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WOC - pensieri stanchi - 1

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Si dice che Richard Feynman, abituato a presentarsi in modo informale ai congressi di fisica vestito in modo molto informale, dopo aver ricevuto il Premio Nobel abbia presenziato l’ennesimo congresso al CERN di Ginevra in giacca e cravatta. Venne fischiato e si dovette strappare di dosso il frac. Parto da qui per spiegare che, spero, cercherò di non essere cambiato da questa esperienza ai WOC come “speaker locale”, che è un modo furbo e politico per dire “quello che ogni tanto fa respirare Per Forsberg”, che di respirare non ne avrebbe alcun bisogno perché può andare avanti per ore in crescendo…


Non cambio idea, non l’avevo scritto per denigrare Per Forsberg ma per descrivere in modo diverso la particolare giornata della Penicina. Ma non cambio idea perché Per Forsberg è proprio così: se ad un certo punto entrasse in scena il Papa, farebbe meno effetto! Credo che la sua presenza, da sola, sarebbe in grado di dare un punto fermo ad una organizzazione; gli scandinavi e gli orientisti di tutto il mondo in generale (non c’è nazione che non abbia già incontrato, di cui imparato a memoria vita morte e miracoli…) quando ce l’hanno di fronte si sentono rassicurati e protetti: “c’è Forsberg, tutto andrà bene”.

Ieri mi sono sentito come il ciarlatano di paese alle prese con il primario di un ospedale. Il bluff è un po’ venuto a galla… d’altra parte lui fa questo mestiere da 25 anni, forse di più, ed io di mestiere ne faccio un altro. E’ stato difficile cercare di stare al suo passo per la giornata della finale sprint, e mi rendo conto che pur avendocela messa tutta, fino allo sfinimento, non sono stato in grado nemmeno di stargli in scia (e, tra l'altro, per abitudine mia di non interrompere una frase ad effetto, gli ho "rubato" l'arrivo di Soren Bobach, cosa che ha fatto arrabbiare un po' tutti... televisioni comprese - si è notato che da quel momento in poi i miei interventi si sono limitati alla mera citazione di un tempo o di una posizione? (avevo dietro la guardia del corpo ceca pronta a sedarmi) - ma che ne sapevo io che il tappo danese avrebbe sbaragliato la concorrenza e che Hubmann si sarebbe "suicidato", orientisticamente parlando, tra la 18 e la 19?) 

Per le prossime gare cambierò tattica e mi metterò in un ruolo fin da subito più subordinato: le staffette saranno il regno di Forsberg ed io mi limiterò a fargli da spalla nei momenti di pausa. Sicuramente da quella posizione potrò imparare molto, perché non c’è in campo mondiale una persona con la sua esperienza, le sue capacità, la sua preparazione ed la sua passione per l’orienteering.

Che grande orientista che sarebbe stato!


Quanto a me, non chiedetemi di cambiare il modo in cui io reciterò il mio ruolo nelle gare post-WOC. Non ho alcuna intenzione di "indossare il frac" di Forsberg fin dal prossimo JTT, quando mi metterò dietro al microfono; se anche lo facessi, inconsciamente, sono pronto a strapparmelo di dosso!

WOC - pensieri esausti - 2

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messaggio: dal francese message, derivante dal francese antico meis, che deriva a sua volta dal latino missus ovvero messo, inviato. Quindi, alla fine, tutto parte ancora da noi.

In questi giorni ne stanno arrivando tanti, parlo di messaggi ovviamente; subliminali, chiari, relativi al linguaggio del corpo o della voce, scritti su un pezzo di carta volante o su una pergamena, orali e quindi destinati ad essere fraintesi, equivocati, trasformati, cambiati, resi vani.

Vorrei sceglierne uno a caso. Ma potrebbe andarmi male e potrei finire per parlare dei messaggi di "bassa professionalità" riferiti a questa o quella situazione... Potrebbe andarmi ancora peggio e, a sorte, potrebbe uscire la classica frase (da non pronunciare necessariamente in italiano!) "se queste cose succedessero in ..., ne vedremmo di tutti i colori!" (dove ovviamente "di tutti i colori"è la mia interpretazione del messaggio stesso): sostituire poi i puntini di sospensione con nazioni varie a caso, o non del tutto a caso.

Oppure potrei cascare bene e pescare, ancora a caso, il messaggio di un forte atleta master (straniero) che oggi nel bosco del Turcio ho portato su un punto e, una volta che ci siamo arrivati, si è messo a ridere forte esclamando "10 minuti di errore non li facevo da tanti anni, ma farli in questo bosco è sempre divertente!" (se so tradurre ancora dall'inglese).

Potrebbe andarmi ancora meglio: il messaggio potrebbe essere quello della mia amica Metka che sfila al Campionato del Mondo portando la bandiera slovena, indossando la divisa della nazionale slovena e risultando, nella sprint di Burano, la migliore della sua nazione... e poi dicono che non è vero che tutto può accadere (basta lavorare sodo e meritarselo).

Ma sono stanco. Non ce la faccio più a scrivere ancora stasera. Il messaggio quindi lo scelgo io. Ed è questo:


Non credo che ci voglia una scienza per capirlo, anche se la buona Carlotta non aveva ancora finito di completarlo... e chi non lo capisce è un politico, o uno di cui il genere umano può fare tranquillamente a meno (talvolta entrambe le cose si riuniscono in una sola persona).

THANKS NADIYA VOLYNSKA !

WOC - pensieri (Per)plessi - 3

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Come sta andando? Un po’ meglio? Direi di si. Lo speaker professionista e l’impiegato panzottello stanno cominciando a trovare le giuste lunghezze d’onda per comunicare. Oppure è qualcosa al contorno che assume dei connotati talvolta così surreali che, diciamocelo, chissenefrega se qualche volta la voce italiana zompa sopra al boss (con la “b” minuscola sennò Larrycette si arrabbia) o finisce lungo o anticipa quello che sempre-lui-il-boss vorrebbe dire dopo.

Ieri sera, dopo il team meeting dedicato alla long, la crew di contro-informazione dei WOC (Leonardo S., Caterina P. ed il sottoscritto) avrebbe voluto dedicare alcuni sonetti d’amore all’allenatore della nazionale danese, per motivi che saranno più chiari sotto; ma dopo la cerimonia di premiazione di stasera, mi tocca riscrivere tutto daccapo! Ma andiamo con ordine.

And the winner is…

Premio “Uno sconosciuto all’improvviso” al tizio che oggi, mentre Lundanes passava al punto radio in seconda posizione, si è sporto nella postazione speaker per chiedere a Forsberg dove erano i parcheggi…

Premio “Uno conosciuto, imprevisto” al vestito di Roberto Sartori alla premiazione di stasera: una tenuta fluorescente con gli stemmi di tutte le possibili squadre della Bundesliga (ditemi che c’è in giro una foto!).


Premio “Una bandiera all’improvviso” alla Francia intera, visto che la bandiera bianca-rossa-blu non si è trovata e, dopo vari minuti di panico, è stata fornita da un tifoso (non è che la vittoria di Thierry fosse data 1 a 1000…)

Premio “Un inno all’improvviso” a Cristian B. che è riuscito a recuperare in extremis sul cellulare l’inno nazionale russo per l’alzabandiera di Svetlana Mironova (non è che la vittoria di una russa fosse data 1 a 10000), solo che sul cellulare è arrivata una telefonata improvvisa e l’inno si è interrotto a metà… (grazie comunque sempre, Coach!)

Premio “Uno, conosciuto, all’improvviso” a Edoardo Cortellazzi che è arrivato con i nomi dei premianti quando non erano ancora finite le gare… che probabilmente quei nomi se li potrebbe essere anche inventati lui… e che ha fatto solo bene perché sennò siamo ancora là a cercare di stabilire chi deve dare i fiori a chi! Continua così, Edo!

Premio “Buttiamola in simpatia” a Stefano Ravelli, che stasera non ha potuto fare altro che cercare di impietosire Per Forsberg per tenerlo calmo e tranquillo…

Premio “Auguri da parte mia” a chi dovrà integrare le linee guida IOF con le nuove raccomandazioni al capitolo “protocollo delle premiazioni”…

Premio “Finalmente hai capito come funziona” a Per Forsberg, che stasera non sapeva più se ridere, piangere, incaxxarsi, rimanere sdegnato, e alla fine ha mandato tutto “a sciallo” pure lui!

Premio “Klaus Dibiasi” a Maria Silvia Viti che, in mancanza di altri spunti di cronaca, ha rischiato di ammazzarsi precipitando dal podio fradicio di pioggia, sotto gli occhi di un sempre più Per(plesso) Forsberg

Premio “Sorriso” a Thierry Gueorgiou che è stato il primo a presentarsi alle premiazioni, l’ultimo ad andarsene, e che ha guardato quella bandiera che saliva come un bambino che entra per la prima volta a Disneyland

Premio “Simpatica canaglia” al contadino di Folgaria che durante la Open Race di ieri ha preso a bastonate la mia compagna di squadra Anna B. perché non passasse su un prato che, purtroppo per lui, se non è segnato come vietato noi orientisti cosa ne sappiamo?

Premio “Simpatica e basta” alla signora che ha spostato il punto 50 durante la Open race di Folgaria, consentendomi anche alle 4 del pomeriggio di cercare la strisciolina di carta, consentendomi di far vedere a tutti la strisciolina di carta con su scritto “50” e che si è giustificata dicendo che togliendo il punto, la gente avrebbe smesso di passare nel suo boschetto privato (senza capire che, in assenza del punto, c’erano 20 orientisti che quel boschetto lo stavano arando…)

Premio “Se ce lo dicevi… prima” a Per Forsberg che con uno spostamento della postazione speaker dell’ultimo minuto ha rischiato di impallare lo streaming audio per un’ora e mezza

Premio “Thierry Gueorgiou” a Thierry Gueorgiou, che ormai non sappiamo più cosa fare per non farlo vincere… che tanto i mondiali li corre sotto i 4 al chilometro e alla fine ti dice pure che il percorso era facile

Premio “Clint Eastwood mi fa un baffo” all’allenatore danese che, con un cazzotto dietro l’altro all’IOF, ha costretto i megaboss a cambiare le griglie di partenza della long affinché fossero fatte secondo le regole note a tutti

Premio “Bluff dell’anno” ai megaboss dell’IOF che, incalzati dal danese, hanno bollato le sue domande come irrilevanti finché il danese non li ha inchiodati alle loro responsabilità con una sola frase “Come sarebbe a dire che ci farete sapere le nuove regole quando fa comodo a voi? Dopodomani c’è la middle!!!”


Già. Dopodomani c’è la middle. Non so se Forsberg è un esperto di gestualità italiana, ma ormai ha capito anche lui cosa voglio dire quando gli mostro indice e medio incrociati… in entrambe le mani!

Appunti a un'ori-lover

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Mentre mi godevo le meritate ferie sulle carte dell'O-Ringen, è apparso su un rotocalco online troppo glamour per noi orientisti (RunLovers.itun cialtronesco articolo di una nostra conoscenza, che disprezza apertamente l'orienteering.

In questo maldestro tentativo di nascondere il suo spiccato debole per gli orientisti, l'autrice ne descrive i tratti distintivi con i medesimi pressapochismo e faciloneria con cui pratica l'orientamento, ottenendo un risultato altrettanto inconcludente (anche se non privo di qualche verità, imputabile al caso), in linea con l'estraneità della povera signora allo sport dei boschi.

Dato che insegnarle l'orienteering è una causa persa, provo almeno a spiegarle meglio gli orientisti.


Primo assunto: l'orientista è solito indossare tenute bizzarre.

Gli occhi del bosco dicono:

Esistono, ad onor del vero, fior di tute ipertecnologiche che sono anche in grado di mostrare che sotto il suddetto indumento si nasconde un fisico di tutto rispetto (considerazione valida sia per i maschietti che per le femminucce). Tuttavia, se parliamo della massa di orientisti della domenica, vale quanto detto al punto 1.

Ci sono, però, sensati motivi per giustificare anche gli orientisti della domenica che, in gara, vestono divise societarie con non meno di 6 colori male abbinati sparsi dalle spalle alle caviglie:
a) L’orienteering nasce, si diffonde, e proviene dalla Scandinavia, regione che senz’altro ha dato i natali a fior di architetti moderni, ma che quanto a “fashion” deve ancora mangiare bistecche! Basta vedere come sono conciati alcuni manichini nelle vetrine delle città svedesi, finlandesi e norvegesi… E questo lo dice uno che, al mattino prima di andare in ufficio, sembra che prenda la camicia ed i pantaloni al buio rovistando a caso in un cassetto: assicuro che pure io sembro un figurino quando passeggio in alcune città del Nord Europa
b) Farsi vedere da lontano, nel bosco, ha più vantaggi che svantaggi. Non fosse altro che per evitare di essere scambiati per selvaggina pregiata dai cacciatori con cui, in alcune fasi dell’anno, gli orientisti condividono il territorio.

Deve essere considerata anche la variante “staffetta”: sia nell’Estremo Nord che alle nostre latitudini, l’orienteering si disputa anche nella tradizionale formula della staffetta. Mentre in pista, tuttavia, il numero dei concorrenti è limitato ed è facile scorgere se il proprio compagno di squadra sta arrivando, nell’orienteering i concorrenti arrivano alla “zona cambio” da ogni dove, con tempi di gara tra i più imprevedibili; i tracciatori dei percorsi di orienteering, riconoscibili per lo sguardo sempre altéro e sdegnato con cui si aggirano nel “paddock”, dovrebbero premurarsi di inserire lungo i percorsi il cosiddetto “spectator control”, ovvero un punto di passaggio per i concorrenti dal quale gli spettatori (ovvero gli altri orientisti) sono in grado di scorgere il compagno di squadra che si sta approssimando al traguardo in un tempo un po’ più definito; spesso però le “zone cambio” sono tra le meno interessanti per lo sviluppo di un percorso di orienteering… il risultato è che lo “spectator control” talvolta è posizionato a 300-400 metri dalla zona in cui sostano gli atleti che attendono di ricevere il cambio.
Le tute sgargianti servono egregiamente allo scopo di mostrare in modo chiaro chi sta arrivando.



Secondo assunto: l'orientista appare privo di olfatto, data la nonchalance con cui tollera il reciproco afrore.

Il naso del bosco dice: 

“L’orientista ha da puzzà!”. Non può che essere così. Gli organizzatori di molte gare di orienteering non si fanno problemi a mettere il ritrovo di una gara a chilometri e chilometri di distanza dalla doccia più vicina, dallo spogliatoio più vicino, dalla palestra più vicina, se queste “facilities” cozzano contro la possibilità di dare ai concorrenti una gara più tecnica e più avvincente: vale il concetto che “palestra-spogliatoio-eccetera” significa “urbanizzazione”, e urbanizzazione non fa quasi mai rima con “bosco”. Inoltre i percorsi prevedono talvolta attraversamenti di paludi maleodoranti, di zone disboscate infestate da qualunque tipo di vegetazione putrescente, di ampie praterie fangose… tutte aree facilmente aggirabili, al prezzo però di percorrere qualche centinaio di metri in più (che l’orientista della domenica “non ha nelle gambe”) e di dover sentire gli sfottò degli amici per non aver affrontato di punta la “parte più tecnica” del percorso. Solo gli svizzeri fanno il ritrovo della gara in una zona con palestra, spogliatoi e docce, e poi ti dicono “per arrivare in partenza ci sono 30 minuti di bus-navetta e 45 minuti a piedi, per tornare dall’arrivo 70 minuti a piedi”.

Terzo assunto: l'orientista non bada più di tanto alla propria alimentazione

Il palato del bosco dice: 

Quanto al mangiare, vale sempre il paragone con gli inventori dell’orienteering: le cose che mangiano gli orientisti scandinavi, a qualunque ora del giorno, fanno impallidire “Hell’s kitchen”. Ragazzotti e ragazzotte che divorano panini moscissimi ripieni di salse multicolori, che svuotano alle 10 del mattino contenitori dalla chiusura a pressione (ma assai poco sigillati) con dentro insieme pasta di colore indefinibile, carne di bestia non identificata e dolci dalla glassa più colorata di un cartone animato della Pixar. Tutto insieme. L’orientista italiano, al paragone, è un fine gourmet innaffiato di Chanel n. 5.

Quarto assunto: l'orientista ha sviluppato un socioletto che usa anche al di fuori delle occasioni sportive

L’accademico della Crusca del bosco dice: 

Una volta alla fermata della metro di Cordusio ho sentito due tizi che più o meno discutevano così: “Ma se tu hai rannato pre-flop da bottone dopo che l’u-ti-gi aveva limpato…”. Quindi il problema non deve essere tanto il lessico, quanto la fermata della metropolitana di Cordusio (a due passi da Piazza Affari, fate voi i conti di che genere di persone può girare da quelle parti…).
Scherzi a parte, gli orientisti costituiscono un gruppo molto chiuso, che d’estate impiega le ferie per partecipare alle “multi-days” all’estero e d’inverno si ritrova per una pizza a parlare di gare passate e propositi futuri: il neofita o il non facente parte del gruppo è tagliato fuori irrimediabilmente dalle discussioni, dai giochi, da tutto. Comunque uno che vi parlasse come nell’esempio citato, è da considerare come “malato” anche per gli stessi orientisti fanatici: per arrivare in Galleria Vittorio Emanuele da Cordusio, infatti, c’è un solo punto di attacco e tutti gli altri sono dei diversivi con i quali si sta cercando di camuffare una scelta di percorso poco felice, con perdita di tempo valutabile tra i 10 secondi ed i due minuti. In ogni caso non si vede come non si possa considerare la facciata del Duomo come “linea di arresto”, ed in definitiva il vostro nuovo amico non si perderebbe troppo in ciance e direbbe semplicemente “a nord ovest per 250 metri”.


Quinto assunto: l'orientista disprezza l'asfalto

Il Dr. Scholl del bosco dice: 

Asfalto significa “gara in città”. E gara in città significa “Corri, Mona!”. Fatti salvi alcuni esempi come Venezia, Trieste e Roma, che abbinano difficoltà di orientamento a quelle altimetriche (non fosse altro per i ponti sui canali) per anni si è gareggiato nel cosiddetti “centri storici, che finché si tratta di zone dalla effettiva mappa storica come Bergamo, Genova, Milano in parte, passi…Poi ci sono i paesini del Gargano e della Lucania abbarbicati sulle montagne, Matera, Subiaco e tanti altri borghi medioevali di cui il nostro patrimonio culturale è ricco, e va ancora benone. Ma da un po’ di tempo in qua agli orientisti vengono spacciate come “gare in centro storico” quelle che si disputano tra i capannoni e i centri commerciali della Brianza, o in posti nei quali bastano tre incroci non esattamente ad angolo retto perché qualcuno li addìti come “labirintici”. E questo all’orientista della domenica non va sempre bene; anche perché queste garette spesso sono molto corte e l’orientista della domenica ci mette tre secondi netti a fare il calcolo “euro per chilometro di gara”. Quindi, sempre di più: “asfalto = male”. E poi i nostri antenati hanno passato secoli a camminare e correre sullo sterrato e sull’erba, e mica avevano tutti la tendinite!


Sesto assunto: l'orientista non ama che una stupida macchina gli dica dove deve andare

Il Ferdinando Magellano del bosco dice: 

Non mi sembra il caso di fare di tutta l’erba un fascio solo perché sul sedile posteriore della mia Ford Fusion c’è l’atlante “Nord Italia” del TCI stampato l’anno del terremoto in Friuli! E comunque, con quello, sono sempre andato a fare tutte le gare e sono sempre arrivato tranquillo senza troppi commenti di sottofondi del tipo “alla rotonda… svoltare… a destra…”. So ben io come si arriva alle gare!
È vero, nel 1997 siamo andati a fare una gara in Svizzera tutta per stradine di campagna, perché su quell’atlante l’autostrada del Laghi finiva a Sesto Calende, ma in fondo si è trattato di una sola volta in 22 anni di orienteering.

L’uso del navigatore può indurre in errore. Ecco due casi emblematici:
a) Gara nel posto X, nota o meno nota località di montagna sotto la cui egida politica e gestionale ricade un’area molto ampia. Spesso va a finire che il navigatore ci porta a centro paese quando il ritrovo era stato pensato al limitare del bosco, un limitare che può trovarsi qualche chilometro più lontano (vedi punto 2) ma anche dalla parte opposta della montagna che abbiamo di fronte (è successo…).

b) Gara alle coordinate Y-Z da inserire in Google Maps.
Se l’organizzatore ha messo le coordinate del limitare del bosco, Google Maps vi farà vedere un punto in mezzo al nulla, con la strada più vicina (una mulattiera etrusca non ancora asfaltata) a parecchi chilometri di distanza. Quando non c’erano i navigatori satellitari, gli organizzatori si premuravano di mettere agli incroci ed ai bivi delle principali vie di avvicinamento dei cartelli ben identificabili con una freccia a mostrare la direzione da prendere fino alla svolta successiva. Quindi le informazioni si diffondevano simili a “uscite dall’autostrada ad Arsago Seprio, da lì seguire le indicazioni”. Avvantaggiate le auto con 5 orientisti a bordo, quattro dei quali intenti a vivisezionare la strada centimetro per centimetro per dare al quinto (quello al volante) le indicazioni sulla strada da prendere. Questa modalità è sempre più in disuso, da quando ogni disciplina sportiva, festa di paese, matrimonio ha capito che i pali che reggono i cartelli segnaletici sono lì per essere usati, e da quando i cartelli orientistici (sempre quelli per 15 anni, stessi colori e stesse forme) sono stati sostituiti da altri più belli per chi li fa al computer ma più anonimi per gli orientisti stessi che non li distinguono più dal “matrimonio di Sara e Patrick” o dal “festival della birra”. Da quando Sara e Patrick hanno visto arrivare al pranzo di nozze torme di orientisti, e da quando la birra è stata esaurita alle 11 del mattino dalla stessa torma, sono tutti molto più attenti a come si usano i segnali. In definitiva, navigatore o cartelli che siano, la gara di orienteering comincia nel momento stesso in cui si esce di casa!

Settimo assunto: l'orientista prova un'attrazione viscerale per le cartine

Il Collezionista di cartine del bosco dice: 

Nelle gare c’è quello che arriva Uno, e tutti gli altri rimangono a bocca asciutta. Sì, ok, talvolta c’è anche il premio per il secondo ed il terzo, e ci sono tante categorie (talvolta più degli orientisti stessi) divise per genere e per età. Ci sono quelli che non sono contenti se non tornano a casa con il salame o con il vasetto di marmellata, anche a costo di fermarsi in autogrill a comprarli (sennò poi chi la sente la moglie?), ma per la maggior parte degli orientisti il premio-ricordo della gara è proprio la carta. Che viene catalogata per anno o per provenienza geografica o in ordine alfabetico. Coloro che hanno una intera parete ricoperta da docks multicolori pieni di cartine potrebbero farne omaggio all’Istituto Geografico De Agostini per un libro “come è cambiato il territorio negli ultimi 10 anni”. Si tratta, comunque, di qualcosa su cui abbiamo corso, gareggiato, sudato, imprecato, tirato giù santi dal Paradiso e per fortuna ne fanno tanti nuovi ogni anno, ci siamo graffiati, lerciati, persi, siamo stati sbeffeggiati dai nostri compagni di squadra per non aver visto “quel cambio di vegetazione che con un attacco in bussola fino al cocuzzolo ti portava dritto al punto!”… Se la maggior parte delle persone che conosco può permettersi di avere sul muro i poster della Bellucci, e sullo screen saver le foto di Scarlett Johansson, senza nemmeno averle mai viste dal vivo, io che una volta ho mostrato cartina, bussola ed un percorso di orienteering a Naomi Campbell potrò ben avere attaccate al muro e ben collezionate le mie cartine!

Once upon a time... O-Ringen 2014 (the 1st part)

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In questa estate che latita, ed in una Milano anche oggi bagnata da qualche acquazzone sotto un cielo prevalentemente coperto, occorre andare a cercare il sole nei ricordi più o meno lontani. Per mia fortuna, sole e mare e cielo azzurro non sono così distanti nel tempo da aver già fatto sbiadire le sensazioni più belle. Curiosamente, però, lo scenario che costituisce il contorno geografico di questi ricordi non è un’area mediterranea, ma la più inconsueta Svezia con le sue spiagge sul Mar Baltico! Non può dirsi proprio una estate normale se, una volta ritornato a casa (dopo un autentico “viaggio della speranza”… speranza di arrivare a destinazione e speranza di ritrovare i bagagli), ho ringraziato il clima per avermi fatto trovare a Milano finalmente un po’ di fresco. Ok, ho ringraziato abbastanza: adesso potrebbe anche smettere di piovere!

L’O-Ringen, ormai, non rappresenta più una sorpresa per nessuno. Quando, nel 2004 ho partecipato per la prima volta alla classicissima svedese, avevo dovuto affidare la preparazione di tutto quanto va sotto la voce “cose che tanto vale sapere prima” ai vaghi e talvolta non del tutto attendibili ricordi di qualche compagno di squadra che era già volato a nord. Sbarcare all’O-Ringen senza preparazione, in quegli anni prima di Facebook e di tutti i blog, voleva dire ritrovarsi come Totò e Peppino alla Stazione Centrale di Milano, a guardare la nebbia che non si vede… Ora, arrivato alla mia quinta O-Ringen dopo il 2004 2007 2010 e 2012, mi posso considerare praticamente un veterano della Svezia. Eppure… Eppure continuo ad avere la faccia come quella di Totò e Peppino alla vista dell’arena di arrivo della prima tappa, dell’O-Ringen Town, dei mega-parcheggi che accolgono 22.000 partecipanti che a fine gara escono dal bosco senza soluzione di continuità per affrontare uno degli 8-9 corridoi di arrivo!


L’edizione 2014, almeno per me, è nata sotto una strana stella. In primo luogo è arrivata a soli 6 giorni di distanza dalla conclusione della fatica dei WOC: tutto quello che la lavatrice terminava di lavare (ed il fresco di Milano terminava di asciugare) finiva nuovamente nella valigia che avevo lasciato strategicamente aperta in corridoio; ho il vizio di pensare sempre e soltanto alla prossima gara, e quindi soltanto mercoledì (tre giorni dopo il termine dei WOC) mi sono “accorto” che avrei cominciato a gareggiare di lì a poche ore all’O-Ringen (mica alla promozionale del Monte Stella), ed ho dovuto cominciare a fare mente locale alle cose basilari come bussola, taping, porta descrizione, sicard, book delle gare con le indicazioni stradali…

Il secondo motivo per il quale l’O-Ringen 2014 “è partita male” è che sembrava impossibile che si potesse ripetere una situazione meteorologica come quella del 2012: ad Halmstad infatti avevamo avuto il sole, il caldo, le paludi praticamente asciutte, e negli album dei ricordi fotografici di 20.000 orientisti-bagnanti ci devono essere ancora le foto della terza tappa con l’arrivo in riva al Mar Baltico (sponda ovest) che avevano scatenato l’invidia di tutti coloro che erano rimasti a casa, soprattutto di tutti i ragazzotti che si erano persi una autentica sfilata di vichinghe in bikini. Una situazione meteo che, pensavo, difficilmente si sarebbe potuta verificare ancora.

Come diceva Nero Wolfe in non so quale libro, il vantaggio dei pessimisti è quello di poter restare piacevolmente sorpresi: l’edizione 2014 infatti non ha visto scendere dal cielo una sola goccia d’acqua, non ha visto comparire in cielo mai nemmeno una nuvola! Sette notti a dormire fuori dal lenzuolo e con la finestra aperta, sette giorni ai 27-28 gradi con i quali abbiamo corso tutte le tappe. 



Una situazione inimmaginabile che ha richiamato alla mente i racconti di Henning Mankell, quelli del commissario Kurt Wallander, quelli nei quali i poliziotti della squadra di Ystad (a pochi chilometri dalla nostra “cuccia” svedese) si lamentano spesso per il caldo dell’estate svedese della Scania… e noi lettori italiani a pensare a questi che si lamentano per un nonnulla! Non è un caso se, in quasi tutte le tappe disputate, molte scelte di percorso le ho fatte sulla base della possibilità o meno di incrociare “bicchierini” stampati sulla mappa, quei punti di ristoro in mezzo al bosco che all’O-Ringen sono frequenti tanto quanto le cappelle da 5 minuti!

Un altro fattore da tenere presente, perché anche questo ha avuto il su peso, è che quella 2014 è stata l’edizione numero 50 dell’O-Ringen; il buon PLab aveva scovato, nell’invero non leggibilissimo sito della gara, l’annuncio di una tal “Nostalgia Race” o “Nostalgica Race” secondo le varie accezioni: una gara speciale, senza classifica (e invece ci sarà!) da disputare sulla stessa carta… anzi CON la stessa carta e soprattutto CON lo stesso percorso della terza tappa della prima O-Ringen di cinquanta anni prima. La classica ori-minkiata che nessun esponente del GOK si farebbe mancare… ma avrò modo di raccontare come è andata a finire!

Racconto che comincio adesso, ben conscio del fatto che l’O-Ringen meriterebbe di essere accompagnata dalle parole di ben altro Bardo o, in mancanza del very-original-Dario, anche di un Dario-dopolavoristico… ma sembra che ormai costoro non apprezzino le “uscite” se non sono almeno di 50 chilometri e 5.000 metri di dislivello ciascuna.

L’O-Ringen 2014 avrebbe dovuto costituire il mio ingresso ufficiale nella categoria H45. L’iscrizione fatta in un periodo dell’anno nel quale le gambe proprio non giravano, la preoccupazione di dover fare 5 gare ad una sola settimana di distanza dalla fatica dei WOC, la consapevolezza che la posizione finale in classifica sarebbe stata comunque a fondo scala in qualunque categoria. Perché non fare compagnia ad Attilio, allora, che alla H45 si era iscritto fin dall’inizio senza se e senza ma? Poi il destino ha voluto che le cose andassero diversamente, e che il mio ingresso in H45 (evento che senz’altro sarà citato nei libri di storia come lo sbarco di Colombo nel Nuovo Mondo o la caduta del muro di Berlino) si sia verificato in realtà al Campionato Trentino di Forte Kerle, con la carta H45 consegnatami in pompa magna nel parcheggi da Matteo Sandri… anche se a pensarci bene non so nemmeno se mi hanno messo in classifica! Comunque H45 doveva essere, almeno per rispetto verso la carta di identità, e H45 è stata; ma tutto potrei dire della mia categoria, tranne che sia stata una passeggiata di salute!

*** ***

La prima tappa si è disputata sulla carta di Vanga Ostra, che sarebbe da scrivere con quale “A” con il pallino sopra e qualche “O” con il doppio puntino… ma a me che mi frega? Tappa a lunga distanza, che per qualche motivo “battezzo” come una cosetta da meno di 6 chilometri e con poco dislivello. Primo errore! Intanto la lunghezza delle long distance in H45, all’O-Ringen, è sempre superiore ai 7 chilometri in linea d’aria, o esattamente 7 km come in questa tappa. Secondo errore! Questi avranno anche inventato l’orienteering, ma il dislivello non lo calcolano proprio: che ci sia o che non ci sia, non gliene può fregare di meno… che andrebbe anche benone se la gara la faccio al Parco di Trenno dove il marrone è utilizzato solo per le canalette, ma se corro in un posto che il book dell’O-Ringen recita come “very hilly”… ecco, diciamo che ancora una volta il vostro onorevole Stegal sembra essersi cimentato nella specialità nella quale è un vero Elite: ndare a cacciare il culo sulla pedata.

Vedo partire Attilio qualche minuto prima di me e comincio a pensare “questi qui sono capaci di aver piazzato 14 lanterne su 7 km… cioè un punto ogni 500 metri almeno… qualche punto sarà molto vicino agli altri, e quindi ci sarà qualche tratta lunga più di un chilometro. Proprio quello che NON piace a me… Ma cosa vado a pensare, saranno sicuramente più di 12 punti! Dai… 15, 16 punti, magari 18 o 20…”. Quando arriva il mio turno e recupero la descrizione punti al minuto meno 2, trovo l’amara sorpresa: 14 punti! Dopo una partenza quantomeno da rimanere PERplessi, con un punto K piazzato sotto una roccia a strapiombo al quale ci si arriva sulle tracce di chi è già passato di lì, arriva il turno della prima lanterna dell’O-Ringen, che è sempre la Prima Lanterna Dell’O-Ringen e come tale va trattata con rispetto! Mi arrampico con cautela sulle prime “very hilly” curve di livello, attacco la collinetta come se fossi Sgiorsgiù, do una occhiata di sufficienza alla paludina alla mia destra e miro all’avvallamento nel quale dovrebbe essere la roccia con la mia lanterna. Mi meraviglio di non vedere attorno a me decine di altri orientisti, o perlomeno cinquine di altre lanterne che non sono le mie, ed entro nell’avvallamento: incredibile a dirsi, c’è anche una lanterna… ed è la mia! Non ci sono più le O-Ringen di una volta, quelle nelle quali trovavo le lanterne “per approssimazioni successive”… qui c’è la 270, lì la 271, ecco la 272… 273… 274… 276! 276!!! Chi si è fottuto la mia 275???

La seconda tratta è la prima “Corri Mona!” dell’O-Ringen, e la affronto risalendo il sentiero in senso orario. Le paludi sono praticamente asciutte, tranne quando sono solcate dalla linea retta azzurra (in tal caso trattasi di fango maleodorante di torbiera…) ed il percorso continua a rimanere abbastanza hilly da non consentire mai un attimo di riposo fino alla seconda tratta “Corri Mona!” (11-12) nella quale risalgo tutta la fila dei bicchierini perché, con il caldo che c’è, anche i mitici ristori dell’O-Ringen nel bosco sono rimasti senza recipienti per tutti: l’acqua nei vasconi c’è, ma non è rimasto nulla con cui attingere… se non un tappeto di plastica calpestata per metri e metri!


(c'è pure il mio percorso!!!) 

All’arrivo, dopo una volata da onorare perché ci sono comunque un paio di migliaia di persone che guardano (e non hanno la minima idea di chi ogni concorrente sia, ma guardano ed applaudono lo stesso), prendo fiato e non mi accorgo che appena al di là della linea c’è Per Forsberg in persona, il quale mi vede, sorride e fa segno a me ed al suo microfono…. No, dai! Per! Non è proprio il caso… “Ah si?!? Fridaaaaa… c’è lo speaker italiano del mondiale da intervistare!”. Ed ecco che dal nulla compare Frida… biondissima, svedesissima, microfonatissima e sorridentissima. E io chi sono per rifiutare una intervista???


Per la seconda tappa si rimane nella stessa arena di arrivo, ma si corre nella parte nord, altrimenti detta Vanga Norra. E’ il momento più duro dell’O-Ringen, perché il corpo subisce la stanchezza del viaggio da Milano, della prima tappa con partenza presto e della seconda tappa ancora con partenza presto. E’ un’altra tappa long distance, e sarà ancora più dura perché si sviluppa su 7,7 km, ed io penso tristemente alle 14 lanterne… una ogni 500 metri. Il vantaggio dei pessimisti, però, è quello… di essere già pronti a tutto: stavolta le lanterne sono solo 12, come scopro al minuto meno 2, e dal punto K mi separano la bellezza di 350 metri, che si sommano ai 3,5 km che ho già fatto per arrivare in partenza. Se non fossi all’O-Ringen, mi sarei già rotto le balle di brutto! Anche perché i 350 metri che mi separano dal punto K non sono su un comodo sentiero ma su un unico ininterrotto “bordo palude” pieno di sassi, roba disboscata, fango, rami sporgenti ad altezza 1 metro da terra… quando arrivo al punto K, il primo dei “tori” della partenza del minuto successivo mi ha già raggiunto, ed in mezzo a quel delirio non sono stato nemmeno in grado di vedere lo sviluppo del percorso… che mi regala già al primo punto un altro bel tiro lungo da 20 centimetri di lunghezza.

Il bello (ovvero brutto) della faccenda è che la prima parte si sviluppa tutta in una porzione di bosco che, in Italia, ci faremmo almeno un campionato italiano sprint da tanti dettagli che ci sono… e a me tocca attraversarla tutta con la testa spenta, tanto devo solo raggiungere il prato, guadare il fiume, superare il sentiero, arrivare all'area privata e seguire il muretto (superando la classica zona impenetrabile sotto la linea elettrica) fino ad arrivare al primo punto. Quando ci arrivo, ne ho già piene le balle, il cervello l’ho lasciato staccato per tutto il tempo e infatti canno di brutto il punto 2; mi rimetto in sesto per la 3, alla quale non so bene se arrivo perché è facile o perché è l’unica lanterna dietro alla parete di rocce e quindi ci va un intero treno di 15-20 concorrenti; stessa cosa alla 4 e alla 5. Alla 6 opto per una scelta in sicurezza che mi costa ancora un’iradiddio di fatica per oltrepassare la linea elettrica, mentre alla 7 vado dritto su per la collina “che a me la salita mi fa una pippa” (cit.).

Molto bella ma emblematica la lanterna 8: che si trova in una zona dove si fanno le gare di motocross o di speedway: il fondo è sabbioso che sembra di essere in spiaggia = non si va avanti nemmeno a piangere, in compenso fa un caldo che sembra di essere in un forno. Ci saranno almeno 100 orientisti che si aggirano a vista nella conca che precede la mia 8: io salgo preciso, trovo due lanterne a bordo bosco che non sono le mie e finalmente trovo il mio cocuzzolo… tempo di punzonare e di fornire indicazioni sulla posizione del punto a tre orientisti che mi si presentano con le cartine in tre scale diverse (una preghiera per il poveraccio che aveva la scala 1:15.000) e davanti a me compare Attilio, partito pochi minuti prima di me e che aveva mancato di pochi metri, all’andata ed al ritorno, la 9. Con lui a fare il ritmo o “a coprirmi le spalle” (auto-cit.), l’ultimo tirone lungo per la 10 dura meno di quanto paventato, anche se lungo il sentiero il caldo si fa davvero sentire, e la 11 e la 12 non danno problemi. La seconda long distance dell’O-Ringen è passata!


La terza tappa è quella “balneare”, ed è quella middle prima del giorno di riposo (che tale non sarà). E’ forse la tappa più bella e più divertente del 2014 perché, rispetto alle precedenti, sembra di correre una sprint. Da buon pessimista, mi accontenterei di terminare con un tempo attorno all’ora di gara, ed invece mi scopro a mordermi le mani per un “53” che avrebbe potuto essere anche sotto i 50 minuti se non fosse per un errore sopraggiunto nel finale, per stanchezza. E’ la tappa nella quale il ritrovo è a pochi metri dalla spiaggia sul Mar Baltico, nella quale per andare in partenza si percorre la spiaggia e si finisce per bagnare scarpe, piedi e… massì dai facciamoci un bel bagno fino alle cosce… nel Baltico, e si parte dalla spiaggia, dalla quale si vede una specie di pineta marittima piatta nella quale compaiono, talvolta PERplessi, alcuni concorrenti alle prese con l’equidistanza a 2,5 metri che rende molto pronunciati in mappa anche quei movimenti del terreno che… insomma…


Una bellissima tappa, corsa tutta all’attacco sotto la linea rossa (almeno in tutte le tratte nelle quali non era più consigliabile tenere i piedi sulle tracce che solcano la pineta), ed uno svarione alla 10 per stanchezza al quale cercherò di rimediare tirando (le gambe ed anche qualche moccolo) per la 11, prima di sbagliare la 12 praticamente nei pressi dell’arrivo in una zona nella quale vagano tanti orientisti quanta gente c’è in Piazza del Duomo a luglio…

(... continua...)


Once upon a time: Nostalgica Race at O-Ringen

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... Per fortuna di oltre 22.000 partecipanti all’edizione 2014 dell’O-Ringen, arriva mercoledì e con esso anche il giorno di riposo: di ambulanze venute a soccorrere i concorrenti alle prese con i colpi di calore della terza tappa ne abbiamo viste girare fin troppe. Giorno di riposo per molti, ma non per tutti. Come infatti dicevo nella prima parte del racconto, noialtri del GOK avevamo adocchiato per tempo la minkiata… ehmmm… l’evento mondano del 2014: la Nostalgica Race!

Narra infatti la storia dell’O-Ringen che 50 anni fa nei dintorni di Asmoarp, ridente località costituita da due case, nessuna chiesa e nessun campo di calcio (e poi Per Forsberg al microfono prende per i fondelli Bertoldi e Gionghi…), si è tenuta la terza tappa della prima O-Ringen. Il non accessibilissimo sito aveva pubblicizzato quindi una speciale edizione della Nostalgica Race: una gara da tenersi nello stesso posto, sugli stessi percorsi e con LE STESSE CARTE dell’edizione di 50 anni prima. Percorsi, ovviamente, da disegnare a mano al momento della partenza (come 50 anni fa), con le lanterne messe negli stessi posti.

Proprio quel genere di cose che il GOK non si fa mai mancare!

Nei giorni precedenti la Nostalgica Race favoleggiavamo di come avrebbero potuto svolgersi le cose: la solita folla di orientisti venuti a festeggiare il 50esimo della leggendaria gara svedese, gente magari in gara con le stesse tute di 50 anni fa (o comunque con le più vecchie a disposizione), un autentico happening stile anni ’60 e, chissà?, magari anche qualche partecipante di quella famosa edizione; che se la matematica non è una opinione, 50 anni + un tot fa più o meno 70 anni se non di più… e tanto di cappello. Questo immaginavamo. A tal punto da esserci affrettati ad iscriverci subito via internet, onde evitare di perdere l’occasione causa numeri chiusi, stop alle iscrizioni o altri vincoli: 22.000 orientisti svedesi non ci avrebbero certo impedito di prendere parte alla Nostalgica Race. Questo favoleggiavamo.

Poiché Asmoarp è proprio a due passi dalla nostra cuccia di Hassleholm, ci muoviamo con calma ma arriviamo al ritrovo solo qualche minuto dopo l’orario delle prime partenze (libere) delle 10.00. E troviamo il deserto! Nel parcheggio, più grande di un campo di calcio, meno di 10 macchine: una roba da avere invidia per le promozionali lombarde! Il meeting point è all’interno di una cascina, quella della gara del 1964, e la cosa che subito ci colpisce è che un’ala della cascina è adibita ad una sorta di museo dell’orienteering: ci sono le prime carte di gara, una classifica generale originale battuta a macchina, i ritagli originali degli articoli di giornale relativi a quell’O-Ringen, un paio di punzoni modello anni ’60 con i quali (credo) era più facile punzonarsi i polpastrelli che il cartellino… la cosa più bella è una carta di gara originale con ancora disegnato il vero percorso di uno dei concorrenti! Un tipo che, quel giorno, era andato praticamente sotto la linea rossa fino al punto 7, prima di prendere una strambata a 180°… faccio un commento sul percorso ed uno dell’organizzazione (che ci fa da cicerone) mi dice che quel concorrente era in classifica nella Nostalgica Race, aveva fatto lo stesso percorso e si era divertito per non aver ripetuto lo stesso errore. Come dire: 50 anni + un tot che ne aveva nel 1964… complimenti a lui!

Se non fosse per il numero di persone veramente ridicolo, siamo a livello di pizzata tra amici, sarebbe tutto perfetto. Tutto perfetto… fino al momento in cui vado anche io nel bosco, anzi fino al momento in cui comincia la mia gara, con in mano una bella cartellina di plastica nella quale è inserita da una parte la carta di gara originale, e dall’altra la carta di gara come appare al rilievo 2014. Questa seconda carta di gara me la danno “per la mia incolumità”, ed è per l’appunto quando entro nel bosco che capisco il significato di questa frase.

Capitemi: prendete l’immagine di un bosco delle vostre parti, uno che conoscete. Se avete più di 50 anni, andate con la memoria indietro di mezzo secolo; se siete più giovani, andate indietro più che potete. Io provo a fare questo esercizio con il bosco di Coredo e Tavon, e devo ammettere che grossi cambiamenti non ce ne sono stati: i sentieri principali sono ancora lì! Certo, quando ero bambino non c’erano il campo di calcio e quello di basket nel bosco, ma la pineta più o meno è sempre quella… però sto parlando di un bosco che già 40 anni fa era abbastanza antropizzato, e che non ha subito tante modifiche. Ma proviamo a pensare ad una foresta svedese al limitare di un paese di due case, in una nazione nella quale la percentuale di foreste antropizzate è ridicola… negli ultimi 50 anni, li dentro ci è andato solo qualche taglialegna per operare qualche disbosco ed una squadra di operai per costruirci (lo scoprirò presto) una pista da motocross. Per il resto, ha fatto tutto la natura incontaminata! Ecco quindi che lungo il percorso, lo stesso di 50 anni addietro con le lanterne piazzate nello stesso posto, “là dove c’era l’erba, ora c’èeeee…” un mare di ortiche alte due metri, oppure un disbosco dove gli alberi (sempre per dirla con Attilio) “li hanno tirati giù con le bombe”, una palude grande come piazza del Duomo… insomma: forse le curve di livello sono le uniche cose che potrebbero tornare, peccato però che le carte del 1964 fossero in scala 1:25.000! E chi ci ha mai corso su una scala simile? Io si, una volta: però al Lavarone, e la carta di gara me la aveva data Alfredo Sartori in persona, ed era una carta AGGIORNATA!

Per farla un po’ più breve di come la sto facendo finora: se mai a Platak e Kastav ho pronunciato la frase “se mi davate la carta del posto dove corriamo, era meglio”, alla Nostalgica Race devo ammettere che la carta del 1964 mi è utile più o meno quanto una forchetta per affrontare un coccodrillo! Le uniche cose alle quali posso affidarmi sono la bussola e la percezione della distanza… con un primo punto che dista circa due chilometri! Due minuti prima di me, sul mio stesso percorso “C” (ma chi cavolo ha corso in “A” ed in “B”… Superman e Batman???), parte un tizio di Hong Kong: che il Cielo abbia pietà di lui! Lo trovo 100 metri dopo la partenza, fermo e con i piedi a mollo nel primo fiumiciattolo, che si guarda in giro pensoso… sarà tornato a casa o lo staranno ancora cercando? Un minuto dopo di me parte uno svedese che è il sosia biondo di Bruno Cabrerizio (un nome che non dovrebbe sfuggire alle innumerevoli lettrici del mio blog) ed anche lui, come me e tutti quanti gli altri, sembra affidarsi diligentemente alla sola carta modello-1964.


Avanzo nella foresta ed incontro muretti di pietre ormai crollati che non sono segnati in carta, massi che non sono segnati, avvallamenti troppo piccoli per comparire s una scala 1:25.000. Incrocio un sentiero poderale parimenti non segnato e, dopo una eternità di circa 25 minuti, penso di essere arrivato in zona punto. Ovviamente è solo una sensazione, non suffragata da null’altro che non sia “due chilometri nella direzione della bussola li avrò fatti!”. Attorno a me un oceano di alberi. 50 metri alla mia destra, il  Bruno Cabrerizio svedese sta guardando pensoso la carta e si sta ponendo i miei stessi dubbi. Il tizio di Hong Kong probabilmente è ancora a mollo come Franco Cerri… è giunto il momento di sfoderare, ma solo “per la mia incolumità”, l’arma segreta ovvero la carta di gara attuale, anche perché sono a 20 metri da una piattaforma in legno che sulla carta aggiornata dovrebbe essere segnata. Così è: sono a 50 metri dal punto (punto 38), un po’ spostato dalla linea giusta, per condizioni di gara e strumenti a disposizione, nettamente la migliore lanterna di tutta l’O-Ringen. Il fotomodello probabilmente ha avuto la stessa pensata, ma è stato più veloce di me (ed era più vicino di me al punto) e se ne sta già allontanando.


Se il primo punto è andato tutto sommato bene, per il secondo punto va tutto storto. Esso si trova, infatti, nella stessa posizione di 50 anni prima, ma attorno ci hanno fatto un disbosco terrificante, il più terrificante di tutta l’O-Ringen. Il punto è inavvicinabile se non a prezzo di parecchi graffi, parecchie cadute (anche sui sassi) e parecchie saracche… A tre quarti di quel disbosco, nel quale sono entrato perché banalmente sta sotto la linea di azimut che devo seguire, giro la carta sul lato aggiornato e scopro che a poche decine di metri da me ci sono un bel boschetto ed anche un sentiero.. e li le saracche si sono fatte più pesanti! Arrivo al punto 39 insieme al modello svedese ma da lì in poi ci dividiamo.

Il punto 3 (40) è ancora fattibile come pure il 4 (42) perché la casetta nel giallino esisteva già nel 1964 ed era segnata. Lì però considero conclusa l’impresa: sono passati già 70 minuti dalla mia partenza, e da qualche minuto sento distintamente e sempre più forti i rumori delle moto che gareggiano sulla pista da cross che si trova proprio sulla linea diretta che congiunge il punto 4 ed il punto 5 (43): non potrei fare azimut (per un attimo mi sfiora l’idea di passare sulla pista da motocross proprio tra i concorrenti), e di conseguenza non vorrei rischiare di perdermi di brutto in quella foresta. Allo stesso modo, non mi sfiora nemmeno l’idea di rifare un tuffo nel passato tra la 5 e la 6 (punto 50), perché il disbosco mi succhia le ultime energie e nella zona sassosa a sud della 6 non ci farei una gara di orienteering nemmeno nel 2014! (finisco per le terre non meno di 6-7 volte). L’ultimo sussulto di orgoglio per andare al traguardo, orgoglio che pago attraversando una palude nel verde 1, non segnata neppure nella carta aggiornata, con il traguardo ostentatamente a vista in mezzo ad un prato, mentre alcuni concorrenti ci arrivano direttamente dal sentiero (non segnato sulla carta del 1964).

Al traguardo, sfinito mentre mi scolo mezza tanica di acqua, si svolge un dialogo tra i più surreali:
"Ciao! da dove vieni?"
"Dall’Italia, da Milano"
"Ah! Che bello che sei qui!... Perché sul tuo cartellino c’è scritto che la tua società è AGET Lugano?"
"Perché l’O-Ringen la corro con la mia squadra di Milano, ma per questa gara mi sono iscritto con la mia squadra svizzera"
"Ah! Allora sei svizzero!"
"No, sono di Milano, sono italiano"
"Ma sulla tua maglia c’è la bandiera della Svizzera"
"Si, perché ho fatto la gara iscrivendomi con una squadra di Lugano"
"Ma Lugano è in Italia o in Svizzera?"
"Lugano è in Svizzera, ma io sono italiano"
"E perché un italiano gareggia con una squadra svizzera?"
"Guarda... potevo iscrivermi anche come sloveno o come norvegese"
A questo punto la cosa è diventata troppo complicata per quelle anime semplici.
"Ah... ma in Svizzera le avete gare come queste?" (evidente tentativo di cambiare discorso)
"Non lo so, non sono svizzero e non gareggio per l’AGET da così tanto tempo...  non so nemmeno se c’era l’orienteering 50 anni fa in Svizzera!"
"Ma se non sei svizzero perché c’è la bandiera svizzera sulla maglia?" (arridaglie! Ma questo è uno che non aveva partecipato alla discussione di prima!"
“Sono svizzero! Vivo a Milano ma sono svizzero!”

E questo sembra averli fatti contenti: le poche certezze che avevano erano tornate al loro posto!

Nostalgica Race. Tutto sommato una bella esperienza: fatta, timbrata, “io c’ero”, quinto posto in classifica finale (89 minuti), eccetera… ma per dirla con PLab “questo posto non l’avrei cartografato nemmeno nel 2014!”. Forse gli altri 22.000 che non si sono fatti vivi nei dintorni di Asmoarp lo avevano capito prima.

Per i soli finali: il modello svedese arriva durante lo show italo-svizzero-svedese descritto sopra, ma ha tutti i miei complimenti perché ha fatto anche le tratte 4-5-6 con la carta originale.

Il tizio di Hong Kong pare lo stiano ancora cercando…

Once upon a time: O-Ringen 2014 (the final)

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Le ultime due tappe dell’O-Ringen, dopo il giorno di non-riposo alla Nostangica Race, rappresentano due momenti completamente diversi per chi, come me, raschia il fondo della classifica ad ogni uscita nel bosco. La quarta tappa è per me, in effetti, l’ultima vera tappa dell’O-Ringen; è nella quarta tappa che quelli come me si giocano, infatti, l’unico vero traguardo che ci è concesso di raggiungere: una posizione nella griglia di partenza prima del gruppo di tutti coloro che, per un motivo o per un altro, non hanno completato tutte le gare. La quinta tappa diventa una specie di kermesse, di arrivederci ad una delle prossime edizioni, con le sue partenze in una griglia a 15 secondi di distacco gli uni dagli altri. In effetti la quinta tappa ha l’unico scopo di far incontrare in zona partenza coloro che si sono divisi le posizioni di fondo classifica nelle quattro tappe precedenti: ognuno squadra il vicino, se ne osserva la panza, lo stato atletico, l’elasticità dei movimenti… se devo essere sincero non ne ho visto uno meno atletico di me! Se sono, e sono comunque pochi, dietro di me in classifica, vuol dire che devono averne combinate di veramente grosse nel bosco!


La quarta tappa ha due caratteristiche fondamentali. La prima: viene annunciato in tutti i volantini ed in tutte le presentazioni l’attraversamento di una zona detta “Littorina Bank”, cioè di una zona di bosco dalla quale un paio di ere geologiche fa il Mar Baltico si è ritirato, lasciando alle sue spalle un diluvio di massi grandi, medi e piccoli, di cocuzzoli che si sono formati nel tempo, di piccole colline e microforme che renderanno veramente impegnativa la gara anche di quelli più forti; una zona, quella del “Littorina bank”, che minaccia di passare alla storia dell’O-Ringen 2014 come quella del possibile “vaccatone da 30 minuti di errore”. La seconda: è la tappa nella quale partiamo più tardi, nell’ultima fascia delle partenze, e ad onor del vero siamo pure parecchio in fondo all’ultima fascia! E’ una cosa che non mi piace mai. Un po’ di tensione me la aveva messa il mio amico Cristian Olivestam (Vimmerby OK) che avevo incontrato nel parcheggio il primo giorno: io partivo alle otto e mezza, lui dopo l’una; io me ne andavo a casa con calma dopo la mia gara, mentre lui arrivava con altrettanta calma per la sua gara. Non so… questa cosa di partire a fondo griglia nell’O-Ringen mi ha sempre lasciato una sensazione strana. Posso capire che in una gara ci sia quello che arriva per primo al traguardo (di solito il bambinetto della H10 che parte alle 8.30 precise, arriva alle 8.45 e risponde a monosillabi alla sua prima intervista) e quello che arriva per ultimo, quando tutti se ne sono andati e restano solo pochi infaticabili volontari che devono decidere se chi ancora manca all’appello è effettivamente in gara o ha preso la strada di casa senza avvisare nessuno. Ma il pensiero che mi accompagna è: perché devo essere io ad arrivare per ultimo al traguardo? Non è il fatto di correre da solo nel bosco, figuriamoci! Tra tutti gli orientisti del mondo, o almeno in Italia, credo di essere l’unico che non può farsi questi problemi visti gli orari-speaker ai quali prendo regolarmente il via… è proprio una sensazione di disagio: quella di rischiare di essere colui per attendere il quale l’arena dell’O-Ringen deve rimanere in piedi!

Nella quarta tappa questa sensazione ci mette un po’ a sparire, ma alla fine se ne va grazie ad un paio di combinazioni fortunate. In primo luogo il posto che troviamo per posare le nostre borse: sono tre metri quadrati proprio nel punto dal quale si vedono sia l’arrivo che l’ultima lanterna che una parte dell’ultima zona di bosco da attraversare, veramente deliziosa. E che sia un posto speciale (clamorosamente libero!) lo testimonia il fatto che proprio lì arriveranno a fare l’ultima perlustrazione tutti i più forti: Lundanes, Alexandersson… persino LUI!


La seconda è che ad un certo punto arriva al traguardo Elisa Lucian, sempre sorridente… vado a chiederle qualcosa sulla sua gara e lei mi fa vedere come bisogna tenere la mappa per non perdersi nel Littorina Bank: praticamente ad un centimetro dagli occhi! Non so perché, ma questa cosa mi fa ridere e mi fa pensare che tutte le migliaia di persone che stanno arrivando all’ultimo punto hanno affrontato le stesse difficoltà che avrò io nel giro di qualche decina di minuti e… che cosa hanno loro che io non ho? Nulla (forse un po’ più di autostima). E che problema ho io che loro non hanno? Nessuno (forse solo la Nostalgica Race nelle gambe). E allora che Littorina Bank sia, e che la gara cominci!


A conti fatti, nulla di tutto ciò che faccio nella quarta tappa si dimostra più difficile di una normale gara di orienteering: entro molto piano nel Littorina Bank per il primo punto (che altri cercheranno per 20 minuti) e basta seguire con calma i cocuzzoli ed i massi per arrivare alla prima lanterna. Un piccolo svarione dentro il cerchietto per il terzo punto, ed uno appena più marcato al quarto punto per il quale alla fine decido di appoggiarmi all’area vietata, marcata dalle strisce gialle sul terreno in modo davvero preciso. Per il quinto punto mi faccio portare da una D18 che viaggia sulle rocce lisce e piatte ad una velocità altrimenti non praticabile dal sottoscritto… ed anche il Littorina Bank è alle spalle. Fisicamente è un po’ penosa la risalita al sesto punto, con attraversamento di un’altra area di rognoso disbosco nel quale manco tutte le tracce di chi è già passato finendo per fare il doppio della fatica. Dal settimo punto in poi si va a caccia delle lanterne e dei bicchierini del ristoro… come quello dopo l’ottavo punto, al quale arrivo da solo ed ho a disposizione tanta di quell’acqua da farmi persino una doccetta rinfrescante: i vecchiardi del ristoro, che probabilmente da un paio d’ore non assistono a nulla di memorabile, fanno una specie di catena umana per portarmi tutta l’acqua possibile senza che io debba spostarmi! Da quel punto fino al traguardo il bosco è bellissimo, con una visibilità stile “Bedolpian Mille Pini” o Barricata (prima della grandine). Riesco a combinare un mezzo pasticcetto alla 10 ma dopo pochi minuti sono al traguardo a fare la mia bella volata solitaria. Si, ok, non ci sono più gli speaker e metà delle stazioni di arrivo le hanno già portate via… ma per dirla alla Walter Peraro “anche stavolta sono andato ad affrontare il bosco, e se non ho vinto io, non ha vinto nemmeno lui!”.

Rimane l’ultima tappa che, come ebbi già modo di scrivere in occasione di altre O-Ringen, è un po’ quella dello sbaraccamento generale. L’organizzazione generale dei parcheggi e soprattutto dei tempi necessari per arrivarci salta un po’ per aria, cosa che si sarebbe potuta prevedere dato che  l’arena dell’arrivo si affaccia su una bellissima zona del Mar Baltico che però  raggiungibile solo da una stradina molto stretta a doppio senso e con ponticelli vari a sensi unico alternato: a conti fatti per arrivare a parcheggiare impieghiamo ben più di un’ora più dei tempi massimi previsti, ed io e Attilio ci troviamo quindi costretti a saltare fuori dalla macchina e a correre come cammelli per oltre 3 chilometri, prima in salita e poi fortunatamente in discesa, per arrivare in zona partenza un solo minuto prima del mio start. Inutile dire che le energie e la testa, dopo tutta questa fatica, sono completamente altrove…


Dalle mie tracce posso vedere come riesco a fare bene il (facile) punto 1 nel quale c’è solo da salire fino al punto più alto del dosso per arrivare al punto nascosto sotto un grande cespuglio, poi sono lento alla 2 mentre alla 3 cerco di lambire la zona vietata per evitare dislivello inutile, finendo però per restare a lungo in una zona veramente impervia a combattere con la vegetazione. Il pittoresco passaggio sulla vecchia ferrovia porta alla seconda parte della gara, dove la difficoltà più grossa è trovare la 7 nel disbosco (ma mi ci porta un trenino…) e poi venire su dalla 8 fino alla 9 in salita a consumare le ultime energie. Il pezzo dalla 9 fino al traguardo è veramente molto bello, anche se faccio un gran casino per arrivare alla 11 e poi alla 13 (complice anche tutto il rumore di sottofondo del tifo che arriva nel bosco fin dall’arena di arrivo).
Poi è solo discesa fino all’arrivo… e questa la potete vedere nei filmati che ritraggono TG che arriva vincitore solitario, o lo si può capire da questa foto.


Abbiamo ancora il tempo di scendere sul Mar Baltico, in una giornata si sole bellissimo, per vedere qualche lanterna del percorso di trail-O… le lanterne sono molto belle e sarebbe stato carino provarci, mi chiedo solo se qualche descrizione cervellotica possa averne rovinato la poesia!



Alla fine non resta altro da fare che cominciare a pianificare la prossima O-Ringen, sperando di ritrovarci con un tempo come quello visto nel 2012 e nel 2014! E di non avere un ritorno a casa così tribolato come quello “offertoci” by Lufthansa… altrimenti vale la pena pensare di testare un’altra compagnia aerea!

Campionato del Territorio Nord della Provincia Pavese di Fot-O

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L’orientista affamato di notizie non troverà qui informazioni sulle più importanti gare del panorama orientistico internazionale disputate sabato 13 settembre, quali ad esempio il Campionato Italiano a staffetta di MTB-O (75 iscritti) o il Trofeo delle Regioni di Trallall-O (4 iscritti, ma 8 secondo la Questura che per una volta si è lasciata impietosire). Qui si parla solo di cose più terra terra e, in attesa di completare il pezzo sul Trofeo delle Regioni disputato a Passo Radici settimana scorsa, la notizia del giorno è quella relativa al “Campionato del Territorio Nord della Provincia Pavese” di Fot-O, disputato questo pomeriggio al Parco Oasi di Cascine Calderari (Pavia) alla presenza di 48 iscritti… che per un “territorio provinciale nord” sono mica bruscolini!


Il Fot-O è quella cosa che, con le dotazioni ori-informatiche e fotografiche  di cui ognuno dispone oggigiorno, costa quasi zero a livello di fatica ma ci si diverte un sacco… peccato non aver pensato di farne una edizione ad Asiago o Lavarone, o finanche a Pievepelago mi azzardo a dire. E’ un gioco (che cosa altro è l’orienteering se non un bellissimo gioco?) che piace a grandi e piccini, non serve essere allenati come dei maratoneti per farlo, non serve nemmeno saper distinguere in carta l’isoipsa maestra da una canaletta insidiosa o un limite di vegetazione da un muretto di pietre abbattuto. Basta mettersi lì con un po’ di buona volontà e di pazienza, con un cronometro per rimanere entro il tempo prefissato, con una penna che scriva anche dopo essere caduta nel canale (è successo) ed essere pronti a scambiarsi qualche battuta salace con gli altri concorrenti in gara, perché nel Fot-O non è come nel Trallall-O che bisogna stare zitti e seri e tutti compìti come fedeli in chiesa.


Traccia Marco Giovannini, il che vuol dire che la testa deve essere pronta a cimentarsi in quel minimo di sei o sette livelli di pensiero laterale del tipo “io so che lui sai che io so che lui mi vuol far vedere una cosa che però io vedrò da un’altra prospettiva…” e così via almanaccando. 30 cerchietti sparsi per il parco, 20 foto scattate dall’alto di una scala a pioli verso terra, o da terra verso il cielo, o da un buco della serratura verso l’orizzonte lontano… foto di cose visibili ad occhio nudo ma girate di sbieco, altre di dettagli del tipo “frammento 2x3 centimetri del muro di una cascina”; foto quasi photoshoppate alle quali non si può credere nemmeno quando Marco ci porta a vedere gli oggetti nel giro di controllo finale, foto di vanghe appoggiate ad un muro di mattoni grezzi laddove almeno 4 cerchietti su 30 hanno al loro interno una vanga appoggiata ad un muro di mattoni grezzi. Soprattutto: 10 cerchietti che non hanno una foto corrispondente, col risultato che spesso (molto spesso!) si va via dal punto senza aver trovato la foto da abbinare ma… sarà davvero uno dei dieci cerchietti senza abbinamento?

Alla fine del pomeriggio la mia squadra stacca il migliore punteggio complessivo ed il primo posto in classifica! Evviva Evviva! Sono il campione! Ho trovato anche io la mia dimensione nell’orienteering! Cosa aspetta l’IOF a far diventare il Fot-O una disciplina olimpica? Cosa aspetta la FISO a darmi una casacca della nazionale, una commissione tecnica ed un calendario tutto mio? Purtroppo, per non peccare di vanagloria, devo ammettere che la prima posizione in classifica la ottengo solo grazie al risultato del secondo terzetto facente parte della squadra, e soprattutto al fatto di essere abbinato ad una venticinquenne di cervello sveglio e gambe veloci… si: una venticinquenne di nome “Carlotta e Rebecca”! Loro due infatti sono i due terzi della mia squadra, fanno più o meno 25 anni in due (penso "meno"), e partono per la tenzone caricate a molla, pallettoni e dinamite pura! Io non ho ancora finito di orientare la mappa che loro hanno già identificato il primo punto di controllo, un chiavistello che nella foto mischiata alle altre 19 è girato di tre quarti e che devo andare a vedere mettendoci contro il naso prima di ammettere che in effetti hanno ragione loro. Per 20 minuti circa, l’andatura del terzetto sarà: loro che viaggiano davanti a velocità Luder (da non confondersi con velocità Luce(r)… ma insomma siamo lì) e si intrufolano in spelonche e anfratti che all’O-Ringen sarebbero zona vietata per preservare l’incolumità persino dei concorrenti dell’Elite; io che arranco all’inseguimento e mi sento urlare cose del tipo “IN CHE CERCHIETTO SIAMO?!?!” “aspettatemi… puff puff… il 2.. pant pant… mi pare…” “SEGNA DUE! SEGNA DUE!”. Praticamente sono ridotto al rango di zavorra.


La prestazione individuale di giornata risulterà quella di tale Davide (o Daniele?), mai visto prima, che spara una mitragliata di 20 su 20 in 35 minuti (noi 18 in 58’30” giusto per fare un paragone), il che vuol dire che perlomeno 30 cerchietti in 35 minuti se li è visitati! Poi Daniele (o Davide?) a fine gara mi dirà che… insomma… lui a fare una gara di orienteering ci verrebbe anche, ma sono tutte così lontane. Marco Giovannini sta cercando di convincerlo. Io ho già paura…


Forse una nuova generazione di orientisti sta vedendo la luce in queste settimane. I Campionati Italiani ed i Trofei delle Regioni servono sicuramente a metterne alcuni in evidenza. Non posso escludere a priori che un domani il campione o la campionessa del mondo di orienteering alla domanda “Come hai cominciato a fare orienteering?” risponderanno “C’era questa gara di Fot-O…”.

Come farsi dei nemici parlando di… pronostici!

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Il titolo del pezzo richiama volutamente il famoso incipit del blog ormai sopito di Stefano Zonato, che ho rivisto in gara al Trofeo delle Regioni e che sarà al via della staffetta dei Campionati Italiani di Passo Vezzena con i suoi compagni di avventura Valerio Leso e Walter Peraro. 

In attesa che Larrycette compia il miracolo, in mancanza di spunti sulle mie prestazioni al Passo Radici, nella due giorni di Trofeo delle Regioni, gara abilmente coperta sui blog da atleti che hanno corso nella mia stessa categoria (dopolavori– 36 minuti di distacco) o sul mio stesso percorso (angelorizen– 27 minuti di distacco non giustificabili solo dal fatto che sono stato costretto a cercare fettucce nel nebbione…), meglio concentrarsi sul futuro e dare una occhiata alle griglie di partenza della gara più adrenalinica, più sincopata, più entusiasmante e più attesa del settembre post-Mondiali: la staffetta che assegnerà domenica il titolo tricolore.

Ormai sono rimasto vittima del “morbo di Per Forsberg” e sento un fortissimo bisogno di studiare in anticipo le liste di partenza… visto che le liste di partenza non ci sono ancora poiché le iscrizioni si sono chiuse ieri sera… visto che le staffette non hanno griglie di partenza… insomma: bisogna che qualcuno dia fiato alle trombe, Turchetti! Quindi cominciate a mettere a portata di mano ferri di cavallo, balle giranti, gatti neri, cornetti color peperoncino e scongiuri, perché LO SPEAKER STA PER FARE IL VOSTRO NOME! Ed una volta che Egli ha parlato, potrà succedervi di tutto: dal punzonare la 100 in testa sentendo chiaro e forte il bip della sicard e trovarvi in classifica con una bella PM (quello che è successo ad Hollie Orr nella finale long dei WOC, e se io fossi Hollie voterei per l’autonomia della Scozia dall’IOF… d’altra parte c’era Bjorn Persson in giuria… ma questa la capisce solo Leonardo Scapin!) allo scoprire che il vostro compagno di squadra non ha punzonato il clear e check prima di entrare nella zona di cambio carta, o che sempre il vostro compagno di squadra ha pensato bene di infrattarsi nel bosco per un ultimo bisogno pensando che sareste arrivati chissà quando… voi che per una volta nella vita avete preso il largo alla lanterna 5 e state dando il cambio in testa!

Succederà tutto. Succederà di tutto. E grazie a questo pezzo, potrete rivolgere i vostri strali ad una persona specifica. A me! Tanto succede già per le gare di Trofeo Lombardia… 

Vige la regola che non posso scrivere “queste sono le sette squadre che possono puntare alla vittoria”. Vuoi perché in parecchie categorie non ci sono sette squadre al via, vuoi perché sennò sono capaci tutti di fare i pronostici (persino Bjorn Persson).

Pronti? Io sono pronto. Via.

Categorie Elite.

Uomini: TOL – US Primiero – Cus Bologna sul podio nell’ordine. Poi MonteGiner, Tarzo, Pavione, Besanese1, Forestale, Besanese2 ed Erebus. In prima frazione sfida tra MarsoMan e Zagor, poi Misha contro Ricky e Klaus contro Manuel. Una sfida che potrebbe persino decidersi sull’ultimo loop dopo il punto spettacolo, dopo il duello generazionale tra Mamleev e Scalet.

Donne: Sport Club Merano – e poi un sacco di sorpassi e controsorpassi… aaaaarrrrghhh… DEVO DIRE UN PRONOSTICO… Primiero 1 e Besanese! Poi ovviamente occhio al TOL, al Cus Bologna con Michela Guizzardi in ultima frazione e l’incognita (almeno per me) Liliana Papandrea in prima frazione, la Masi e… e in fondo devo dire che Primiero2 (Elisa Lucian sta andando veramente forte) potrebbe non partire battuta nemmeno da Primiero1! Forse solo Heike Torggler avrebbe il coraggio di portarsi Michela in volata…

Categorie Giovanili.

M20: Vado con Primiero (De Bertolis in terza) su Pavione (Fabiano, poi Paolo Gaio e Walter Bettega) e una solida staffetta Interflumina con Andrea Melioli in terza frazione. Appena fuori dal podio il Tarzo, l’Erebus e la Punto Nord. L’incognita totale globale è il Gronlait che dipende interamente dalla prima frazione di uno dei “the next century speakers” (se regge la concorrenza di Tiziano Bettega) Alessio Dal Follo; se Alessio tiene, voglio godermi lo spettacolo delle gambe di Sammy Tait in terza frazione!

M16: Masi – Pavione – Primiero. I bolognesi (Lambertini – Mannocci – Rimondi) possono persino permettersi di lasciare Cenni in squadra B. Ovviamente Dalla Gasperina + Bettega 1e2, come pure Bizzarri, Nicolao e Brunet si giocano le loro chances. Appena dietro Fonzaso e Tarzo. Occhio, veramente occhio, alla partenza in prima frazione della Besanese.

W20: questa è una rissa. Questa è veramente una rissa. Como – Trent-O – Tarzo. Le prime due sono tostissime e se vado con le ragazze di Beppe Ceresa è solo perché in terza frazione vedo Noemi Inderst appena appena (ma uno zinzinello appena) più testata, nel senso di test in Ticino, di Serena Raus in un finale in volata. Ma prevedo un finale veramente chiusissimo.

W16: nelle liste il Primiero mette solo Giulia Maschio. Quindi dico Masi – TOL – Gronlait.

Categorie Master (nel caso in cui interessino a qualcuno)

M35: questa finisce in una rissa come la W20. Nonostante Carlo Rigoni in terza frazione, nonostante Paolo Mario Grassi in seconda frazione, credo che il titolo prenderà ancora una volta la strada di Bellano: Colombo sta andando forte, Ruggiero sta andando fortissimo e Gottardi sta mostrando adesso la forza ed il talento che avrebbe potuto sciorinare da giovane. Secondo il TOL lo Sport Club Merano, dato favorito da tutti (Grassi, Grassi, Neuhauser), e terzo il Primiero (Gobber, Pradel, Rigoni). Gli anni passano per tutti e quindi non vedo il Panda sul podio (sto parlando degli anni che passano per Eddy Sandri, mica quelli del Cip!) e l’Erebus. Troppo preparata la concorrenza per vedere sul podio il Cus Parma.

W35: TOL su tutte (Troi, Ragona, Rottensteiner), poi scatta la mischia. Metto nell’ordine Semiperdo (Kuzmin, Hechich, Zambiasi), Panda (Montibeller, Udovic, Cipriani), PPN (Galimberti, Rampado, Gariboldi) e Mezzocorona (Bertoldi, Casatta, Paris) che sono però le più accreditate a rovesciare il pronostico se Marzia Casatta riscoprisse le qualità mostrate fino a pochi anni fa.

M45: il Cus Parma, con Grilli e Di Stefano a lanciare Sbrambi, dovrebbe dimostrare che la staffetta dell’Aprica nella quale venne inserito Roby Tettamanti non era solo un fuoco di paglia per portare a casa un titolo in più. Credo però che saranno ancora loro a spuntarla, davanti al Trent-O (con tutto il bene che voglio a Stefano B., non posso vederlo vincente in volata su Candotti) e Besanese. Sono curioso di vedere cosa farà il Dolomiti con la collaudatissima Giovanelli – Rech - Padovan, il Pergine e soprattutto l’Orienteering Appennino che sostituisce Lari con Dallera e rimette insieme due dei tre pezzi del titolo italiano con il Cus Bologna (Murgia e Dissette)

W45: pronostico secco che salterà per aria al primo alito di vento: Besanese, Panda, Primiero

M55: Pergine su Primiero e Besanese, con i quarti incomodi rappresentati dall’Erebus.

W55: staffetta a due frazioni, quindi posso militarmi a dire solo le prime due posizioni del podio (ahahahahah): Mezzocorona e Pergine.



Questo dovrebbe essere tutto. Per l'individuale bisognerà vedere se avrò tempo... 

Accetto insulti, lanci di pomodori (i “cuori di  bue” mi piacciono molto), di uova (possibilmente sode con la maionese ed un pizzico di pepe). E ovviamente aspetto le offerte di bevute da parte dei pochissimi che avranno saputo schivare la maledizione dello speaker ed aggiudicarsi il loro premio…

Ricordi di un fine settimana al Vezzena

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Il fine settimana dei Campionati Italiani di Passo Vezzena è stato sicuramente positivo per la maggior parte degli ori-blogger che (non più, purtroppo) affollano a rete con i racconti delle proprie imprese. 
Affermazione, questa, che farebbe impallidire persino Monsieur Lapalisse: non si capisce il motivo, infatti, per il quale una persona sana di mente dovrebbe tenere un blog orientistico se non per tenere traccia e condividere con amici ed avversari i propri successi. Tornando al fine settimana appena trascorso, annoveriamo sicuramente tra i protagonisti in positivo “colei che disprezza apertamente l’orienteering” … lo ha detto Azimut, non io!..., protagonista alla Rampigada Santa triestina (ok, non è esattamente orienteering, ma è stato comunque un grande successo, pronosticato dai meno); poi ovviamente non posso dimenticare “colui che maledice di essere nato lo stesso anno di Rigoni”, ... perché invece quelli che sono nati l’anno di Dalla Santa e Beltramba stappano champagne (!)..., che ha conquistato la prima posizione alle spalle dell’Inarrivabile. Infine, nonostante la chiosa del suo blog, non posso infine passare sotto silenzio il quarto posto a staffetta e il primo posto tra i lombardi nell’individuale di “colui che indossa il camelbak anche nelle sprint”. E con questi tre dovremmo essere a posto: altri racconti non ne ho letti.

Si conferma dunque il vecchio adagio che gli ori-blogger sono notoriamente assidui frequentatori delle zone alte della classifica o sono comunque capaci di performances di notevole spessore.

Oddio.

Mica tutti.

Chissà perché, ce ne deve sempre essere uno che guasta l’armonia e la costanza di rendimento.

Quel qualcuno, guarda caso, è sempre il sottoscritto.

Nel mio caso, ormai, non si tratta nemmeno più di “perdita di dignità”; si parla invece proprio di masochismo, di mancata presa di conoscenza dell’ineluttabile declino, di scarsità congenita. Proprio ieri sera il mio Presidente di Società, con un tempismo da Guinness dei primati e senza sapere nulla dei risultati, diceva che non vale la pena prendere parte ai Campionati Italiani sapendo di arrivare ad un’ora di distacco dal primo, soprattutto per rispetto verso gli organizzatori che poi si trovano a diffondere classifiche che descrivono simili debacles. 

Ecco: per i soli finali, in M45 Corradini vince in 46’48”, Stegal chiude in 1.47’25”. Prendo nota e faccio tesoro per il prossimo anno.

Il mio fine settimana è così riassumibile.

Venerdì: viaggio delirante da Milano a Lavarone (mica da Pechino a Parigi) con allucinazioni del tipo “il mio regno per una pastiglia di Travelgum” e mal di testa fotonico.

Sabato: permane il mal di testa fotonico, vado nel bosco in solitaria sbagliando la 2 (una piattaforma!) nel tentativo di evitare il mare di ortiche, la 5 la trovo solo perché dopo 5 minuti di ricerca risalgo alla 6 che non è sbagliabile e poi solo da lì scendo alla 5 che dista 50 metri, la 11 la trovo dopo aver ricartografato l’intera zona per 12’30” di orologio (non 12’30” dalla 10 alla 11, 12’30” una volta che ero già nel cerchietto… forse).


Sabato sera scopro con terrore di essere stato messo in staffetta con due torelli di grandi speranze, Zoppé e Corradini-il-giovane che immagino intenti a chiamare tutti i numeri della rubrica del cellulare per trovare un impegno di riserva o una scusa buona per non presentarsi al via l’indomani. Cosa che puntualmente accade la…

… Domenica: rimango solo dopo essermi scapicollato per 52 minuti netti (+ due decimi) in un bosco che alla 1 è più buio del culo della marmotta (sono sempre le 7 e 30 del mattino), mentre alla 7 sbaglio in una zona che avrò visitato (sempre sbagliando) in almeno altre 3 gare della mia onesta ma poco luminosa carriera.

In tutto questo, riesco a monopolizzare il 50% del video RAI riassuntivo della gara individuale, video che mi guarderò bene dal far vedere a chicchessia (il mio arrivo al traguardo di sabato è ribattezzato “Largo Cairoli”, per la dimensione del soggetto inquadrato).

In definitiva potrei dire senza tema di smentite che, considerando anche le mie performances microfoniche (ho azzeccato qualche staffetta in più, ho bucato qualche individuale in più), non rimarrebbe molto da ricordare di questi Campionati Italiani… se non fosse… se non fosse… se non fosse per quello che è successo alla fine.

Perché era proprio la fine! La conclusione della seconda giornata. Ma proprio l’epilogo! Quando tutti se ne sono andati a mangiare, o stavano portando i bagagli in macchina, o erano nei paraggi a confrontare tempi e percorsi e dietro le fettucce della corsia di arrivo erano rimaste 10 persone in tutto, più io dietro il microfono, ad aspettare le W17 che ancora non erano giunte al traguardo: l’ultimo titolo ancora da assegnare quando tutti gli altri erano già arrivati al traguardo.

E’ stato in quel momento, all’improvviso, che è successo qualcosa. Sono contento di girare ancora con il piccolo registratore che mi fu regalato tanti anni fa, che sta comodamente nella tasca della felpa dell’Aget Lugano. Sono contento di aver avuto la prontezza di riflessi di accendere REC. La prima frase è andata persa ma l’ho segnata, poi è tutto immortalato.

*** ***

Ancora un titolo da assegnare… categoria W17 e nessuna squadra è arrivata al traguardo. NO! UN MOMENTO! Una tuta blu e nera compare da dietro la collina! Il Gronlait… con Francesca Buffa! Il Gronlait sta per aggiudicarsi l’ultimo titolo della giornata! E’ finita anche la categoria W17… E INVECE NON E’ FINITO NIENTE! Sta arrivando anche De Nardis! Polisportiva Masi!... De Nardis all’inseguimento di Buffa che sembra sfinita! … 40 metri di vantaggio per il Gronlait! … La W17 non è ancora finita quando mancano meno di 200 metri al traguardo! Gronlait contro Masi! … Buffa contro De Nardis che ha un bersaglio davanti a sé a meno di 30 metri di distanza! … Buffa all’ultimo punto! … Buffa si volta a cercare De Nardis… che è sempre più vicina! … 20 metri adesso di distacco… Buffa sembra non averne più E MANCA ANCORA TUTTA LA SALITA FINO AL TRAGUARDO! … Anche De Nardis è stanchissima! Ma la medaglia d’oro è ancora lì a portata di mano! Buffa ora sulla run-in! Anche De Nardis imbocca la corsia finale!... Buffa si volta indietro… anche De Nardis è stanchissima! … Buffa sull’ultima curva! … E’ una corsia finale eterna!... 10 metri di distacco!... Adesso sono meno!... Mancano pochi metri! Ancora 20 metri per Buffa incitata dalle sue compagne! … De Nardis le sta arrivando addosso!... 10 metri! 5 metri! BUFFA SI LASCIA CADERE SUL TRAGUARDO! Il Gronlait è campione d’Italia W17! La Masi è seconda! La rincorsa feroce di Francesca De Nardis è rimasta a 5 metri dal successo!...

*** ***

Ho ancora negli occhi l’immagine di Francesca Buffa a terra sulla linea del traguardo, spaccata in due dalla fatica. Penso che Elisabetta Monaco, Caterina De Nardis e Francesca De Nardis avranno ancora occasioni di vincere un campionato italiano under 17, anche nell’individuale, soprattutto se si faranno guidare dalle loro compagne della squadra assoluta della Masi che hanno fatto una gara di grandissimo orgoglio e tenacia, perdendo di poco solo da squadre nettamente più forti.


Per Francesca Buffa, forse, questa era l’ultima occasione. Sono felice per Francesca, la più stanca, la più imprevedibile, la più memorabile atleta del mio Campionato Italiano di Passo Vezzena.

Cunardo: il TMO che non mi sarei mai aspettato, e invece...

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Ammetto di essere rimasto un po’ indietro, nelle ultime settimane, nella scrittura del blog; capita... persino io, il Super-Impiegato-Panzottello, ho bisogno di recuperare le forze dopo due fine settimane consecutivi di viaggi + sveglie all’alba (se non nel cuore della notte) + corse solitarie nel buio del bosco, solo contro i cinghiali. Mi riferisco alle gare dell’Arge Alp e alle finali di Coppa Italia, di cui vorrei scrivere qualcosa nelle prossime settimane.

C’è sicuramente una costante nelle gare che ho affrontato negli ultimi tre fine settimana… ed ho quasi paura a dirlo perché non vorrei che questo incantesimo finisse proprio sul più bello: la costante è che in ognuna delle ultime tre domeniche appena trascorse mi sono divertito UN SACCO!!! (spero che nessuno della Besanese mi stia leggendo… e spero che a Ghemme si continui sulla stessa lunghezza d’onda). Posso persino affermare di essere riuscito, almeno in una occasione per ognuno dei fine settimana di cui sopra, a fare qualcosina in più del minimo sindacale orientistico ed atletico cui ormai mi devo abituare (o adagiare) nell’annata 2014, quindi ci sono almeno tre gare di cui potrò raccontare in positivo le mie gesta quando avrò da scrivere “il top ed il pot” dell’anno 2014.

"Giusto per stare sulla notizia" (citazione di quando Paolo Mutterle vinse il Campionato Veneto in notturna e scrisse il pezzo più esilarante mai comparso sul sito Fiso), comincerò a narrare le epiche gesta del Super-Impiegato-Panzottello dall’ultima domenica: TiEmmeO in quel di Cunardo, Canton Ticino, profonda Svizzera. Ehmmm… no, Canton Ticino ‘sta cippa! Narrano infatti gli estensori dell’atlante del Touring Club, solo di recente scalzati da quelli di GuuglMaps, che Cunardo stia DI QUA del confine, non DI LA’. Di qua, nemmeno tanto in fondo alla Val Ganna che è ormai agilmente raggiungibile via tangenziale di Varese dal casello di Gazzada. Siamo dunque in territorio italico, ma ovviamente avendo scelto gli svizzeri di cartografare questa zona siamo purtroppo e pur sempre in un bosco ostico se c’è ne è uno, terribile come quello di Blair Witch Project… perché è pur sempre una gara del TiEmmeO ed è meglio che sia così per poter lanciare nell’empireo della World Ranking List i vari Inderst (sorella e fratello) e Pezzati (fratello e sorella), osservati speciali delle divinità che rispondono ai nomi di Maddalena, Ren, Boiani… (piccolo inciso: ma quanto corre Michele Ren! Quando lo incontro nel bosco mi sorride sempre e mi saluta…! Forse ride perché non riesce a capacitarsi come faccia io a stare in piedi e ad arrivare al traguardo con tutte le punzonature, o più probabilmente è una persona educata e sportivissima)

Ehmmm… bosco ostico avevo detto? MA NEANCHE PER L’ANTICAMERA DEL CERVELLO! E’ un bosco pulito se ce n’è uno, un bosco con una bella visibilità, un bosco con un bel fondo sul quale non ho mai messo a repentaglio le mie caviglie; tratte in costa sulle quali non è necessario avere i poteri dell’uomo ragno per stare in piedi, e tratte nella parti meno impervie nelle quali anche io sono riuscito (mica sempre, ma almeno ci ho provato) a far andare le gambe… che poi se Ren e Boiani volano, io cosa ci posso fare?

Quindi: NON eravamo in Canton Ticino ma ancora in Italia… NON ho dovuto sorbirmi il solito percorso ticinese spezzagambe. Anzi! Ho potuto gareggiare su un percorso DAVVERO NOTEVOLE per il quale pagherò volentieri da bere a Guido Macconi alla prima occasione (lo scrivo, tanto nessuno dell’Unitas legge il mio blog)… abbastanza vicino a casa… allora adesso ci sarebbe da capire come mai, su circa 300 presenti, ci fossero in tutto solo una dozzina di lombardi al via, di cui la maggior parte tesserati per società del Ticino, 4 del Cus Parma, 2 del TOL, 2 del Panda Valsugana. Alcuni ticinesi mi chiedono con una certa perplessità che fine abbiano fatto i lombardi. Io ho risposto che la numerosità dei locali (locali lombardi, ovviamente), in fondo, poteva considerarsi “in linea con le aspettative”. Una frase che, qualunque cosa voglia dire ed in qualunque contesto la si usi, è ormai una costante anche delle cronache nazionali (quindi possiamo dire che oltre a Donadini, Mattiroli e le mitiche staffette besanesi, la Lombardia orientistica è riuscita ad esportare anche altre cose nel mondo).

Peccato. Perché a giudicare dalla lettura dei risultati non mi sembra che il Raid del Monte Bisbino abbia “risucchiato” tutti gli orientisti della regione che batte bandiera con la Rosa Camuna (o, viceversa, che a Cunardo siano convenuti tutti coloro che non ce la fanno a gareggiare per 21 km e 1300 metri di dislivello o non sono interessati ai raid). E’ un problema di costi? E’ un problema di appuntamenti tanto ravvicinati? (siamo tra l’Arge Alp + Coppa Italia e il campionato sprint di Ghemme) E’ un problema di comunicazione? (nell’era di internet?). E’ un problema di calendari? Siamo proprio tutti stanchi e stufi, oppure dobbiamo ritenere che tutto ciò sia in linea con le aspettative? E, soprattutto, c'è davvero qualcuno a cui interessa sapere che fine hanno fatto le decine di orientisti della domenica che adesso manco cercano più nei calendari la garetta più vicina nella quale andare a fare una semplice rimpatriata? Lo ritengo un vero peccato e nel mio piccolo, fosse anche solo per solleticare la sopita voglia orientistica di qualcuno, non mi stancherò di ripetere quello che, più volte, avevo ripetuto anche a Fontanigorda due domeniche fa: “mi dispiace che la cronaca della gara sia iniziata con 36 minuti di ritardo…” No! No! NO! NON ERA QUESTO CHE VOLEVO DIRE! (ma riprenderò il tema). No! Lo ripeto oggi e lo ripeterò ancora:  “Mi dispiace per quelli che la gara di Cunardo se la sono solo sentita raccontare e non hanno potuto viverla in diretta”.

Cunardo dunque, con Guido-Macconi-for-coursesetter al tracciato e tutte le premesse per prendere una sonora legnata, tornare a casa con le gambe rotte e zoppicare poi fino a giovedì… Dico solo come è andata a finire: ieri sera al DodgeBall ero fresco come una rosa, ho pigliato al volo tutti i palloni che passavano nel mio radar e ho sparato dei missili balistici come se Curt Schilling si fosse impossessato di me! Tutto questo grazie alla gara di Cunardo che ha spazzato via tutti i residui dell’influenzetta che mi aveva preso durante la settimana.

Ho trovato il percorso divertente, mai noioso. Sempre tanti rimbalzi nel bosco, talvolta ad angolo acuto ma (come nelle migliori lezioni di Zonori) non sempre gli angoli acuti sono quelli che creano incroci ed andirivieni. Mi sono goduto il passaggio di Tobia Pezzati "testa bassa e pedalare con vigore" ad inizio gara, ho persino fatto finta di correre veloce in quella parte di bosco piatto per fargli vedere, se mai si fosse accorto della mia presenza, che il suo Manager (non lo sapevate? Nemmeno Tobia, se è per questo…!) sa correre veloce anche lui. Domenico Lepori mi ha passato presto; poi, dopo che ho sputato un polmone sulla salita tra la 6 e la 7, mi ha passato anche Tiziano Boiani che era almeno 3 metri dietro di me quando io stavo già allungando la mano verso la punzonatrice (ha punzonato prima lui, ovviamente) e nel finale che ci ha fatto diventare tutti quanto simili alla pallina del flipper ho visto passare anche Michele Ren, sorridente e tranquillo come se stesse facendo la spesa alla Migros, e invece stava volando per andare a vincere proprio con pochi secondi di vantaggio su Boiani.


Il mio tempo? Appena meno del doppio di quello del vincitore, come all’Arge Alp, come a Fontanigorda, e sono tappi di champagne che partono. Il percorso di Guido Macconi? Eccolo qua sotto, e sono bottiglie di birra che si stappano! Come scrivevo prima, mi dispiace per quelli che la gara di Cunardo se la sono solo sentita raccontare dagli altri (non da me che sono di parte, da altri…) e che, non avendo un fisico bestiale o la voglia irrefrenabile di un numero sempre più ridotto di amici, non se la sono sentita nemmeno di andare al raid del Bisbino. Certo che un trofeo Insubrico che spinge la gara ticinese fino ai confini di Bellinzona, per poi arrivare a Cunardo e valere solo per il TiEmmeO… forse si potrebbe ripensare uno zinzinello, non dico fin dalle fondamenta ma un pochettino si.

Yours sincerely, 
Stegal


Ein Zwei Speakerei…

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Negli anni della mia giovinezza, il mio augusto genitore mi spinse a studiare francese anziché quell’altra roba strana che cominciava a diventare di moda per via dei Beatles e dei Rolling Stones. Così ho imparato che François, Madeleine e Guillaume erano soliti mettere “le chat sur la table”, probabilmente per farlo giocare con the pen… e chissà se poi pulivano il tavolo prima di appoggiare il cibo sul tavolo! Poi ancora apprendevo che “le train entre dans la gare” (e non capivo perché ‘sti francesi facessero le gare coi treni).  Intanto venivo severamente edotto sul fatto che la mia conoscenza del francese mi avrebbe consentito di viaggiare e farmi capire il tutto il globo, e che non sarei mai rimasto senza lavoro, perché il francese era la lingua del futuro!

Quest’ultimo pronostico si colloca nella classifica mondiale delle profezie di Nostradamus a metà strada tra il “Chi mai vorrà andare al cinema a sentir parlare un attore? Il muto è l’unica forma di cinema possibile!” di uno dei fratelli Warner ed il “Quel ragazzetto francese che è arrivato centesimo nella long dei JWOC non avrà mai e poi mai una chance in Elite!”.

Tramontata l’epoca coloniale, buttati in discarica quei tre o quattro “ordinateurs” disponibili sul mercato, superata anche l’epoca dei “coupons” al distributore di benzina e degli chaffeurs con il cappello a visiera (resistono le entraineuses, ma con difficoltà)… il francese è rimasto quella lingua che mi ha salvato la vita in Lussemburgo, una nazione i cui abitanti vanno fieri del fatto di parlare cinque lingue e tutte male – se lo dicono da soli –: nei posti dove ho lavorato io erano tutti mezzi francesi. Inoltre è una lingua praticamente desueta con la quale uno se la può tirare un po’, ha quel certo tono naif (stantìo)che fa fare bella figura in società, come indossare il papillon o giocare a petanque. Purtroppo né Lio né Vanessa Paradis hanno fatto tanta strada nel mondo della musica, ma il francese resta pur sempre la lingua di quel ragazzetto che una volta arrivò davvero centesimo ai JWOC… e che quando l’ho intervistato ho usato l’inglese, sennò ci capivamo solo lui ed io!

L’inglese, appunto. Non l’ho mai studiato sul serio, tanto c’erano le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones che si potevano tradurre. Ancora oggi la frase che uso nei negozi all’estero, quando un commesso mi fa fretta, è “I still haven’t found what I’m lookin’ for”… che è il titolo di una canzone degli U2! Uso l’inglese tutti i giorni al lavoro, e spesso mi stupisco di come alcuni miei corrispettivi presso altre banche lo parlino male. D’altra parte oggi disponiamo dello strumento del demonio: GuugolTransleit sta facendo dei danni da paura di cui ci accorgeremo solo tra 20 anni… la gente scaraventa nella finestra di sinistra qualunque frase, poi copia e incolla il risultato come se fosse stato dettato dal British Council, ed uno si trova che il pagamento da 1 milione di Euro è stato oggetto di uno storno … di uno STIRLING! ... come se un uccello se lo fosse portato via. Se devo  parlare al telefono con un madrelingua, lo stoppo subito con un “Hey brota! Spicc english veri slo tett I’m not a native”. Se devo discutere con il proprietario svedese della casa dell’O-Ringen, mi limito a scuotere il testone di fronte al loro inglese da BBC (a cominciare da una panettiera incontrata anni fa a Tonder…) e lascio che se la vedano con PLab. Definiamo pure quindi il mio inglese come “da battaglia” (from battle) e che sia finita lì.

Ma con il tedesco come la mettiamo? Ach! Scheisse!!! Fine del mio tedesco. Non è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello. L’unica cosa che so dire in tedesco è “Ich liebe dich, du liebst mich nich… AHA” (con sottofondo di Da Da Da, dei Trio… precisazione che si rende necessaria vista la presenza sempre più insistente in ufficio di giovanotti e pischelle che non sanno neppure chi è Tracy Spencer … ma a scuola non è materia obbligatoria “Questi meravigliosi anni ‘80”???). La suddetta frase in tedesco, peraltro, è servita parecchio allo scopo nell’anno del tempo che fu, quando io ed altri due tizi (che non posso citare ma che hanno fatto più carriera di me) battevamo furiosamente a pettine tutti i campetti estivi della Romagna balneare e baskettara, guadagnandoci qualche migliaio di lire ed una cuccia per dormire ad ogni torneo di 3-contro-3… che il vecchio trucco poi reso celebre da “Chi non salta bianco è” con Woody Harrelson non lo ha mica inventato Ron Shelton ma noialtri!

Con il tedesco, escludendo di poter parlare in pubblico con la cadenza e la pronuncia del fiero alleato Galeazzo Musolesi da San Giovanni in Persiceto (mica perché mi vergogno, ma per rispetto verso quelli che il tedesco lo parlano bene), sto a zero spaccato. Il risultato è che ho cominciato a percepire un lieve brivido lungo la schiena dopo aver risposto positivamente a Thomas Widmann (sempre lui! Quello che a Laranza mi disse “Vai e divertiti!” dopo avermi dato la carta dell’Elite) che mi chiedeva se ero disponibile per fare lo speaker all’Arge Alp di Weissenstein-Pietralba. “Perché mai ho detto di si???”. Questo è stato il pensiero ricorrente, divenuto nel corso del 2014 sempre più insistente, che mi ha accompagnato fino al week-end dell’Arge Alp. Giusto per fare un paragone… la diretta da Trento della sprint-relay ai Mondiali mi preoccupava di meno! 

Anche perché non è che andavo ad usare una lingua straniera a me ignota in presenza di orientisti cialtroni sui quali far valere la mia superiorità atletica e tecnica. “Arge Alp” significa Canton Ticino (dove si parla italiano, ma tutti quanti o quasi parlano anche il tedesco e sono assai più precisi di noi), significa Graubunden ovvero Grigioni, significa Sankt Gallen e Tyrol, significa pure Vorarlberg che è una parola terrificante con una sequenza di tre lettere R-L-B che non esiste in nessuna lingua latina e dovrebbe essere vietata dalla Convenzione di Ginevra; infine significa Baviera, che mi mette meno paura e che scrivo in italiano, tanto gli unici con cui avrei parlato sono Valerio e Milena Casanova (e me la potevo cavare con un “belìn belàndi” di Larrycettiana memoria) e poi Teodor Yordanov con il quale parlo in inglese.

In ultima analisi c’erano tutte le premesse per un disastro di dimensioni epocali, con sicure inevitabili conseguenze sul piano dei rapporti internazionali, esclusione della penisola a forma di stivale dalle future competizioni, vergogna e pubblico ludibrio. Da un punto di vista prettamente sportivo, ci sarebbe stato anche da spiegare a tutto questo po’ po’ di gente perché una persona sana di mente (penso che sarei stato definito tale solo fino all’”Herzlich wilkommen” che rappresentava tutto ciò che mi ero preparato da dire) dovrebbe scapicollarsi nel bosco all’alba per affrontare i tracciati dell’Arge Alp, arrivare al traguardo in condizioni miserande e mettersi successivamente a cianciare in un idioma sconosciuto. Perché questa cosa poi gliela spiegate voi a Donatus Schnyder, a Simon Seger, a Mario Ammann e Dieter Wolf… (e già che ci siete, spiegate anche a Dario PeTrotti chi sono costoro).

Se ad un certo punto, giunto sul pratone al cospetto del Santuario di Pietraba, ho smesso di preoccuparmi del mio tedesco, è stato solo per un altro motivo ancora più impellente; prima di affrontare il microfono, avrei dovuto affrontare una cosa assai più impegnativa, l’H40. Herren Fierzig. H40 all’Arge Alp, dove non si scherza per un cacchio, sui tracciati di Thomas sempre-lui Widmann, correndo all’alba da solo nel bosco di Pietralba! Non è che io fossi proprio spaventato… In fondo, mi dico sempre, ho solo un’età quasi buona più per la H50 (Herren Funfzig) che per la H40. In fondo non mi alleno da alcuni anni, quindi che differenza fa se ho saltato le ultime 25 sessioni di rifinitura. In fondo il mio fisico è solo quei 20 chili sovrappeso, sono solo molto stanco ed ho una caviglia (la destra) che sta attaccata al piede per via dell’involucro di pelle cresciutoci intorno. E fosse solo questo…

Ma se la carne è debole, lo spirito è forte e mi ripete che sono lo speaker trilingue, ‘azzarola! Per colpa dello spirito, accidenti a lui, mi tocca partire all’alba quando tutti gli altri sono ancora a letto, quando il bosco è buio come il culo del tasso, quando non c’è nessuno che può darmi una mano entrando o uscendo da un punto o che mi può accompagnare per una tratta (come se ci fossero orientisti in H40 che vanno piano tanto quanto me). So benissimo che prima o poi non ce la farò più ad affrontare i miei percorsi all’alba, o più probabilmente saranno gli organizzatori che non sopporteranno più il sottoscritto che parte all’alba circondato dai posatori.

Se lo faccio, è tutta colpa di Thomas Widmann! Così anche questa volta, come a Laranza il 1° di maggio, sono partito per la mia Herren Fierzig con tanti pensieri per la testa; l’ultimo segno di una presenza umana attorno a me è proprio stata la voce di Thomas che, dopo avermi dato la carta di gara, con un braccio indicava da qualche parte laggiù in fondo, lungo la strada, e mi diceva “la svedese è lì dove c’è l’ultima curva che riesci a vedere… troverai una collinetta… la poseremo più o meno lì…”. Il risultato immediato è che i primi problemi li ho avut già a capire dove fosse ‘sta svedese! Decido però che non posso stare sulla strada ad aspettare il minuto zero delle partenze o che la lanterna mi venga incontro, entro nel bosco in un punto X a casaccio ed immediatamente vengo avvolto dal culo del tasso: è talmente buio che non vedo nemmeno dove metto i piedi!!!

L’unica cosa che percepisco è che per fortuna il bosco è un po’ più morbido, anzi decisamente più morbido, di quello affrontato il giorno prima durante la staffetta; il terreno è ricoperto dagli aghi di pino,  l’acqua precipitata dal cielo a secchi la sera prima non si sente nemmeno, ed il piede si appoggia dapprima con circospezione e poi con sempre maggiore sicurezza. Solo che è buio pesto! Scendo nel bosco cercando di valutare ad occhio le curve di livello che avevo sbirciato sulla mappa quando ancora la vedevo lungo il sentiero, cerco di tenere la direzione, ed improvvisamente (più per culo – del tasso - che per anima) inciampo letteralmente in un sasso poco voluminoso che ha una lanterna di fianco: è il mio punto! Più per culo che per anima, appunto… per il punto 2 risalgo sugli avvallamenti mentre l’alba comincia a rischiarare il bosco. Prima ancora che vederlo, è dal rumore di scicc sciacc che fanno i miei piedini nell’acqua che mi accorgo che sto attraversando il torrentello davanti al punto; approccio la zona con tatto (proprio nel senso di uno dei cinque sensi… la vista sta ancora aspettando le prime luci dell’alba) ed anche il punto 2 è in saccoccia!

Per la 3 c’è solo da andare sul sentiero e sbattere sul punto, la 4 è infrattata in una buca sotto un bellissimo albero di Natale ma la trovo facile, la 5 sta appena al di là del torrente e in pratica non faccio altro che stare sotto la linea magenta. Alla 6 incrocio Rudi Mair che sta facendo il controllo del percorso, corro in salita sul sentiero per farmi vedere agile e scattante come una lepre (si, una di quelle nella vetrina del macellaio) e finalmente alla luce del giorno capisco che la mia gara è finita e posso tornare al traguardo, dove mi aspetta il microfono e dove tutti i germanofoni mi attendono con il forcone ed il cappio, memori delle performances del giorno prima (e della sera delle premiazioni… terminata al grido di "Ich habe fertig!").

Non esiste infatti una sola possibilità che io possa raggiungere la settima lanterna in un tempo appena decente da consentirmi di tornare indietro in tempo. Anzi: direi che non esiste una sola possibilità che io riesca a raggiungere la settima lanterna, punto! Ci sono, semplicemente, troppe curve di livello e troppi avvallamenti e montagne per arrivare fin lassù; demoralizzato e sconfitto, resto per qualche decina di secondi alla lanterna 6 per decidere il da farsi, finché la realtà delle cose mi appare chiara nella mente come la luce del giorno che ormai illumina il terreno di gara: non esiste un solo motivo valido per piantare lì quella gara, quel bosco, quel percorso! Non ce n’è nemmeno uno!!! A ripensarci con il senno di poi, non riesco nemmeno a capacitarmi del perché tutti i dubbi del mondo mi avevano assalito prima di affrontare la “Rocco Siffredi leg” dell’Arge Alp…

Mi armo dunque di santa pazienza e comincio a scalare la montagna. Unico tra tutti i partecipanti all’Arge Alp, mi lascio sulla sinistra tutte le curve di livello incasinate e affronto di petto la scalata lungo la linea di massima pendenza. La prima parte, per venire fuori dalla zona delle paludi, è decisamente penosa; nella seconda parte, con le pendenze davvero a picco, sono utili le unghie e le mani per procedere ad una andatura tipo “Apes Revolution”, ma senza la tecnologia di Hollywood. Infine arriva la parte goduriosa… su un sentierino stretto, proprio sulla cresta delle colline: è ancora salita, ma il sentiero è battuto con gli aghi di pino, ci sono i segnali del bianchi e rossi del CAI verniciati su alberi e rocce, alla mia destra ed alla mia sinistra è un susseguirsi di piccole vallette, il profumo dei pini e degli abeti è talmente intenso che mi sembra di essere immerso nel bagnoschiuma Pino Silvestre… so che devo soffrire fino alla cima, ma quando ci arrivo e compare davanti a me la NeuHutte, so di essere arrivato in Paradiso!

La NeuHutte a quota 1785, nell’angolo in basso a destra della carta, è ancora immersa nel silenzio, le imposte alle finestre sono chiuse, gli ombrelloni della birra Stiegl sono ripiegati ed il rumore dei miei passi sul sentiero è l’unica cosa che rompe la quiete di quel posto magico. Un soffuso gorgoglìo… quello della fontanella davanti all’ingresso della Hutte: mi fermo a bere e approfitto per rinfrescarmi un po’ e riprendere le forze. Guardo la carta di gara e sorrido: non dovrò più fare un solo metro di salita fino al traguardo! Il lungo sentiero che mi porta alla 7 è uno spettacolo: sono proprio sulla cresta della montagna, da un lato ho la valle con lo sfondo del Santuario di Pietralba, e qualche piccola nuvoletta a mo’ di batuffolo di ovatta a lambire le punte dei rami. Dall’altra godo di una una vista che arriva fino al Latemar, vedo distintamente le punte degli abeti che cominciano ad arrossire per l’autunno. E soprattutto ci sono solo io, quello spettacolo è tutto per me.

La strada forestale è sempre in leggera discesa e la lanterna 7 mi viene quasi addosso, 8 e 9 diventano addirittura banali. Non ho un solo pensiero negativo e, prima ancora di pensare che la 10 mi potrebbe dare qualche grattacapo, vado dritto sotto la linea magenta e sbuco dritto sulla madre di tutte le radure dell’universo, con la lanterna che è proprio lì che aspetta me. Inizio il trasferimento alla 11 e mi sposto sul prato appena a sud della 10, dove posso correre come Peter nei cartoni animati di Heidi.


 (in una rara foto della mia gara, potete vedere il sottoscritto che corre sul sentiero che attraversa il prato a sud della 10. Dietro di me Rudi Mair che sta terminando il giro di controllo)

Non faccio niente di eclatante, la parte finale è più facile di altre affrontate in passato nei boschi dell’Alto Adige, ma non sbaglio proprio niente e, dopo un finale “steeplechase” sul sentiero saltando uno dopo l’altro in bello stile gli alberi caduti di traverso, posso persino sprintare in salita verso il traguardo. Dove trovo il colpevole di tutto ciò: Thomas Widmann, intento a collocare i sacchetti per il ritiro delle cartine.


I 100 MINUTI MEGLIO SPESI DI TUTTA LA STAGIONE ORIENTISTICA 2014.


Ecco spiegato il motivo per il quale sono rimasto con il sorriso stampato in viso fino alla fine della cronaca in triplice lingua. Non ho avuto un solo cattivo pensiero per la figura che stavo facendo con il mio “non-tedesco” e, in definitiva, non è che me ne sarebbe importato molto: l’Arge Alp di Pietralba meritava di essere corsa, anche a velocità infinitesima rispetto a quella di Simon Seger. E se il prezzo da pagare consisteva nel fare la figura di Galeazzo Musolesi… beh… a me è andata benissimo così!

Perchè fu che andai a Ghemme... e come finì

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Orientisti di tutto il mondo… scrivete il vostro blog! Sarete famosi, rispettati, fighi come Indiana Jones e soprattutto VINCENTI! L’ultimo fine settimana di gare ne è stato l’ennesima dimostrazione: colui che pagherebbe perché Rigoni cambiasse categoria (notare il periodo ipotetico dell’irrealtà, ottativo aoristo carpiato con due avvitamenti del Devoto Oli) spopola in Trentino senza nemmeno sforzarsi di camuffare la sua superiorità “… sette migliori tempi consecutivi…”; colei che venderebbe l’anima di Bruce Springsteen per una nuova medaglia al Lipica Open trionfa a Muggia, località talmente ad est che lì il sole tramonta quando a Milano è ancora mezzogiorno. Infine il più affermato collaudatore di camelbak e bandane del nord-ovest pialla la concorrenza nella bi-sprint doppia gara sprint di Ghemme, amena località piemontese nota per l’aceto ivi prodotto e per… e per… per l’aceto, appunto.

Tre i blog orientistici che vanno per la maggiore, tre nette vittorie. Tre indizi fanno una “Prova!”, come diceva Jerry Calà, ed io chi sono per negare l’evidenza? Già… chi sono io? Io sono il quarto moschettiere, quello talmente scarso che non lo volevano nel club, sono il quarto gol di Antognoni contro il Brasile nel 1982 (quello annullato), sono il protagonista della più bella battuta pronunciata da Francesco Salvi: era una persona poco appariscente… quando di loro dicevano: mah, erano in tre o quattro… “o quattro” era lui! Chissà perché, loro vincono ed io no.

Eppure ce la metto tutta! Anche io pagherei perché Rigoni cambiasse categoria e venisse in H40 (almeno avrei una scusa per passare definitivamente in H45…). Anche io porto il camelbak nelle sprint, però sul davanti… nel caso mio Men’s Health in copertina scrive “Addominali scolpiti… tra 20 anni se ti dòpi!”. E se non conosco a memoria le parole di “Born to run” di Bruce S., posso sempre fischiettare “Run to me” di Tracy S. … Evidentemente i motivi per i quali si vince una gara di orienteering sono più nascosti.

Per cercare di fare del mio meglio in quel di Ghemme, avevo deciso di puntare tutto sulle scelte di percorso: questa volta non mi sarei incaponìto a cercare passaggi segreti nelle gallerie della tangenziale (Brescia), o a inventarmi passaggi obbligati sul fiume laddove non c’è nemmeno il fiume (Sovramonte). Avrei fatto tutto per benino e avrei staccato la concorrenza grazie alla mia superiore tecnica orientistica. Che è quello che ho fatto, almeno a giudicare dalle cartine pubblicate da Alessio Tenani: su 23 lanterne del bi-percorso doppio percorso, in 22 ho fatto la stessa scelta del finalista dei WOC 2014 (la 23esima, dalla 6 alla 7 del secondo percorso, sono convinto che l’ha sbagliata lui!: io ho tagliato per i vigneti).



Perché allora non ho vinto? Sfiga… mi sa che su 40 iscritti alla MA in quel di Ghemme, in 40 abbiamo fatto le stesse 22 scelte identiche di Tenani. Ammetto anzi qui solennemente che nella tratta 11-12 del primo giro ho attraversato il canale senza nemmeno pensare due secondi se fosse attraversabile o meno! D’altra parte ero così stanco che di tornare indietro non se ne parlava proprio (il regolamento dice espressamente che nessuna scelta è vietata se è utile per la sopravvivenza dell’individuo), inoltre avevo le scarpe così infangate ed i piedi talmente fradici che persino i RIS di Parma si sarebbero accorti di qualcosa! Non potendo dunque prevalere sulla concorrenza grazie alla mia superiorità tecnica, non mi è restato che rantolare e rotolare fino al traguardo della seconda tappa ed attendere il pomeriggio per dare il meglio all’outlet di Vicolungo dove ho trovato ben TRE calzature numero 50 a prezzo stracciato che sono state immediatamente requisite e portate alla vituperata casetta (no Edoardo, allo stand della Salomon non ho trovato nulla… la scarpa più grossa era del 47, il che è più o meno quello che fanno quelli di La Sportiva e che non potranno mai andarmi bene).

Per il resto, la cronaca dice che a Ghemme hanno vinto i più forti. Certo che Andrea Seppi poteva evitare di passarmi sulle orecchie proprio nella piazza in centro a Ghemme, facendo risaltare ancora di più la mia velocità “da zero a bradipo in 40 minuti”! Abbiamo avuto una bella affluenza di orientisti (si vede che una gara a due-curve-due dall’uscita dell’autostrada può essere allettante per chi ha famiglia a casa), spero non provocata solo dall’annuncio Besanes-ico “entrambe le tappe varranno per la lista base”… o forse è proprio così. Per essere una bi-sprint un doppio impegno, la mia gara è durata un’ora e mezzo circa: 22 minuti la prima tappa, poi lo spostamento alla seconda partenza, l’inutile tentativo di convincere le gambe a riprendere una qualsivoglia parvenza di corsa dopo che la cartina della collina morenica tra i vigneti si era palesata come una riedizione del centro storico di poco prima, ed un’altra mezz’ora di corsa stanca fino al traguardo. Punti in lista base non credo di averne fatti, ma ciàcole in compagnia… quelle tante!


E forse questo è stato un buon e valido motivo per essere andati a Ghemme. Però che invidia per gli altri oriblogger… tutti vincenti, ‘azzarola! E a me niente…

Ritorno a Tesserete

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In Principio era caos soltanto.
Poi vennero Gaia (la Terra, non l'omofona società orientistica!), il Tartaro (e con esso i dentisti) ed Eros, che non manca mai da quando abbiamo le reti Mediaset. 

Così scrisse Esiodo ne Le opere ed i Giorni.
E andò avanti a scrivere…
“Terre e acque lottavano per accaparrarsi un po’ di spazio senza che alcun cartografo andasse a definire la loro posizione. Lanterne e punzoni erano posati ovunque, a casaccio. I punti in Lista Base venivano assegnati con estrazione dal sacchetto della Tombola. Infine il Geometra dell’Universo decise di intervenire perché non se ne poteva più! Chiamò a sé le folle oceaniche di orientisti di terra, cielo e mare, e distribuì onori ed oneri secondo un Principio di Equità che nessuno avrebbe avuto il coraggio di contraddire”.

Dapprima chiamò i Francesi, cui appioppò formaggi puzzolenti e calciatori isterici, ma che in compenso ebbero in regalo Thierry Gueorgiou.
Poi chiamò gli Svedesi, che ebbero l’O-Ringen, ma anche Bjorn Persson.
I Finlandesi ebbero il buio a mezzogiorno persino d’estate, ma anche Minna Kauppi.
I Norvegesigioirono nel vedersi assegnato l’Halden SK, ma dovettero rassegnarsi a perdere la medaglia d’oro nella staffetta alle Olimpiadi di Lillehammer (che ancora gli brucia)... E così via.


Quando fu il turno dei Ticinesi, il Geometra dell’Universo non ebbe dubbi:
“Voi potrete tifare per i fratelli Hubmann… (… “Sìììììììììì!!!”…), per Simone Luder (… “Sìììììììììì!!!”…), avrete Elena Roos e i fratelli Tobia e Sebastian e le sorelle Elena e Noemi (… “Sìììììììììì!!!”…), che potrete mescolare come vorrete.
Però avrete le carte di Gudo, la Capriasca Est e Ovest e il dosso di Taverne (… “Noooooooo!!!”…)”.

Arrivò anche il turno dei Lombardi.
Il Geometra dell’Universo riconobbe in loro la stirpe più salda, la più solida, la più grintosa. Così, decise di assegnare ai Lombardi il suo dono più prezioso ed insieme la sfiga più terrificante.
“Voi gestirete la vostra sfortuna nel modo più consono, come nessun altro popolo saprebbe fare, e sarete ricompensati con la gemma più preziosa del mio Creato: avrete, infatti, la Regolamentite, ma potrete consolarvi andando a correre a Tesserete!”

I Lombardi riunirono immediatamente una commissione per studiare la proposta.
Fecero delle sottocommissioni che si riunirono periodicamente stendendo regolari verbali, sottoposero la questione al giudizio dei popoli riuniti ed infine emisero il verdetto:
“Caro Geometra dell’Universo,
accettiamo di buon grado la tua gemma più preziosa, la Regolamentite, e ne faremo nostra ragione di vita. Ma Tesserete… eccheccavolo… ma proprio Tesserete ci dovevi appioppare? Non è che potresti invece limitare la tua terribile pena ad un posto come Carvico? Sai com’è… noi a Tesserete non ci possiamo correre: ci hanno già messo un percorso fisso!”.

Fu così che il Geometra dell’Universo spostò Tesserete, che nei piani originali era posta nel baricentro esatto tra Milano, Bergamo, Varese e Como (quindi più o meno a Besana Brianza), e la pose pochi chilometri a nord di Lugano, così che i pochi Lombardi che vogliono andarci a correre si devono sorbire 40 chilometri di strada cantonale (o acquistare il bollino autostradale 2014 a novembre).


***

Tesserete.  La Gemma. 


QUANTO AMO IL BOSCO DI TESSERETE!
Non è che io conosca a memoria tutti i boschi della Svizzera, ma quando, un giorno, farò un mega tabellone tipo Wimbledon per far scontrare ad eliminazione diretta tutte le carte su cui ho gareggiato ed eleggere il bosco più bello, Tesserete se la gioca con chiunque!

Tesserete sta al Canton Ticino come Monte Livata sta al Lazio, con preferenza per Tesserete! Tesserete è uno dei posti più belli nei quali ho mai posato le mie Inov-8 numero 50.
Ci ho corso quattro volte (cinque, se consideriamo un Campionato Sociale SCOM Mendrisio nel 2006) e ogni volta penso “ma non potremmo correre qui tutti gli anni? Magari anche un paio di volte all’anno?”
Sì, ok… capisco che a lungo andare la novità diventerebbe una consuetudine, che tutti conoscerebbero la cartina come le loro tasche, che avremmo tutti a casa una spanna alta così di cartine di Tesserete, che i tracciatori non saprebbero più dove posare i punti... Capisco tutto. Però, per me, sapere di avere così vicino a casa il bosco di Tesserete e non andarci a correre tutti gli anni… Non è che se la mia vicina di casa è Uma Thurman, dopo cinque volte che la spio dal buco della serratura mi stufo di vederla!

Quanto al percorso 2014, Pier Brazzola ha tirato giù una roba da sballo e da farci un secondo giro, ad averne le forze.
Il bello della faccenda è che, fino all’ultimo momento, Pier ce l’ha messa tutta per farmi rimpiangere l’istante in cui, alle 7.30 del mattino di sabato, ho lasciato la vituperata casetta per salire a Tesserete.

Da qualche parte nei regolamenti, infatti, ci deve essere scritto che le lunghezze ed i dislivelli vengono resi noti solo DOPO che i termini per le iscrizioni sono scaduti. Così io ho pensato: “ultima gara del TiEmmeO… novembre inoltrato… stagione finita… sarà una bella middle, da un’ora per me e 30 minuti per i primi, e poi giù di caldarroste all’arrivo!”.
H40 è stata la mia decisione.

Martedì mattina entro su www.solv.ch, clicco su Wettkämpfe, scelgo Startliste (il mio tedesco sta migliorando, isn’t it?), seleziono la tredicesima tappa del TiEmmeO, leggo lunghezza e dislivello e svengo sul posto: SETTE E ROTTI + TRECENTO.
Tutta la poesia di Tesserete in quel momento è volata via! Anche perché, diciamocelo, era dal 2006 che non tornavo più a Tesserete, quindi i miei ricordi di quel bosco meraviglioso si sarebbero sicuramente rivelati come ingentiliti dal tempo.
E che probabilità ho io di finire una gara “sette e rotti + trecento” in Ticino?
Maledizione ai regolamenti, e a me che non mi iscrivo mai in HAK, in HB, in Open Corto!!!


Quel diavolo di Pier ha pensato bene di ribadire il concetto alla Massenstart di sabato mattina, al momento della partenza del gruppetto di H40, tutti belli contenti di avere immediatamente alle spalle il plotone delle DAL! Vale a dire: dei quarantenni che non vedono l’ora di farsi saltare addosso da un mucchio di leggiadre fanciulle, e poco importa che le fanciulle abbiano le scarpe chiodate, perché fa più fetish!
In pratica le ultime parole di Pier prima del via sono state “Godetevi il bosco… tanto lo vedrete proprio tutto quanto AH! AH! AH!” (un AH! AH! AH! molto alla Dottor Mabuse).

Il primo pensiero del sottoscritto è stato che avrei già avuto un risultatone se fossi tornato al traguardo prima del ritiro punti.

Risulterà che questo è stato l’ULTIMO pensiero negativo che ho avuto.
Appena sono sparito in direzione della 1, dapprima ultimo poi penultimo poi terzultimo ed infine definitivamente ultimo del gruppo di allegri compagnoni dell’H40 (le ragazze si erano dileguate immediatamente, nonostante le profferte dei satiri), il bosco di Tesserete si è rivelato per quello che è esattamente: un posto meraviglioso per farci orienteering.
Ed il percorso di Pier è stato esattamente quello che voleva l’Impiegato Panzottello: impegnativo (per i soli finali: 100 minuti e qualche secondo) e fattibile, labirintico e divertentissimo, mai pericoloso e sempre da prestare attenzione ai dettagli, in un bosco pulito come pochi altri.

Una cappella al punto 4, quando ho speso le ultime forze per cercare di stare nel “treno”, e una al punto 9, dopo essermi fermato a dare indicazione ad un paio di ragazzini persi.
Ho quasi vomitato la colazione sulla arrampicata al punto 11, e mi sono “appoggiato” (tecnicamente, intendo) ad un campetto di bocce nel bosco per arrivare alla 16.
Quando infine, dal sentiero ad ovest del punto 19, ho deciso di entrare nel verde2 per cercare l’avvallamento, ho potuto constatare che quel verde2 era lieve come un piumino di cipria e che… poffarbacco!… “non vedo uno straccio di verde2 attorno a me, ma il punto è proprio qui davanti ai piedi!”.

È persino possibile che questi 100 minuti rivaleggino con la gara di Weissenstein, quando ci sarà da tirare le somme del 2014.



***


La sfiga


Tornando al discorso della Regolamentite, all’occhio allenato del lombardo che corre in divisa turchese (AGET) non è sfuggito il fatto che, andando in partenza, campeggiavano lungo il sentiero le cartine del percorso fissodi Tesserete, accessibile a chiunque; né il fatto che la lanterna 12/15/18 fosse posata a dieci metri da uno dei punti fissi del percorso (codice 33, se non vado errato), né che il punto 19 fosse proprio uno di quelli del percorso fisso.

In palestra a Tesserete c’era chi raccontava di aver fatto tanti allenamenti in quel bosco e su quel percorso, utilizzando una volta i punti pari e una volta i punti dispari o mescolandoli a caso.
Bene: sono convinto che nessuna classifica del Trofeo Quadri sia stata inficiata dalla frequentazione più o meno assidua del bosco da parte dei meglio allenati, sono convinto che ai ragazzi ed alle ragazze del TiEmmeO una possibilità del genere non sia nemmeno passata per l’anticamera del cervello, sono infine grato all’ASCO Lugano per avermi dato la possibilità di gareggiare ancora una volta a Tesserete.
Da altre parti, come minimo, ci sarebbero state interpellanze all’omologatore, al direttore gara, al delegato tecnico, al Presidente del Mondo e avanti così.
I Ticinesi probabilmente se ne fregano, continuano a tifare per i fratelli Hubmann ed a crescere i vari Tobia, Seba, Federica ed Elena.

In compenso, leggo l’annuncio della gara sprint di domenica prossima ad Alzate Brianza: 

“Ogni squadra deve essere OBBLIGATORIAMENTE composta da DUE concorrenti appartenenti a SOCIETÀ DIVERSE e di CATEGORIA DIVERSA (considerare categorie del Trofeo Lombardia 2014)”. 

Ora… prescindendo dal fatto che non capisco come la Besanese riuscirà a schierare tutti i suoi effettivi (visto che da sola rappresenta il 50% delle forze in campo e i concorrenti devono essere di due società diverse)… questo vuol dire che se io volessi sfidare la squadra composta da Larrycette e Dopolavori e, per avere almeno una chance di vincere, chiamassi Riccardo Scalet non potrei farlo perché io e Riccardo siamo della stessa società (sì, oh cari: lo siamo!)?
Questo vuol dire che se il grande Luigi Giuliani (most improved player 2014) decidesse di sfidare, che ne so, Todeschini e Pozzebon (most improved she-player 2014) e, volendo dare loro almeno una chance di vittoria, decidesse di fare la staffetta con l’Impiegato Panzottello, non potrebbe farla perché io corro la stagione del Trofeo Lombardia in MA arrivando regolarmente ultimo?

Staffetta dell’Amicizia potrebbe voler dire: “Fate le staffette che volete, datevi i nomi che volete. Amicizia vuol dire avere un po’ di lanterne del bosco per celebrare insieme la fine della stagione 2014. Sfidatevi, sfogatevi, tanto alla fine la classifica serve solo perché il premio lo estraiamo a caso coi numeri della tombola”.
Forse, ormai, ci sentiamo a nostro agio solo quando possiamo agire sotto l’ombrello di un bel Regolamento. Poco più a nord, a queste cose non fanno tanto caso.


Quando torniamo a correre a Tesserete?

My MiPa under the storm

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Se un giorno mi avessero detto che 350 ragazze e ragazzi si sarebbero presentati al via di una gara promozionale di orienteering, sotto quel nubifragio che sta riempiendo non solo vie e piazze di Milano ma anche le homepage di tutti i siti di informazione, per la soddisfazione di vincere un bel nulla se non una lavata da capo a piedi all’insegna del “non sarò mai più asciutto in vita mia!”…
… ebbene quel giorno io avrei risposto: “Si, certo, come no. E la mia vicina di casa è Keira Knightley!”. 

Oggi pomeriggio, dopo aver scaricato dalla macchina due quintali di fango misto a lanterne misto a foglie misto a paletti di ferro, sono arrivato sul pianerottolo e guarda un po’ chi c’era?


Signore e signori, la mia nuova vicina di casa!

Scherzo, ovviamente. Se Keira Knightley fosse la mia vicina di casa, tutto starei facendo tranne che scrivere il blog. Starei più probabilmente ammassando in casa ogni possibile tipo di spezia reperibile sul mercato, metti che una sera che tutti i negozi sono chiusi e lei si presenta alla mia porta chiedendo se mi avanza un po’ di zenzero caramellato delle Galapagos… “Zenzero caramellato delle Galapagos? Certo, me ne avanza giusto uno zinzinello da prestarle… intanto appoggi pure sulla poltrona la sua modesta persona in lingerie…”. Ma se lo fosse, la mia vicina di casa intendo, ecco la prima cosa che mi direbbe: “C’eri anche tu al Monte Stella con gli altri 350 pazzi sotto il diluvio a cercare lanterne?”. “Sissignora, c’ero anch’io… ma alla fine lo vuole ‘sto zenzero o passiamo subito alle cose serie?”.

350 fa qualcosa più di 300, che è un bel numero tondo che richiama imprese eroiche del passato. Da oggi per me è sinonimo di “ma quant’acqua deve venire per far stare a casa gli orientisti, organizzatori compresi???”. Eccomi di colpo trasformato in un organizzatore di gare di dimensione svizzera! Ma io sono lombardo… mica mi chiamo Ztefano con la Z di Zole e Ztelle!!! Ok, in passato al Monte Stella o al Parco delle Cave abbiamo fatto anche più di 350 partenti, ma in una giornata di sole, che diamine! Non sotto un diluvio totale con tuoni e vento freddo di traverso che posso paragonare solo ai celebri Campionati Italiani del Cansiglio! Solo a Venezia ricordo di aver visto più acqua… ma se ne stava buona sotto i piedi! Quella di oggi era sopra, sotto, di lato. Ho visto fiumi d’acqua venire giù dai sentierini del Monte Stella, paludi di fango attorno alle lanterne come nemmeno alla penultima lanterna dell’O-Ringen 2010. Ho visto ragazzi incoscienti affrontare la tormenta in calzoncini corti, con in mano una mappa che per alcuni era comprensibile quando una runa celtica (anche prima di trasformarsi in una specie di bolo saponoso… questo per chi non l’aveva adeguatamente protetta nella plastica).

Ho capito fin dall’inizio che il punto più alto della Montagnettadi San Siro rappresenta probabilmente un buco nero che calamita tutto quanto passa nei paraggi: non saprei spiegarmi altrimenti la presenza in cima al colle fin dalle 9.30 del mattino di alcuni ragazzini che avevano il percorso corto e che la Montagnetta se la dovevano girare tutta senza fare un solo metro di dislivello! Ma dove ce l’avete la testa? Avete le lanterne ogni 50 metri, a destra ed a sinistra del sentiero che gira attorno al colle… cosa vi è saltato in mente di prendere la direttissima di massima pendenza e farvi giusto quei 70 metri di dislivello gratis per arrivare fin qui? Cos’è… vogliamo vedere tutti quanto lo stadio di San Siro sotto il diluvio??? Cosa sono stato qui a fare a disegnare i l percorso corto, medio, il medio-lungo, il lungo, il King of the Hill? Prossimo anno, tutti sul King of the Hill! (ho già in mente come farlo… AH AH AH… IH IH IH… vedi sempre alla voce “Dottor Mabuse”).


Che poi, ad esempio, il percorso “medio-lungo” è stata una cosa buttata giù venerdì di volata, che per fortuna avevo posato 36 lanterne e le potevo far girare come volevo (ci hanno fatto i Mondiali di trail-O con 36 lanterne, ci hanno fatto). Tutto perché tra mercoledì e giovedì Marco Lombardi, l’uomo di ferro che gestisce le iscrizioni, all’improvviso è andato via di brocca e ogni ora ci aggiornava con dei numeri le quote di iscrizioni che sembravano quelli della piena del Seveso o l’alta marea a Venezia: “siamo a 250… 310… nuovo aggiornamento: 350… altri 30 sul medio… a 404 chiudo le iscrizioni… 435 adesso le chiudo davvero… 460… 494!”. A quota 494 ci siamo guardati in faccia e abbiamo dato un’occhiata alle previsioni del tempo che non sapevano più come spiegare che sarebbe venuto giù di tutto.

Non ci è restato che sperare in un miracolo, che però non è avvenuto. Così alle 7.10 ecco i posatori che partono per andare a mettere giù paletti e lanterne. Per la prima volta da quando esiste, il Monte Stella è DESERTO! E’ buio, si vede da qui a lì ed i punti di controllo “limite di vegetazione” (le fronde dei rami) sono una scommessa perché viene giù talmente bene che non si riesce ad alzare gli occhi al cielo. Alle 8.30 la posa è completata, Dario mi dice che il ritrovo l’abbiamo spostato sotto la tettoia del mercato rionale, quindi i concorrenti si faranno 300 metri per arrivare alla svedese e altrettanti dall’ultimo punto al traguardo per tornare al mercato rionale. Io mi piazzo sulla cima del Monte Stella da dove posso controllare la situazione: ecco un selfie scattato alle 9.00.


Alle 9.15 vedo i primi passaggi sui sentieri che si inanellano attorno alla cima, alle 9.30 passa Paolo Bocchiola, poi Carlo Nessi. Arrivano i ragazzi del percorso corto di cui sopra… e che torneranno imperterriti sulla cima una seconda volta!, arrivano quelli del percorso lungo delle scuole e non sembra nemmeno che siano incavolati contro i prof, la scuola, le istituzioni… “Qui c’è la 21! La prossima è laggiù…” ed il mio cuore di coach si scalda vedendo che quel braccio punta nel nulla di un muro d’acqua ma inequivocabilmente dritto verso la lanterna giusta. E’ poi il turno di Giorgio Gatti, di Dallera, di Anna Quarto (si, Anna, sei tu la “Queen of the hill”!), aspetto Marco Giovannini ed invece dal basso arriva imprecando e sorridendo Paolo Menescardi.


Quando ormai penso che le partenze siano finite, che avrò già visto passare un centinaio di persone, che mi sembra da pazzi che qualcun altro stia cominciando la gara perché piove sempre più forte, sempre più di traverso, sempre più ghiaccio ed i tuoni sono sempre più vicini… ecco arrivare LA TORMA! Le ultime scuole sono arrivate, ed adesso ci sono almeno 10-20 concorrenti alla volta che risalgono la china fangosa del colle. Sono le 11 passate ed ormai puzzo come un cane bagnato, sono più bagnato di un cane bagnato e penso che non sentirò mai più caldo in tutta la mia vita.


Non so più come tenere calde le mani e scendo verso il ritrovo per accompagnare alcuni piccoli che si erano spaventati per i tuoni ed i lampi… al ritrovo c'è una calca pazzesca: ci sono ancora un centinaio di persone che aspettano in fila per partire!!! Quello che succede da lì in poi è storia recente: non solo le partenze non sono ancora finite, ma mi tocca ritornare sul colle per fare da “cane pastore” e tenere sotto controllo la situazione… perché un paio di punzoni sono stati strappati ed i ragazzi giustamente vanno un po’ in crisi perché non sanno che fare. Una coppia di ragazze di notevole presenza passa tre volte davanti alla lanterna con codice WW ed al terzo passaggio mi accorgo che 50 metri dietro a loro arrancano due ragazzotti ben piantati che mi dicono “oh… noi corriamo e loro camminano, ma sono sempre davanti loro!”. Quando le due ragazze tornano per la quarta volta al punto di snodo, riferisco la battuta ed una mi risponde: “Si… se guardassero la cartina anziché noi… sarebbero molto più avanti!”.

Infine la giornata vola via in glissando. Ci sono gli ultimi passaggi (nessuno è perso, solo un po' in difficoltà per il diluvio e tutti sono seriamente intenti a finire il percorso), il ritiro punti con Remo, il ritorno a casa cercando di proteggere il sedile della Ford, lo scarico merci nel box ed una doccia bollente di un quarto d’ora. Fuori continua a diluviare, le notizie che leggo sulle homepage da Milano, da Genova, dal Piemonte non sono rassicuranti. Il campanello non squilla, ma io continuo a tenere a portata di mano lo zenzero caramellato delle Galapagos.

Perché non si sa mai…!

Bellotto sulla cima del mondo... e lo Speaker che vi trovò

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Cari Piccoli Lettori di Stegal67, è la vostra Larrycette che vi parla.

Il fatto del giorno, ormai, è noto a tutti:

Bellotto è sulla cima del mondo.




Appresa ufficialmente la non troppo sorprendente notizia, il nostro Speaker si è precipitato a raccogliere i pareri dei più importanti esponenti del mondo orientistico e non solo (ecco spiegato il perché del mio intervento).

Dato che siete qui per leggere lui e non me, non mi dilungo in ulteriori introduzioni e gli lascio subito la linea virtuale, ma prima permettetemi di scusarmi - anche a nome del padrone di casa - se il reportage è parziale e formattato in maniera non impeccabile: a entrambi premeva riportare al più presto le testimonianze.

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Le interviste di Stegal 67:

"Bellotto è sulla cima del mondo: qual è la sua opinione a riguardo, o il suo messaggio per lui?"


CARTESIO: È salito per scendere dall’altra parte.

PLATONE: È là per il suo bene. Poco più sotto c’è Gueorgiou che lo sta ancora inseguendo.

CAPITANO KIRK: ... Per andare là dove nessuna lanterna è mai stata posata.

EINSTEIN: Il fatto che Bellotto sia sulla cima del mondo, o che la cima del mondo si sia posta sotto Bellotto, dipende unicamente dal sistema di riferimento scelto.

MARTIN LUTHER KING: Ho sognato un mondo in cui tutti i tracciatori potevano mettere le lanterne dove cacchio pareva a loro, senza dover giustificare nulla ai Direttori di Gara.

FORREST GUMP: Traccia Bellotto, traccia!

RICHARD NIXON: Il Mondiale Middle non è stato disputato. Lo ripeto, non è mai stato disputato.
(Gueorgiou annuisce)

GUEORGIOU: Parcours de m*rde!

LUNDANES: More point number the number Six, please

LUDER: Ich bin zufrieden, weil ich letzte Jahr damit aufgehoeren habe.

STEGAL, A BOTTA CALDA: ... e i percorsi della Milano nei Parchi, allora???

LO SPEAKER NELL'ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI: “Bellotto… si avvicina alla cima del mondo… è il primo ad arrivare! No!!! Alle sue spalle compare Cosimo!!! Incredibile! Mancano 50 metri al traguardo e la corsa per la cima del mondo non è ancora terminata!!!”

PER FORSBERG: Il fatto che Bellotto sia sulla cima del mondo è un fatto per me Extremely Disappointing

BJORN PERSSON: Bellotto sulla cima del mondo? La domanda è irrilevante… prossima domanda?

L’INNO RUSSO DURANTE LA PREMIAZIONE DEL MONDIALE MIDDLE: “Bellotto sulla cima del mondo. Bellotto il nostro amato tracciatore. Una possente visione del terreno… DRIIIIIIIIIINNN !!!!"

CATHERINE TAYLOR: I’m blond but non mi sogn nemmen di salir sulla cima del world with Bellotto

IDA BOBACH: Before I go on the cim of the world with Bellott,  my scars brother will be champion of the world! What the… VENICE 2014??? Oh My God!!!

LARRY: “Con quei riccioli lì doveva starci da un pezzo... Belin, ma non c'è niente da mangiare, sulla cima del mondo! Bisogna portargli subito dodici litri litri di gulasch, ventiquattro chili di polenta concia, trentasei vassoi di tiramisù, o qualche altro piccolo snack rompi-digiuno tipo questi... scusa, devo andare a comprare le uova!”

ZZI: Bellotto… potresti tracciare una O-Marathon che parte dalla cima del mondo, tutta in discesa?

DOPOLAVORI: Bellotto… potresti tracciare una O-Marathon che arriva sulla cima del mondo, tutta in salita?

L'ORIENTISTA PIÙ AFFASCINANTE DEL MONDO: È la decadenza della civiltà occidentale.

ALESSIO TENANI: Mo congratulassioni, sòccia!

LO SPEAKER, MEMORE DELLE SUE RESPONSABILITÀ: Bellotto… mi ci porti tu sulla cima del mondo alle quattro del mattino per partire prima degli altri?

LA MOGLIE: Cima del mondo, cima del mondo... fosse andato a buttare la spazzatura!

LA PRO LOCO DI GRUMOLO: Gira l'antenna del ripetitore, già che sei sulla cima del mondo, che qua non c’è nemmeno una tacca di segnale!… ancora… ancora… troppo! Troppo! Rimettila come prima

IL SINDACO DI GRUMOLO: ... e dighe ai tosi amici tuoi che no xe Grumulo, xe Grumolo, co' la "o" come i nanéti de Biancaneve...

45 lanterne (e 4 unghie dei piedi)

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… e dopo 5 anni consecutivi in testa alla classifica, perde il primo posto in hit parade “Levagli quel ramo dalla gamba” di Johansson-Gueorgiou-Nordberg-Smola! La nuova hit della classifica delle scene più pulp dell’orienteering internazionale èeeeee… “Strappati le unghie dei piedi dalla carne viva” di Stegaaaaaallll!!!

E poi non venitemi a raccontare di SuperQuark, di Corradini e della sua soglia di sopportazione del dolore, che se Piero Angela avesse visto le scene che sono successe nello spogliatoio di Monticello Brianza, allora Kill Bill e Machete e quelle altre fanfaluche avrebbero avuto il bollino di “spettacolo per tutti”! (se Quentin Tarantino vuole i diritti d’autore, può contattarmi in privato… vengo via con poco… il numero di telefono personale di Uma Thurman potrebbe bastare).

Monticello Brianza. Finale di stagione 2014. Una annata sportiva che credo sia cominciata nello stesso posto, ma che mi caschino le unghie dei piedi se mi ricordo qualcosa dei vari “Prova l’O” besaninici che trovo nella lista delle gare messe in saccoccia durante l’anno. La “50 lanterne” è l’ultima (forse…) ma è anche la più dura (di sicuro!) di tutte quelle fatte quest’anno. Una gara che promette (o minaccia?) di diventare un classico dei finali di stagione lombardi e sulla quale, perché volenti o nolenti siamo lombardi, è aleggiato a lungo lo spettro della “regolamentite”, ma stavolta tutto è andato decisamente a buon fine.

Riepilogo delle puntate precedenti. 
L’anno scorso la “50 lanterne” è andata in scena per la prima volta con un regolamento che a qualcuno (a me, per esempio) ha lasciato un po’ di amaro in bocca: 50 lanterne a sequenza libera, con punteggi “score” variabili a seconda della distanza della lanterna da partenza e arrivo, e bisogna essere di ritorno entro 90 minuti. Chi sfora il tempo è fuori classifica. Punto. No penalità sul punteggio, no serie di flessioni per punizione. Fuori classifica. Nemmeno la soddisfazione di essere citati in scarsultima posizione! L’anno scorso, che io me lo sentivo che sarebbe finita così, dopo essere andato a prendere le lanterne a maggior bottino di punti, le energie erano venute a mancare proprio nel finale. In zona arrivo, tutte quelle belle lanterne attorno a me, seducenti come Blanka Vlasic mentre sta per saltare i 2.03 a Valencia, si erano mostrate altrettanto irraggiungibili della spilungona croata… così il tempo perso per mettere in saccoccia qualche misero punticino in più mi aveva irrimediabilmente mandato fuori tempo massimo, ed esposto al pubblico ludibrio degli amici che aspettavano sul traguardo scandendo i secondi che mancavano allo scoccare del tempo massimo (io non dimentico!).


La mia “50 lanterne” 2014 era cominciata proprio l’anno scorso sulla salita verso il traguardo: mi ero ripromesso che non sarei caduto nuovamente nello stesso errore, ma che avrei anche esposto i miei suggerimenti per variare la modalità di gara. Capiamoci: i più bravi già l’anno scorso avevano fatto il pieno di lanterne, ma solo loro! Quelli scarsultimi come me si erano ritrovati a stare in giro 90 minuti (che se impiego 90 minuti per finire una qualunque gara long di Coppa Italia posso solo dirmi contento) per poi dover tornare alla base quando ancora c’erano un sacco di lanterne attorno con cui giocare all’orientista. Mio parere personale: tavanata galattica! Così quando Ivano Benini ha cominciato a parlare di una gara il cui tempo massimo sarebbe stato di TRE ORE, mi sono detto: “Ok, sarà più lunga dell’anno scorso, sarà una bella mazzata… ma almeno per tre ore c’è da divertirsi!”. E qui è scattato forte il virus della regolamentite, di cui già si è parlato su questo blog. Regolamento numero 1 (mi pare, vado a memoria, sono vecchio): bisogna fare tutte le 50 lanterne entro le tre ore, chi rientra oltre il tempo massimo o senza averle fatte tutte è fuori classifica. ‘Stica! Va bene che adesso mi dai tre ore, ma son sempre 20 chilometri di orientamento! Perché diamine abbiamo tutta ‘sta voglia di mettere la gente FUORI classifica? C’è stato anche un regolamento numero 2… che non ricordo bene perché son vecchio e c’era Blanka Vlasic sull’altro canale che stava saltando … ma c’entrava qualcosa col fatto che si accettavano fino a due punzonature errate, insomma ho glissato via subito perché le istruzioni del cubo di Rubik ci avevo messo meno tempo a capirle. Infine è uscito il regolamento numero 3, quello definitivo: ci sono 50 lanterne, vince chi le fa tutte (o il maggior numero) nel minor tempo. Che a me sembra di poter scrivere così “carissimi, ci sono 50 lanterne con cui giocare: tornare entro tre ore ed in quel lasso di tempo fate quel cavolo che vi pare!”. Chiaro, preciso, senza fraintendimenti. Ci voleva la commissione regolamenti per arrivarci? Forse, però bravo Ivano (Benini) che hai avuto il coraggio di cambiare in corsa!

La mia “50 lanterne”, quindi, comincia circa un anno fa. Sapevo che ben difficilmente sarei riuscito a completare tutto il percorso nel tempo limite, ma la mia sfida era soprattutto quella di rimanere mentalmente ben vigile, per evitare di ritrovarmi ancora una volta fuori tempo massimo per pochi secondi per il solo viziaccio di andare a “raccattare anche quell’altra lanterna che è lì vicina”; perché dopo tre ore, anche le lanterne che sono a 100 metri e magari si vedono da lontano nel campo possono costare un minuto, se la strada la si deve fare avanti e indietro. E magari quel minuto diventa la monetina di troppo che fa sprofondare nel baratro il deposito di Zio Paperone.

Oh! Mettiamoci d’accordo su un’altra cosa. Ci sono due tipi di gare che non mi piacciono: le gare con partenza di massa e le gare a sequenza libera. I motivi? Innanzitutto io sono l’orientista più lento del mondo a trovare il triangolo rosso della partenza sulla cartina! Appena divento presidente dell’IOF, la prima cosa che faccio (dopo aver riassunto Bjorn Persson per togliermi la soddisfazione di licenziarlo) è nominare vice presidente Alessio Sabbadini, poi introduco le categorie per peso, abolisco le commissioni internazionali COSciOMtbOTrailOeMappO (troppi italiani su quelle poltrone!… che se ne stiano a casa a sistemare le cose in casa nostra, prima!) e poi obbligo gli organizzatori a disegnare il triangolo di partenza BELLO GROSSO E FLUORESCENTE, possibilmente con una freccia che lo indica chiaramente. 

In secondo luogo sono l’orientista più lento del mondo… più lento del mondo e basta! Quando ci sono le partenze mass start, persino Carlo Sassi risorge dalla tomba per celebrare la mia andatura “a moviola”. Infine ci sarebbe quel discorso sulla sequenza libera, che io sono venti anni che cerco di indovinare il giro giusto ma non ne sono capace neppure se mi mettono i punti tutti su una circonferenza perfetta! Quindi si capisce che la “50 lanterne” non è proprio il mio format di gara preferito (la mia gara perfetta sarebbe una long con 50 lanterne a Nova Ponente, in estate, possibilmente terza di sei tappe della Sei giorni del Sud Tirolo 2016… se possibile, grazie!).

Come è andata a finire? (questa battuta è per quelli che leggeranno Azimut)

Intanto domenica scorsa fa un freddo cane e viene giù dal cielo una leggera acquerugiola gelata. Alle ore 10 in punto, attorno a me si schierano i più forti della compagnia, perché un frangivento come me dietro al quale ripararsi non lo trovi neanche sul molo Audace di Trieste. Appena Ivano Benini pronuncia la celebre frase “Potete guardare la cartina!”, i miei occhi corrono veloci su tutta quanta la superficie del lenzuolo che ho in mano, e che venga un accidenti a Blanka Vlasic se per una volta nella vita becco il triangolo rosso della partenza! (credo che Blanka avrà una lunga vita, se aspetta che io trovi il triangolo rosso…). Dopo 30 secondi passati a guardare il lenzuolo pure in controluce, mentre il neurone del cervello che non si è ancora congelato suggerisce che forse nel regolamento è scritto che il triangolo rosso è stato abolito, sento un’altra voce dal gruppo che esclama “Ma dov’è la partenza?”. Allora non sono l’unico! Poi un’altra voce ancora, e un’altra… finché Tommy Civera (mi pare, o è stato Marco Widow’s?) dice “AH! Eccolo!”. Immediatamente abbandono la mia posizione nella griglia per andare a chiedere dove cavolo sta il triangolo, e non sono mica l’unico… tutti voti per la mia futura candidatura a presidente IOF!!!

Ovviamente in mezzo a tutta questa baraonda arriva il momento di partire. Come uno sciame di api sputate fuori da un’arnia colpita da una cannonata, partono gli orientisti! La mia esperienza ed il mio acume tattico mi consentono di mettere subito assieme due caxxate perle di sicura efficacia: parto alle calcagna di Luigi Giuliani, che sarebbe giusto il favorito della gara e parte come una fionda e quindi le mie pulsazioni vanno da 70 a 180 in epsilon secondi netti; poi non mi accorgo che la scala del lenzuolo è (pure!) 1:15.000, e quindi la stradina che porta al primo punto non è “lì dietro” ma è “là in fondo” (vedi a tracciare sulla 1:4.000 che si perdono i riferimenti?). Sul terreno, il fango sembra che lo abbiano sparato con i cannoni come alla coppa del mondo di sci… ma alla libera di Kitzbuehl, perché ne hanno sparato proprio tanto; sulla strada per il primo punto il “gruppetto Giuliani” perde già qualche pezzo: quelli che rallentano (io) perché oltre le 240 pulsazioni al minuto l’assicurazione non risarcisce i beneficiari della mia polizza vita, e quelli che perdono una scarpa nel primo mare di fango delle “50 lanterne”.

Poiché la mia tattica di gara in partenza è “non ho uno straccio di tattica e mi limito ad andare dove vedo che va il resto del gruppo”, lascio indietro una prima lanterna (24) del gruppetto di tre (le altre sono 36 e 37) che stanno nella zona “lago di fango”; poi, per non saper né leggere né scrivere, ne lascio indietro altre due (42 e 28) del secondo grappolo perché non vedo alternative alla possibilità di fare dei pezzi di strada avanti e indietro. Come risultato, dato che i più forti invece le lanterne le stanno facendo proprio tutte e gli tocca fare quegli avanti e indietro che dicevo prima, Giuliani, Todeschini, Grassi e Della Vedova passano i primi 20 minuti di gara a sorpassare continuamente il sottoscritto, domandandosi a voce alta l’un l’altro “ma come??? Noi stiamo qui a scannarci e questo orrendo panzone è sempre davanti a noi???”. Ah… chiedo scusa… mi arriva un aggiornamento dell’ultimo minuto dalla regia… il commento dei protagonisti si ferma a “orrendo panzone” e non prosegue oltre… cioè: è chiaro fin da subito anche a loro che me ne sta andando in giro senza una meta precisa, e che quindi non costituisco un pericolo per le posizioni alte della classifica.

Alla fine del secondo grappolo resto finalmente da solo (fatta eccezione per quelli che mi sorpassano, tipo Tommy Civera e Pinna) e posso cominciare la mia “50 lanterne di dolore”: corricchio per i campi ed i sentieri cantandomi qualche canzone, penso un po’ ai fatti miei  cerco di farmi una idea del lavoro che mi aspetta in settimana… la prima preoccupazione, riguardo alla gara, è quella di non attraversare i campi coltivati anche se questo mi costa un giro dell’oca alla terzina 32-29-30. 

Qualche altra lanterna dietro le spalle, e qualche maledizione lanciata alla cartina (che non per niente è MTB-O oriented, cioè per quelli che stanno sui sentieri) che mostra con un bel bianco addirittura “bedolpianesco”delle zone nelle quali i rovi prosperano rigogliosi da generazioni e generazioni: i primi brandelli di pelle delle cosce li lascio alla lanterna 31, alla quale perdo due minuti nel vano tentativo di arrivarci tagliando per il bianco.


Il grappolo di lanterne tra Oriano e Torrevilla è il più divertente di tutti: si tratta di una zona nella quale passano le varie tapasciate che si corrono in questi luoghi, e che conosco abbastanza bene. E’ in questo grappolo che un campione italiano vince il premio “faccia di bronzo della 50 lanterne”, quando si gira verso di me e chiede prima di punzonare “è la 2 questa, vero? Cazzarola… manca il codice!”. Si, è vero, peccato che il codice manchi SU TUTTE le lanterne, e lo sappiamo già da più di un’ora di gara, per aggiungere un minimo di difficoltà orientistica alla tenzone… Giunto alla 46, è il momento di consultare l’orologio e scoprire che manca ancora un’ora e mezza allo scoccare del tempo massimo, e che quindi c’è tutto il tempo (le forze no, ma il tempo si) per andare a fare il grappolone di lanterne a nord della cartina. Attraversando il paese di Cremella, sulla rotonda vengo raggiunto da una coppia di atleti del lancio delle 10.10; ovviamente  è solo una mia impressione la voce che sento “Che sega che sei! Ti abbiamo già preso 10 minuti!!!”. Ah no… scusate… un nuovo aggiornamento dalla regia: questo l’ho sentito davvero! La mia autostima vorrebbe girare i tacchi e tornare a casa, la mia memoria invece si ricorda di quando (sulla stessa cartina, e ne è rimasta traccia sul blog) venni accolto al traguardo dalle parole di un esordiente che diceva “ancora 50 metri e arrivavo davanti a quello grasso!”… e quello grasso ero io! I casi sono due. O sono grasso davvero, o ‘sta cartina mi porta sfiga. Non è un poll, astenersi dal rispondere grazie!

L’ultimo pezzo dell’attraversamento di Cremella vede le tre tute color turchese dell’AGET Lugano farsi forza vicendevolmente: Gianni Pettinari, io e Dodo Bisceglia ci alterniamo nel tenere alto il ritmo del terzetto… ehmmm… questa è un po’ una licenza poetica … ho un ultimo sussulto di orgoglio quando prendo la testa sulla discesa verso la 34, poi mi limito a farmi portare da Gianni fino alla 12. Qui commetto un grave errore valicando inutilmente per due volte il fiumiciattolo gelato che divide la 12 dalla 39. La conseguenza, oltre ad un parziale congelamento dei piedi, è che in uscita dal grappolo alla 9 parte il crampo! Gianni e Dodo puntano a sud-ovest e li perdono di vista; io vado verso sud-est per attraversare Barzanò e Dago ed arrivare alla 48, e da lì cercare di fare l’ultimo grappolo per chiudere con un dignitoso “47” (nella Smorfia napoletana: morto che scrive il blog). 


Purtroppo nei successivi 20 minuti ne combino di tutte e di più…

Comincio con il perdere i cartellini, con il risultato che altri due minuti almeno se ne vanno per risalire la strada alla loro ricerca. Poi, in piena Barzanò, sbaglio una svolta e probabilmente finisco nel bel mezzo di un’area privata di capannoni e officine: alla mia destra scorre un fiumiciattolo di discrete dimensioni ma non sono in grado di trovarlo sulla mappa. Dopo 2 ore e 30 minuti di fatica, ormai gelato e con i crampi, la mente comincia a perdere lucidità e mi sembra quasi di essere stato trasportato da un buco nero in qualche altra dimensione; qualche secondo di autentico smarrimento e poi la decisione: bussola ad est e prima o poi ritornerò sulla strada provinciale che mi riporterà a Torrevilla! Non so come, sbuco sulla provinciale proprio all’altezza dell’incrocio delle linee elettriche. Da lì è solo l’ultima fatica per sfruttare tutte le tre ore di gara: ripasso dalla partenza e inanello 50, 20, 21, 49 e 38. La 23 la lascio a vista, sarebbe raggiungibile ma non voglio rischiare di finire di nuovo fuori tempo massimo per una manciata di secondi (mi sarebbe costata un minuto e mezzo o due…).

Al traguardo, in 2 ore e 58 minuti, sono abbastanza contento. Sicuramente ho messo insieme una serie di errori da accapponare la pelle già accapponata di suo: il giro sbagliato, qualche “lungo” di troppo, il tentativo di tagliare troppo attraverso i rovi, non essermi portato un piccolo rifornimento, i cartellini persi, l’errore a Barzanò per pura stanchezza… e un minimo di “cattiveria agonistica” in più non guasterebbe. Senza questo fardello, penso che sarei riuscito anche io a finire le 50 lanterne. Tutte lezioni che valgono per la prossima edizione! Intanto ho imparato a stare nel tempo massimo…


Negli spogliatoi, dopo la gara, i piedi presenteranno il conto della fatica: 3 unghie venute via di netto (e meno male che l’acqua gelata che abbiamo attraversato in continuazione ha anestetizzato tutto) ed un'unghia che sono stato costretto ad estirparmi a forza per evitare ulteriori guai, tra schizzi di sangue ed il raccapriccio dei presenti. Quentin Tarantino ne sta già facendo una sceneggiatura per il suo prossimo film: Kill Stegal. Sarà in tre volumi perché altrimenti il cofanetto non è abbastanza grande da contenere tutta la mia figura: pare che saranno Gerard Depardieu o James Gandolfini a contendersi il diritto di recitare la parte di Stegal. Per la scena dell’estirpazione delle unghie, la controfigura non potrà che essere Nicolò Corradini, ma ho il sospetto che la cosa potrebbe essere un po’ troppo forte anche per “mister soglia di sopportazione del dolore”…

Lo TSEB ed il BEST del 2015 di Stegal

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Un altro anno sportivo va in soffitta e, come nelle tradizioni delle migliori pubblicazioni sportive, in mancanza d’altro la prassi è quella di andare a ripercorrere i momenti più significativi dei 365 giorni appena trascorsi. Oddio. “In mancanza d’altro” proprio no!

Altrove c’è infatti l’oriblogger più medagliato d’Italia (se dico “più letto” vuole vedere i dati Auditel) che già intreccia tenzoni valide per il 2015 sul filo dei secondi con i giovani virgulti del Trentino; per i giovani indiani delle pianure dell’Arizona, la condizione necessaria per il passaggio allo status di guerriero è la vittoria su una belva feroce… i ragazzi delle montagne a sud dell’Alto Adige, invece, devono andare a misurarsi con le gambe magiche del suddetto oriblogger, e solo dopo aver portato a casa qualche vittoria potranno acquisire lo status di Elite.

In un altro Altrove la oriblogger italiana che vanta in maggior numero di tentativi di imitazione ha appena completato una saga di fantascienza che, al confronto, quella di Guerre Stellari o di Star Trek è una telenovela per casalinghe disperate.

Dopo aver apprezzato ancora una volta il titolo che Dario P. ha partorito per descrivere la sua annata sportiva, dopo aver rosicato per le sue vittorie e le sue medaglie, dopo aver infine un po’ invidiato persino l’ennesima targa che Larrycette ha portato a casa come dominatrice del campionato regionale categoria WC, potevo forse io esimermi dal raccontare per sommi capi la MIA stagione sportiva? 2014?

Si. Potevo. Ma questo avrebbe significato il racconto passo per passo della mia “Stramoncucco” di domenica scorsa, cioè quello che è successo tra questo momento qui…


(partenza… si vede che sono bello pulito e tonico?)

... e questo momento qui:


(arrivo, con il mio “allenatore”… si vede che la faccia è congelata dai -7 della tundra gelida nella quale ho corso per 72 minuti?)

Dal momento che la cosa risulterebbe abbastanza pallosa (e non ditelo a me che quei 72 minuti li ho corsi…  meno male che avevo l’ipod), palla per palla mi metto a raccontare il mio TSEB e BEST dell’anno 2014, con la solita avvertenza che TSEB non significa che la gara non mi è piaciuta perché “la carta non era stampata in pretex aerospaziale con colori approvati dalla NASA”, non significa“c’era un angolo acuto che il tracciatore avrebbe potuto facilmente evitare appoggiandosi al limite di vegetazione descritto dalla curva ausiliaria…”, non significa“nella tabella delle percorrenze il 7,2711% dei percorsi risulta il 3,1978% più lungo di quanto vuole l’AI-O-EF”, ma significa solo che nel bosco di Heidi o nel parcheggio del supermarket dove abbiamo corso quella tal volta IO solo IO nient’altro che IO non sono riuscito a dare il massimo.

Allo stesso modo BESTnon significa“quella volta che ho vinto il Mondiale con 7 minuti di vantaggio ma, no, la gara perfetta non l’ho mai corsa in vita mia”, non significa“per mio grande tripudio il regolamento della gara copriva 6 facciate A4 belle fitte, scritte in Comic Sans corpo 8”, non significa“Bellotto è in cima al mondo ma se non c’era il co-speaker che sparava vaccate a raffica…”, ma significa soltanto che in quelle rare occasioni persino l’impiegato panzottello è riuscito a esprimere il suo meglio, e chi se ne catafotte se il suo nome è all’ultimo posto in classifica!

Numeri numeri numeri alla mano: 63 gare ufficiali, 32 volte speaker! Il 50,8% delle volte in cui ho corso, ero anche speaker. Il che fa, solo come speaker, un totale di 141 volte corridore su 142 gare come speaker!!! Una leggera postilla è d’uopo: non ho corso ovviamente le gare dei Mondiali di cui sono stato speaker, sennò ero ancora a Campomulo a cercare il punto 6 con Gueorgiou; però ai WOC ho corso tutte le 5 tappe della multi-days e le due garette open per tutti, quindi mi sento tranquillo: ogni volta che ho fatto lo speaker, ho gareggiato!

Sempre numeri numeri numeri: 0 vittorie. 0 secondi posti. 0 terzi posti. Una costanza di rendimento come nemmeno un titolo di stato greco! Ho corso in Open, in MElite anche se il delegato tecnico cattivissimo ha cercato di impedirmelo fino all’ultimo, in MA in M35, in M40, in M45 (purtroppo), in WElite (Monte Bondone) e in W20 (5 volte). Ovviamente negli ultimi due casi il mio nome compare solo nel mio personalissimo cartellino, e per fortuna perché ho preso solo mazzate!


La POT EVIF delle mie gare TSEB:

Menzioni disonorevoli per la mia gara ai Campionati Italiani Sprint di Sopramonte (in debito di ossigeno già alla lanterna svedese), per la seconda manche dei Campionati regionali sprint a Ghemme (che potevo evitare di correre da tanto che ero già cotto) e per la seconda tappa del Lipica Open. Su quest’ultimo caso potrei parlare dell’unico momento del Lipica Open nel quale ho dimostrato un po’ di lucidità ritirandomi, per la gioia del barelliere dell’ambulanzache non voleva trasformarsi in coroner.

TSEB 5 per la middle al Monte Bondone, corsa in una WElite nella quale le WElite vere (a cominciare dal trio Comellini, Negri, Liparesi) mi hanno piallato di 20 minuti, e non basta più la scusa del bosco buio come il culo del tasso…

TSEB 4 per il sabato di Coppa Italia a Rovegno, nel quale mi sono divertito solo nella parte “flipper” di bosco ma nel quale le pendenze sui pascoli ed il fango sui sentieri me li sogno ancora di notte… e mi sveglio urlando!

TSEB 3 per il Campionato Italiano Individuale al Vezzena, dove le ho prese da tutti compreso il mio amico Attilio, trovando la 6 prima della 5, cercando per un quarto d’ora di troppo la 11 e infine vomitando l’anima sul “falsopiano” che dall’ultima lanterna portava al traguardo. Una persona che conosco, che già non ha alcun motivo per volermi bene, ha visto recentemente il mio arrivo in televisione e non ha pensato su due volte a dirmi su di tutto… la parola più carina era “ciccione”…

TSEB 2 per la gara middle alla Tre giorni del Cansiglio. Intendiamoci: fare il percorso, QUEL percorso, da solo nel bosco del Cansiglio, QUEL bosconel quale le rocce le hanno tirate in giro con la dinamite, varrebbe la BEST place… però io ho impiegato 165 minuti, comprensivi di un quasi svenimento per la paura quando finalmente Roland Pin mi ha trovato! Giacomo Zagonel, decimo in classifica ma primo Elite al traguardo, meno di 50 minuti. Avrei voluto strozzarlo sul posto. Persino Wolgang Poetsch si è preso gioco di me…

TSEB 1 per la Coppa Italia a Barricata, e qui mi sento tanto unito al fratello PeTrotti! Correre nel “bosco dei boschi”, avere la fortuna di poterlo fare da solo all’alba e quindi prima della grandinata, per poi ritirarsi per manifesta incapacità orientistica dopo aver superato (con difficoltà) le parti veramente ostiche… il fatto che, una volta che mi sono mentalmente ritirato, ho deciso di finire ugualmente il percorso correndo le restanti 10 lanterne praticamente sotto la linea rossa non pareggia la delusione per il modo sciagurato con cui ho gestito l’attraversamento di uno degli impianti cartografici più belli d’Italia


La TOP FIVE delle mie gare BEST:

Prima le menzioni onorevoli: Forte Kerle per i Campionati Trentini Long, la gara del JTT attorno al bellissimo lago di Lavarone post WOC, il dedalo di sassi di Fontanigorda e l’ultima gara di TMO mass start a Tesserete.

BEST 5 per la Coppa Italia nella pineta di Clusone: una partenza sbagliatissima e la previsione (l’invito) a non andare al di là del ponte sulla provinciale a fare il loop che facevano solo gli Elite. E invece al di là del ponte ci sono andato, ho portato a casa le fascette come mi aveva chiesto il cattivone delegato tecnico,  sono tornato in un tempo decente e mi sono divertito un sacco nella parte di bosco attraversata da quel sentierino asfaltato che faceva molto “salita del Regensberg

BEST 4 per l’O-Ringen, la terza tappa dell’O-Ringen, quella con partenza dalla spiaggia sul Mar Baltico e l’arrivo sulla spiaggia del Mar Baltico dopo qualche chilometro tirato a mille sulle dune sabbiose della pineta fronte Baltico. L’O-Ringen è capace di proporre sempre una tappa unica e irripetibile, che ogni anno prende il posto nei ricordi della tappa unica ed irripetibile dell’edizione precedente. E’ bello esserci ed è bello, come ho cercato di farlo quest’anno, sforzarsi per correrla al massimo delle proprie possibilità

BEST 3 per la Coppa Italia di Laranza: “Prendi il percorso Elite e divertiti!”. Parole e musica di Thomas Widmann, orchestra guidata dal maestro Rudi Mair, canta l’Alpe di Siusi nel suo meraviglioso splendore dell’alba del 1° maggio. Ultimo ma “chissenefrega!” gridato a pieni polmoni.

BEST 2… eh! Sarà anche sul tetto del mondo, ma Cristian Bellotto un posto più grande di Val Giardini lo ha trovato sulla sua strada. Però Val Giardini è sempre quella dei miei sogni, dove ho corso alcune tra le gare più belle della mia carriera; non dimenticherò mai il momento nel quale, perso tra le rocce mentre cercavo una stupida buca invisibile sul percorso Elite del WRE, ho guardato tutto attorno a me e mi sono detto ad alta voce “Via tutte le rocce!”. E quelle sono sparite come per incanto (giuro! come in questa scena con Harry Vardon), lasciando visibile a 30 metri da me solo quella benedetta buca…

BEST 1 - ed era già scritto nel relativo pezzo sul blog – i 100 minuti meglio spesi dell’anno 2014: Pietralba, Arge Alp Individuale. Ci sono sempre Thomas Widmann e Rudi Mair, c’è il bosco con le fatine ed i coniglietti, c’è una ascesa per la direttissima fino a quota 1785 della Neuhutte, e poi c’è solo la sensazione di essere in Paradiso. Ringrazio fin d’ora il TOL che sta mettendo in piedi, solo a mio uso e consumo, la 6 giorni del Sud Tirolo prossima ventura. Pietralba ne è stato il prologo, un bellissimo, fantastico, memorabile, indimenticabile prologo.



Buone Feste e Auguri per un Felice 2015, pieno di vittorie per alcuni e ricco di divertimento per tutti. Perché “divertimento” non fa rimacon “primo posto” ma per me è assai più soddisfacente.

1995

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Chi siamo? Chi siamo realmente? O, meglio, QUANTE COSE siamo? Quanti volti siamo tutti noi, uno per uno, contemporaneamente? Da qualche ora ho questa domanda che rimbalza forte nella mia mente. Sto cercando di capire, di mettere a fuoco, ma faccio fatica.

La butto sul nulla: e io sarei lo “speaker del popolo”? Quello che conosce vita e miracoli di tutti coloro che frequentano assiduamente le nostre gare? La lezione di oggi, se mai non mi fosse ancora entrata in testa, è che posso arrivare a distinguere da 300 metri di distanza i colori dell’US Primiero da quelli dell’Orienteering Prato, lo stile di corsa di Massimo Bianchi da quello di Miki Caraglio. 

Posso persino scommettere e scippare un caffè a Giovanni Greco, lanciandomi in un “Greta Knarston is coming!” (echiccacchioè Greta Knarston???)… a proposito: io quel caffè non l’ho ancora bevuto!

Ma tutto questo scalfisce in modo solo superficiale la conoscenza che io, e tutti noi, abbiamo di noi stessi, dei nostri amici che frequentano i boschi. Magari sappiamo che il tale ha vinto una medaglia nel tal campionato master, e magari non sappiamo che la persona che abbiamo di fronte e con la quale snoccioliamo tempi da lanterna a lanterna è un artista, uno scultore, un attore. Sappiamo che la tal ragazza, che arriva sempre a metà classifica nelle categorie juniores e non se la fila nessuno, ha fatto il nostro stesso percorso, ma non sappiamo che si tratta di una persona impegnata nel sociale, che divide il suo tempo tra l’orienteering ed altre iniziative ben più mirabili di una semplice competizione sportiva.

E’ ovvio, è solo palesemente ovvio, che ciò che sappiamo degli altri scalfisce solo la superficie del vero “chi siamo noi?” e del “quante altre cose siamo, oltre al fatto di essere orientisti?”. E’ ovvio. Ma talvolta questa cosa ci sfugge di mano e finiamo per inquadrare gli altri per una medaglia in una categoria master, o per un piazzamento a metà classifica in una categoria juniores.

Vorrei poterlo scrivere meglio, ma non ci riesco e allora vado al sodo.

Ho appena finito di leggere un libro: “1995” di Andrea Gianotti, mio ex compagno di squadra e di mille trasferte con l’Unione Lombarda, felicemente approdato da un paio di anni al Nirvana Verde. 

Non sapevo che si dilettasse di scrittura… anzi: dovrei dire “non sapevo che fosse uno scrittore”. 

Perché “1995” non è la produzione in proprio di qualcuno che si è dedicato qualche sera a digitare sulla tastiera anziché guardare L’isola dei famosi. “1995” è un libro vero e proprio. Che lascia senza fiato e con una voglia irrefrenabile (almeno per me) di leggere come va a finire. Che non lascia nemmeno una minuscola traccia o un particolare dimenticato lungo le pagine, ed alla fine chiude il cerchio di tutte le pennellate del racconto in una perfetta “O” di Giotto.

Un libro giallo, penso di poterlo definire così, che mi riporta indietro negli anni quando il mio eroe era il commissario Arkady Renkoraccontato dalla penna di Martin Cruz Smith (Gorky Park, Stella Polare – imperdibile -, Piazza Rossa, L’Avana), un eroe che adesso dovrà dividere le mie simpatie con il commissario Vincenzo Branchini della Polizia di Frontiera, alto 194 centimetri (… e così ti sei attirato subito le mie simpatie, vero Andrea?...) e con l’aria di essere in grado di portare sulle spalle il peso del mondo.

(ATTENZIONE: da qui sotto in poi è un po' ... anche se non tanto... SPOILER!!!)



Un libro inizia in un modo che fa pensare “embé? Che cosa si è fumato il Giana???”, si snoda fino a far dimenticare le prime pagine, e poi riprende in mano tutti i fili della trama fino ad arrivare alla conclusione di un arazzo completo in ogni sua parte.

Un libro che ha, almeno per me, una componente visuale fortissima; sembra di vedere il campeggio malmesso, il luogo del delitto, i bar e tutte le zone fronte lago nelle quali si dipana la storia.

Un libro che ha l’ineguagliabile pregio di essere costruito come una storia quasi locale, e che poi improvvisamente prende una strada diversa intrecciandosi con la Storia quella vera. Un evolversi delle situazioni che mi ricorda, alla lontana, un’altra storia come venne narrata in “Enigma”.

Un giallo a fronte del quale farei un torto all’autore se, mentendo, dicessi “Ok Giana! Tutto bello… ma io il nome del\della colpevole l’ho fatto alla pagina X…”.

Non è un libro alla Ellery Queen, nel quale l’autore lancia la sfida al lettore lasciando in giro tutti gli indizi ed invitandolo a dare la caccia a qualcuno. E’ invece un libro visuale, che porta in crescendo fino alle ultime pagine, con una conclusione che non lascia scampo alcuno a chi volesse cercare qualche pecca nella costruzione della vicenda.

Non basta qualche serata ispirata per scrivere un libro come questo.

Complimenti Andrea! Solo che io adesso cosa devo dire di te quando ti vedrò arrivare al traguardo ed io, magari, sarò ancora lì dietro il microfono a raccontare?

Yes! I'm a World Record Holder in orienteering!

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Thierry Gueorgiou, Simone Luder, E poi Stegal.

Quando il ciclo di vita della Terra sarà vicino al suo compimento, ed i pro-pro-…-pronipoti degli orientisti che hanno calcato i campi di gara nel 21° secolo sussurreranno le imprese di coloro che hanno impresso a forza il loro nome tra le stelle del firmamento, questi tre nomi saranno i protagonisti dei racconti

Thierry: 12 volte campione del mondo, ed il tassametro corre ancora!
Simone: 20 volte campionessa del mondo, ed il tassametro POTREBBE correre ancora se solo lo volesse; c’è forse qualcuno che pensa che non avrebbe potuto facilmente vincere il Mondiale Long a Lavarone?

Ma, sopra ogni altro primato, si staglia il record mondiale, quello unico ed imbattibile, di Stegal: una prodezza inimitabile, scolpita a chiare lettere nel diamante, e questo grazie al progresso della tecnica.
Perché, a dire il vero, forse non è ancora nato colui, o colei, che in un futuro lontano potrebbero battere i record di vittorie di Thierry e di Simone; ma potrebbe! Soprattutto se l’IOF comincerà ad assegnare medaglie mondiali ad minchiamper ogni tipo di competizione: attendo con poca ansia il mondiale in notturna, la middle a coppie con due piedi legati tra loro, la sprint bendati, la beer-relay…

Invece il progredire della tecnica ha reso il primato di Stegal ormai irraggiungibile. Il progresso, quello si, ed anche la statistica!

Stegal. Ma voi che lo conoscete, lo avreste mai detto? Stegal. Il detentore di un record del mondo assoluto nel mondo dell'orienteering! Dario P. può risparmiare le facili ironie: non è il record del mondo, che sarebbe pur sempre di Stegal, per la scelta di percorso più allucinante e assurda, o per l’impresa di aver impiegato (sempre Stegal) in una singola tratta del percorso un tempo maggiore di quello del vincitore dell’intera gara.

No. Si tratta di un record ancora più incredibile. Ancora più sensazionale. Ancora più inimitabile. Mi chiedo ogni mattina, al risveglio, come mai non sia stato io ad andare a SuperQuark da Piero Angela, o al giochino pre-serale “Indovina la faccia” (o come diavolo si chiamava).

Altro che i campioni del mondo!

Io sono l'unico, l’unico al mondo, ad aver ricevuto per CINQUE volte l’unica cartina, l’UNICA sottolineo, sbagliata in una competizione orientistica. Attenzione al lessico: l'unica carta tra tutte quelle preparate dall’organizzazione! L’unica mappa errata presente in una qualunque cassetta posta dopo la partenza.

Non la mappa di una zona mal cartografata nella quale un sasso non è riportato correttamente... quello capita a tutti i concorrenti che passano da quella zona o hanno quel tal percorso. Non un percorso con un punto posato male… perché l’inconveniente sarebbe comune a tutti i partecipanti del percorso.

No, parlo proprio dell’UNICA carta di gara tra TUTTEquelle che sono state impiegate da TUTTI i concorrenti in gara. A quanti di voi è mai capitato? Una volta, passi. Magari tanti di voi conoscono qualcuno a cui, una volta, può essere capitato. Magari a Tenani, che ha fatto mille e passa gare, sarà capitato due volte.

Ma CINQUE VOLTE?

Ecco. Voi che mi conoscete, potete andare fieri e raccontarlo agli amici ed essere invidiati e invitati alle feste per raccontarlo: avete un solo grado di separazione da uno a cui è capitato CINQUE VOLTE.

Non una.
Non due.
Non tre.
Non quattro.

CINQUE.

L’ispirazione mi è venuta da due distinti input. In questo periodo, causa infortunio, poca voglia, impegni di tipo diverso, non ho altre gare da raccontare (farò tra un po’ un breve resoconto del mio mese di marzo… so che in tanti lo stanno aspettando – come no?). Inoltre sul forum britannico “Nopesport”ho letto la disavventura, raccontata da quella che mi sono figurato come una arzilla signora, di una concorrente che lamentava di aver ricevuto una mappa sbagliata con le conseguenze del caso: gara gettata al vento, critiche verso gli organizzatori, organizzatori che dicono di aver fatto tutto il possibile per evitare gli inconvenienti, regolamenti che indicano il responsabile dell’errore, persone che dichiarano di dover ricoprire quel tal ruolo in futuro e che se ne guarderanno bene dal controllare una ad una 3000 cartine…

Non sanno, tutti costoro, che ognuna delle mie CINQUE gare è scolpita nitidamente nella mia mente, e che ricordo ognuna di queste con un sorriso: si, io per cinque volte ho avuto in regalo qualcosa di veramente UNICO.

Pronti ad aprire con me il libro dei (miei) ricordi? No? E a me che cosa me ne frega?

*** ***

Numero UNO: Monte Tablat.

Ah! Il Monte Tablat. Che posto incredibile per fare orienteering! Ricordo la mia prima volta, nel 1996: una sensazione quasi unica (ma non rara, purtroppo) di non essere davvero all’altezza di quel terreno; incomprensione della cartina e del percorso quasi totali, dalla partenza all’arrivo; la perplessità ad ogni scelta, ad ogni errore, quasi ad ogni passo. Arrivare al traguardo con lo sguardo smarrito della lepre davanti agli abbaglianti dell’auto in corsa. Una sensazione, peraltro, ampiamente condivisa da chi, come me, era salito al Tablat dalla pianura lombarda con una esperienza limitata ai parchi milanesi ed alle cartine vallonate della Brianza.

Nel 1997 il gemellaggio Trentino-Salisburgo si svolge a Lavarone. Sarà ricordato come il “gemellaggio nella neve”. E’ prevista una gara long sul Monte Tablat, e nevica da far paura. Sul terreno c’è mezzo metro di neve; Silvia Cavini rientra dalla posa pronunciando le immortali parole “là fuori c’è una bufera da lupi!”. Ma siamo in ballo, balliamo e si va fuori lo stesso. Quel giorno sul Tablat faccio una delle gare migliori della mia vita, con dei tempi su alcune singole tratte da fare meraviglia a qualche Elite. Ricordo nitidamente un ragazzino, tale Lorenzo Vivian, che davanti a me attacca una delle ultime lanterne per la direttissima, senza curarsi dei sentieri ancora appena visibili. E ricordo ancora più nitidamente lo sguardo allucinato del tizio che guidava lo spazzaneve, sulla curva di Bertoldi, nel vedersi sbucare in faccia a pochi metri il sottoscritto in maglia da orienteering e calzoncini, nella bufera di neve (uno sguardo che rivedrò a tanti anni di distanza nel tunnel di Brescia, negli occhi dei guidatori dei pullman). Quel giorno “domai” il Tablat!

Così, nel 1998, si torna sul Tablat per il Campionato Trentino Long. Sono forte. Sono in forma. Non ho paura di niente. Il Tablat però è sempre il Tablat e, nelle prime due lanterne, non mi perdona la mia indecisione il mio rispetto per la carta, così alla terza lanterna vengo raggiunto da Martin Murer. Chi si ricorda Martin? Due gambe da paura, il prototipo dell’orientista del XXI° secolo. Me lo vedo schizzare via alla terza lanterna e mi accodo. Andiamo avanti insieme, talvolta in parallelo, e la velocità cresce… raggiungiamo e stacchiamo parecchi concorrenti, ed io non ho nemmeno l’atteggiamento passivo di quello che sta sempre a ruota. Alla ottava lanterna, Martin è in testa alla gara ed io con il mio distacco sono in quarta o quinta posizione, milanese al Campionato Trentino. Attraversiamo le piste e ci buttiamo verso la 9. Io identifico un muretto che sembra fare la mirino per la nona lanterna, anche più facile delle altre, e dal sentiero piego decisamente verso destra, mentre Martin sembra procedere ancora lungo il sentiero. Guardo alla mia sinistra e dico “depressione 1!” e corro verso la “depressione 2” dove dovrebbe essere il mio punto… ma non vedo nulla. Nella mia testa le voci cominciano a sovrapporsi ed una dice “quella di prima non contava! Questa è la depressione1! Continua a correre!”, ma finisco in una zona di bosco bianco, mentre la depressione doveva essere a bordo prato. Rallento e cerco Martin con lo sguardo: nessuna traccia, e comincio a capire di averla fatta grossa.

Torno indietro e guardo bene: nessun punto di controllo, e nessuno nei paraggi! Martin probabilmente lo ha trovato e sta correndo al decimo punto. Io comincio a muovermi in cerchi concentrici, ma senza risultato: sembra che quel punto si sia volatilizzato. Le voci nella testa cominciano ad urlare “stai rovinando tutto, idiota! Guardati in giro! Torna al muretto! Rifai il punto con la bussola!”. Non è facile, con tutto quel casino. Decido di tornare sul sentiero e rifare il punto: depressione1, depressione2… torno sempre lì. E il punto non c’è. E non c’è nessuno nel raggio di almeno 100 metri di terreno aperto!!! Quindi non posso che essere nel posto sbagliato. Dove sarà quella depressione? Avvilito, le voci ricominciano a parlare “altro che HA… altro che HB… nemmeno l’HC! Esordiente dovresti tornare ad essere! Anzi… te lo dicevamo dall’inizio: questo sport non fa per te!”.

Rimango in zona almeno 20 minuti, senza sapere cosa fare. Vedo in lontananza alcuni concorrenti sui sentieri: possibile che nessuno passi da qui? E tutti quelli che ho superato? Dopo 20 minuti (almeno) di commiserazione, una lampadina sopra la mia testa, come Archimede Pitagorico. E se…? E se ci fosse da queste parti UN’ALTRA depressione? Non quella al centro del mio cerchietto: un’altra, da qualche parte qui in giro? Mi siedo e la cerco in mappa. Ce n’è una a distanza di 150 metri, oltre un sentiero che, nel mio peregrinare, consideravo sempre come linea di arresto. Mi incammino, supero il sentiero, scendo verso un prato e da lontano vedo due cose: Zanetello che sta punzonando ed una lanterna. Mi avvicino e metto a ridere sempre più forte, in modo sempre più sgangherato… la mia lanterna è quella. Punzono il testimone, sempre ridendo e suscitando l’indignazione di qualcuno che sta arrivando in quel momento. Da lì al traguardo ci arrivo camminando, sono praticamente in una specie di mondo a parte.


Dopo il traguardo dico al Maestro Alfredo Sartori che qualcosa non va nella mia carta, ma è il campionato trentino e lui ha parecchio da fare. Quando riesce a trovare il tempo di darmi retta, prima accoglie con scetticismo le mie parole sulla cartina di gara, poi la controlla ed esclama “ma questo percorso è sbagliato! … puoi fare reclamo, e potremmo essere costretti ad annullare la categoria”. Ringrazio e dico che non importa: non potevo competere per il campionato regionale e non sono certo venuto da Milano per lasciare un “buco” nell’albo d’oro  della mia regione di origine.

Il finale è comunque lieto. La giornata è bella e calda e ci fermiamo alle premiazioni. Sono seduto con i miei amici dietro ad Ivana Zotta e Cristina Chiettini. Quando iniziano le premiazioni, l’amico Ezio Fasani si scusa perché ci sono state iscrizioni ricevute fino al giorno prima della gara, il che aveva costretto alcuni organizzatori a stare in piedi fino a notte fonda del sabato a disegnare cartine: una di quelle era stata disegnata male (… brusii in sala… a chi sarà mai capitata questa sfiga?) ma il concorrente non aveva sporto reclamo. Poi Alfredo Sartori dice che per questo, vuole regalare una delle giacche della Tre giorni d’Italia, e chiama “Stefano Galletti, Unione Lombarda”. I miei amici, Ivana e Cristina si voltano verso di me! Tra tutti… io ero il tale a cui era capitata quella disavventura, di cui mi rimane l’amicizia con Alfredo e la famiglia Fasani, ed una giacca della Tre giorni.

A proposito: che fine ha fatto il regalo di Alfredo Sartori?

Eccolo!


(WRE a Barricata – 2014. Io sono riconoscibile, l’altro con i colori del Milan non lo so…)


Numero DUE: Sesto San Giovanni (1).

La gara di Sesto San Giovanni mi ha quasi sempre visto tra i partecipanti: 20 minuti di auto da casa, si torna a casa in ampio anticipo per il pranzo, una sgambata in mezzo ai palazzi giusto per “guadagnarsi” la domenica a tavola. Nel 1999 si corre su una carta decisamente datata, con formula score: 25 punti sparsi in giro, ed auguri a quelli come me che il “giro giusto” non l’hanno mai saputo trovare! Io faccio la mia gara e, come in ogni sequenza libera che si rispetti, quando mancano pochi punti mi fermo a fare il recap, a controllare che i punti davanti a me corrispondano ai quadratini liberi sul testimone cartaceo.

Qualcosa non quadra: non ho timbrato il punto 10! Cazzarola… dove sarà? Qui non c’è, qui nemmeno, da là dove sono già passato neppure… tra il grappolo di punti ancora da fare, neanche! Calma. Riflettiamo. Inutile far ballare l’occhio a caso sulla mappa. Divido mentalmente la mappa in quadrati più piccoli e comincio a cercare: qui no, qui nemmeno, lì neppure, là neanche… Eppure la 10 mi manca. Continuo a cercare, anche negli angoli e sui bordi. Niente! Quando mi sono già innervosito per la mia incapacità, vedo passare Michela Titoli che sta controllando le lanterne; Michela non mi ha mai lasciato passare una svista, fin dai tempi di una famosa volta a Monza nel 1994, quando venni squalificato e pensai di mollare l’orienteering. Infatti anche stavolta non risponde subito alla mia richiesta “Michela, dove si trova la 10?” (il silenzio di Michela chiaro: è orienteering, se voglio trovarla me la cerco da solo). Ma insisto e lei si ferma. Prende la carta e dice “La 10 è qua… eh!... ma tu non hai il cerchiettosulla carta!”.


Ovviamente la 10 è da tutt’altra parte rispetto a dove sono arrivato. Poco male: cerco di memorizzare il punto esatto e torno sui miei passi; punzono la 10 (segnata oggi in mappa con il cerchietto e la croce… a penna nel dopo gara) e poi termino l’ultimo grappolo, ovviamente in ampio ritardo rispetto al resto dei concorrenti; d’altra parte non è che mi importi molto: io volevo solo fare una corsetta con la cartina.

Amelio Titoli nel dopo gara si scuserà, mi dirà che l’unica carta sbagliata era la mia, e pronuncerà le immortali parole“Meno male che è successo a te che non ti lamenti, e non a…”. Puntini puntini al posto del nomi citati da Amelio: verranno con me nella tomba prima che io li sveli!


Numero TRE: Sesto San Giovanni (2).

Ancora Sesto San Giovanni? Ancora Sesto San Giovanni!

Quando torno a gareggiare a Sesto, con le medesime motivazioni ovvero che è vicino a casa e che torno in tempo per il pranzo e la partenza del motomondiale delle 500, la cartina è stata revisionata e la sequenza di gara è quella classica. Al decimo punto viaggio in coppia con l’amico Max Garavaglia (più probabile che mi abbia raggiunto lui che viceversa, ma non potrei garantirlo). Al punto 10 punzono il cartellino ed inizio a studiare il modo di superare ferrovia e cavalcavia; non mi accorgo che Max non è più accanto a me, ma la mia scelta non mi pare così sbagliata e proseguo la mia corsetta.

Supero la ferrovia, scendo lungo il vialone e raggiungo il punto; ma mentre punzono mi cade l’occhio su una cosa: il quadrato “11” è vuoto! Ho dimenticato un punto? Controllo la mappa: 12. Risalgo la linea rossa con lo sguardo: 10. La ridiscendo: 12… dove sta il punto 11??? Eh… non era mica distante dal 10, ed infatti era proprio lì che la corsa di Max si era diretta. Ma questo lo scopro solo DOPO che Max mi raggiunge alla 12, mentre sono ancora immerso nelle mie elucubrazioni… la 11, segnata a penna nel dopo gara, è AL DI LA’ della ferrovia.


Mi faccio dire da Max la posizione, lo lascio lì un po' perplesso e torno indietro: supero la ferrovia una seconda volta, poi la supero per la terza volta (onestamente non ricordo se sono tornato alla 12 o se ho punzonato ugualmente e poi sono andato alla 13…). Anche in questo caso, la mia classifica non se ne giova, ma non ero mica lì per portare a casa il salame o la bottiglia di vino.

Quello che porto a casa è la faccia del buon Amelio Titoliquando mi accoglie al traguardo: gli era stato detto qualcosa circa un concorrente che stava correndo con la carta sbagliata e aveva detto qualcosa tipo “ancora? L’anno scorso era successo a Galletti…” “Si, è lui anche quest’anno”.


Numero QUATTRO: Monte Generoso (Svizzera).

Come sarebbe a dire “Svizzera”? Ebbene si: il quarto episodio mi succede in Svizzera, ad un TMO nel quale correvo, ancora, in HB. Ed è tra l’altro un ricordo strano perché io, quella gara, l’HO VINTA! Ma andiamo con ordine.

In Ticino le carte di gara sono spesso offerte al concorrente su uno stenditoio, al momento della partenza: un filo viene teso sopra le teste dei concorrenti ed ognuno si posiziona davanti alla sua carta di gara, ben indicata da un adesivo che riporta nome, cognome, categoria ed orario di partenza.
Non ho la carta di gara originale, che alla fine restò in partenza ed allo SCOM, ma fidatevi. Il problema della mia carta era che la stampa era sfasata di un paio di centimetri rispetto al dovuto, verso destra. Ma poiché il sentiero di partenza era una linea dritta “sinistra-destra”, io non me ne sono accorto minimamente! Così io sono andato a cercare la mia prima lanterna “canaletta” a 200 metri di distanza… è vero: non mi tornava un beneamato NULLA! Prima ho cercato nella fossa profonda poco a sud della vera 2… poi mi sono spostato sul sentiero. Le curve di livello non sembravano essere come avrebbero dovuto essere, ma che diamine! Ero in Svizzera! Sicuramente la mia conoscenza orientistica non era sufficiente a domare una gara svizzera! Così sono andato avanti e ho preso il sentiero che risaliva verso nord-est, che avrebbe dovuto portarmi vicino alla 1… e dopo un po’ che andavo senza capire nulla mi sono trovato al recinto ed al prato; della 1 nessuna traccia, ma appena a sud del sentiero (considerate lo “sfasamento” del percorso magenta) doveva esserci la mia 2… magari se l’avessi trovata, mi sarei raccapezzato. Così sono andato a sud, e dopo aver passato qualche minuto a battere tutta la costa, mi sono trovato davanti una lanterna dove però io non avevo il centro del cerchietto. Ho guardato istintivamente il codice, ed era la mia 3!


A quel punto ho messo insieme le cose e, lemme lemme, sono tornato in partenza. Ho aspettato che ci fosse un attimo di calma e, da italiano incapace che osa a dire agli svizzeri che il meccanismo si è un po’ inceppato, ho fatto vedere la carta di gara. Credo che ci fosse Filippo Pezzati in partenza… ricordo le sue scuse, la sua offerta di prendere fiato, di riposarmi un po’ e poi di riprendere il via con un nuovo orario di partenza. Cosa che ho accettato di buon grado.

Quando sono ripartito, credo di aver fatto il miglior tempo di gara sulle prime tre lanterne. Il bosco delle prime 5 lanterne praticamente lo avevo già vivisezionato, e tanto è bastato per vincere la gara. Per fortuna era l’HB, che in Ticino è praticamente il livello di ingresso dopo gli Esordienti, quindi non è che la mia vittoria ottenuta in modo decisamente strano abbia sottratto un premio imponente a qualcun altro… comunque credo sia stata la mia penultima gara in HB in Svizzera!


Numero Cinque: Lamon.

L’ultimo episodio, che mi consegna direttamente nell’Olimpo, è quello di Lamon. O, se non vado errato, di Cavalea: Campionato Veneto-Trentino a staffetta a tre frazionisti, con il GOK (Roberta-Piero-io) iscritto in Open. Qualcuno potrebbe ricordarsi di quella gara che, se non vado errato, non fu mai omologata. Io la ricordo per via dell’amico Andrea Rinaldi, ovvero il mio maestro (inteso come speaker, visto che la tecnica orientistica lui non è mai riuscito ad insegnarmela… troppo scarso io come allievo).

La partenza della staffetta era, come dire, su per un pendio da affrontare a 4 zampe da tanto che era ripido. Presentazione di Andrea al microfono: “Il triangolo di partenza è poco oltre questo lieve falsopiano…” (brusii dei primi frazionisti ai piedi del Golgota,,, un fott…issimo FALSOPIANO!  del tipo "10 curve di livello sulla linea di massima pendenza").


Il cambio della staffetta viene da sempre presentato con la collaborazione di qualcuno dell’organizzazione che si presta alla pantomima. Presentazione di Andrea al microfono: “Per il cambio… beh! Guardate cosa fanno le Fiamme Gialle che passeranno per prime, e fate come loro!”.

Successe, per come lo ricordo io (non vorrei rinfocolare polemiche) che in alcune categorie mancavano le cartine del terzo frazionista ed Andrea, che era delegato tecnico o tracciatore o comunque conosceva i percorsi, si era piazzato su un sasso all’altezza della svedese, con le cartine in bianco; approfittando del “falsopiano” e del fatto che conosceva tutti, era in grado di vedere con ampio anticipo chi stava arrivando in terza frazione e di disegnare la cartina SUL MOMENTO, con cerchietti, codici, descrizione punto simbolica e tutto quanto… 

Solo che, arrivato il mio turno, lui doveva essere comprensibilmente “bollito” di stanchezza; la cartina che mi consegnò aveva i due cerchietti più lontani, quelli che rappresentano l'angolo nel quale il percorso svoltava e tornava verso la zona del punto spettacolo, centrati su oggetti identici (alberi isolati in un prato) ma posizionati almeno 150-200 metri prima del punto reale. Così, mentre io cercavo i punti dove pensavo che fossero, pensando come quella volta sul Tablat che “altro che Open! Nemmeno Esordienti dovrebbero farmi fare!”, gli altri concorrenti delle squadre che Roberta e Piero avevano staccato in prima e seconda frazione mi superavano come se niente fosse. Alla fine credo di essermi “attaccato” ad una staffetta del Laboratorio Trentino e di essermi lasciato trascinare verso una zona più lontana rispetto a quella nella quale stavo cercando.

Quando, dietro un dosso, ho visto un boschetto ed un albero isolato con una evidente lanterna, mi sono messo a ridere forte… stavano ridendo meno Piero e Roberta, che mi aspettavano per il passaggio al punto spettacolo: lo scambio di battute tra me e Piero quando sono arrivato al punto spettacolo non è riferibile e non è stato edificante. Ancora oggi, però, di quella gara ricordo soprattutto le battute di Andrea al microfono.


Questo, per il momento e più probabilmente per sempre, è tutto. Gli amici trentini in occasione di una promozionale a Bedolpian prepararono per me, e solo per me, una cartina tutta sfasata rispetto al mio vero percorso, e riuscirono ad intrufolarla nella mia posizione in griglia nella cassetta della partenza nonostante il responsabile delle partenze (Cristellon?) fosse perplesso per quella strana manovra di cui non era a conoscenza.

Thierry. Simone. Stegal.

A resistere nel firmamento dei primatisti mondiali, in campo orientistico, ne resterà solo uno. Non sono sicuro se sarà Thierry o se sarà Simone, ma potrei benissimo essere io!
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