di mettere insieme altre PM.





MOO. Basta la parola.

$
0
0
"Ciao vecchia… andate là
Un centralino dell'INPS
Un barile marrone
Un nastro arancioneeeeeee
E poi Graz AlKatz!"
 
Mi sveglio lunedì all'alba, con la musica di "Centro di Gravità Permanente" in testa. Ma le parole del testo non sono quelle classiche della vecchia brétone con un cappello e un ombrello di carta di riso. Non sono nemmeno sicuro di ricordare come mi chiamo, ma ricordo a memoria il numero di una palina dell'ATM, la misura dei faretti, persino il numero di telefono di un tizio che affitta un due\tre locali anche arredati in zona Piazza Angilberto. Il cervello è ancora in modalità MOO. Mi verrebbe da dire "E' il MOO, bellezza, e non ci puoi fare niente!". Ma chi ci vuole fare qualcosa? Sono contento così. Il MOO. Il capolavoro di ReMOO, è tutto MOOlto bello... e adesso basta fare strani giochi di parole.

Se fosse una gara ufficiale della Fiso, sarebbe l'evento dell'anno a mani bassissime. Forse lo è, almeno a giudicare dai commenti di alcuni partecipanti. Nella starting list 2019 troviamo alcuni orientisti forti, qualcuno fortissimo, uno anche ex campione del mondo! E tutti scherzano e ridono prima di partire, ma ammettono di essersi preparati fisicamente e mentalmente per QUESTO evento. Penso a quello che ho fatto io negli ultimi giorni prima del MOO. Quando mai per una gara ho preparato l'attrezzatura necessaria stando attento alla grammatura che mi sarei portato dietro? Cartelletta rigida per scrivere si, cartelletta rigida no (alla fine no). Acqua no, pesa troppo, al limite ci sarà qualche fontana. Barrette si, carbogel meglio: ne porto 5 per 5 ore di gara. Portatessera per la tessera del tram in stile badge aziendale, per limitare al minimo indispensabile il tempo necessario a tirarla fuori dalla tasca ad ogni attraversamento di un tornello. Fazzoletti di carta...? Si, però… vabbé, mi soffio il naso tra le dita (in italiano mi pare che si dica "mi scarnoffio"). Due penne, una matita. Però una matita corta, stile Ikea (alla fine sarà quella dell'Ikea) che pesa meno. Non sto preparando la Marathon des Sables ma siamo lì.
E' il MOO, bellezza! E chi ci vuole fare qualcosa? Anche quest'anno mi lascio travolgere. Passano le ore e sono sempre più ansioso di scoprire cosa ci ha riservato Remo, dove ci manderà. Nei giorni precedenti l'Evento, fioccavano le scommesse... ritrovo al circolo ARCI di Via Oglio? Passaggio sicuro in Piazza Angilberto (con la tentazione di portarsi avanti ed andare a contare tutti i pois bianchi e gialli). Poi magari si scende lungo Viale Omero, Parco Cassinis. Quanto ci vorrà dalla fermata della metropolitana di Porto di Mare a quella di Rogoredo? Google Maps dice 650 metri... converrà tentare la sorte e scendere in metropolitana o lanciarsi senza indugio di corsa lungo Via del Mare? La testa non smette di pensare e di immaginarsi gli scenari più improbabili.

Sabato sera vado a letto e faccio un sogno stranissimo: sono al via di una gara di orienteering che si disputa su un arco temporale di 3 giorni (Remo: non ci provare!), ci sono equipaggi fortissimi (ricordo benissimo di aver visto Daniele Pagliari...) e ci sono squadre composte da alcuni colleghi di lavoro; il regolamento prevede che si possano lasciare indumenti puliti e cibo qua e là lungo il percorso, che si possano prenotare brande per dormire in alcuni punti specifici, anche se non è affatto detto che il percorso ci porterà proprio in quei punti. Nel sogno il mio equipaggio si perde, rimane indietro, passa dai punti dove dovremmo trovare cibo e indumenti puliti quando ormai gli altri concorrenti hanno fatto sparire tutto quanto... ricordo la fatica e la delusione e infine una specie di trafiletto di giornale con poche righe per raccontare che la squadra con i nomi dei miei colleghi di lavoro non aveva concluso la gara, e poco sotto due righe che dicono che il mio equipaggio era arrivato al traguardo: ultimo ma arrivato. E un istante dopo la sveglia.

Mi sveglio e sono già in clima gara, e non sono nemmeno ancora uscito dal letto!

Ritrovo: una cascina in zona Corvetto che fa da punto di aggregazione anche etnografico. Incredibile a dirsi, ci sarò passato davanti mille volte e non mi ero mai accorto dell'esistenza di questo locale proprio ai bordi del Parco Cassinis. Sono tra i primi ad arrivare, e cerco di stemperare la mia tensione ascoltando un po' di musica, facendo qualche battuta con altri veterani del MOO o prendendo un po' in giro coloro che sembrano essere all'esordio. Arrivano Claudia, Maria ed Antonella direttamente dal Trentino, tre campionesse con carta e bussola in mano e con medaglie di titoli italiani al collo, e la loro domanda "Ma le lanterne? E come si punzona?" solleva qualche occhiata perplessa da parte di chi ci è già passato: non ci sono lanterne, non ci sono punzonature. E' il MOO, bellezze mie! "Ma dove siamo capitate?" esclama Claudia... ma sono sicuro che anche loro sono tornate a casa contente per l'esperienza.

Arriva Marco e ci squadriamo vicendevolmente: io sono praticamente fermo da inizio anno... non sono più I.P. ma V.I.P. (Vecchio Impiegato Panzottello)! No, non è vero che sono del tutto fermo... sono andato a correre alla mass start di Taino la settimana precedente il MOO, e ne ho pagato le conseguenze per vari giorni (oltre ad aver mandato a Marco il messaggio di abbandonare il sottoscritto al suo destino e trovarsi un compagno di squadra più valido). Marco, da parte sua, si è allenato come una bestia per tutto l'inverno: i suoi allenamenti live sul sito del Garmin mi mostravano galoppate furibonde a 4 minuti al km... almeno fino a pochi giorni prima del MOO, quando gli è saltato un polpaccio. In pratica siamo due acciaccati: resta solo da capire se cederà prima il polpaccio di Marco, cosa che potrebbe succedere anche 100 metri dopo la partenza, o la mia resistenza fisica (cosa che potrebbe succedere 100 metri dopo la partenza!).
Passano i minuti e si capisce che la tensione sale, che le battute sono sempre più tirate: vedo le soluzioni tecnologiche di altri partecipanti e penso "perché non ci ho pensato anche io?". Poi arriva il momento della presentazione. Remo comincia a spiegare la gara, cala il silenzio rotto solo da qualche applauso scrosciante: è il "popolo di Remo" che tributa il giusto rispetto al proprio guru. Basteremmo noi, in una tornata elettorale, per eleggere Remo almeno ad un Consiglio di Zona dei più popolosi... Un applauso tira l'altro, un "ooohhh" di sorpresa dietro l'altro quando Remo illustra le sue "mappe minimaliste", e poi la frase che tutti stiamo aspettando: "Le mappe sono là dietro!".

E' iniziato il prologo del MOO 2019.

Marco parte come una fionda. Io sono... diciamo più robusto... e nella strettoia di uscita dalla cascina non voglio travolgere e fare male a nessuno, quindi Marco mi deve aspettare un po' con la mappa in mano prima di vedermi comparire. Un paio di punti di controllo e siamo già nel parco Cassinis. Ed io sono già con il fiatone e le pulsazioni a 180! Attorno a me vedo orientisti famosi che mi superano, vedo concorrenti in tenuta da corsa che mi superano, vedo altre persone in tenuta da domenica a spasso per vetrine... che mi superano! Vedo bambini e infanti e anche una famiglia con il passeggino… e mi superano tutti!!! Eppure ce la sto mettendo tutta... ma è evidente che fin dai primi metri si stanno palesando le mie evidenti lacune atletiche. Marco macina un punto dietro l'altro ed io cerco di stargli dietro, tentando di risolvere a mente il sistema di due equazione in due incognite che ci indica su quale binario troveremo di nuovo Remo e le carte di gara di tutto il resto del MOO.
Alla fine riuscirò a risolvere il sistema, ma per un errore di valutazione finiamo (come tanti altri) sul binario sbagliato: prime manciate di secondi persi. La prima scelta di percorso è praticamente obbligata: tutti giù alla fermata Rogoredo della linea gialla. Sul binario c'è praticamente tutto il MOO. Decidiamo di affrontare per prima la mappa del centro di Milano, una fantastica mappa orientistica nella quale sono disegnati solo i binari dei tram. Scendiamo a Missori e, mentre Marco annota diligentemente sul foglio delle risposte le marche di tutti i lucchetti delle saracinesche di un negozio storico di Milano, io cerco di risolvere l'enigma del "punto nascosto": si tratta banalmente di tradurre una sequenza di scarabocchi (numeri in notazione est-araba) in un numero di telefono, poi comporre il numero (il centralino dell'INPS), ascoltare il nastro registrato cercando di carpire la voce che recita "premere il tasto..." in una moltitudine di lingue, ed identificare così una nuova sequenza numerica che, inserita in un indirizzo web, ci dice dove troveremo il punto non mappato che da solo vale 100 punti: alla fermata della metro linea verde di Sant'Agostino.
Ok! Seconda scelta di percorso: maciniamo tutte le lanterne del centro di Milano e decidiamo di approdare alla fermata della metro verde di Lanza, per scendere a Sant'Agostino e mettere in saccoccia i 100 punti. Con noi approdano a Lanza altre squadre con tutti quelli forti: evidentemente hanno fatto la stessa pensata. La metro è... STRACOLMA! Sarà la settimana della moda, sarà che tutti vanno in centro a fare colazione, sarà quel che sarà, ma ci ritroviamo pigiati nei vagoni come sardine. Poiché abbiamo già alle spalle due mappe di gara, non siamo proprio pulitissimi e probabilmente cominciamo ad emanare un certo olezzo: una signora vestita a festa e con la puzza (si, ma sotto il naso) si rivolge al marito lamentandosi per il nostro stato igienico… evidentemente frequenta solo il centro di Milano e non prende mai il tram numero 15.
Ci sarebbe anche da smarcare un piccolo task: fare un selfie con Marco, me ed un sedile di colore giallo della metro, di quelli a forma di onda. Finché un po' di gente non scende a Cadorna, è impossibile persino mettere una mano in tasca ed estrarre lo smartphone. Appena scende qualcuno, Marco ed io ci avviciniamo ad un sedile e... "scusi... non è che potrebbe aprire un po' le gambe così faccio un selfie?". Così parlò Stegal. Nel vagone cala un silenzio di tomba. Nessuno per fortuna ci picchia.
A Sant'Agostino un altro selfie da 100 punti e si migra sull'altro binario per tornare in centro. Fermata Cadorna. Trasferimento sulla linea rossa. Il piano prevede di prendere il primo treno che passa ed arrivare alla mappa di Piazza d'Armi: da sud se arriva un treno per Bisceglie, da nord se arriva quello per Rho. Arriva quello per Rho. Si scende a Lotto e si affronta per prima cosa la mappa multi-piano, un altro dei gioiellini made by Remo apposta per il MOO.
Poi usciamo "a riveder le stelle" in piazzale Lotto ed incrociamo le ragazze trentine che ridono e corrono e sembrano divertirsi un mondo. Sarebbe bello se passasse la 98 che ci può portare verso Piazza d'Armi, ma il tempo di attesa di 12 minuti è scoraggiante e la scelta di Marco è lapidaria: via di corsa da Piazzale Lotto a Piazza d'Armi! Sono 2,3 km. Anche uno dei più forti in gara mi dirà "una scelta un po' hard...". Ma Marco è in stato di grazia e si mette davanti a tirare, io invece sono in uno stato tra l'impedito e l'infartuato. Cerco di distrarre Marco rammentandogli un passaggio da un parcheggio taxi con uno dei quesiti più insidiosi di un precedente MOO, o indicandogli una ragazza davvero degna di nota che con un banchetto a bordo strada cerca di accalappiare clienti per qualche offerta di telefonia mobile, ma Marco tira via dritto come un fuso ed io sono dietro di lui a rantolare a ritmo sempre più forte.
All'ingresso nell'area dismessa di Piazza d'Armi, il polpaccio di Marco sembra pronto per il tagliando del 10000 km mentre i miei polmoni non se li filerebbe nemmeno un gatto a digiuno da una settimana, ma bisogna guardare avanti e buttarsi nella mappa più orientistica del MOO 2019.
Qui, tra un rantolo e l'altro, comincio a fare qualche considerazione: le squadre che corrono attorno a noi sono quelle che avevamo identificato come "quelle forti". E ci siamo anche noi. Nel mio gergo di commentatore sportivo, è la sindrome del "what the hell I'm doing here?" che coglie quegli atleti del tipo "non sei il favorito nemmeno se a tutti gli altri viene la peste bubbonica" che si ritrovano nel risicato drappello di testa di un Mondiale di ciclismo quando ormai mancano 3 chilometri al traguardo ed è chiaro che da dietro non rimonta più nessuno (ogni riferimento all'ultimo mondiale di Innsbruck e al canadese Michael Woods è puramente voluto).
Lo faccio presente a Marco, e lui mi risponde di stare concentrato e di non cominciare a gongolare che la strada da fare è ancora lunga. All'interno della Piazza d'Armi, i punti facili sono un'altra rasoiata nelle gambe perché si tira dritto senza nemmeno fermarsi, i punti difficili arrivano come una benedizione perché bisogna fermarsi almeno qualche secondo a ragionare. Gli attraversamenti degli spazi incolti e le scalate delle montagnole di terra soffice sono invece delle maledizioni perché l'ago della benzina scende in zona rossa che più rossa non si può.
Alla fine anche la tortura di Piazza d'Armi finisce. L'uscita attraverso la cancellata che butta su Via delle Forze Armate è attraverso un varco largo 25 centimetri al massimo che servirebbe un escapologo come Houdini per passare (io mi devo liberare dello zainetto, di parte del vestiario e lasciare giù qualche centimetro di pelle del torace...). Poi è di nuovo corsa pazza fino alla fermata della metro rossa di Inganni: davanti a noi c'è uno che fa jogging domenicale, dietro c'è una squadra tra le più forti (con qualcuno che ha fatto due mondiali di orienteering in tempi recenti!). Il tizio che fa jogging si volta a vedere noi che siamo in fila indiana e sembra bullarsi del fatto che è lui che sta tirando il gruppo... Marco per reazione ingrana una marcia in più (prima era in retromarcia) ed allunga il passo senza sforzo portandosi in testa al gruppo, poi si volta e sorride. Dalla squadra appena dietro di me si sente una voce "Guarda adesso il Galletti come ride... che Marco aumenta la velocità". Io sto per vomitare. Poi Marco, senza sforzo, ingrana un'altra marcia e allunga ancora di più. Dalla squadra che è ancora appena dietro di me la stessa voce dice "Guarda adesso il Galletti come gli bestemmia dietro... che Marco ha allungato ancora!". Io sto per vomitare di più. Per fortuna so dov'è la fermata della metro di Inganni e mi do un obiettivo a breve scadenza: raggiugere la fermata, scendere le scale, infilarmi nei tornelli, correre fino alla pensilina e trovare un cestino per vomitare.
Passa la prima metropolitana: avremmo bisogno di trovare un'altra carrozza con i sedili rossi a forma di onda (altro selfie) ma è una di quelle vecchio stile. Marco ha una idea da premio Nobel: scendiamo a Pagano, dove la linea rossa da Bisceglie si incrocia con la linea proveniente da Rho, ed avremo in pochi minuti un'altra possibilità di trovare una carrozza che fa per noi e per il nostro selfie. A me non sarebbe mai venuto in mente... Sfiga: al MOO si iscrivono solo i premi Nobel! Tutti, i pochi rimasti, ma sono davvero buoni, scendono a Pagano! La seconda vettura che passa è quella che conta. Selfie, cambio linea a Cadorna e su verso la Biblioteca degli Alberi tra Garibaldi e Gioia. Altri quesiti, altri sprint. Il giro sulla mappa questa volta è veramente breve e di nuovo siamo a Gioia, sempre gruppo compatto, sempre tutti all'attacco nonostante le difficoltà del percorso.
Il piano prevede ora di spostarsi a Romolo per cercare di prendere al volo il treno della linea S9 lungo il quale dovremmo cimentarci con altri quesiti, ma le porte della metropolitana ci si chiudono in faccia beffarde! Malediciamo quel paio di secondi persi chissà dove che ci hanno impedito di mettere in atto il nostro piano, e non sappiamo ancora che invece ci è andata bene: passiamo al piano B. Andiamo sull'altro binario a prendere la linea gialla. Da qui scendiamo verso sud-est fino a Corvetto. Ho lavorato in questa zona per anni e so che appena fuori dalla metropolitana potrebbe esserci una coincidenza con l'autobus 95 che potrebbe farci guadagnare secondi preziosi (e a me salvare energie preziose) per arrivare in Piazza Angilberto dove ci aspetta la mappa più spettacolare del MOO. Appena mettiamo fuori il naso da Corvetto, la 95 è lì che ci aspetta! Due squadre si buttano sul bus, io ci entro per il rotto della cuffia praticamente in tuffo. Due fermate di 95 per riposare e lanciarsi sui quesiti della piazza a pois: ci sentiamo forti perché i pois sono come le caselle di una scacchiera e la mappa è dominata in pochi minuti.
Ora via di corsa lungo via Polesine per tornare a Corvetto: il polpaccio di Marco potrebbe fare le Olimpiadi e a me sembra di aver finalmente "rotto il fiato". Corvetto, due fermate di metro fino a Lodi e siamo alla pensilina del treno che ci porterà a Romolo per il viaggio di andata della mappa lungo la linea della ferrovia S9. Con noi sulla pensilina ci sono tantissime squadre: a parte un paio di quelle davvero forti e fuori portata, c'è tutto il gruppone degli immediati inseguitori. La sensazione "what the hell I'm doing here?"è sempre più forte. L'andata verso Romolo vede squadre che filmano o fotografano i cartelloni ed i murales a bordo massicciata per rivedere le immagini e rispondere con calma ai quesiti. Vede passeggeri extracomunitari inserirsi nella tenzone ed offrire il proprio aiuto per guardare fuori da qualche parte, anche se non sanno cosa guardare. Vede un controllore impegnato nel chiedere i biglietti ad alcuni passeggeri conciati come gente che sta correndo da quattro ore... e nessuno di noi lo caga nemmeno di striscio!

Una volta arrivati a Romolo, si tratta "solo" di aspettare il treno del ritorno e fare una seconda tornata di quesiti. In realtà, la pensilina dove attendiamo il treno sembra la griglia di partenza del Gran Premio di Montecarlo ma senza le ombrelline: ormai spazio per fare distacco non ce n'è più, si tratta solo di arrivare a Porta Romana, precipitarsi fuori verso la stazione della metropolitana di Lodi e sperare di acchiappare al volo una carrozza. Altrimenti sarà volatissima da Porto di Mare al traguardo. Marco ed io indoviniamo la carrozza giusta che si ferma proprio ai piedi della scala che porta in salita a livello strada. Via di corsa per quanto le gambe possono ancora, evitando un tizio che porta i cartoni con le pizze, i passanti, le macchine che strombazzano perché qualcuno (io di sicuro) di è buttato in mezzo alla strada per raggiungere l'ingresso della metro.
Giù di corsa, tessera Atm sguainata, tornelli divelti, giù a rotta di collo per le scale... e niente! 4 minuti di attesa per il primo treno della linea gialla. Arrivano tutti quanti, e sarà volatissima da Porto di Mare al traguardo: 200 metri da fare tutti di un fiato, che saranno il momento sportivamente più significativo ma sicuramente meno inebriante di quasi 5 ore di MOO.
***
Alla fine la classifica dice che la nostra squadra "Da Moncucco al MOO" si è classificata ottava su 50. Una ottima prestazione per me, ma devo dire che Marco sarebbe stato in grado di ben figurare con chiunque che non fosse la zavorra che si è portato dietro per tutti i chilometri percorsi. Il suo polpaccio sembra che lo abbiano fatto in titanio, io mi appoggio ad uno dei grandi vasi all'ingresso della cascina e finalmente tiro il fiato. Quando ripeto che Marco, a polpaccio integro, sarà un serio contender per il campionato italiano a lunga distanza so di non dire una eresia.
Grazie Marco per avermi dato ancora una volta fiducia: ti prometto che la prossima volta sarò più in forma ed allenato (seeeee... credici!).
Grazie anche a tutti gli amici ed amiche che hanno gareggiato in questo MOO e che mi hanno fatto sentire di volta in volta artritico, lento, imbranato, caracollante, trotterellante, corridore, invasato ed ovviamente "what the hell I'm doing here?".
E dulcis in fundo GRAZIE a Remo, da parte mia e da parte del popolo dei tuoi fedelissimi: il tuo speech ad inizio MOO andrebbe registrato e lasciato ai posteri. La canzone all'inizio del pezzo magari la cantiamo tutti insieme l'anno prossimo. Perché io ti do già appuntamento all'anno prossimo: MOO 2020, anzi "MOO-twenty-twenty" che sarebbe ancora più cool. Ma il MOO è così cool che da solo basta la parola.
MOO. Aspettando già la prossima edizione.

Linee di arresto

$
0
0


Quando ho pubblicato l’ultimo pezzo per il blog, quello dedicato al MOO, avevo già in mente in piano editoriale degli argomenti ai quali avrei dedicato la mia produzione successiva. Avrei voluto dare spazio all’ultima tappa del MOO notturno disputato in Via Candiani, in occasione del quale (finalmente!) sono riuscito a venire a capo della lettura dei QR Code in modo da essere così inserito per la prima volta in una classifica. Poi avrei dedicato qualche parola, ma non tutte sarebbero state simpatiche a dire il vero, alla mass start di Taino: un sabato nel quale prima mi sono incaponito (ma solo per colpa mia) nel percorrere in auto sentieri sterrati nel bosco per trovare il luogo del ritrovo, e poi mi sono incaponito (in ottima compagnia!) a percorrere per un’ora altri sentieri nel bosco nel tentativo di raggiungere la partenza del percorso, non segnalata e persino più ostica da trovare rispetto ad alcuni dei punti sparsi lungo il percorso, almeno quelli che non erano stati ficcati nel verde rognoso reso ancora più impenetrabile dall’inverno clemente. Infine avrei voluto dedicare adeguato spazio alla 3-gare-in-1-giorno di Piacenza, dove avrei voluto rimettere le gambe ma soprattutto la testa in sintonia con le ragazze ed i ragazzi della nazionale, in vista del primo impegno con le gare nazionali coincidenti con la due giorni di Mantova.

In mezzo ai vari impegni, avevo anche trovato il modo di mettere insieme un paio di tappe carine della Milano nei Parchi, sfruttando per l’occasione la possibilità di tracciare percorsi in modalità “quasi micro-sprint”. Purtroppo il piano post-Piacenza ha subìto una imprevista linea di arresto che mi ha portato lontano dai terreni di gara sia fisicamente che mentalmente: ancora oggi, sto guardando al calendario gare con quella pianificazione minima che mi consente solo di non “bucare” le iscrizioni alle gare in tempo utile (o, devo ammettere, anche fuori tempo massimo in un paio di occasioni…).

La prima uscita importante dell’anno è diventato quindi il fine settimana delle gare nazionali organizzate a Castiglione dei Pepoli ed a Pian del Voglio dalla Polisportiva Masi. Un appuntamento nel quale avrei gareggiato (ma in quali condizioni?) sui percorsi Elite sprint e middle, e nel quale avrei cercato di dare il mio meglio (ma, anche qui, con quali motivazioni?) come speaker. Avvicinandomi alla Valle del Sambro, non ero particolarmente tranquillo per nessuna delle due situazioni.

Poi qualcosa di imprevedibile, oppure comincia ad essere troppo prevedibile?, è successo quando l’auto è arrivata in prossimità di Castiglione dei Pepoli, ed abbiamo cominciato a trovare i cartelli indicatori per raggiungere il ritrovo. Ho cominciato a sentire la mente più leggera, le spalle meno cariche dalle tensioni e dalle preoccupazioni delle settimane precedenti, e una volta imboccata l’ultima curva prima del ritrovo ero già in “modalità gara”, incurante del freddo o del pensiero della fatica che stavo per affrontare.

La prima gara del weekend è stata la sprint, alla quale mi sono avvicinato dopo un intenso briefing con Alessio Tenani che con poche ma efficaci parole mi ha descritto lo scenario dell’arena e che cosa avrei potuto tenere d’occhio al momento topico di commentare gli arrivi più importanti. E’ stato in quel momento che, una delle primissime volte nella mia “carriera” ho deciso che mi sarei immediatamente tolto dalla classifica: con gli ultimi due punti della gara non ancora posati, il mio arrivo sarebbe diventato visibile a tutti gli Elite che non avevano ancora raggiunto la zona di quarantena, con conseguente perdita dell’effetto sorpresa che, a conti fatti, qualche vittima l’ha fatta.


Il percorso mi è piaciuto, e tanto! Nonostante la fatica si facesse sentire metro dopo metro (le mie gambe non ne volevano proprio sapere di andare avanti), fin dal primo punto ho capito che Lucia ed Alessio avevano attinto a piene mani dal loro bagaglio di esperienze internazionali di gare sprint, e che ad ogni punto mi sarei trovato di fronte a quelle scelte di percorso che poi Alessio puntualmente analizzerà nel blog sprintorienteering.blogspot.com con tanto di lunghezze a confronto, tempi dei migliori e via discorrendo. Un percorso lungo il quale la strada più evidente per andare da un punto all’altro non si è quasi mai rivelata essere quella diretta.

(da qui in avanti c’è la descrizione del mio percorso punto per punto: può interessare solo un amante dell’orrido, o chi soffre irrimediabilmente di insonnia, o infine chi trova un morboso piacere nel leggere gli allegati alla Gazzetta Ufficiale)

Dopo aver puciato i piedi nell’area grezza per andare alla 1, ho optato per fare tutta la scalinata da fondo a cima per andare alla 2 (ed improvvisamente mi sono sentito come se fossi ancora a Mantalcino), per poi ripercorrerne metà per andare alla 3. Su per le scale e poi giù per le scale e poi ancora una piccola salita per andare alla 4, da dove sono uscito in direzione sbagliata di 180° (andando in discesa, anziché in salita) fino a ritrovarmi in piazza! In questi casi il terrore arriva dalla possibilità, mai remota, di ritrovarmi faccia a faccia con qualche orientista… Risalgo rabbiosamente lungo le scalette fino alla strada, solo per il gusto di togliermi le orecchie da asino che mi sembra di sentir crescere ogni volta che faccio una cappella del genere, punzono il punto 5 e mi lascio andare in discesa lungo la strada, incrociando i passi della tracciatrice che sta facendo un ultimo controllo del percorso. Per fare la tratta 8-9 ci sono almeno 6 scelte di percorso diverse: io probabilmente prendo la peggiore di tutte, continuando a correre lungo la strada verso nord-est e poi salendo i vari livelli lungo la stradina a zig-zag; nella piazzetta tra la 9 e la 10 ci sono già i vigili ed i volontari della protezione civile che deviano il traffico e, al mio passaggio, si chiedono se la gara è già cominciata…

Subito dopo aver punzonato la 10 subisco una imboscata dalle scalette a chiocciola in cemento che si protendono sopra di me mentre, ingobbito a studiare la scelta successiva, comincio a girare attorno all’edificio. Da qui comincia una parte ancora più divertente del percorso: la 11 la affronto girando in senso antiorario, scendendo lungo la stretta via che si conclude con le scalette; per la 12 ritorno sui miei passi verso nord-est perché non mi accorgo subito che l’unico modo per arrivare al piazzale sono le scalette che scendono da un livello all’altro. La 13 sta a 50 metri in linea d’aria dalla 12, ma a conti fatti bisogna fare il giro di mezzo quartiere: io scendo le scalette verso nord, imbocco la corsia a forma di uncino che porta al parcheggio, salto dall’uno all’altro dei muretti grigi cercando di mettermi in mostra davanti ai cameramen che riprenderanno quella parte della gara (e che giustamente non mi si filano nemmeno di striscio…) per poi imboccare la stradina che porta nella zona della scala a chiocciola su cui si era dilungato il bollettino di gara. Scala a chiocciola che diventa l’ovvia soluzione per arrivare alla 14, e sono gli ultimi metri di salita. Da lì infatti si tratterebbe solo di lasciar andare le gambe fino alla 15, ma sono ormai in debito di ossigeno e sbaglio l’ingresso alla 15, infilandomi nel primo pezzo di cortile che è sbarrato da un bel recinto non attraversabile. La prima discesa verso la 16 la faccio “a culo”, nel senso che appena metto il piede sull’erba tiro una pattinata che mi fa arrivare in tempo record contro “la siepe che il guardo esclude” a ridosso del primo condominio. Seconda discesa a rotta di collo, terza discesa a rotta di collo e vedo i tetti dei camper che stazionano nel parcheggio dell’arena. La mia testa dice che appena mi infilo sulla strada devo girare a destra e poi buttarmi nel primo passaggio che trovo ancora a destra, di qualunque passaggio si tratti… ed è quello che faccio anche se per un paio di secondi mi sembra di infilarmi nell’androne nel condominio dove ci sono i citofoni… le voci di qualcuno che sopra di me sta finendo di pranzare sul balcone non mi rassicurano molto, ma basta un attimo ed un filo di esperienza per infilarmi nel sottopasso del garage, trovare la lanterna e dichiarare chiusa la mia competizione.

(fine della descrizione del mio percorso)

La mia giornata, ovviamente, non è ancora finita. Dal tavolo di commento avrò la possibilità di commentare la volata di Samuele Tait verso il penultimo punto di controllo, le vittorie di Tobia ed Elena, le nuove sfide che si svilupperanno lungo l’arco dell’anno nelle categorie giovanili a causa dei cambi di categoria. Quello che percepirò chiaramente sarà però il senso di serenità che mi ha accompagnato durante le due ore e mezza di commento, come se tutte le ombre ed i fantasmi e le preoccupazioni degli ultimi tempi siano rimaste lontane dal gazebo dell’arrivo.

Il giorno dopo, sotto un cielo che promette acqua ma che a conto fatti si lascerà andare a qualche goccia solo al termine delle premiazioni, salgo a ValSerena per affrontare la prima vera gara nel bosco della stagione sportiva. Fa freddo, ma le termiche sono fatte apposta per proteggere anche quelli come me che prendono il largo prima delle 8.30 del mattino e, quando dal furgone della Masi esce la cartina del mio percorso Elite, mi sembra di percepire radiazioni positive.

La prima parte del percorso non mi sembra che nasconda molte insidie: è vero che io mi muovo alla velocità del bradipo, ma per arrivare al primo punto non serve altro che correre lungo la strada fino alla canaletta giusta (perfettamente indicata dal campetto da calcio da un lato e dal recinto della casa dall’altro, risalire la collina tenendo la testa alta fino a sbarcare sulla carbonaia. Per il secondo punto ci sono una profusione di bivi di canalette a fare da mirino, ed io comincio a sentirmi in carta… ma il terzo punto nasconde più di qualche insidia. L’idea originale è quella di prendere il sentiero fino al recinto, e poi di percorrerlo tutto finché non sarò in cima alla collina, da dove non dovrei faticare a vedere dall’alto la carbonaia. Tutto bello, tutto giusto, tutto dal divano di casa. Nella realtà non riesco a percorrere la linea del recinto perché a tratti questo scompare, buttato a terra… il risultato è che perdo di vista la cima della collina, la carbonaia, la curva del recinto ed arrivo clamorosamente al sentiero posto nella parte più a sud della mappa. Come ci sono arrivato senza incocciare nel recinto non lo so, ma so che devo scendere e ritrovare la posizione. Poi succede che è il recinto che trova me:

Impiego una trentina di secondi a staccare il filo spinato dalla gamba e qualche secondo in più per capire che non sono buchi così grossi da impedirmi di proseguire. Terminato il primo loop, salgo a riprendere il sentiero ed arrivo al punto 6 dall’alto: anch’esso come i successivi punti 7-8-9 non è sbagliabile, con tantissimi punti di riferimento, anche se non è facilissimo trovare il paletto che si mimetizza benissimo sul terreno circostante:


Per entrare nel loop 10-13 decido di passare dalla strada ad est: incrocio una macchina della polizia che non mi degna di uno sguardo, ed una della Besanese che non ci pensa nemmeno ad offrirmi un passaggio (me la pagheranno…). Dopo aver trovato in bello stile il punto 10 ed il punto 11, con quel sasso piantato in una posizione innaturale, combino un disastro mancando completamente il punto 12 che non sarebbe sbagliabile nemmeno da un esordiente totale. Mi sembra di trovare altre due piccole piazzole posizionate più o meno nello stesso modo, ma non vedo paletti di sorta. Decido quindi di scendere in bussola verso il punto 13: se lo trovo, vuol dire che con ogni probabilità sono passato dalla carbonaia e non ho visto il paletto… ovviamente sbarco dritto al punto 13, dietro al quale trovo Mattia Greco che sta posando. Il dialogo che ne segue è sintomatico:

Io: “Mattia! Non hai ancora posato il punto nella carbonaia, vero?”
Mattia: “Certo che l’ho posato!

Io: “Ma no, è impossibile, non ho trovato nulla!”

Mattia: “Sarai passato dalla carbonaia più bassa…”

A questo punto dalla mia bocca fuoriescono cattive parole verso alcuni plenipotenziari del Paradiso, ed io riparto con cattiveria verso l’alto… ovviamente in bussola! Ovviamente rimettendo i miei piedi sulle orme che avevo lasciato scendendo! Altrettanto ovviamente, finisco sulle stesse due minuscole piazzole… la lanterna la troverò dopo qualche ulteriore secondo di indecisione, semplicemente perché attorno a me tra avvallamenti, muretti e cambi di vegetazione mancano solo i cartelli luminosi che mi indicano la posizione giusta del punto!

(MiniMe in azione del bosco – si riconosce dai classici pantaloni blu)

Mi rimetto in carreggiata andando alla 15, che non è sbagliabile per chi come me arriva dall’area aperta in giallo. Segue discesa sul culo nel vallone, risalita penosa dall’altra parte e poi si tratta solo di andare verso nord, raggiungere il bivio delle canalette e risalire quella più marcata, tenendo la collina alla propria destra. Quando ormai i piedi non ce la fanno quasi più, il terreno spiana leggermente, la sella che mi porterà verso il punto 15 si vede distintamente, ed i fiorellini gialli che puntellano tutta quella parte di terreno mi fanno pensare che potrebbero fare una brutta fine sotto i piedacci di tutti gli altri orientisti che passeranno da questa parte.

La zona pianeggiante a nord della carta rappresenta un mondo orientistico a parte. Per me è il paradiso: perché è proprio piatta, perché vado addosso ai punti con precisione, perché non capisco come si fa a sbagliare la 17 visto che basta stare a 20 metri dalla strada asfaltata e tenere gli occhi aperti… Tornato al punto 20, ripercorro la sella e la discesa lungo il fianco della collina, e una volta arrivato al sasso mi butto dentro fino all’avvallamento. Segue la parte di percorso che ribattezzeremo in sede di commento il “supergigante”: buttati di traverso, buttati in giù, ributtati di traverso, ributtati in giù! Mentre vado alla 23 ed ho i sette sensi concentrati per non finire lungo, mi imbatto in Mattia che sta finendo il controllo punti e mi lancia un incitamento… che per poco non mi fa venire un infarto perché l’ultima cosa che mi aspetto di sentire in quel punto del bosco (e della mia gara) è una voce umana! Credo di aver anche lanciato per aria la carta per lo spavento!

La risalita sulle rocce per andare alla 24 è un po’ penosa, ma la 25 è una certezza e a quel punto bisogna solo arrivare al sentiero e percorrerlo fino alla curva a gomito dove passa il ruscello… per scoprire solo in quel momento di essere 5 curve di livello sotto al punto di controllo!!! E’ l’ultima punizione prima di arrivare al traguardo, in un tempo solo di poco inferiore all’ora e mezza di tempo massimo, con la prospettiva di essere per la seconda volta di fila oltre il doppio del tempo del vincitore.

(i pantaloni segnati dal volo dopo la 14...)
Riguardo al commento post-mia-gara, posso sicuramente affermare che ancora una volta mi sentirò trasportato in un mondo parallelo, quello nel quale gli orientisti riescono a farmi immergere grazie ai loro sforzi ed alle loro fatiche. A me non resta che immaginare che cosa stanno facendo nel momento in cui il loro nome compare ad uno dei punti radio o al prewarning, e a quel punto dare fiato alla bocca e cercare di esprimere le stesse emozioni che io stesso ho provato qualche manciata di minuti prima.

Nelle classifiche Elite trovo i nomi di ragazze e ragazzi che ormai mi sembra di conoscere da talmente tanti anni che è strano che non siano già passati tra i Master: Erik Nielsen, Lorenzo Bazan e Alessio Dalfollo che fanno il loro esordio nella categoria maggiore, così come Marta Scapin, Melania Tinelli ed Emy Michelin nella pari categoria femminile. Poi guardo le categorie juniores e ci trovo i nomi di atlete ed atleti che sembra che abbiano più anni di esperienza nei boschi che anni sulla carta di identità.

Ho cominciato a raccontare l’orienteering da dietro un microfono talmente tanti anni fa che alcuni dei protagonisti delle gare di ValSerena non erano nemmeno nati, e mi chiedo se tra qualche anno si ricorderanno di quel vecchietto che provava i loro percorsi all’alba per essere in grado di calarsi nel modo migliore nei panni di quell’altro strano personaggio che berciava al microfono in occasione dei loro arrivi.
(Minime lo speaker - con i pantaloni pesanti ed il microfono)
***

Non di sole Coppe Italia vive l’uomo…

La settimana dopo le gare di Castiglione dei Pepoli e ValSerena, ho acchiappato per la collottola una iscrizione al campionato lombardo sprint di Curno. L’anno scorso l’Agorosso aveva piacevolmente sorpreso con la bi-sprint nei quartieri ovest di Bergamo, dove mi ero divertito davvero parecchio. L’unica cosa che avrei potuto chiedere di più alle gare di Longuelo era di eliminare le tirate lunghe alla fine della prima manche… ecco: a Curno sotto un diluvio di pioggia gelida mista a ghiaccio l’Agorosso mi ha accontentato in pieno!

(questa è un’altra BELLA sprint!)

Con una differenza rispetto a Castiglione: a Curno il mio tempo in Elite è solo un terzo in più del tempo del vincitore… e sono ancora qui a rimpiangere i 50 secondi persi per un errore alla 20.

Mobile-O: buona la prima!

$
0
0

Era da tanto tempo che volevo organizzare una cosa del genere, e finalmente anche il Mobile-O è andato in porto: la prima gara di questo tipo nella storia dell’Unione Lombarda Milano! Forse non è stato un successo organizzativo paragonabile ai numeri della Milano nei Parchi, ma i sorrisi dei partecipanti alla fine della gara testimoniano che l’esperienza è stata gradita, che tutti sono andati via contenti (anche per non aver preso sulla testa l’uragano che si sarebbe poi scatenato mentre chiudevo nel baule pali e teli) e che la cosa sarà da ripetere, magari come manifestazione di contorno ad una gara ufficiale. D’altra parte anche la MiPa, la Milano nei Parchi, era cominciata in una giornata assurda e con pochi fedelissimi inarrestabili partecipanti… e a 15 anni di distanza siamo ancora qui a rifarla!
(a perenne ricordo della primissima MiPa - Parco di Trenno - 3 dicembre 2005)


Intanto, per i meno attenti: cosa è il Mobile-O? E’ una competizione a coppie: i componenti della squadra gareggiano restando in contatto tra loro via telefono cellulare. A turno un componente della squadra, che dispone della mappa e che rimane fermo in una zona di partenza delimitata, “guida” l’altro componente del team (che può portare solo la bussola) alla ricerca dei punti di controllo, che sono da punzonare nel corretto ordine, come in una classica gara di orienteering. Al termine del primo giro, i ruoli di "guida" e "corridore" si alternano su percorsi leggermente diversi. La classifica viene stilata sulla base della somma dei tempi dei due giri.

(primo giro) 


Noi avevamo provato questa disciplina in Ungheria (e dove sennò?). Qui il Mobile-O è una specie di religione con sponsor mega-galattici, con gare da centinaia di iscritti che coinvolgono anche gente che si solito fa i mondiali di corsa d’orientamento. La prima volta in assoluto, in un Mobile-O “boschivo” al Thermenland Open, eravamo stati felici di aver trovato 1 (uno!) punto di controllo, perché in un bosco come si può trovare il punto senza mappa, appoggiandosi solo ai suggerimenti che arrivano via telefono da parte di chi non ha idea di dove mi trovo? Sembra facile, ma non lo è per niente! Va bene finché ci sono i sentieri da seguire, e non devono nemmeno essere troppi perché altrimenti si perde il contatto con la distanza percorsa e ad un certo momento non corrisponde più nulla… ma quando si tratta di entrare nel bosco per un paio di centinaia di metri per trovare un avvallamento… faccio già fatica a trovarlo potendo disporre io stesso della carta, grazie!

Le due volte successive, all’Hungaria Kupa (Paradfurdo e Miskolc), in ambiente parco cittadino, era stato tutto molto molto più divertente, appassionante, appagante e competitivo! Bisogna sfruttare una certa affinità nella comunicazione, bisogna che la guida sia in grado di dare fiducia al corridore, incitandolo nei momenti di difficoltà, bisogna superare i momenti nei quali “gira a sinistra…” “fatto!” “... entra nella piazzetta…” “fatto!” “... vai all’albero isolato e punzona…” NON C’E’ NESSUN ALBERO!!!” (scena autenticamente vissuta a Miskolc 2009) perché in quel momento ci si cava di impaccio solo se entrambi collaborano e non ci si insulta a vicenda. E quei momenti di totale perdita di rotta ARRIVANO SPESSO!



Sentito io con le mie orecchie commenti da parte delle guide del tipo "Vai dritto! Dritto ti ho detto!!! Ok perfetto, adesso fermati alla fine del sentiero... COME NON SEI SUL SENTIERO!?!?!... Dritto ti avevo detto! TORNA INDIETRO!..." e via discorrendo amabilmente.





Comunque non ci sono stati né divorzi né liti famigliari né rotture di amicizia su facebook...







E’ una modalità di gara molto divertente. Ovviamente, finché non ci prenderemo un po' la mano, i percorsi dovranno essere quasi sprint e comunque “tutelati” in un parco nel quale c’è la possibilità di rimettersi in sesto dopo una strambata, senza dover tornare alla partenza con le pive nel sacco, altrimenti non è più divertente.

 

E QUINDI NOI LO RIFAREMO ANCORA !

Sempre acqua sopra la testa

$
0
0


Qualche anno fa il bardo Dario Stefani coniò una frase che mi fa sorridere ancora adesso: “Fino al clear&check è andato tutto bene...”. Sabato scorso sono riuscito a fare di meglio: non è andato bene nemmeno il clear&check. L’occasione di battere il Bardo mi è capitata alla Bi-Sprint di Vedano al Lambro, in una giornata nella quale il cielo ha scaricato ancora una volta sulla testa degli orientisti secchiate di acqua a volontà.

La gara prevedeva due distinte manches con partenza mass start (ho già detto che odio le mass start?), la prima con sviluppo nel parco di Monza in prossimità dell’ingresso di Vedano dell’autodromo, la seconda nelle vie del paese (poco “storico”) di Vedano. L’afa dei pomeriggi di gara a Vedano è ormai un classico, ma le previsioni meteo garantivano l’apertura delle cascate del Niagara più o meno attorno alle 16, proprio in corrispondenza del via alla seconda manche.

Recentemente mi è capitato di fare spesso due gare nel giro di due giorni, e mi sono accorto che se faccio ogni sorta di nefandezza orientistica nella prima gara, la seconda invece mi riesce benissimo. Recentemente, ad esempio, mi è successo di commettere ogni sorta di oscenità a Pennabilli e di essere molto in palla il giorno successivo agli italiani middle a Carpegna. Ancora più recentemente, ho terminato la gara middle distance nel sabato dell’Altopiano della Vigolana mettendoci oltre 100 minuti (in Elite, ma sono sempre più di 100 minuti…) e poi, nonostante il diluvio, ho corso proprio bene il giorno dopo (in M40, sulla stessa carta e con tre punti del percorso identici a quelli del giorno prima, ma mi sono sentito davvero bene).

Se tanto mi da tanto, dopo tutto quello che ho combinato a Vedano, il giorno dopo avrei potuto vincere il Campionato del Mondo…

Alla partenza sono schierato in prima fila con il fior fiore dell’orientamento Elite lombardo. Alla mia sinistra Davide Garufi, alla mia destra Cesare Mattiroli. Davanti a me, a soli 4 o 5 metri di distanza, un albero a largo fusto che sembra messo lì apposta a prendere le mie misure. Arriva l’uomo clear&check, e la mia sicard non da segni di vita. Passano 10… 15 secondi e ancora nulla. Intanto attorno a me ci sono tutti quanti gli altri che devono eseguire l’operazione di reset del chip, e che cominciano a pensare “questo ha la sicard veloce tanto quanto lui!”. Mi arrendo all’evidenza e torno di corsa al ritrovo a farmi dare una nuova sicard. Arrivo alla partenza già abbastanza trafelato, quando mancano ormai pochi secondi al via, e mi rimetto in corrispondenza della mia cartina tra Garufi e Mattiroli: meno 10 secondi… 5 secondi… 3, 2, 1, via! Prendo la carta e mi muovo in avanti, concentrato come sempre per eseguire l’operazione che mi riesce più difficile: trovare il triangolo di partenza…

… L’ALBERO!!!!!!!

Va bene. La partenza non è andata per il verso migliore. Mi tocca rincorrere il gruppone che si avvia verso il primo punto. Da qui vado al secondo punto, il centro della “farfalla”, e poi al terzo punto ovvero il primo della serie di "ali di farfalla"

(qualcuno nota qualcosa di strano?)

Quando arrivo al punto successivo, colgo con la coda dell’occhio un mio avversario che, dal punto precedente, ha fatto una scelta di direzione diversa. Io arrivo al punto, controllo la mappa… punto 10!!! Ma come?!?!?!? Manco a Vedano al Lambro riesco a tenere la direzione per più di 50 metri?. Proseguo verso il punto 4, dove “l’avversario” visto precedentemente ha già punzonato, punzono a mia volta e mi accingerei a tornare verso il centro della farfalla… se non fosse che la linea rossa che disegna l’ala mi spinge a proseguire verso sud-ovest al di là della strada. Arrivo al punto successivo e… punto 9!!! Ma che cavolo sto combinando?!?!?

Ci ho messo qualche manciata di secondi a capire che nella stampa della carta ci deve essere stata qualche inversione di punti. Nel frattempo attorno a me succede un po’ di tutto, con la gente che si chiede reciprocamente che cosa bisogna fare, e poi “ma tu che regola ti sei dato per farle in ordine?”, eccetera. Diciamo che nell’aria si diffonde anche un po’ di scaxxo generale. Io non capisco più quali lanterne ho fatto e quali no, e quindi decido diligentemente (o stupidamente) di tornare alla 2, poi andare alla 3, poi andare al cerchietto contrassegnato con il 4… poi torno a non capirci più niente di quello che sto facendo e completo le ali di farfalla un po’ a casaccio!

Quando esco dal punto 11, avrà punzonato già una ventina di lanterne e vado verso il punto 12. Si tratta solo di entrare nel sentierino giusto per evitare di dover bucare un verde rognosetto. Percorro il sentiero, lascio alla mia sinistra un albero caduto al suolo con la sua bella radice in bella mostra, vado alla “vera” radice segnata in carta che sta 10\15 metri più in là… e non trovo nulla. Accipicchia! Controllo… nulla. Controllo per scrupolo anche la radice dell’albero caduto… nulla. Esco a rivedere a luce e mi dico che il sentiero che avevo imboccato era quello giusto. Torno dentro e sento la voce di un ragazzo che dice “corri corri che di orientati ce n’erano ancora!”. Un ragazzino compare sullo sfondo con la lanterna in mano che viene buttata là dove mi aspettavo di trovarla la prima volta…

Andiamo benone!

Dopo questa cosa, il mio personale morale è parecchio sotto i tacchi, e decido quindi di completare il percorso come piccolo allenamento (tanto immagino – a ragione – che la manche sarà annullata). Nella zona della seconda farfalla c’è solo da prestare attenzione alle tracce di sentiero, senza preoccuparsi delle salite e delle discese di questa zona dove ogni tanto si allenano quelli che provano la mountain bike…

Attenz…!!! SBEMMMM!!!

Avevo detto mountain bike? Detto… fatto, anzi centrato! Un bel manubrio nel fianco! Il biker che mi ha centrato, poveretto, si fa qualche metro a pelle di leone sul terreno. Quello dietro tira una derapata che lascia giù mezzo copertone, quello dietro ancora gli finisce sopra ed il quarto completa l’ammucchiata di corpi e mezzi meccanici! Resto per un po’ lì in zona, un po’ perché il fianco mi fa male, un po’ perché voglio essere sicuro che transiti anche il gruppone dei ritardatari, un po’ perché ormai non posso nemmeno più parlare di “morale sotto i tacchi” perché il mio ha trivellato il terreno fino a scoprire un nuovo giacimento di petrolio.

Finisco la manche camminando, tenendomi il braccio come Beckenbauer.

Mancano pure pochi minuti alle ore 16 del lancio della seconda manche. Ci arrivo dopo essere già stato dato per ritirato, causa incidente con la bici che era stato segnalato all’arrivo. La seconda manche si svilupperebbe in modo più consono, se non fosse che alle 16.07 si scatena una bomba di acqua che trasforma Vedano in una piscina da pallanuoto. L’asfalto diventa scivoloso, diventa difficile persino leggere i codici sulla mappa e si punzona “sulla fiducia”. Sotto la bomba di acqua, diventa poco significativo “indovinare” che sotto al numero "6" si nasconde un passaggio per accedere al cortile (io me lo ricordavo dalla gara di due anni fa) o “interpretare” che, nella tratta 8-9 del primo pezzo della seconda manche, lo sghiribizzo rosso in mezzo alla strada rappresenta una scaletta a scendere nella zona dei garage e poi a risalire, scelta che consente di superare un cancello non attraversabile: la mia interpretazione, genio e\o sregolatezza a piacere del lettore, è che se c’è un segno nero di cancello non attraversabile ma hanno messo un segno rosso come quello (indistinguibile da qualunque altra cosa, sotto il diluvio) allora vuol dire che forse si passa…

Poi perdo la volata per la penultima posizione, perché sotto la cascata di acqua vado al triangolo di partenza anziché al cerchietto del punto 9, e finisco la gara di nuovo come Beckenbauer, senza nemmeno la soddisfazione di sapere che a 4 anni di distanza dal 3-4 di Città del Messico potrò vincere io la coppa del Mondo di calcio.

Ah… ma se domenica avessi potuto gareggiare (anziché stare a letto a riprendermi dalle botte), sarei sicuramente diventato campione del mondo! Altro che Gardolo, caro Dopolavori…

Estate 2019: primo tentativo di autodistruzione

$
0
0

Quest’anno sta andando un po’ così così… non riesco proprio a riversare nelle gare la stessa quantità di tempo che dedicavo nelle stagioni scorse. Parecchie volte mi è capitato di cominciare a pensare solo a metà settimana “ok… dov’è che devo andare a correre questo fine settimana?”. Ancora meno sono riuscito a prepararmi per le gare stesse: gli allenamenti stanno a zero, la preparazione a secco sulle cartine sta a zero, il blog latita e non sono riuscito a trovare grandi stimoli nemmeno per commentare la prima metà di anno sportivo per Azimut.

Però le gare delle prime due settimane di luglio erano state programmate da almeno un anno, e così anche le categorie nelle quali mi sarei cimentato, e anche il fatto che avrei fatto lo speaker. Il risultato è stato un autentico tentativo di autodistruzione, fisica e mentale, che solo per miracolo non si è trasformato in una autodistruzione perfettamente riuscita! Con un piccolo rimpianto: piuttosto che tornare in ufficio, avrei volentieri affrontato anche una terza settimana di gare al limite (o ampiamente oltre) le mie possibilità.

Prima settimana: 5 giorni d’Italia in Cadore. 
Dato che, come speaker, avrei semplicemente affiancato Per Forsberg per gli sporadici interventi in italiano, al momento di fare l’iscrizione avevo buttato lì un “Elite!” senza criterio e senza cervello: infatti, con Forsberg al microfono, avrei potuto arrivare al traguardo anche a gara già iniziata, ed il piano di volo prevedeva una sprint, una long e tre middle che (illuso!) avrei potuto portare a termine in un’ora e mezzo circa. Poi mi sono dimenticato di completare l’iscrizione indicando la categoria! (forse un involontario rigurgito di sanità da parte del Risultato: a 7 giorni dall’inizio delle gare mi chiamano e mi chiedono: “Allora? Categoria?”. Devono avermi colto in un momento di spegnimento del cervello, perché la risposta è stata ancora una volta la stessa: “Elite!”.

Già la prima tappa sprint ad Auronzo di Cadore si è rivelata un autentico calvario: il caldo africano che aveva imperversato in settimana a Milano ha avuto il classico colpo di coda nella domenica di Auronzo, soprattutto per me che ho affrontato il percorso alle ore 13. E’ stato come correre in un forno, con l’aggiunta di alcuni hairdryer bollenti puntati direttamente in faccia e sul collo. Ho avuto le allucinazioni per il caldo, e dopo aver superato più per inerzia che per reale volontà di correre le tratte dalla 8 alla 12, ho passato la seconda metà di gara a cercare tutte le fontane posizionate lungo il percorso, per tuffarci il viso e le braccia e per tirare su a manate quanta più acqua gelida potevo buttare sulle gambe e sul tronco.


Una continua combinazione di vento bollente e doccia gelata che, alla lunga, mi hanno procurato un piccolo shock termico che si è sentito anche nella successiva cronaca, nella fase di inaugurazione della 5 giorni in piazza ad Auronzo (che ho lasciato gestire a Forsberg dal primo all’ultimo minuto) e nel definitivo crollo a letto alle 19.30, senza cena ma finalmente con un po’ di fresco.


Tanto il giorno dopo mi aspettava la long distance al Lago di Misurina. Sveglia suonata alle 4.50, alle 6 ero in partenza al lago di Antorno. Ho affrontato la long in modalità “passeggiata in montagna”… nemmeno alla O-Marathon si va così piano! Oltre 3 ore e 20 minuti per completare un percorso da 9,2 km e poco meno di 400 metri di dislivello. Credo che, a conti fatti, potrebbe essere questa davvero la mia ultima long distance in Elite della vita.


Fino al punto 3 è andato tutto bene. La logica del tracciatore Paride Grava prevedeva di usare i primi 3 punti per studiare la lunga tratta 3-4: io devo essere stato uno studente poco diligente perché non ho studiato un cavolo! Infatti sono tornato verso il lago di Antorno, ho fatto tutto il sentiero a bordo palude fino alla curva della strada e poi fino al “casello” che blocca le auto prima della salita alle Tre Cime di Lavaredo, e poi mi sono buttato un po’ a casaccio nel loop 4-7 facendo tanto di quel dislivello in più che sarebbe bastato per un’altra tappa a lunga distanza. Arrivato più o meno indenne alla 8 e alla 9, in mezzo alla mandria di mucche, ho aspettato Paride che stava posando proprio quei punti, ho preso un carbogel e ho girato la mappa.


Per andare alla 10 ho percorso tutta la malga verso sud-est e sono ripassato dal casello (dove nel frattempo le auto erano aumentate a dismisura). Tutta la mia seconda parte di gara può essere accompagnata dall’aggettivo “penoso”:
attacco penoso e a casaccio al punto 12, che ho trovato solo dopo aver incrociato il posatore Maurizio Ongania
risalita penosa verso la strada dopo aver trovato il punto 13
risalita penosa (lacrime e tante parolacce e pensieri ad alta voce “chi me lo ha fatto fare”) dalla 14 alla strada per andare a prendere la fontana posizionata sulla strada tra la 14 e la 15


salita penosa nella seconda parte della tratta tra la 18 e la 19, già sotto gli occhi dei primi concorrenti che stavano raggiungendo il lago di Antorno (domanda: ma davvero i concorrenti, anche gli ultraottantenni, sono stati mandati in partenza lungo quella salita? Assassini!)
All’arrivo al traguardo non mi aspettava nessuno, e menomale perché ci ho messo 45 minuti a riprendere sembianze un minimo umane. La giornata finirà poi sotto la clamorosa grandinata che infliggerà agli ultimi concorrenti in gara una punizione imprevista e immeritata, abbassando la temperatura da “estate torrida” a “l’inverno sta arrivando”. Io non posso fare altro che infilarmi di nuovo a letto presto e cercare di recuperare un po’ di energie.
La sveglia della terza tappa suona alle 5.10. Tanto è middle e la partenza è leggermente più vicina… Il bosco è ancora fresco per la grandinata del giorno precedente, e in alcune zone ci sono delle piccole pozze di ghiaccio che scricchiolano sotto i piedi. I primi due punti sono proprio vicini alla partenza, ed io li faccio bene e mi sento proprio in carta. Metto alla prova la mia sensazione di essere un grande orientista andando alla 3… ed ho la conferma di essere proprio un figo! Ci arrivo dritto con minimi aggiustamenti lungo la tratta, e già mi figuro la possibilità di arrivare al traguardo prima dell’arrivo in zona dei partecipanti alla 5 giorni e con un tempo finalmente decente… solo alla 4 ho la chiara conferma che le mie abilità orientistiche sono attorno allo zero in una scala “da zero a autentico schifo”, alla 5 persino lo schifo avrebbe fatto meglio di me, e alla 6 persino un paio di escursionisti che risalgono lungo il sentiero a sud della pista da sci si offrono di cercare insieme a me il paletto se solo gli faccio capire a che gioco sto partecipando.





Ovviamente sbaglio qualcosa anche alla 7, che è sbagliabile solo nelle condizioni in cui io pratico questo sport (scorgere il solo paletto piantato tra i sassi non è facile, ma io per accorgermene devo arrivare fino al sasso a bordo pista, a nord del punto). Per fortuna esiste Marco Bezzi, o qualcuno che va nel bosco a controllare il percorso ed il fettucciamento in stile Marco Bezzi: per andare alla 8 scelgo infatti di salire fino al tornante del sentiero a bordo carta, e da lì si vede distintamente una traccia impercettibile che si inoltra nel bosco, e mi convinco che quella traccia mi porterà dritto al punto senza deviazioni. Così è. La traccia prosegue fino alla 9, che non è peraltro sbagliabile in quanto a due terzi di tratta c’è il primo dei massi “formato condominio” di questa 5 giorni; per scendere alla 10 basta avere un minimo di circospezione (= lentezza, dote in cui sono campione del mondo), per la 11 c’è un comodo sentiero che porta proprio sotto il punto dove c’è un cartello indicatore “per le parolacce su da questa parte”.
Quel sentiero fa comodo anche per andare alla 14 (prima discesa con la piccozza ed i ramponi, girando a sinistra dopo i sassi), ma le ultime parolacce bisogna tenerle da parte per andare alla 15 che è ancora una discesa terrificante da piccozza e ramponi e si finisce per trovare la roccia in costa in un punto dove si possono tenere le mani davanti a sé appoggiate alla parete di bosco. Il loop finale è davvero carino, se non fosse che le energie sono ancora una volta al lumicino e che ancora una volta per fare una middle mi tocca stare in giro quasi 1 ora e 50 minuti, e meno male che andando a velocità di lumaca riesco praticamente ad andare dritto sotto la linea magenta dalla 16 al traguardo (fatto salvo il pezzo 18-19 sul sentiero).

Per la quarta tappa di abbandona la zona del Lago di Misurina e si va verso la zona del Passo Monte Croce Carnico. La mia giornata storta comincia alle 5.15, quando parto da casa dimenticando le scarpe da orienteering e la busta che contiene la bussola. L’arrivo a Val Grande è un po’ caotico, in quanto non ci sono indicazioni o cartelli indicatori di dove si trova la zona arrivo e quindi devo girare a vuoto per una mezz’ora prima di trovare il posto giusto. Quando mi accorgo che non ho né la bussola né le scarpe, il morale va un po’ a terra… per la bussola rimedio acquistandone una al volo allo shop, con un siparietto degno dell’Ambra Jovinelli tra me ed il venditore austriaco che ho appena tirato giù dal letto del suo van:

“ho dimenticato la bussola, me ne vendi una?”

“si, ok… quando apro il camion te la vendo”

“no, mi serve adesso, puoi aprire il camion per favore?”

“il camion non è ancora aperto, a che ora ti serve la bussola?”

“mi serve adesso… sto partendo adesso!”

Per le scarpe, purtroppo non posso fare molto. Mi tocca fare la gara con le scarpe da jogging liscissime, ma diciamo che fino al punto 10 questo non costituisce un problema: il bosco è una autentica foresta che mi ricorda tanto il Cansiglio, i punti vengono via uno dopo l’altro senza particolari patémi d’animo (tanto io sono lento e viaggio sotto la linea magenta…), il fiume è gelato e l’attraversamento dalla 4 alla 5 è solo un assaggio di quella crioterapia che troverà il suo culmine la settimana successiva in Val Venegia, e i simboli degli alberi caduti a terra per via della tempesta Vaia sono precisissimi al limite del “cartello indicatore della direzione”.

Fino alla 10, quindi, tutto bene. Per andare alla 11 cominciano le curve di livello, ed allora le scarpe a suola liscissima cominciano a non andare più bene. La 11 e la 12 le faccio in coppia con il posatore Stefano Raus, poi le nostre strade si dividono. La tratta 12-13 è tutto fuorché una tratta da media distanza, ma mi dico che se trovo la 13 il più è fatto… appunto: prima bisogna trovarla. Scollino dalla 12 in direzione est e vado a prendere il sentiero, poi direzione nord, corsetta lungo il sentiero fino alla zona della 13, e poi entro nel bosco per attaccare il punto che è un avvalamentino minuscolo che più piccolo non si può. 20 minuti dopo “credo” di essere ancora in quella zona, ma il punto non l’ho ancora trovato! “Credo”… perché faccio talmente tanti giri su me stesso che potrei essere finito persino in un’altra regione! Forse sono stato corto, forse lungo, forse non l’ho visto, forse ero basso, forse ero alto. Dal momento che non ho alcuna idea di dove sono finito, decido di ritirarmi e scendere verso sud fino alla strada… con il risultato che mi ritrovo ad un minuscolo bivio 12 curve di livello sotto il mio punto di controllo! Controllo con la mia nuova bussola la direzione dei due sentieri (il bivio è proprio quello) e mi rimetto in gara, risalendo faticosamente i 60 metri di dislivello, usando un albero caduto come “mirino” per il punto e infine trovando il punto finalmente corredato dell’apposito telo bianco-arancione. La tentazione di dargli una pedata come i calciatori con le bandierine del calcio d’angolo è fortissima…

Da lì in poi non è una passeggiata di salute, ma a partire dalla 14 sento distintamente la voce di Per Forsberg al microfono che comincia a raccontare come di dipanerà la gara, lo sento parlare di middle distance e nel bosco mi parte una serie di male parole, la più pulita della quale è “te la do io la media distanza!”. Finale nella zona dei massi fino al punto 20 con i tre massi-autobus parcheggiati uno di fianco all’altro e arrivo a velocità pietosa con Forsberg che ormai quando mi vede arrivare ha una faccia tra l’incredulo e lo sconvolto, e che ha smesso di scuotere il capoccione fin dalla prima tappa vedendo i miei tempi di gara: anche oggi sono ben sopra le due ore di gara, ed è pur sempre una media distanza!

Per far vedere che sono ancora capace di fare orienteering decentemente, mi resta solo la quinta tappa. Ed è una tappa, finalmente, alla mia portata: la giornata è fresca ed il bosco mi sembra più comprensibile rispetto a quello dei giorni precedenti. Il percorso prevede una salita “micidiale” per andare al primo punto (mani sui fianchi, passo lento e cadenzato, fiatone, sudore a catinelle e parolacce… tutte quelle rimaste) ma dal punto 1 in poi la fatica lascia il posto ad un gran divertimento. Una volta capito che le buche lungo il percorso sono molto più grosse rispetto a quelle che avevo trovato nella quarta tappa, scopro che le gambe sono ancora in grado di correre, ed è proprio quello che riesco a fare nella lunga tratta 4-5 che percorro davvero sotto la linea color magenta, tanto nel bosco non si sono praticamente ostacoli.

Arrivo “abbomba” all’attraversamento della strada dopo la 8, trovo la 9 solo perché il posatore la sta cercando anche lui, e poi viaggio lungo il percorso in pura esuberanza orientistica arrivando addirittura a fare le singole tratte dalla 13 alla 18 in modalità “memory”: sulla 15 incontro uno dei posatori che mi chiede dove ho la mappa ed io rispondo “in tasca!”. Il finale in paese mi consente di mettere su almeno un sorriso dopo la faticaccia di questa 5 giorni, e per una volta anche il tempo di gara è quantomeno paragonabile a quello del penultimo in classifica.





Vengo via da Padola dopo le premiazioni ed i saluti ai grandi meravigliosi volontari della 5 giorni con la sensazione che sono ancora a metà del mio cammino di autodistruzione, ma che le tappe in Cadore e Comelico non mi hanno spezzato… anche se temo che quella long del secondo giorno resterà davvero la mia ultima long in Elite della mia onesta e poco fulgida carriera!


Per il secondo tentativo di autodistruzione, restare sintonizzati su questi schermi: Dolomiti 3+2 Days is coming...

Estate 2019: secondo tentativo di autodistruzione...

$
0
0

La puntata estiva con il secondo tentativo di autodistruzione avrebbe dovuto uscire su questo blog molto prima rispetto ad oggi. Purtroppo non potevo immaginare che le settimane coincise con la 5 giorni d’Italia e la Dolomiti 3 (+2) Days sarebbero risultate, a conti fatti ma non ancora del tutto conclusi, le meno faticose e snervanti di questa afosissima estate. Conduco a tutti gli effetti da qualche settimana una vita da autentico nomade, con il bagagliaio dell’auto (che ad un certo momento ne ha avuto piene le scatole pure lei) zeppo di vestiti buoni per tutte le stagioni, materiale dell’ufficio itinerante tra varie filiali del nord Italia, scarpe da orienteering che vagano qua e là insieme a pezzi di tuta e magliette termiche… sono ormai diventato uno dei sostenitori più efficaci dei bilanci delle aziende petrolifere e delle autostrade italiane, e sulla tratta Carpenedolo – Peschiera – Rovereto – Coredo conosco a memoria l’ubicazione di tutte e lavanderie a gettone, benzinai, autoofficine perché non si sa mai e paninoteche dove mangiare qualcosa al volo perché è già tardi.

L’ultimo passo di corsa l’ho mosso con l’ultimo arrivo al traguardo di Val Canali a metà luglio, e tutto l’orienteering che ho fatto è rappresentato dalla visione in streaming dei mondiali dispitati in Norvegia attorno a Ferragosto. Come farò a presentarmi al via delle prossime gare lo sa solo il mio angelo custode, ma giusto per chiudere il racconto delle gare di luglio mi prendo qualche minuto per mettere su tastiera come è andata alla Dolomiti 3(+2) Days in Primiero.

Come è andata? Con un altro tentativo di autodistruzione, peraltro quasi portato a termine. Sono venuto via dal Cadore in un venerdì di inizio luglio, affrontando la strada per Passo Monte Croce Carnico (“perché non facciamo una gara lì…? Oppure lì…? Oppure ancora lì…?”) e poi la discesa verso San Candido – Innichen. Non me ne vogliano i miei amici dell’Haunold Team, ma quando hai la fortuna di nascere e crescere in un posto come Innichen, dove non c’è un filo di erba fuori posto ed il panorama tutto attorno è tra i più belli che ci possono essere, forse non si riesce ad immaginare che il mondo non è fatto tutto come quell’angolo di paradiso… Statale della Val Pusteria, autostrada del Brennero verso sud ed eccomi di nuovo di passaggio a Coredo a vedere come sta la mamma e a leccarmi le ferite della 5 giorni.

Domenica sono di nuovo in viaggio verso il Primiero, dove mi attendono le gare della competizione biennale inventata dai maghi dell’US Primiero e destinata spero a diventare una classicissima delle estati degli atleti scandinavi. Per l’occasione mi sono iscritto ad una categoria più consona alla mia vetusta età: M45. Anche perché sapevo già che le due long distance valide come prima e seconda tappa (m terzo e quarto giorno di gare) sarebbero state due mazzate nei denti da paura. L’altra cosa che sapevo di queste due tappe è che non avrei mai potuto farle all’alba (comunque troppo lunghe per arrivare al traguardo in tempo per iniziare la cronaca) e nemmeno anticiparle di una o due giorni perché il terreno di gara sarebbe stato raggiungibile solo in seggiovia – aperta solo nei giorni di gara – o con un trasferimento a piedi di 50 minuti a salire e 50 a scendere per arrivare all’auto.

Quindi niente gare anticipate, come feci due anni fa, e niente Elite all’alba. Per questa volta, una bella M45 più abbordabile! Dopo la visita doverosa al santuario di Fiera di Primiero – leggi “la sede dell’US Primiero”– si comincia martedì nello stesso posto dove era finita a 5 giorni di due anni fa, al Prà delle Nasse di San Martino di Castrozza. Lo scenario che ci si dovrebbe presentare è quello del prato, con lo sfondo del temibile costone di abeti sul quale si era sviluppata la long leg dell’ultima tappa del 2017. Purtroppo, dopo il passaggio della tempesta Vaia, di quell’anfiteatro naturale è rimasto solo il prato… il costone di abeti non esiste più, o meglio esiste solo la ripida salita con la vista della nuda terra dalla quale sbucano i mozziconi degli alberi rimasti vittime della tempesta. Uno scenario surreale e quali apocalittico da piangere.
Dopo aver scalato la montagna per arrivare alla partenza della prima tappa, mi accingo a gettarmi all’inseguimento di Marco che parte qualche minuto prima di me. Arrivare a prenderlo è impossibile, perché Marco è semplicemente troppo allenato e troppo tecnico per me, ma vorrei almeno arrivargli vicino in classifica. Fu così che parto alla garibaldina in discesa, perché comunque non è mai detta l’ultima parola, ed arrivo abbastanza bene al primo punto di controllo che è un classico esempio del normotipo “se lo manco, poi devo scalare la montagna di nuovo per recuperarlo”.


I punti 2 e 3 vanno via abbastanza bene, ma sulla lunga strada verso il punto 4 commetto il peccato di superbia di cercare di correre dietro a Maurizio Castellaz (imprendibile) e mi ritrovo a boccheggiare già a metà strada. Senza stare a tediare con tutti i punti successivi, vado subito al sodo: attraversamento del prato vicino all’arrivo, per andare nel rock paradise a sud della strada. Sapevo di non poter battere Marco, ma non sono proprio contento di accorgermi, dal suo incitamento a squarciagola, che lui è già al traguardo (e chissà da quanto tempo, penso io) mentre io devo ancora fare l’ultimo loop…


Il punto 12 va via liscio, così come il punto 13 anche se le curve di livello adesso urlano addosso alle gambe. Cerco di trovare un punto di attacco per il punto 14 ed è lì che succede il patatrac: mentre controllo la cartina non mi accorgo di un sasso nascosto nell’erba alta. Ci vado a sbattere di punta, con tutta la velocità (poca) ed il peso (abbondantissimo) che posso scaricare in un urto tra la rotula ed il sasso. Il sasso non so come se la cava, ma la rotula esplode e con essa tutta la gamba. Finisco per rotolare in mezzo alle ramaglie ad un paio di metri mentre mi tengo il ginocchio con le mani. Il pensiero che ci sia qualcosa di rotto è più di un sospetto, e che le mie gare siano finite viene di conseguenza. Per un paio di minuti il mondo è soltanto il dolore al ginocchio, i cattivi pensieri e la sensazione che da quelle ramaglie posso uscire solo se qualcuno mi tira fuori di peso…

Il primo toro scandinavo che passa da lì forse fa finta di non sentire i miei richiami, o forse non mi sente proprio. Il secondo che passa è il mitico Tiziano Bettega ed i soccorsi vanno già meglio. Dopo essermi rimesso in piedi, lo invito a continuare la sua gara e gli chiedo di avvisare qualcuno al traguardo affinché metta man alle scorte di ghiaccio. Zoppicando e con pochissima concentrazione, cerco di arrivare al punto 14: la maggior parte dei miei pensieri dice che la 3(+2) giorni è già finita, un’altra cospicua percentuale dice che dovrei limitare al minimo indispensabile i passi dirigendomi subito al traguardo, una minoranza rumorosa dice che invece farei meglio a finire la gara perché non si sa mai. Vince la minoranza, a scapito degli sguardi atterriti di una famigliola posizionata a bordo laghetto che vede scendere dal pendio una specie di reduce della ritirata di Russia e a scapito dei sorpassi che patirò nella lunghissima (per me che zoppico) tratta su strada che porta agli ultimi due punti e poi al traguardo.

Qui vengo effettivamente accolto dal personale medico che Tiziano aveva allertato e, con abbondante ghiaccio, mi aiutano a tenere insieme il ginocchio che ha già assunto la dimensione di un melone. Per la prima volta (così mi pare di ricordare) nella mia poco luminosa carriera devo chiedere a qualcuno di venire al ritrovo a prendermi in auto, dopodiché passerò il pomeriggio alternando sul ginocchio altre compresse di ghiaccio e una serie infinita di buste di surgelati che diventano per forza di cose il menu della cena della sera (i surgelati, non le buste di ghiaccio).

Dopo una notte quasi insonne per il male, il giorno successivo si va in Val Venegia per la seconda gara. Il ginocchio tiene molto poco e la ferita non accenna a rimarginarsi bene. Il che non è il modo migliore per affrontare il percorso su una delle carte più belle che esistono.


In effetti la mia andatura è già zoppicante lungo il sentiero che porta al ritrovo di Malga Venegia, e lo diventa ancora di più quando devo mettere i piedi fuori dai sentieri sul terreno sconnesso ed insidioso delle malghe. Al momento della partenza, mi scanso per evitare di essere travolto dai concorrenti che partono al mio stesso minuto, ma mi accorgo già andando al primo punto che, nonostante il dolore, il ginocchio è più saldo di quel che temevo; il morale migliora, la stabilità aumenta ed il tracciato di Erik Nicolao e Nicolò Orler fa il resto: va bene che Val Venegia è uno di quei posti dove puoi mettere le lanterne ovunque, ma il percorso ed i rimbalzi nella zona a nord del fiume sono davvero azzeccati. Mi ruga tantissimo aver perso tempo alla lanterna 6, che poi scoprirò essersi rivelata ostica per parecchi concorrenti, perché pur andando piano ho la sensazione di essere sempre in carta e sempre a contatto con i dettagli del rilievo in mappa. Al traguardo, sempre zoppicante, vedo qualcuno dei soccorritori del giorno prima che si chiede come diavolo faccio ad essere in piedi e soprattutto ad essere in gara… potenza di Val Venegia, rispondo io.

Dopodiché si finisce di scherzare, perché le due tappe successive sono previste alla quota oltre 2000 metri di Passo Valles. E sono cavoli amarissimi! Che si sarebbe trattata di una “prima assoluta” da ricordare me lo ha raccontato in tutte le salse Franco Orler che, puntualissimo sulla sua auto alle 6.10 del mattino di San Martino di Castrozza, mi ha scarrozzato fino al ritrovo. Lo scenario cui mi trovo di fronte mentre mi cambio è lunare:




La temperatura è di pochi gradi sopra lo zero. Io dispongo di due maglie termiche ed un pantalone parimenti termico. Pensavo di tenere una maglia ed il pantalone per le ore che avrei passato dietro al microfono, ma con una temperatura di 3 gradi ed il vento gelato che spira ovunque mi trovo costretto a vestirmi a cipolla… e quando verrà il momento della cronaca ci penseremo! Il sole sale un po’ e mi consente di riprendere queste foto della zona di partenza:




(le nuvole stanno sotto di noi!)

Il terreno di Passo Valles non saprei descriverlo in altro modo se non “lunare”: alberelli ce ne sono pochissimi e sparsi qua e là, rocce e movimenti del terreno ce ne sono quanti sono i centesimi nel deposito di Zio Paperone, e se soltanto si commette l’errore di perdere il contatto con il terreno, la rovina è immediata. Per qualche motivo mi convinco che la partenza è abbastanza facile: basta andare al punto dove il sentiero fa la curva, scendere in bussola ed arrivare al punto.

Facile, no?

Grande capo Eestiqaatsi dice “Anche no!”.

Otto minuti e trenta secondi per venire a capo di un punto che è “lì dietro”. Si, ma “lì dietro” a cosa? Ci sarò passato a 5 metri? A 10 metri? Boh… Eppure è l’unico avvallamento in direzione est-ovest! Niente: otto minuti e trenta secondi che praticamente mi fanno da warm up, e che mi fanno capire che da lì in poi l’angolo della bussola sarà piazzato ben saldo sulla mappa sopra al punto in cui mi trovo. Peraltro questa cosa del “punto numero 1 problematico” la racconteranno parecchi altri concorrenti, anche tra i fortissimi: c’è gente che si ha lasciato il quarto d’ora sul primo punto: “Benvenuti a Passo Valles!” sembrava che ci fosse scritto…

Dal terzo punto in poi la tecnica di gara diventa quella che mi ha spiegato Pierpaolo Corona durante la mia visita alla sede dell’US Primiero. Prima cosa: si guarda nella direzione indicata dalla linea magenta. Seconda cosa: si identificano tutte le macroforme del terreno, soprattutto le colline ed i roccioni, che praticamente tracciano la strada per il punto successivo. Terza cosa: ci si mette di buzzo buono e si va in direzione di queste macroforme identificate da lontano. Poi quando si arriva in zona punto, si fa orientamento fine. Et les jeux sont faites...

La terza cosa, quella sera alla sede dell’US Primiero, mi era sembrata una cagata pazzesca. Mentre PierPaolo mi descriveva cosa avrei dovuto fare, a secco e su una mappa senza percorso, la mia testa diceva “si, ok” ed il mio cervello alternava pensieri del tipo “ma non ce la farò nemmeno dipinto sul muro…” oppure “si, certo, queste cose le sai fare tu che sei stato nelle Fiamme Gialle!”. Però come fai a dire “no” a PierPaolo? Quindi succede che dopo aver trovato il punto 3 dieci metri alla mia sinistra (good choice, Stegal!), arrivo fino alla prima curva della pista da sci, mando un pensiero non del tutto gentile a PierPaolo, guardo dritto davanti a me e comincio a vedere: il laghetto con la collina ad est cui devo passare dritto in mezzo, la collinetta posta subito dopo, il sentiero, la roccia a forma di baffo che devo tenere a sinistra, la collina con la roccia a forma di “U” cui devo passare in mezzo… e il punto non può che essere lì a pochi metri!!!!
Come diceva Watson a Sherlock in non so quale libro “ma è di una banalità sconvolgente!”. Grazie PierPaolo! Grazie e ancora grazie! Praticamente metto via la carta e comincio la seconda parte di gara con uno spirito sicuramente più sollevato. Ora… proprio banale non sarà mai, d’altra parte devo sempre venire a patti con il mio ginocchio, ma chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovato a mio agio in tratte come la 7-8-9-10 ? Il diavolo era davvero molto più mansueto di come me lo ero figurato la domenica sera precedente, e così in poco meno di due ore sono riuscito a venire a capo del percorso e presentarmi stanco ma soddisfatto al traguardo.

Succede così che, per una volta, mi presento al via il giorno successivo con un po’ di fiducia: in fondo tutta quanta la prima tappa a Passo Valles era stato un lungo warm up di cui avrei fatto tesoro il giorno successivo. Lasciamo perdere il punto 1, di cui avevo trovato il paletto il giorno prima mentre peregrinavo senza meta e senza testa, ed il punto 2 per il quale basta scendere (ahi che male il ginocchio!) stando a sud del roccione. Purtroppo il punto 3 mi sembra più lontano delle Colonne d’Ercole, e la migliore strategia che mi viene in mente consiste nel salire mille curve di livello, ripassare dalla partenza e poi scendere lungo la traccia… se 24 minuti vi sembrano pochi!

Sarà la quarta tappa, sarà il ginocchio, sarà ‘altitudine ed il freddo, sarà quel che sarà… ma dopo aver ingollato il carbogel e fatto una foto…

… entro in modalità “survivor” e cerco di trascinarmi lungo il percorso fino al traguardo. Sbagliando nell’ordine: la 4 (il roccione non era sbagliabile, ma non mi sono accorto che la lanterna stava sul lato ovest), la 5 (sono finito alla curva del ruscello… ma quella fuori dal cerchio magenta, a sud ovest!), la 6 (e si che bastava stare tra i due ruscelli!), la 7 (che ho trovato solo quando mi sono girato a guardare dietro di me), la 8 (eppure c’era la trincea…). Per arrivare alla 9 sono passato in zona arrivo, poi ho percorso tuuuuuuto il sentiero che porta verso la 10 e, all’incrocio con i fili dell’alta tensione, mi sono buttato a destra in bussola.

Cercando di seguire Anna Pradel che stava facendo l’apripista sul percorso W18.  Non riuscendo a seguirla. Perdendomi inesorabilmente a 10 metri dal punto. Mentre sono lì che brancolo nel vuoto, ogni tanto mando una occhiata a sinistra e vedo che lontanissimo sul costone della zona del ritrovo ci sono alcuni puntini (leggi: persone) che si stagliano sull’orizzonte. Mi viene in mente che uno di quei puntini potrebbe essere Marco che mi segue con il binocolo, che commenta ogni mia malefatta (soprattutto i lunghi periodi nei quali sono fermo e mi guardo intorno a 360° pensando “eppure dovrebbe essere qui!”) pronto a farmi a pezzi quando sarò al traguardo. Alla 9 perdo parecchi minuti, e quando la trovo mi verrebbe proprio voglia di prendere a calci il paletto… Il pensiero di Marco con il binocolo però è salvifico, perché da lì in poi rimetto insieme il mio senso dell’orientamento e, seppure con la lentezza di un bradipo, riesco a venire a capo bene delle ultime lanterne fino al traguardo.

Negli ultimi metri trovo ancora la forza di combattere, perché vorrei finire la gara in un tempo inferiore a quella del giorno prima, e ci riesco seppur per soli 9 secondi: una magra consolazione per una prestazione francamente dimenticabile. Poi scoprirò che Marco non mi stava osservando con il binocolo, che NESSUNO mi stava osservando (perché se loro erano un puntino sulla linea dell’orizzonte per me, io ero un puntino nel nulla cosmico per loro…) e che mi ero fatto un pippone da solo.

Per l’ultima tappa si va su un terreno più tradizionale: Val Canali. Partenza dal pratone che aveva ospitato lo start della staffetta mondiale del 2009, percorso strutturato in modo molto simile a quello della Due giorni del Primiero del settembre 2018, e punti posati in alcuni casi sullo stesso oggetto (punto 12) o sul masso\avvallamento\cocuzzolo a fianco. Va da sé che mi piacerebbe fare una bella gara su un terreno che conosco, laddove “bella gara” vuol dire “stare sotto l’ora”, ma non ci riesco e non posso nemmeno dare la colpa solo alla fatica (siamo ormai alla decima gara) o al ginocchio. Perdo qualche secondo qua e là e, soprattutto, dopo il punto 17 non ne ho davvero più: finisco in 68 minuti, staccato di 20 da Fabio Hueller, ma considerato il fatto che si tratta di un terreno che conosco non posso proprio dire di aver fatto una bella gara.

Poi arriva l’ultimo commento, le premiazioni, i saluti. Il sole rimane alto nel cielo come merita l’US Primiero e con enorme rammarico arriva il momento i riprendere la strada di casa, un momento triste che anche questa volta cerco di annacquare con un ennesimo passaggio da Coredo. Senza ancora sapere che gli accadimenti dell’estate mi avrebbero portato a Coredo molto più spesso di quanto io stesso avrei voluto…

Ultimi (inutili) tentativi di autodistruzione – Millegrobbe

$
0
0

E’ trascorso parecchio tempo dall’ultima volta che ho scritto il blog. Sono successe tante cose, ci sono state tante gare, ogni giorno ha rappresentato una battaglia diversa, orientistica ma anche no, e le energie per scrivere i miei ricordi sono sempre mancate. Oggi, anziché essere in giro a fare incetta di regali, ho decido di fare a me stesso un regalo e riannodare i fili delle avventure degli ultimi 4 mesi. Come sempre (e come quando scrivo i pezzi per Azimut, che poi magari invece finiscono sul sito Fiso) non so dove mi porterà il racconto, così come all’inizio di una gara non so mai dove mi porteranno i tracciati, le lanterne, i miei errori e le mie scelte di percorso. Anche scrivere il blog è una metafora dell’orienteering, così come lo è la vita.
Una cosa però la so. A fine ottobre ho ricevuto un regalo da una adorabile famiglia di orientisti, la classica meravigliosa famiglia nella quale un figlio ed una figlia crescendo vanno sempre più spesso sul podio, una madre vive una seconda giovinezza atletica e comincia a vincere anche lei, ed un padre… beh… un padre che pur combattendo al massimo si trova sempre davanti i soliti noti, i master fuoriusciti dall’Elite se non dalla nazionale, e finisce per essere quello che durante le premiazioni fa le foto (e, come dice lo speaker, “la sera gli tocca lavare i piatti”). La maglietta recita: “RUN FAST, SPEAK FASTER” ed è dedicata all’ori-speaker. La conserverò sempre tra i miei ricordi più cari.
Il giorno in cui ho ricevuto quel dono (Peschiera – 26 ottobre) la maglietta mi ha fatto pensare che oggi, a quasi 53 anni suonati e con un rapporto 2:1 peso su vecchiaia, mettere per iscritto i miei ricordi di concorrente ha sempre meno senso: non sono né Pedro, né Brando, né Teno, e le mie scelte di percorso talvolta possono essere azzeccate solo perché l’orienteering a 8, 9 o 10 minuti al chilometro è uno sport diverso da quello praticato da chi corre a 5, a 4, persino a 3 minuti al chilometro. Ho pensato che avrei potuto scrivere meglio di cosa vedo da dietro al microfono, o da dietro una transenna, anziché di quello che vedo attraverso un paio di occhiali appannati mentre corro… che poi mi tolgo gli occhiali, scopro che non erano appannati e che era solo la fatica  a farmi vedere tutto nebuloso. Ho scritto così il pezzo per Azimut di fine anno, che alla fine è risultato troppo lungo ma mi era piaciuto anche se sembrava scritto da uno che aveva perso il contatto con la realtà.
Poi un giorno…
Poi giorno al traguardo della bi-sprint di Arona, uno dei ragazzi giovani della vera Elite mi dice “Ehi Stegal! Hai picchiato anche tu duro oggi!”.
Poi un giorno all’arrivo delle 100 lanterne dicembrine mi sento dire “Sei riuscito a farne 91? Ma come fai? Non ti alleni mai! Sei grasso!!! Come ci riesci?”.
Poi un giorno un forte Elite mi ha detto un’altra cosa che non dimenticherò mai: “Mi sono alzato alle 7.15 e ho guardato fuori dalla finestra. Pioggia gelida a dirotto. Mi sono detto: questa volta non vado, questa volta rimango a dormire. Ma poi ho pensato un’altra cosa: a quest’ora Galletti sarà nel bosco sotto il diluvio da un’ora. E mi sono cambiato per andare alla gara”. Era il mattino di Millegrobbe, Campionato Italiano Elite. Allora forse posso continuare a scrivere delle mie gare, allora forse c’è ancora qualcosa che posso fare.
Forse posso ripartire da dove avevo lasciato il blog.
***
Il fine settimana di Millegrobbe è stato ricco di emozioni, di fatica, di gioia e di sensazioni indimenticabili. Tutto è cominciato a Coredo già nella giornata di giovedì, con il sole (il sole???) quando ho visto che il Gronlait aveva previsto una postazione speaker anche per la gara di Coppa del Trentino del venerdì a Costa di Folgaria. Rapido conciliabolo con papà Pezzé e scopro che non si tratta di un refuso: mi aspettano come speaker anche il venerdì. Quindi parto da casa presto sotto il primo diluvio da tempo immemorabile, passo da Rovereto dove la mamma è ricoverata da inizio agosto e la vedo finalmente in piedi! Il mio morale fa un salto in avanti come nemmeno Bob Beamon a Mexico ’68 e penso che se mia madre si è messa in piedi, io posso andare a Costa ad affrontare qualunque cosa, compreso il percorso elite ed il diluvio. Non è un caso se mi presento in partenza in maglietta e calzoncini dicendo a chiunque e suo cugino “Pioggia? Chissenefrega della pioggia?”.
Il bosco di Costa lo conosco abbastanza bene… lì è dove c’era il punto della gara del Wolf-O, là siamo passati alla fine di una O-Marathon, qui è dove Roberta Falda aveva messo i punti a tempo di un trail-O… il percorso middle di Samuele Tait è be congegnato attorno a due nuvole di punti, e l’ora abbondante passata in gara va via senza problemi sotto la… pioggia? Quale pioggia?

Il giorno dopo a Folgaria ci sono i Campionati Italiani Sprint, e io vorrei fare del mio meglio. Ma la carta di Folgaria è sempre troppo ostica per me. Sarà che mi presento al via con i postumi di alcuni bagordi, sarà che Carlo Cristellon ha messo dislivello a profusione ed una partenza in salita che già mi manda in affanno, sarà che ogni volta che corro qui mi viene in mente quella volta che provavo da solo, in una Folgaria stile ghost town, il percorso della prima sprint relay internazionale mai corsa e mi sono fermato davanti alla chiesa a prendere fiato e studiare la scelta per i punti successivi e quando dopo 3 secondi ho rialzato lo sguardo c’era davanti a me Gueorgiou che mi guardava inorridito. Ma da dove cavolo era sbucato fuori? Da quella volta ho stabilito che Gueorgiou si muove in batch, o come un ninja.

Comunque, salite e svarioni orientistici a parte, da Folgaria porto a casa una decina di metri percorsi rotolando sulle ciorciole, nella discesa verso il punto 5, e poi le più grasse risate del 2019 durante la premiazione della categoria M75: peccato che molti avessero già preso la strada di casa o del ristorante, ma il numero di Cesare Spacca in stile Cirque du Soleil valeva il prezzo del biglietto.
Solo che la domenica a Millegrobbe danno pioggia, tanta e continua. La mia sveglia suona alle 4.45, ma non sono comunque riuscito a dormire più di tre ore. Per colazione mi hanno lasciato minikrapfen alla crema e polpettine di pollo. Alle 5, nel buio, mi cambio in macchina e imbocco la strada per Passo Vezzena, Luserna e Millegrobbe. Alle 5.35, puntualmente, comincia a piovere. Il parcheggio della Malga Millegrobbe è come il lato oscuro della Luna: buio e silenzioso. Però continua a piovere. Dato che non ha senso aspettare il chiaro per partire, mi armo di torcia e alle 6 vado verso la partenza, con il solo aiuto del sentiero alla mia destra che appare appena più luminoso rispetto al bosco. Alle 6.10, già in zona partenza, incrocio un paio di fungaioli che si stanno preparando per una battuta di caccia, auguro loro il buongiorno e per risposta ottengo un peto lungo e fragoroso… andiamo bene! Alle 6.16 parto verso l’ignoto.

Sarebbe una cartina al 15.000, piove e mi sto muovendo con l’aiuto della torcia. Infatti vado a sbattere dritto contro il paletto metallico! (Gueorgiou, non sei nessuno!). Ce ne sarebbe già per dire “per oggi missione compiuta”, ma è solo l’inizio. Per la 2 salgo fino alla strada, la percorro per qualche centinaio di metri finché la luce della torcia non inquadra il sentierino che entra da sinistra. Da lì è “ovest”, solo ovest, nient’altro che ovest. Fino al punto. E’ ancora buio e mi sembra che mi sto giocando tutte le mie carte migliori…
La 3 diventa quasi banale: davanti c’è la collina e devo stare solo attento a dove metto i piedi e a stare sulla destra della cima, la roccia è lì sotto e con essa anche il paletto. Dato che piove sempre ma siamo alla luce dell’alba, ne approfitto per farmi un selfie che lancio nell’etere verso gli organizzatori, solo per annunciare che sono partito e che sono vivo e vegeto e bagnato, sperando che prima o poi ci sia una bava di campo per farlo partire.
(si vede che sto bene e sono in salute? Ed è solo la 3!)
La 4 è una traversata infinita. Non ci piove (ah ah ah!) che il modo migliore per arrivare in zona sia ritornare sul sentiero a est, farlo tutto fino verso nord fino a tagliare a pista e poi scendere verso ovest. Solo che lì cominciano brutte storie con la pendenza accentuata, il bosco fitto, un paio di voli a planare faccia in avanti e finisco per perdere parecchi minuti, ma tanti, navigando tra le rocce sbagliate. La 5 (roccia che fa condominio) e la 6 riesco a farle bene, ma alla 7 perdo un altro fottìo di minuti ed il morale va sotto i tacchetti: se non arrivo velocemente al cambio carta sono guai.
Per fortuna il Dio degli imbecilli torna a guardare verso di me: il ciotolone della 8 non è sbagliabile nemmeno sotto il diluvio, la 9 la prendo dal cocuzzolone a bordo sentiero e, camminando e contando i passi, ci vado a sbattere contro, e quando arrivo a Malga Laghetto con il solo accompagnamento musicale della pioggia battente, posso permettermi di perdere qualche secondo a cercare il paletto della 10, che effettivamente non c’è.
Mentre mi allontano lungo la strada asfaltata verso la 11, sento arrivare una macchina: a quell’ora e con quel tempaccio può essere solo uno dei posatori. Compare infatti Carlo Cristellon, con il quale faccio il percorso fino alla 11 (introvabile nel buio… in effetti la trova lui e io mi accorgo che la sta posando). Intanto il cambio carta ha avuto un effetto secondario insperato: qualcuno mi ha infilato nella manica un inatteso asso di briscola, che potrei giocarmi se solo riesco ad arrivare quasi alla fine del percorso.
La mia personale sfida al percorso Elite di Millegrobbe si gioca tutta sulla tratta 11-12, perché (me lo ripeto da qualche minuto) le altre lanterne sono in una parte di bosco dove ci sono tanti punti di riferimento (e l’asso nella manica è lì che attende di essere giocato). La tratta è puramente fisica, ed io sono in giro già da oltre un’ora sotto il diluvio. Dalla 11 salgo subito a nord sulla strada, che percorro fino all’imbocco della pista da sci; in questo frangente incontro due auto: la prima è quella di un comune viandante che strabuzza gli occhi e probabilmente pensa ad una allucinazione (sono le 7.30, diluvia da far schifo all’arca di Noé e non c’è anima viva in giro oltre a me bagnato e gocciolante come Calimero dopo il risciacquo in lavatrice): è comunque davvero gentile perché abbassa il finestrino per chiedere se ho bisogno di un passaggio da qualche parte (e uno). La seconda auto è la Schiavi-Cappello-car con a bordo una parte del Team Gronlait: anche loro mi offrono un passaggio (e due), ma sono arrivato all’imboccatura della pista e devo declinare.
La pista: dalla strada al sentiero sono 33 curve di livello. Una follia fatta di scivolate sull’erba bagnata, continue soste per prendere fiato, punti nei quali mi sono arrampicato a quattro zampe, male parole a me, a Millegrobbe, all’orienteering, a me, a chi me lo ha fatto fare (cioè me), al diluvio incessante, a me, a me e ancora a me… si, ok, potevo risparmiarmi qualche curva se non avessi deciso di attaccare il punto dal sentiero più in alto, ma questo me lo può dire solo chi guarda la cartina dal divano e all’asciutto). Diciamo che anche il sentiero per la 12 (poi roccia, collina e buca che dice “perché non hanno usato me per la posa del punto?”) lo faccio camminando. Ma è in quel momento che sento per la prima volta che ce la posso fare a finire il percorso, asso o non asso nella manica. Anche per arrivare alla 13 faccio tuuuuuutto il sentiero fino al bivio, ma le curve di livello sono davvero dolci e mi consentono di godermi anche il piccolo traverso dalla 14 alla 14. Per la 15 si segue il moncone di sentierino e poi è solo questione di fare attenzione, e per la 16 si segue il bosco e stop, perché siamo qui per fare orienteering e non per correre sui sentieri!
La 18 è messa lì apposta per guidare i concorrenti all’attraversamento obbligato e… la 18? Come sarebbe a dire la 18? Proprio così: mi sono dimenticato la 17. Se prima ero abbastanza certo di farcela, ora vorrei piangere e anche l’asso della manica mi urla che sono un cretino. Si poteva persino prendere l’autostrada dalla 16 alla 17, e io sono stato così idiota da andare direttamente alla 18. Ho ancora tempo e ce la posso fare, ma è davvero l’ultimo errore macroscopico che posso permettermi: scendo in bussola con una circospezione come raramente ho avuto, perché devo beccare la lanterna al primo colpo ed avere ancora le energie per risalire una trentina di metri di dislivello. Per fortuna c’è una zona di alberi abbattuti poso sopra al punto e li vedo da lontano: “se questi sono gli alberi a terra, là a sinistra c’è la roccia e dietro ci deve essere l’avvallamento…”. C’è e tiro un sospiro di sollievo, uno solo perché la stanchezza è tanta e devo affrontare la risalita alla 18 in modo ancora penoso.
All’attraversamento della strada, prendo l’ultimo carbogel e cerco di darmi un tono: sono le 8.30 circa e qualcuno potrebbe vedermi dalla balconata di Malga Millegrobbe. Ma sento solo la pioggia battente sulla malga e sulla capoccia, unita al sibilo del vento gelido che adesso diventa un fattore importante perché non ci sono più gli alberi a coprirmi. Scoprirò a distanza di tempo che in realtà qualcuno mi ha visto davvero passare e ha fatto il tifo, commentando che stavo ancora correndo abbastanza bene. Dopo la 19 scolastica, arrivo alla 20 con un po’ di affanno perché la buca compare davvero all’improvviso nel pratone della malga ed il vento fa davvero male. La 21 diventa pura fatica e forza di volontà, perché si corre in leggera salita e fa troppo freddo. Infatti il pericolo è dietro l’angolo: quando punzono la 21 e torno verso il recinto, ho una crisi pazzesca di freddo: comincio ad avere forti tremori e non riesco più ad andare avanti; guardo la mappa e non riesco a concentrarmi su nulla, l’ago della bussola è indistinto dal resto dei dettagli sui quali si posano gli occhi. Nella testa sta succedendo un grave tamponamento stradale tra i neuroni rimasti: ognuno urla qualcosa in una lingua diversa e non riesco a mettere a fuoco un singolo pensiero coerente, che sia legato alla lanterna 22 o al ritiro o a chissà cosa. Dovrei sapere che da una parte c’è il bosco delimitato dal suo bel recinto, o poco più in là la strada, e dall’altra parte la malga: per ritirarmi basterebbe seguire una di queste linee, ma tutto questo mi sembra confuso. Credo di essere ormai ad una cinquantina di metri dalla lanterna, ma guardando la traversata 22-23 penso che la cosa migliore da fare sarebbe tornare al traguardo, senza neppure aver usato l’asso nella manica.
In questo momento qualcuno mi viene in aiuto: indossa un k-way azzurro e, dal modo in cui corre, lo scambio per Samuele Tait. Nel delirio di freddo che ha preso anche il mio cervello, una voce riesce a farsi sentire più forte delle altre: “SEGUI LUI!”. In effetti ci sono in giro i controllori che stanno completando il loro compito. Raggiungo il punto 22 perché ne vedo uscire il k-way azzurro, e poi mi lancio con tutte le energie rimaste all’inseguimento di quella specie di faro per i naviganti sperduti: so che se mi faccio staccare potrei trovarmi di nuovo in difficoltà, quindi devo tenere quella figura che corre veloce almeno a vista.
Nonostante le energie al lumicino, e la figura che si allontana inesorabilmente metro dopo metro, riesco a non mollare. Non saprei dire esattamente che linea ho seguito nell’attraversamento della malga, ma so che la figura azzurra sta puntando ad una macchina parcheggiata sul grosso bivio delle due forestali dall’altra parte della malga, quindi in direzione del punto 23, e tanto mi basta. Il k-way azzurro si ferma alla macchina, e qualche secondo dopo ci arrivo anche io e… sorpresa: non è Samuele Tait ma Luigi Girardi! Che mi accoglie con il suo largo sorriso: probabilmente sono più simile alla mummia di Similaun che ad una persona normale, e non si è accorto che ero in giro e che mi ha fatto da punto di riferimento verso la salvezza. Luigi mi offre di salire in macchina (e tre) per scaldarmi qualche secondo, e si offre persino di darmi un passaggio verso l’alto.
Ammetto che in questo momento sono stato tentato davvero di approfittare dell’offerta, ma poi il Chuck Norris che è in me ha pronunciato “no grazie, se sono arrivato fin qui posso farcela con le mie forze, come faranno tutti gli altri”. Saluto Luigi e, dal bivio, mi trascino verso ovest fino al recinto delle mucche dove trovo… stavolta è proprio Samuele Tait, anche lui bello sorridente (o questi sono sempre sorridenti, o sono le mie condizioni che fanno ridere) che in assenza di un’automobile mi offre una barretta per ristorarmi. Ringrazio anche lui, ma lo stomaco non è in condizioni tali da poter assumere altro. Preferisco contare sull’asso che è lì che aspetta la smazzata giusta per uscire dalla manica.
Samuele comunque mi da qualche dritta su come raggiungere il punto, dritta che non ho usato perché avevo già deciso di entrare in bussola dalla curva ad S del sentiero. Ancora un altro punto, e poi la 24 correndo lungo il sentiero ed entrando bene nel bel bosco di Millegrobbe fino alla buca: ora le lanterne hanno il loro bel telo arancione e sono lì ad aspettare me (e tutti quanti gli altri). E’ il momento di sfoderare l’asso nella manica: punto 25 – una spelonca rocciosa. E questo sarebbe anche il momento per ricordare una delle storie più gustose della mia carriera orientistica, quella di un campionato trentino a Millegrobbe in H35, concluso sul terzo gradino sul podio dietro a Cipriani e Corradini (eestiqaatsi che podio!!!) grazie ad una bella gara del sottoscritto, grazie a Marco che si autoeliminò non punzonando la 100 al solo scopo di mandare me su quel podio (saremmo stati terzo lui e quarto io), grazie ad una lanterna molto difficile piantata in una spelonca rocciosa e grazie a tutto quello che ne seguì che non può essere riportato sul blog (ma il “Sei forte Giovannini!” pronunciato da un supermaster quel giorno dopo la gara in segno di dileggio mi fa ancora ridere tanto…). Ho detto “spelonca rocciosa”? Eccola lì! Stesso punto di quel giorno, stessa direzione di attacco. E, a distanza di 10 anni, stessa tattica che scrivo a beneficio del grande Luca Faini (lui si vero Elite) se mai leggerà queste righe: si prende il sentierino che corre a sud di tutto il recinto, si valica il recinto in prossimità della piccola zona con gli alberi buttati giù, ci si tiene belli aderenti al recinto fino all’apertura successiva e da lì “nord!” e si arriva proprio sopra alla spelonca.
In quel momento rido tanto, sembro un matto e forse lo sono davvero perché mi fermo a prendere fiato e mando un messaggio a Marco “Sei forte Giovannini!” (ma lo capirà solo a gara conclusa). Poi resta solo la fatica di tornare sulla forestale, risalire le ultime 8 curve di livello per arrivare al punto 26, scendere tra i gradini di roccia fino al punto 27 (il recinto è un mirino pazzesco per capire dove sta il punto…) e tornare sulla malga.
All’arrivo non sono molto lucido: mi aspetto una corsia di arrivo che dalla malga porta perpendicolarmente verso il parcheggio, invece il gonfiabile del traguardo mi appare sempre di taglio finché non arrivo alla depressione con l’ultimo punto. Sento le voci degli amici che mi hanno visto arrivare e mi stanno incitando, e che forse fino ad un attimo prima si stavano chiedendo dove fossi finito e in quale guaio io mi fossi cacciato… sono viola e abbastanza in ipotermia, nonostante le TRE termiche. Non oso pensare alle condizioni delle ragazze e dei ragazzi che sono partiti in canottiera e calzoncini.
Alla fine verrà fuori anche il sole, proprio all’inizio delle premiazioni, ma il miglior racconto di una giornata epica resta quello di Andrea Migliore che ho usato diffusamente anche per il prossimo pezzo su Azimut http://www.orienteeringbesanese.it/2019/09/17/trashed/
Perché orienteering è anche RUN FAST, TELL IT BETTER!
 





Da Moltrasio a Giussano, passando per le Viote

$
0
0


Dopo il trittico di Folgaria e Millegrobbe, durante il quale mi sembra di aver corso per quattro, la fatica ed il freddo patito si fanno sentire per parecchi giorni nelle gambe e nel fisico. Per tutta la settimana non faccio altro che trascinarmi stancamente dal letto al lavoro e viceversa, e a soli sette giorni di distanza mi presento a Moltrasio in condizioni atletiche pietose: il tracciato, sempre impegnativo, disegnato tra i vicoli del paesino arroccato sulla sponda del Lago di Como fa la maggior parte del lavoro sporco, ma io ci metto del mio collezionando una serie di svarioni che mi costano dislivello inutile, fatica supplementare, tempo perso, motivazione che piano piano scende sotto i piedi. Poi, nel post gara, anche la pressione finisce sotto i piedi e mi ritroverò sdraiato su un materassino a cercare di ridare colore al mio viso biancastro

(no comment!!!) 

Dopo un fine settimana di stacco completo, cerco di ritornare ad uno stato di forma appena appena decente per il fine settimana di fine settembre durante il quale è prevista la due giorni in Bondone, con la sprint a Candriai e la long alle Viote. In occasione di questa seconda gara assecondo un mio vecchio detto che dice che quando tracciano Bezzi o Rinaldi bisogna scendere di un paio di categorie (tre se la gara è “made by Nirvana Verde”). Ok che alle Viote non traccia Rinaldi, ma lo stile del Trent-O è sempre quello del maestro Andrea, le distanze pubblicate sono davvero impegnative, ed il sole sale in cielo ad un orario che mi rende impossibile anche solo pensare di poter fare l’Elite (sempre se ci sarà il sole…).

Nel sabato di Candriai mi va storto quasi tutto, a cominciare dal viaggio da Milano che incontra una apocalisse autostradale dietro l’altra. Nonostante la partenza prestissimo da Milano, arrivo in zona gara appena in tempo per cambiarmi e fare il giro-speaker, ma non ho il tempo di leggere il comunicato gara: cosa che invece avrebbe fatto tutta la differenza del mondo, perché era stato espressamente raccomandato ai concorrenti di indossare scarpe con un buon grip o tasselli o tacchetti. Io parto con le mie Pegasus dalla suola liscia come il culetto di un bambino, e al secondo punto sono già finito a terra due volte.


La mia gara prosegue andando dalla 3 alla 5 ma PASSANDO DAVANTI alla 4 senza punzonarla, con successiva pietosa risalita alla 4 condita da un costante borbottìo di brutte parole indirizzate solo a me medesimo. Poi è un inutile costante tentativo di stare in piedi sui prati in pendenza, tentativo “condito” inizialmente da un continuo ripetermi “non scivolare, non scivolare… NON SCIVOLARE!” (segue l’inevitabile scivolata). Infine mi arrendo all’ineluttabile: affronto i prati in pendenza sapendo già che finirò per terra e cerco solo di individuare il punto meno pericoloso per finire a terra (vedi discesa per la 6, la 12 – 13- 14). La gara di Candriai è old-style e affascinante al tempo stesso, e riporta i velocisti su terreni cui ormai siamo poco abituati, niente dedalo di viuzze in un borgo medioevale, niente labirinti costruiti dall’uomo ma terreni aperti e boschetti, aree private di forma irregolare e stretti passaggi nella vegetazione fitta (dove ho già letto questo commento???).

La domenica delle Viote comincia con la ormai consueta pantomima che caratterizza parecchie mie uscite all’alba dai vari hotel, pensioni, ostelli, cucce varie: la sera precedente mi assicuro che chi mi ospita abbia capito che me ne andrò prestissimo, che vorrei poter mangiare qualcosa, che non importa se è qualcosa di messo lì la sera prima… il mattino dopo non trovo nulla, non posso mangiare nulla e vado nel bosco a digiuno.


La prima parte del percorso non è nemmeno troppo complicata: occorre seguire i pratoni facendo scelte di pura sicurezza, le gambe girano poco, le balle girano un po’ di più quando incrocio un paio di cacciatori che si mostrano un po’ infastiditi nello scoprire che da lì a poco partirà una gara di orienteering con parecchie centinaia di iscritti. Quando arrivo al punto 7, dopo una salita davvero impegnativa, sono in debito di idee e di ossigeno nel cervello: anziché salire verso sud scendo lentamente verso sud-est e, quando vedo il sentiero forestale, capisco che dovrò fare il giro del fullo per arrivare alla 8, ma in fondo anche questa si rivelerà una scelta in sicurezza. Il finale nei pratoni è ancora pura fatica, sempre poca roba rispetto a quella dei\delle Elite per i quali la gara long distance fa vestire i panni dell’epica sportiva (…) lo spettacolo è tutto nel passaggio dal traguardo a tre quanti di gara, dove molti Elite arrivano già sfiniti e manca ancora una mezz’ora abbondante di fatica, gli applausi e gli incitamenti non mancano anche se i volti degli atleti coprono tutta la scala del dolore da “stanco” a “sconvolto” passando per “sfinito” (dove ho già ri-letto questo commento???).

Per quanto io non abbia corso l'Elite, capita che il digiuno e la fatica ed il freddo ci coalizzano ai miei danni per farmi partire i crampi più assurdi della mia carriera orientistica (qualcuno ha mai avuto contemporaneamente i crampi al tricipite, al quadricipite e al polpaccio di entrambe le gambe???)
Si tratta comunque di un altro fine settimana degno di nota, ma le energie tornano sotto il livello di guardia e me ne accorgerò ancora una volta il fine settimana successivo, a Giussano, dove non riesco a mettere insieme una frazione di gara degna di questo nome


Con queste premesse, l’approssimarsi delle gare successive in calendario diventa un po’ ansiogeno: sono in programma infatti le due staffette sprint relay regionale e nazionale, ed è annunciato da uno squillo di trombe il rientro alle competizioni con l'Unione Lombarda di Marco “Rusky” Giovannini nel team con Stegal. Marco si sta allenando come una bestia da mesi, e non ne fa mistero perché ogni volta mi manda il resoconto dei chilometri percorsi e della media oraria, senza dimenticarmi mai che non posso osare di presentarmi al via in condizioni meno che perfette…
(continua)


Da Montevecchia a Bardolino, una staffetta tira l'altra

$
0
0

Dopo aver dissipato inutilmente energie e dignità in quel di Giussano, le giornate sempre più corte annunciano una stagione che volge verso il termine. So di essere rimasto indietro con il blog, e quindi comincio già a pensare se e quando scriverò un pezzo sulle mie migliori (un post vuoto…) e sulle peggiori performances del 2019. Ma dalle nebbie del tempo ricompare a cavallo la sagoma di Marco “Rusky” Giovannini, già tesserato per l’Unione Lombarda fino al 2012, poi passato tra le fila dell’Erebus nel 2013, nel Padova Or. nel 2014 e infine migrato oltre confine nell’OK Trzin.
In mezzo ai periodici annunci del suo ritiro dalle scene agonistiche nazionali, Marco rimane sempre uno di quelli che appena si mette ad allenarsi lo fa sul serio, e la tecnica orientistica non gli è mai mancata. Di conseguenza, quando Marco mi dice “Corriamo insieme le staffette sprint relay regionale e nazionale? Tanto sono ad una settimana di distanza l’una dall’altra”, io comincio a tremare al pensiero di fare squadra con uno dei master più forti dello stivale. E’ vero che in passato avevamo vinto insieme il campionato regionale a staffetta (ma solo perché lui l’avrebbe vinto, tempi alla mano, con chiunque altro fosse stato nella stessa squadra quel giorno), è vero che avevamo fatto una bella figura anche al campionato trentino-veneto (dove ero rimasto in testa fin quasi a metà gara dell’ultima frazione, e mannaggia a me che mi sono messo ad indicare ai miei avversari dove stava il punto più nascosto del tracciato), ma quei tempi sono ormai passati (solo per me) e la staffetta rimane un altro ennesimo format di gara che non apprezzo, insieme alle mass start, alle notturne e alle sequenze libere e score.
Però sono anche un dirigente dell’Unione Lombarda: gareggiare con Marco è un modo per rimarcare una bella amicizia, e la prospettiva di portare Marco a tesserarsi nuovamente con noi, fosse anche solo per due gare, è allettante e convincente. Così decidiamo di iscriverci alle staffette, e come prima frazionista prendiamo in squadra Roberta che quando è in giornata può tenere il passo di tutte le sue pari età. Andremo quindi alla partenza con Roberta in prima frazione (la frazione “solida”), Marco in terza frazione (la “certezza”) ed il sottoscritto in mezzo come in un panino (la frazione “salame”).
Nei giorni precedenti la gara, dato che Marco è effettivamente molto forte e che nella nostra società ci sono atlete ed atleti più forti di me, mi era stato richiesto di “cedere il passo” in seconda frazione in modo da costruire una staffetta più competitiva. Marco però nelle clausole del contratto aveva espressamente inserito la clausola che avrebbe corso la staffetta solo con me. Il che peraltro mi aveva messo addosso una certa pressione…
Il primo atto è a Montevecchia, sulla carta del Rio Curone, per il campionato regionale lombardo. Dopo un sabato passato al Parco Trotter a prendere acqua per la Milano nei Parchi, un cielo plumbeo ci accoglie alla partenza. Io continuo ad avere tutti i dubbi del mondo perché so di essere lento e poco abituato a gareggiare spalla a spalla. Alla partenza, le ragazze si lanciano nel bosco ed io non posso fare altro che abbozzare un po’ di riscaldamento e poi mettermi ad aspettare i passaggi e vedere in che posizione prenderò il via. Roberta in effetti tiene il ritmo delle migliori e mi da il cambio in quarta\quinta posizione: davanti c’è la Punto Nord, poi altre due squadre dell’Unione Lombarda, poi noi con la besanese favorita. E’ il mio momento e cerco di dimenticarmi della possibilità di mandare tutto quanto a gambe all’aria.
Per mia fortuna, parto insieme a Sbrambi, che si lancia verso la delayed start ed il primo punto con quella decisione che io mai e poi mai avrei avuto. Sul secondo punto riesco ancora ad avvalermi della sagoma di Stefano che si allontana a gran velocità, e quando rimango da solo ho la fortuna o l’abilità di andare a sbattere dritto sul punto 3 e sul punto 4. Al punto 5 Stefano ancora non è sparito del tutto alla vista, ma la salita al punto 6 ed una indecisione che mi fa finire nell’avvallamento a fianco (dove c’è un’altra lanterna) mi fa stacca definitivamente. Qui incrocio però un altro compagno di viaggio, ovvero JMax che è della mia stessa società ed è anche più veloce di me. Cerco di limare tutti i centimetri che posso, di usare tutti i trucchi del mestiere sia fisici che mentali, di distrarlo con facezie e racconti di gare lontane, e bene o male quando passiamo dal punto spettacolo dopo la 13 siamo ancora insieme: lui corre che è una bellezza, io sono pronto per la rianimazione. Il nostro duello si decide dopo la 17, quando io mi butto nel fiume a cercare la piccola traccia di sentiero che mi porterà sulla strada e JMax… semplicemente scompare in un’altra direzione, avendo girato male la carta di gara. Sulla salita che porta al traguardo, cerco di non farmi uccidere da quelle maledette 5 curve di livello ma le foto dell’arrivo sono impietose:

(qui sembra che stiamo ballando un twist… nevvero?)
All’arrivo di Marco mi accorgo che non ho nemmeno ancora scaricato il chip! Riprendo la carta di gara e comincio a scrutarla terrorizzato “questa l’ho fatta, questa pure… qui c’era JMax, qui ci sono andato…”. Il responso è positivo, tutte le punzonature fatte, e in classifica finale Marco ha tenuto la terza (***) posizione in classifica, dal momento che il distacco accumulato da me non gli consentiva di andare a prendere né la Besanese né la Punto Nord.

(***) Nota dello scrivente che si può saltare a pié pari (come tutto il resto, peraltro). In classifica finale Roberta, Marco ed io risultiamo secondi, medaglia di argento. Accade infatti che Cristina, prima frazionista della Punto Nord, sia incorsa in una di quelle situazioni “strane” che ogni tanto accadono in gara: ha punzonato la stazione, la stazione ha registrato il suo passaggio come un “errore di scrittura”, il suo chip non ha registrato il passaggio e la sua squadra è stata squalificata per punzonatura mancante. Questo a norma di regolamento. Bene: per me questo regolamento è una boiata pazzesca, e se è stato partorito da qualche scienziato nucleare svedese alla Bjorn Persson allora è una boiata pazzesca di più. Da ex informatico, mi rifiuto di credere che Cristina non sia passata da una lanterna se la stazione ha registrato il suo passaggio come “errore di scrittura”. La Punto Nord quest’anno ha perso medaglie nazionali e regionali per eventi come questo, che a mio parere potrebbero essere risolti in modo più easy, evitando che possa sorgere il benché minimo dubbio che il controllare o meno il log di una stazione e il lasciar stabilire ad una giuria se, a controllo effettuato, un atleta va tenuto o meno in classifica possano dipendere dal “peso” (inteso non come chilogrammi ma come importanza\notorietà) dell’atleta o della società che rappresenta: è vero che le stazioni da controllare possono essere in capo al mondo rispetto al centro gara. Però è anche vero che di situazioni di questo tipo se ne verifica una ogni tanto (quattro quest’anno?). Quindi, dato che ormai anche le medaglie d’oro olimpiche o i Tour de France vengono assegnati “ex post”, se qualche atleta ha il dubbio di essere passato da un punto la cui stazione non ha lasciato traccia sul chip, non deve fare altro che effettuare il reclamo e versare la cauzione prevista: se la gara è nazionale, e obbligatoriamente solo per le categorie Elite, allora in caso di reclamo l’organizzazione deve andare a recuperare la stazione e provvedere alla lettura del log prima del termine delle premiazioni (e c’è tempo, oh se c’è tempo visto quanto durano le nostre premiazioni). Le gare nazionali vengono organizzate da signori team che riescono sicuramente, ad arrivi terminati, ad andare a riprendere una stazione in tempo utile. Negli altri casi il controllo del log della stazione si fa con calma anche a premiazioni effettuate: credo che chi sia incorso in questo tipo di problema avrebbe preferito di buon grado un giudizio ex post, anche il giorno dopo e senza aver avuto la possibilità di fare la foto sul podio, ad una squalifica senza appello. Fine nota (***)

Il fine settimana successivo si va a Peschiera e Bardolino per il finale di stagione nazionale, dove riprendo a vestire i panni dello speaker. Dopo un anno passato a prendere acqua spesso e volentieri, il weekend si veste di tutti i colori del sole, ed io letteralmente mi sciolgo. A Peschiera, complice il fatto che non sono riuscito a nutrirmi tra il viaggio in auto e la partenza-speaker, i miei limiti tecnici emergono in tutta la loro limpidezza nella prima parte di gara tra i bungalow…
… quelli fisici si palesano nelle (purtroppo non c’era alternativa) pallosissime tratte tra il campeggio ed il centro storico…
… e quando infine nel centro storico “Venice style” mi trovo a mio agio con i cambi di direzione continui (mi piace forzare le caviglie come quando giocavo a pallacanestro) la gara è finita ed anche il divertimento. Seguono, non per la gioia dei turisti occasionali e dei ristoratori della zona della piazzetta, tre ore di cronaca ininterrotta di arrivi. Le premiazioni, ormai è un classico delle gare del sabato pomeriggio di fine stagione, si concludono con il buio.
Domenica mattina si gareggia a Bardolino, e si assegna l’ultima medaglia nazionale: quella della sprint relay. Io sono in team ancora con Roberta e Marco e la formazione collaudata a Rio Curone la settimana prima prevede che io parta come terzo frazionista appena l’Erebus avrà finito di posare tutte le lanterne, poi Roberta al lancio e Marco in seconda frazione per poter prendere il cambio. Anche in questo caso c’erano state richieste di cambiare la formazione di gara (in effetti, a conti fatti, il mio tempo in solitaria non varrà quello di altri compagni di squadra), ma io sventolo il contratto firmato con Marco…
(si, lo so che è una foto di Giussano)
Questa volta, visto che la gara è corta, riesco a fare colazione decentemente in albergo, già vestito da gara per lo schifo degli ospiti tedeschi che vestono calzoni alla zuava e infradito. Mi sposto a piedi da Bardolino sud al parco per rompere il fiato, e a percorso posato prendo il via.
Nonostante i miei sforzi, sento che la mia gara non è del tutto positiva: nelle tratte lunghe come 2-3, 5-6, 11-12 e 13-14 il mio cervello tende ad andare in pausa e a trascinarsi dietro anche le gambe. A cronometri fermi, il mio team mette insieme tre frazioni che varranno un settimo posto finale, ma non sono del tutto soddisfatto della mia fatica. Lo sono invece molto di più per il commento under pressure della gara, nella quale (forse per la prima volta in una sprint relay) riesco a non perdermi gli arrivi più importanti nelle categorie più importanti. In fondo è proprio a Bardolino che ho inaugurato la maglietta “Run fast, speak faster” di cui si parlava due blog fa.
Una volta rientrati alla base da Bardolino, la stagione potrebbe dirsi definitivamente archiviata. E invece no! E invece ci sarà ancora altra acqua da prendere, altre lanterne da cercare, e nonostante un paio di svarioni mica da ridere ci sarà modo anche per me per mettere a segno un paio di gare da cui ricavare belle soddisfazioni.
Viewing all 204 articles
Browse latest View live