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OOCup 2013... don't stop hope!

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Mi piace la Slovenia. Mi piace correre in Slovenia. Mi piacciono i boschi sloveni. Mi piacciono le sfide che gli organizzatori sloveni offrono. Che si chiami Cerkno Cup, o Magnus Cup, o più recentemente OOCup, mi piace tornare in Slovenia attraversando il confine a Fernetti o a Villach, o anche attraversandolo a Zgonek durante una gara! Si, ok… nel corso degli anni sono diventato più vecchio (problema mio), sono diventato più grasso (colpa mia), non so più cosa voglia dire la parola “allenamento” (sempre colpa mia). Tuttavia ho la sensazione che, ogni volta che prendo il mano una cartina slovena, la sfida che mi viene sottoposta dai percorsi mi richieda sempre qualcosa di più della timbratura quotidiana del cartellino… inteso come “giornata di routine in ufficio” e non in senso puramente orientistico.

So, lo so sempre meglio ogni anno che passa, che i miei tempi per completare le gare in M40 saranno sempre più alti; so, altrimenti fingerei di non sapere, che per cercare il mio nome nella classifica dovrò scendere ogni anno sempre più in basso fino a raschiare la lista di chi si è ritirato o non ha completato correttamente le punzonature. Soprattutto so, altrimenti non mi iscriverei né in M40 né andrei a gareggiare in Slovenia, che di quest’ultimo aspetto non può fregarmene di meno. Perché so che, quando andrò a rivedere le cartine di gara, il primo pensiero sarà spesso “Ma come diavolo sono venuto a capo di questo percorso?!?”. In modo particolare rivedendo la cartina che in bella mostra sul tavolo della cucina: Stonah, la celebre Stonah! Ed il suo percorso con 510 metri di dislivello sulla linea del tracciatore!!!


Don’t stop hope. Ho corso per 5 giorni, tutte e cinque le tappe, con la stessa maglietta che compare nella foto. E’ dell’Associazione “Correre per la Speranza”, ho pensato che avrebbe potuto portarne un po’ anche a me. E’ una maglietta che ora chiede un po’ di pietà ma che potrebbe tornare utile nelle prossime gare, visto che potrei persino adottarla come divisa ufficiale della mia panza. Più che una maglietta, un messaggio. Rivolto a me e, a chiunque altro fosse importato, rivolto ai concorrenti che avessero avuto la ventura di incrociarmi. Sono sicuro che dei 1500 presenti alla OOCup 2013, più di qualcuno ha dovuto aggrapparsi alla speranza di arrivare fino al traguardo, dando fondo ogni giorno a tutte le proprie energie fisiche e mentali; purtroppo, o per fortuna altrimenti saremmo tutti primi in classifica, io sono uno di questi. E se è vero, come mi ha appena detto Marco Ongaro, che sono arrivato 46esimo in classifica generale in occasione del mio 46esimo compleanno, allora ciò è solo di conforto perché per l’anno prossimo punto dritto al 47esimo posto… all’Oringen però!!!

Don’t stop hope, quindi.

(Le carte di gara ora sono disponibili, ma chi vuole vedere alcuni percorsi ancora più tosti può fare un salto qui http://orienteering.usprimiero.com/tre-primierotti-in-slovenia-oocup-2013/  e leggere il bel pezzo a firma Andrea Orler).

Il primo giorno si parte a Movze, con una gara middle come piace a me, con tanti punti come piacciono a me, e con 215 metri di dislivello su uno sviluppo lineare di 3,7 km, come NON piace a me… La partenza della mia OOCup 2013, proprio il primo punto, è abbastanza emblematico: devo trovare una buca a 200 metri dalla partenza in una zona con un sacco di dettagli, una buca che stando al comunicato gara è parzialmente coperta da un albero. La mia mente va un po’ in confusione: su che cosa mi conviene focalizzare il segnale? Sulle buche o sugli alberi caduti? E’ ovvio che con questa concentrazione potrò trovare il punto solo con una certa botta di culo… che non ho. Arrivo infatti dritto ad una buca che ha sopra di traverso un “albero” spesso quanto il mio braccio. Con una lanterna! E’ la mia? Io cerco la 54… la lanterna è la 72. Andiamo benone! Per fortuna dal mio campo visivo di destra compare il geometra Cignini. Segue uno scambio di battute abbastanza assurdo nel quale io gli indico la 72, lui capisce “82” (che sta cercando!) e mi indica il punto sul quale pensa di trovarsi. Io riparto da lì e lo sento dire “Ma questa è la 82, non la 72!”, e riparte in direzione opposta. Il bello della faccenda è che, partendo da un punto a caso che non ci azzecca niente, io finisco dritto sulla mia 54 e lui dritto sulla sua 82! Seguono i soliti “rimbalzi” da un punto all’altro delle classiche gare middle slovene, un paio di ascese sulla linea di massima pendenza per non poche curve di livello ed un passaggio “non è un paese per chi soffre di vertigini!” sul quale ritrovo Enrico che ha scelto anche lui di dimostrare che siamo stati punti dal ragno radioattivo come Peter Parker! Nel finale, una lanterna 11 trovata più per caso che per amore della tecnica “Andiamo a vedere il codice… si sa mai che passa qualcuno che me la chiede, così gli indico dov’è e nel frattempo mi faccio dire dove siamo… ah! Ma è la mia!! E questo sarebbe un avvallamento?!? E quel muro di sassi contro cui è appoggiata che c’entra?!?!?”, e poi una zona conclusiva più filante su un percorso molto simile a quello delle W35, così che io e l’olandese Olga ci facciamo compagnia fino al traguardo dove arrivo in poco meno di un’ora e mezza.


Il secondo giorno si corre a Gladka Dolina, un’altra middle da 6 km + 200 metri di dislivello e 24 puntidi controllo come piacciono a me. In effetti, dopo aver trovato la prima lanterna in modo un po’ tremebondo (memore del giorno prima…), i successivi 9 punti sono tutti accatastati uno sull’altro nella zona con tutte le buche, i sassi e le rocce affioranti, ed è un gran bel divertimento usare il punto di controllo appena trovato come punto d’attacco per quello successivo. Anche dalla 10 alla 15 le tratte sono appena più lunghe ma ci si trasferisce in una zona della carta con un bosco molto meno ripido e con i movimenti del terreno assai più fluidi e dolci (sarà il terreno di gara del trail-o del pomeriggio). Purtroppo per me, dopo essere passato alla 15 in quasi 58 minuti di gara ed aver messo nel mirino l’ora e mezza, la 16 prevede una discesa di quasi 15 curve di livello che devono essere riguadagnate prima con l’attraversamento di un verdino feroce che mi manda l’ago della benzina in zona rossa, e poi co la solita risalita per la linea di massima pendenza. Quello che torna alla 20 (uguale alla 15, trattandosi di loop) è uno Stegal in versione zombie che ha ben poco da dare ancora e che fino al traguardo metterà insieme parecchi svarioni fino a concludere in totale debito di energie in 1 ora e 50 minuti…


Nel pomeriggio, prima gara della tre giorni di trail-o. Prima però c’è tempo per 45 minuti buoni di Camel Trophy sloveno per riportare la macchina dalla zona del parcheggio alla strada carrabile, facendo il giro in senso unico di tutte le montagne circostanti su strade sterrate che metteranno a durissima prova sospensioni, trasmissioni e soprattutto pneumatici dei concorrenti. Poiché non ho la voglia n éla forza di mangiare dopo quasi 2 ore di gara + 45 minuti di rally, prendo il mio trail-o un po’ alla leggera finendo per commettere più errori del dovuto, soprattutto nella seconda parte di gara nella quale non ho più lo spirito e l’adrenalina per aggredire le piazzole ma lascio che le risposte (qualunque esse siano) vengano a me… e non sempre (ovviamente) arrivano!

Terza tappa a Vrsan Vhr, ed è abbastanza temuta (sa me) perché cominciano ad essere 6.5 km + 235 metri di dislivello per 17 punti di controllo. Il che fa presagire quelle belle tirate lunghe “stile Rocco Siffredi” che non piacciono a me. Ed in effetti la prima parola che pronuncio allo start delle 10.01 dopo aver guardato la cartina è “Minkia!”: sei lanterne in un fazzoletto e poi una tirata di 1300 metri lineari. Poi altre 4 lanterne in un fazzoletto ed altre 4 tirate lunghe fino al traguardo. Taro la testa sui 120 minuti di gara e mi metto il cuore in pace quando, dopo la 6, devo attraversare tutta la cartina in senso longitudinale; il fatto è che ci metto, è vero, 20 minuti, ma quando arrivo alla settima lanterna mi convinco quasi che anche le tirate lunghe non fanno più paura. Mentalmente, però, non “cambio ritmo” e sbaglio di brutto la 8 che sta a nemmeno 100 metri, restando corto perché non capisco che devo tornare a fare orientamento fine. Cerco di rimettere la testa sulla carta e per la 9 addirittura esco di cartina senza vedere un sentier(ino) che fa da margine alla zona cartografata, trovandomi peraltro in discreta compagnia con altri colleghi e colleghe di sventura (una di queste, una slovacca coi capelli rossi, credo si stia ancora pentendo di avermi seguito con fiducia). Riesco a rientrare un po’ in sintonia con la carta sulla 10 ed 11 che sono ancora corte, e poi mi accompagno verso il traguardo al ritmo dei piedi che ormai fanno “stump stump tonf tonf” e non il “tràppete tràppete”. Dalla 15 alla 16 (penultimo punto appena sopra la zona arrivo) è un altro chilometro buono di bosco nel quale l’unica cosa sensata sarebbe seguire i rumori che giungono dall’arena di arrivo e appoggiarsi al sentier(one) che fa da margine alla carta e che porta all’arrivo… ed invece mi fermo solo quando arrivo alla strada e trovo il parcheggio con le macchine! Insomma: per la seconda volta nella stessa gara sono finito fuori cartina! Cosa che mi sarà successa solo un paio di volte prima d’ora, ed io vado a rifarlo due volte nello stesso giorno. Piuttosto che cercare il punto rientrando in carta, preferisco abbandonare la dignità e scendere al traguardo lungo la strada e, da qui, risalire penosamente fino alla 16 del misfatto e poi scendere di nuovo al traguardo… spero che tutti i concorrenti che ho incontrato nella zona parcheggio abbiano pensato che stavo facendo defaticamento! Segue un curioso siparietto con il capoccia dell’organizzazione… IO: “L’ultimo giorno ho la partenza alle 12.45. Non è che si avete un buco in griglia per anticiparmela?” LUI: “Credimi. Sono venuti in tanti a chiedermi la stessa cosa” IO: “Ok, capisco. Mi spiace perché credo che dovrete aspettarmi parecchio al traguardo” LUI: “Quanto tempo hai impiegato oggi?” IO: “Due ore e dodici minuti. E sono uscito due volte di cartina!” LUI (rassegnato, si vede già ad attendermi al tramonto): “Ok, vedrò quello che posso fare…”.


Il pomeriggio prevede la seconda tappa del trail-o, quella tracciata da Marco Giovannini. Tengo molto a questa gara, pur sapendo di avere poche possibilità di ben figurare, perché è tracciata da Marco di cui sono stato controllore ad una Coppa Italia. Purtroppo, soprattutto nella prima metà di gara, la maggior parte delle mie valutazioni (distanze, curve di livello, angoli) si rivelano errate; la seconda parte di gara è un calvario di fatica dovuta a calo di zuccheri ed energie. Finisco la gara vedendo buio a macchie davanti a me e facendo fatica a mettere i piedi uno davanti all’altro, come un pugile suonato…

… e preoccupato. Perché il quarto giorno si va a Stonah! E’ “la carta”, quella che anni addietro aveva mandato in crisi tanti Elite. E’ “il percorso”, quello con 6,5 km + 520 metri di dislivello. E’ “il tracciato”, perché Stonah non perdona(h) con le sue zone dettagliatissime e le pendenze improvvise e le ampie zone rocciose sulle quali è impossibile procedere diritti. L’impiegato panzottello mette nel mirino le tre ore di gara, e credetemi che bisogna farsi un training autogeno grande così perché quando la prima ora di gara se ne è andata, vuol dire che non si è nemmeno a metà gara, e quando si arriva vicini alle due ore di gara e le energie sono al lumicino bisogna tenerne ancora di riserva per gli ultimi 60 minuti di fatica, mica 10-15 minuti che vanno via facili! Parto lentamente sui primi punti che sono molto vicini tra loro, e non pago nemmeno tanto il fatto che dalla 1 vado verso la 5 anziché la 2 (sono qui per arrivare al traguardo, non per vincere la gara). Punto dopo punto, fatica dopo fatica, indecisione dopo indecisione (ma nemmeno tante!) supero l’ora di gara quando sono al decimo punto, arrivo al ristoro-benedetto-ristoro in un’ora e quindici minuti, sbaglio ancora parecchio (in buona compagnia) alla 15 ed alla 16 ma a quel punto è giunta l’ora di riprendere la via per il traguardo, con gli ultimi punti che sono sì tirate lunghe ma portano dritti all’arrivo. Mi immagino addirittura di poter chiudere sotto le due ore e mezza che, se io fossi partito per ultimo, rappresenterebbero il tempo limite di gara, e lotto veramente con tutte le forze che ho ancora per cercare di raggiungere almeno questo obiettivo. Due ore e dieci, due e venti, due e venticinque… arrivo al penultimo punto in 2.28.37 e trovo le forze per tuffare il cuore (e la panza) oltre l’ultimo ostacolo di verdone, dritto verso la 100. Sprinto sul traguardo e per una volta forse i piedi fanno veramente “tràppete tràppete” e non “tonf tonf stump”: due ore, ventinove minuti e 55 secondi. Forse ce ne vuole davvero di coraggio da parte mia per dire Obiettivo Raggiunto, ma “non è da questi particolari che si giudica un giocatore”… mentre scrivo queste parole, la carta di Stonah è davanti a me sulla scrivania ed ancora, nonostante siano passati pochissimi giorni, sono qui a chiedermi come sia stato possibile non solo concludere il percorso, ma anche riuscirci in un tempo tutto sommato ragionevole. Chi volesse smentire, non ha che da andare a Storika Planina (Slovenia) e provarci…


Il fatto di essere rimasto sotto alle due ore e mezza mi dà anche un certo morale per l’ultima tappa del trail-o, sul quale stavolta riesco a rimanere concentrato (onestamente il percorso è un po’ più facile rispetto a quello dei giorni precedenti): il risultato mi vedrà al traguardo con due soli errori, forse sui due punti  più opinabili, e qualche posizione guadagnata in classifica generale.

L’ultima tappa si svolge a Dravh, sempre nella zona di Storiska Planina ma sul versante della montagna dov si sono le piste da sci. Gli organizzatori si dannano l’anima per farci tre regali: la tappa è davvero corta, si corre sulla carta 1:7.500 e si può arrivare in partenza in seggiovia anziché smazzarsi 180 metri di dislivello. Sulla zona tira un vento freddo che annulla gli effetti del sole caldo: in area partenza, sul pascolo, ci sdraiamo nell’erba tra felci ed ortiche per lasciare che il vento passi sopra il livello dell’erba senza congelarci. La partenza, al di là di un piccolo bosco, si sviluppa su una zona di pascolo davvero scoscesa, con erba alta, fondo irregolare e soprattutto bagnato; impossibile per i miei quasi-due-metri stare in piedi! L’andatura diventa quindi un continuo procedere come se fossi in salita, nonostante la direzione che percorro sia nettamente in curva di livello. Dopo 5 punti a continuo rimbalzo da una parte all’altra di un grosso avvallamento, la tratta 5-6 mette a dura prova il mio equilibrio, e non solo fisico: occorre infatti scendere di traverso tra le rocce per una quindicina di curve di livello. La situazione che mi si para davanti sembra quella di un videogame, il primo livello del vecchio “Troll” nel quale bisogna evitare le pietre che il passaggio dei concorrenti più in alto fa cadere copiosamente a valle; si aggiungano un paio di passaggi nei quali impiegare veramente i poteri di SpiderMan, altre situazioni nelle quali il mio sguardo si posa un paio di metri davanti a me in linea orizzontale ma un paio di decine in verticale… e quando finalmente e sospirando di sollievo arrivo alla sesta lanterna le mie energie mentali sono belle che andate! Quasi altre 15 curve a scendere di nuovo tra le rocce per arrivare alla 7, e sono nel francobollo di carta iperdettagliatissimo 7-12 ma le energie e soprattutto l’adrenalina non ci sono più: metto insieme parecchi svarioni (non sarò il solo) ed una serie di punti trovati a modo di “vado là e guardo dietro a tutti i sassi ed in tutte le buche” ed è con un certo sollievo che dalla 12 prendo la strada della 13 e dell’arrivo… in salita!!! Termino la gara in un’ora e 8 minuti, ma il ritmo è quello dei giorni precedenti e questa era veramente corta, e devo dire che stavolta dopo 8 gare e tante pietre e buche e rocce e Stonah sono quasi contento che il giorno dopo non ci sia da tornare a mettere la maglietta “Don’t stop hope”.


Come proseguiranno le avventure? Non lo so, però l’ultimo volantino che ho trovato sul parabrezza dell’auto dice: 8-12 marzo 2014 Lipica Open, 15-20 luglio 2014 Cerkno Cup, 24-28 luglio 2014 Bubo Cup, 1-5 agosto 2014 OOCup. Ho predetto che la Slovenia sarà la prossima nazione a sorpassarci nel ranking mondiale. Sarà che hanno boschi come questi proprio sull’uscio di casa, ma se il livello delle organizzazioni rimane quello di quest’ultima OOCup, una capatina ad uno degli appuntamenti qui sopra indicati occorrerà proprio che io vada a farla.



(la cascata di Slap Savica: bellissima!)

30 anni dopo... io ricordo.

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Sono passati 30 anni. 
Eppure sembra ieri perché, ogni volta che serve una scossa di adrenalina, c'è quel film che passa nella mente: Paolo Rosi, e l'ultimo giro di Helsinki 1983.
Dopo 30 anni, è giunto per me il momento di raccontare anche quella storia: 
(se penso alla fatica che ha fatto Larry per trovare tutti i link delle 8 puntate...)

Ora si volta pagina: è il momento di pensare a qualcosa di nuovo dopo aver concluso una storia che era iniziata il 17 maggio 2012. Ma non sarà mai il momento di smettere di sognare!

Il Morb(i)o di Stegal

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Il Morb(i)o di Stegal è causato da una insufficienza cerebrale cronica: il contenuto della scatola cranica produce nei soggetti colpiti da questa patologia una proteina, l’Intelligentina, in scarsa quantità. La conseguenza è una serie di disturbi che caratterizzano il Morb(i)o: stanchezza cronica, difficoltà di corsa, scarso senso dell’orientamento, imprecisione nella lettura, miraggi… Le statistiche dicono che viene colpita una persona su 330, di solito quella più panzottella o più impiegatizia delle 330 (se i tratti della persona in questione sono sia impiegatizi che panzottelli, la probabilità si impenna). Prima che il paziente possa manifestare tali sintomi, il Morb(i)o può  essere diagnosticato attraverso una attenta lettura della cosiddetta “griglia di partenza”, ma coloro che sono a rischio di essere colpiti dal Morb(i)o potrebbero attivare una terapia immunitaria attraverso l’esame del referto noto come “lunghezza e dislivello”.

Per tutti coloro che non fossero del tutto coscienti della geografia del Canton Ticino, Morbio (senza parentesi) è un dolce paesino posto pochi chilometri al di là del confine elvetico, a non più di 60 chilometri da Milano. Esso accoglie il viandante, o l’occasionale orientista recatosi con fiducia ad una gara del TMO (che non vuol dire Terrorizzo Milanesi Ovunque ma Trofeo Miglior Orientista), con un bel cartello che dice “Morbio Inferiore”… poco importa alle cronache mondane, più impegnate a riferire di scontri in piazza a Verona ed arresti di orientisti in massa, se domenica scorsa mi è toccato transitare sicuramente anche per Morbio Superiore, poi sarò passato sicuramente anche per una Morbio Ulteriore, una Morbio Excelsior, una Morbio “per aspera ad astra” ed infine una Morbio “tempo che arrivi qui, abbiamo asfaltato un altro pezzo di strada… in salita!”.

Il problema è che io, non essendo auto-immune dal Morb(i)o e non avendo attivato per tempo la terapia “lunghezza e dislivello”, ho immagazzinato nel cervello una quantità di informazioni che possono essere così sintetizzate: sprint + in paese + terreno piatto + un bel modo di ricominciare la stagione dopo la pausa estiva. Dove posso aver sentito dire che la gara fosse una sprint, non è dato sapere (5,5 km). Il fatto che fosse in paese, ok… più o meno… un paese insidioso, variegato, e con un paio di passaggi nel verde (verde orientistico) come capita spesso di fare in Ticino… e poi qualcuno si domanda ancora come fanno i ticinesi a diventare campioni e campionesse del mondo master!

Piatto. Ecco… questo è il pensiero che fa subito pendere l’ago della bilancia verso la diagnosi del Morb(i)o. Eppure dovrei saperlo. Dovrei saperlo! Ci hanno fatto persino una domanda su QuizCross! Qual è l’unica professione che io non potrei mai esercitare in Ticino? Il fabbricante di livelle! In Ticino, ovunque posi una livella, quella cacchio di bolla schizzerà immediatamente da una parte o dall’altra. Non c’è modo di evitarlo: non esiste in Ticino una superficie più larga di 10 metri per 10 metri completamente piatta; persino i campi da calcio sono a dorso di mulo, chi ha inventato il cartone animato di Holly e Benji si è ispirato in Ticino! Persino la palestra del Pregassona era in salita (e il tabelloni erano di legno, ma questo è un altro discorso…)!!!

Così domenica mattina mi sono messo in tiro, mi sono infiocchettato e profumato, ho indossato la più bella divisa del reame (quella con i colori turchesi dell’AGET, no shit!... è la più bella. Punto!) ed ho valicato il confine di stato al grido di “è qui la gara sprint piatta per ricominciare la stagione?”. Sono convinto che la capitana dell’AGET, Lidia, nel leggere le griglie di partenza abbia sospirato e le palpebre le siano andate un po’ indietro: mi sono infatti iscritto in HAL, che non è il computer di “2001 Odissea nello Spazio” e nemmeno un acronimo realizzato retrocedendo di una lettera la sigla IBM, ma vuol dire “Esemplare maschio di primissima categoria orientistica cimentantesi sul percorso più lungo”. Mi sono trovato colà in compagnia del già campione italiano e futuro campione italiano Sebastian Inderst, del futuro campione svizzero o italiano (se sua mamma mi desse retta!) Tobia Pezzati il quale, allora solo sedicenne, riuscì a pettinare per benino tutti i nostri junior ai Campionati Italiani Middle di Cinte Tesino, e di altri vari dignitari di alto lignaggio. 

Chi partiva davanti a me in griglia poteva considerarsi salvo; c’era infatti il rischio che chi fosse partito dopo di me si trovasse la strada sbarrata da un ammasso di carne flaccidolenta da dribblare con una scelta di percorso penalizzante. Flaccidolenta tuttavia elegantissima, accidenti! Perché la capitana mi ha recapitato a Morb(i)o sia la nuovissima-più-bella-ancora tuta dell’AGET sia un training trimtex da urlo in passerella che ha fatto dire ad una persona che non cito “vestito così, sembri un atleta persino tu!”. Il training farà la sua comparsa sui prossimi campi di gara: le mie fans sono pregate di mettersi in coda per l’autografo e di non lanciare mutandine sul palco!

Poiché si sono almeno 30 gradi di temperatura (e 40 sull’asfalto), la mia partenza è alle 11.54 e soffia un vento caldo che asciugherà qualunque goccia di sudore, mi tocca togliere a malincuore il training e dare una occhiata intorno: pareti di montagna ovunque, ma tanto la gara è sprint (ancora ‘sta sprint???) e sarà tutta qui attorno, no? I primi dubbi nascono spontanei all’arrivo al traguardo del “66 virgola sei periodico” per cento dell’OK Bovec, ma il 66,6% quello forte: Metka e Kristian. Hanno posato un po’ di punti e provato il percorso… e sono sfatti da paura! Quindi… quindi quel foglio di carta che diceva “250 metri di dislivello” non conteneva un refuso??? Accidempolina. Sarà il caso di mettersi di impegno e cercare di portare a casa la pellaccia. Mentalmente, mi faccio un appunto : sarà importante soprattutto non commettere alcun errore, anche perché il commento del 33,3 periodico per cento femminile dell’OK Bovec è che la gara è ancora più dura di quello che dicono la lunghezza ed il dislivello. Potrei scrivermelo persino sul braccio: “non fare errori stupidi!” (sottotitolo: “tanto hai già fatto quello più grosso al momento di scegliere la categoria”). Purtroppo devo essere arrivato da casa con l’intera dotazione di Carioca vecchi come il cucco, o con il set di penne di James Bond: solo inchiostro simpatico, sul braccio non rimane scritta una fava ed il proposito di non commettere errori sparisce subito come una lacrima nella pioggia.

Il secondo leggerissimo (!) errore consiste nel voler essere troppo per benino, troppo perfettino e troppo pulitino nel mio gareggiare in Svizzera. Faccio il paragone con il personaggio del vecchio marpione che, avendo garantito alla ex moglie che per un po’ si sarebbe astenuto dal correre dietro alle gonnelle, rifiuta le avances di una comitiva di fanciulle. Spiego meglio. Poiché sono italiano in terra elvetica, e ci pensano già i miei connazionali non orientisti a fare quotidiane figure di emme e a tramandare generazione dopo generazione il vecchio detto “same ities always cheating” (da canticchiare sulla melodia del Big Ben), e poiché l’AGET Lugano va fiero del fair play dei propri tesserati, ben in 45 al via a Morb(i)o, io sto sempre attentissimo a rispettare qualunque norma del regolamento della gara: passaggi forse proibiti forse , verdi apparentemente privati, campi coltivati ma anche no… se in Italia sto con le antenne drizzate almeno su un canale analogico, quando corro in Svizzera metto su anche il digitale, la parabola, il decoder e l’alta definizione: non ho nulla da vincere in Italia, figuriamoci in Svizzera!, ma potrei perdere la faccia (non voglio farlo in Italia, figuriamoci in Svizzera) e soprattutto non voglio creare alcun problema alla mia squadra, anche perché in Svizzera non ci pensano su due volte a buttarti fuori di classifica per un taglio fuori programma, magari nemmeno voluto. Altro che i tre gradi di giudizio, la Cassazione, la Consulta, l’Alto Commissario e poi ci si mangia insieme una amatriciana e amici come prima!

Il leggerissimo errore di cui dicevo sopra, quindi, sta nel fatto che le righe barrate rosse che compaiono sulla mappa tutto attorno alla zona di partenza non sono, come da me ipotizzato, un chiaro evidente segnale del fatto che quella strada non è percorribile. Infatti le linee barrate rosse lasciano uno spazio largo un micron su un lato della strada, in corrispondenza del marciapiede. Come avrei potuto accorgermene? Semplice: su quella strada è segnato un passaggio obbligato che non avrebbe ragione di esistere, ed anche l'inchiostro utilizzato per evidenziarlo avrebbe necessitato di essere consumato, se su quella strada non ci si potesse passare! Qui di seguito la carta di gara, gentilmente passatami dal co-speaker dei JWOC ticinesi Filippo Pezzati.



Quindi, una volta preso il via, la scelta giusta sarebbe stata quella di salire-salire-salire fino alla 1. Cosa ha fatto invece Stegal, tutto preso dal suo fair play e dal fatto che non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che si potesse passare? Attenzione, non ridete (oppure si, ridete, che cavolo mi frega?). Tutto a nord-est fino alla fine della strada, GIU’ (!!!) per le scalette, di nuovo a nord-est fino all’incrocio bello grosso, poi SU in salita ad incrociare la tratta 1-2, giro in senso antiorario attorno al complesso di edifici con il cortile che contiene la 1 e finalmente punzono. E ho già perso più di 4 minuti rispetto al tempo del vincitore. Il bello è che, mentre mi sciroppo tutto questo, il mio unico pensiero è “però… che scelta controintuitiva…” (!) “che bel tracciato… chissà se qualcuno perderà tempo cercando di voler tagliare nelle stradine senza uscita…” (!!). Ma il pensiero più bello di tutti arriva mentre sulla salita sto per incrociare la tratta 1-2 e soprattutto incrocio Gianni Guglielmetti che, partito 4 minuti prima di me, stava già scendendo verso la 5: “mmmhhh… guarda che faccia sorpresa che fa il Gianni… si vede che gli ho già recuperato qualcosa… vai così!”. Invece, ne sono sicuro, il Gianni stava pensando “ma da dove cavolo arriva questo???”. E dico “cavolo” perché i ragazzi ticinesi, Gianni per primo, sono tutti educatissimi e non arriverebbero ad inserire nella frase quella parola che fa rima con “pazzo”… anche se in un caso come questo ci starebbe benissimo!

Il giro 1-2-3-4 è bello, ma proprio bello bello bello e non sarà l'unico! Tutte tratte non sempre intuibili in un battibaleno, non per me almeno. Nel punto in cui la mia scelta 3-4 incrocia la linea immaginaria che porta dalla 4 alla 13… caspita: non vedo le linee conduttrici ma vedo le linee immaginarie! Deve essere un effetto secondario del Morb(i)o di Stegal… in quel punto incrocio Kristian che sta pattugliando il paese (come se in Svizzera sparissero le lanterne) e che mi fa segno “vai così! Vai così!”. Invece dovrebbe chiamare il soccorso alpino. In quel frangente io do il meglio di me, producendomi in una spettacolare imitazione di Giuliano Gemma nell’immortale sequenza di “Anche gli angeli mangiano fagioli”… non nel senso che mi metto ad andare a trazione posteriore ma nel senso di quel che succede al minuto 1:06, ed anche più tardi, di questa sequenza finale http://www.youtube.com/watch?v=tKT2dtw5Sig

Dopo che mi sono fatto venire il mal di testa per andare alla 4, è tempo di scendere alla 5, di raggiungere la 6 sotto la caldazza infernale e, una volta giunto qui, scegliere tra la morte per sedia elettrica e quella per impiccagione per arrivare alla 7. Due alternative? Forse addirittura tre: c’è anche l’iniezione letale! Infatti c’è chi come me sceglie la sedia elettrica andando a destra, su per i campi e poi di traverso sui sentieri percorribili per arrivare alla 7 da sud-est (e qui, chissà come mai, mi accorgo che la strada ha un lato praticabile); ma c’è anche chi sceglie l’impiccagione, riprendendo tutta la strada verso nord-ovest e tagliando poi per un sentierino quasi invisibile. Ed infine c’è l’”iniezione letale”: dritto sotto la linea magenta! Ma come? C’è una zona larga come l’estuario del Tamigi di verde in-attraversabile + una parete di roccia che al confronto certe carte della Croatia Open sono dei prati all’inglese?!? Beh... come dicevo prima, non andate a chiedervi come mai nella piccola popolazione di orientisti ticinesi ci sono un certo qual numero di campioni del mondo master!

“Per fortuna che la salita è finita” disse Pinocchio rompendo immediatamente una finestra con il naso! Per andare alla 9 prendo la circonvallazione nord, ripasso come Giuliano Gemma davanti a “Sorriso” Kristian che ancora una volta non chiama il soccorso alpino, e arrivo al punto da sud. Andare alla 10 vuol dire raccapezzarsi tra il sudore, la fatica e tutte quelle righe nere di recinti non attraversabili che sembrano una versione complicata dello Shanghai. Idem dalla 10 alla 11, beccando un micron quadrato di carta che rappresenta una scaletta che butta subito sulla strada principale; Metka mi dirà di non averla vista, ma io rispetto a lei ho il vantaggio di andare solo a due chilometri all’ora. Anche dalla 12 alla 13 faccio una cosa carina andando a nord a prendere un’altra scaletta da un micron quadrato (Metka mi dirà di non aver visto nemmeno questa, ma ormai io vado a 1,5 km all’ora… e vedo anche le imperfezioni del toner). Dalla 13 alla 14 in senso orario, e poi alla 15 è tutto facile se non fosse che vado al sasso che si trova a nord del punto!
La 16 non è difficile, basta guardare dove mettere i piedi in quel verdino insidioso spacca caviglie, ed è divertentissimo anche tutto il giro 17-23 attorno a quella che potrebbe essere una vecchia centrale idroelettrica (di sicuro una industria) e sulla collina appena al di là della Breggia. Intanto uno dei due neuroni della testa intona il canto “ma non era in paese?”, solo che l’altro neurone è disattento perché pensa che era una sprint e tutti e due si prendono a cazzotti rinfacciando all’altro che il percorso era piatto!

L’ultima insidia alla 25, che è SOTTO il ponte, sul greto della Breggia; poi una risalita alla 26 talmente faticosa che quel punto lo si può pure sbagliare (non è successo a me, né ad alcuno della mia categoria, ma è successo…) ed infine la 27 presa dall’arrivo da tanto che era invitante il sentierino sotto la 26: invitante quel sentierino lo era davvero, meno lo è stata la risalita di quelle 4 curve di livello dalla 28 alla 27 nella terra asciuttissima, e ancor meno la discesa ad aggrapparsi agli alberi! E poi finisce. Finisce la HAL sprint, piatta, in paese che mi ero sognato in chissà quale film e finisce la middle non piatta, non tutta in paese, che mi sognerò ad occhi aperti quando penserò a questa gara come esempio di come potrebbero essere tracciate tante gare middle divertentissime senza dover cartografare e gareggiare per forza di cose a 50 chilometri e 5000 curve dal più vicino centro abitato.

Era talmente tanta la voglia di sognare che, chissà perché (o forse lo so io il perché) mi sono ritrovato nel mondo dei sogni già pochi minuti dopo aver raggiunto il traguardo: un bel coccolone da caldo e la pressione che, ancora dopo un’ora abbondante dal termine della gara, faticava a raggiungere come valore massimo un numero a tre cifre. Ma questo ed altro per la scienza, questo ed altro per poter aggiungere un altro sintomo, o meglio un altro effetto collaterale, di quello che da oggi in poi sarà ufficialmente noto su tutte le enciclopedie mediche come “il Morb(i)o di Stegal”!

Ci si vede alla prossima faticaccia, al prossimo manifestarsi della malattia o più probabilmente al prossimo errore di iscrizione; non faticherete a trovarmi: sarò quello fighissimo, nel nuovo training AGET Lugano!!!

My Own Private Aprica

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Uno

Uno come “uno qualunque”. Uno come tanti. Uno come me. Un Uno che parte al pomeriggio di venerdì verso 48 ore di passione, con un trasporto multimodale “à la Remò Madellà” tram + metro + treno + pullman e con la musica di Battisti, Dire Straits e Beatles nelle orecchie. La giornata è piena di luce. Il treno è pieno di persone, ognuna con la sua storia. Perché un viaggio in treno da soli è soprattutto un viaggio personale dentro il proprio animo. Ci sono le due ragazzine che vanno a trascorrere il fine settimana una a casa dell’altra e che si sono tirate a lucido per la festa della birra; ci sono i pendolari che terminano una  settimana di lavoro e scendono a Lecco ; poi le famigliole che si spostano per un ultimo fine settimana di sole verso le località del lago o della Valtellina. E infine ci sono i lupi solitari, come me, che impiegano il viaggio pensando alla propria storia personale, a ciò che hanno passato e a quel che riserva loro l’immediato futuro, con un po’ di musica nelle orecchie ad accompagnare, i passaggi splendidi a bordo lago e poi la Valtellina che si apre dopo Colico. All’altezza di Sondrio restiamo nel vagone in quattro. Quattro persone solitarie, quattro storie. Se anche qualcuno me la avesse chiesta, la mia storia non l’avrei raccontata a nessuno: chi avrebbe creduto ad un pennellone panzottello che diceva di andare all’Aprica per i campionati italiani di orienteering?

Due

Due uomini in seggiovia, per tacer della pala. Il primo, quello seduto a destra, è bardato in giacca a vento e pantaloni pesanti; l’altro, a sinistra, frappone tra se ed il gelo mattutino dei 2000 di altitudine un sottile strato di trimtex ed una assai più spessa gettata di grasso sottocutaneo (bussola e sicard proteggono dal freddo una superficie di pelle pari a “tracce”). Quello di destra è avvezzo alle salite in seggiovia perché nel  ruolo di cartografo è più agevole, almeno così la penso io, lavorare “a scendere”; quello di sinistra odia le seggiovie fin da quando, ragazzo, rimase fermo per una trentina di minuti in precarie condizioni a parecchi metri dal suolo sulla seggiovia del Ghiacciaio Presena. Eppure mi viene in mente che l’ultima ascesa in seggiovia l’ho fatta non più tardi di 40 giorni fa, all’ultima tappa della OOCup slovena! Quello di destra è Francesco Giandomenico, che sale verso la partenza attorno alle 7.40 del sabato con una pala in mano ed una scatola di “stazioni” appoggiata sulle gambe. A cosa servono le stazioni, noi lo sappiamo; la pala sarà utile per eliminare dalla zona di discesa dalla seggiovia una bella serie di “boasse” di pura marca bovina, ma anche per indicare all’altro, il sottoscritto, da che parte si trova la partenza: quando prendo il via alle 7.58 del mattino, infatti, il terreno non è fettucciato, ed il corridoio di partenza è ancora ben al di là da venire; ho sempre in mente quello che mi successe alle Capanne di Marcarolo quando, anche allora speaker e primo partente, mi precipitai giù per un avvallamento che avrei dovuto percorrere in salita! Adesso chiedo sempre di indicarmi almeno la direzione generica che prenderanno gli altri concorrenti, messi nella giusta posizione dalle fettucce, dai cancelli di partenza e magari da una lanterna svedese, giusto per evitare di dover orientare la carta fin dal triangolo di partenza!


Tre

Alla lanterna 3 del mio percorso M40 del Campionato Italiano Long Distance 2013 sono convinto di essere un Elite. Oppure la partenza è davvero banale. Split degli altri concorrenti alla mano, alla lanterna 1 sono terzo in classifica: lascio indietro qualcuno degli altri ragazzi anche di quattro, cinque o sei minuti (faccio fatica ancora adesso a capire cosa ha combinato l’amico Fabio Hueller!); eppure l’unica difficoltà mi sembra quella di restare in piedi sui lastroni di pietra liscia, fradici di pioggia notturna. Il paletto della 1, poi della 2 sull’unica collinetta della zona e poi quello della 3 dietro al sasso sembrano fasi letteralmente incontro a me. Ho già visto dove mi butterà il percorso di Paolo Mario Grassi, eppure mentre imbocco la prima pista da sci per spostarmi dalla lanterna 3 alla zona del secondo loop, giro la cartina per controllare la descrizione punti: c’è proprio scritto M40. Allora sono un Elite! Oppure ho imparato a mettere nel mirino i paletti di ferro che, attorno alle 8 del mattino, ancora non sono bardati con il loro bel cappellino rosso brillante e la loro bella sottana bianca e arancione.

Quattro

Quante le volte che sono precipitato al suolo durante la gara del sabato. E quando dico “precipitato”, so esattamente cosa voglio dire. Stegal cade la prima volta nella discesa dalla 6 alla 7, facendosi sentire chiaramente dai due tizi che stanno portando le mucche al pascolo sulla pista da sci. Poi cade la seconda volta nel tentativo di scendere verso il bosco dalla stessa pista da sci: una caduta nella quale solo un poderoso colpo di reni riesce a far planare il mio petto al di là di una piantagione di ortiche (le gambe sono fottute, ma chi se ne frega delle gambe…). La terza caduta subito dopo le panche che sovrastano il punto 10 e la quarta caduta nella palude che sta vicino al punto 12. Mentre affronto la giungla attorno a quest’ultima lanterna, che vedo da abbastanza lontano perché adesso ci sono le mantelline ma devo prima aprirmi la strada con il machete, mi sovviene alla mente uno dei miei migliori “topos” omerici (al plurale pensavo che avrei dovuto scrivere “topoi”, ma viene male, e poi il mio manager mi ha appena scritto che è più giusto “topos” perché le parole prestate all’italiano, al plurale, non cambiano… ah quante cose che si imparano leggendo Stegal – sicuramente non l’orienteering però!): “il primo che è passato da lì è un eroe”. Un istante dopo ricordo che il primo che passa da lì sono io, ammetto con me stesso che non sempre le metafore nascondono una verità assoluta. Da quel punto in poi non c’è un solo posto per cadere: è salita. Salita pura. Pura e veramente bastarda.

Cinque

Sono i metri di dislivello tra una curva di livello e l’altra. Vista la conformazione della carta, il percorso mi consente di arrivare al punto 12 (quello con la lanterna lanciata sul punto con un giavellotto o calata dall’alto con l’elicottero) percorrendo pochi risibili metri di salita, perlopiù nel loop 4-5-6 e a causa di un attacco al punto 6 un po’ alla rampazzo… Però si tratta di un campionato italiano di orienteering, non del campionato italiano di discesa libera; il dislivello, indicato sul percorso come superiore ai 200 metri, deve essere da qualche parte… ehi! Eccolo! Non che ne sentissi la mancanza… Il fatto è che io arrivo al punto 12 già al lumicino delle forze, anche se fino a quel punto ho corso perlopiù con il paracadute sulla schiena come Karl Malone in allenamento (e, visto quanto detto al punto 4, il paracadute non è servito molto). La risalita alla 13 è penosa e pietosa, meno che umana: faccio del mio meglio per tenere nel serbatoio quella goccia di benzina che mi consentirebbe, nel mio immaginario personale, di transitare sotto la cabinovia con una andatura senz’altro meno che decente ma perlomeno dignitosa… purtroppo le grandi compagnie petrolifere hanno chiusi gli oleodotti e l’ago del carburante è in zona rossa che può rossa non si può. Mi limito a sperare, ricordo nettamente di essere stato colpito da questo pensiero, che nessuno stia guardando verso il basso, o che tutti gli orientisti siano ormai giunti da tempo al ritrovo! Arrivo alla 13, poi sulla 14 a salire e scendere in un terreno infido. Per andare verso la 15 ci sarebbe una invitantissima traccia in costa: allettante come una fontana di acqua cristallina per chi ha attraversato il deserto, o come una splendida vamp che ti invita ad entrare nel locale notturno promettendo chissà quali delizie. Percorro qualche metro e l’ultimo barlume di luce mi schiaffeggia, come la comprensione del fatto che quella traccia arriverebbe dritta al fiume e da lì in poi la risalita alla 15 sarebbe davvero un calvario; massima pendenza per massima pendenza, tanto vale risalire subito fino al sentiero e arrivare al sasso da est. Infine l’ultimo punto, ancora in salita, ancora a soffrire per raggiungere il termine del recinto (le reti protettive della pista); e qui non ci sono santi: è ovvio che mi vedranno tutti arrivare come uno zombie! Mentre passo sotto la seggiovia che ho utilizzato un’ora e tre quarti abbondanti prima, passano sopra di me Julia e Oxana: riesco solo ad alzare lo sguardo nella loro direzione e, nel pieno della figura di emme che sto facendo, mandare un messaggio subliminale che dice “state all’occhio, che da qui ci dovete venire su pure voi!”.

Sei

Come l’inizio di “Sei sicuro di poter fare ancora a lungo cose del genere?”. Insomma… vado per i 47 anni e la mia categoria sarebbe un’altra, sicuramente POCO più facile e POCO più corta della M40, ma APPENA UN POCO più facile e più corta. Forse che è giunta l’ora di tirare di tanto in tanto i remi in barca? Per quanto ancora ce la farò a prendere il via all’alba, con la colazione nella parte alta dello stomaco, da solo e senza compagni di avventura, a cercare nel nulla cosmico un paletto o una fettuccia o a cercare di “appoggiarmi” a qualche posatore? Ne ho avuto la prova soprattutto domenica mattina, all’alba di Aprica, quando le gambe già stanche della gara del giorno precedente sono entrate in sciopero già durante la prima salita per arrivare al ponticello. Prima o poi dovrò leggere qualche dispensa medica: quanto tempo impiega a diventare benzina per i muscoli la colazione del mattino? O devo rinunciare del tutto a questa idea visto che, senza allenamento alcuno, non esiste colazione che possa consentirmi di correre ad una andatura almeno decente?

Sette

Si ricollega al punto precedente. Sia sabato (long) che domenica (relay), la lancetta lunga dell’orologio non ha ancora raggiunto le 8 quando il sottoscritto fa partire il cronometro di gara, con la sola compagnia di Francesco Giandomenico (sabato ore 7.58) ed Ivano Benini (domenica ore 7.36). Il mondo degli orientisti nei camper, nelle camere degli alberghi, si sta appena animando. Domenica mattina, prima di partire, butto un occhio all’interno dell’hotel dove alloggia il Panda Valsugana: la loro sala colazione alle 7.15 è ancora deserta, mentre io entro qualche minuto mi butterò sotto la pioggia. La mia medaglia la vinco ogni volta che riesco a convincermi che questo è il mio modo con il quale voglio intendere il compito di speaker: non sarei in grado di raccontare nulla se non vedessi con i miei occhi i percorsi che affronteranno gli altri ragazzi e le altre ragazze, non sarei in grado di dare alcun contributo se non affrontassi le stesse salite e le stesse difficoltà degli altri concorrenti. In fondo, continuo a ripetermi, quasi tutti sopportano qualche battutina salace perché quasi tutti sanno che all’alba lo speaker ha fatto la gara nelle stesse condizioni. Forse domenica ho preso un po’ più di pioggia degli altri, forse sabato ho dovuto aprire la pista attorno alla lanterna 12, forse ho qualche difficoltà in più degli altri perché fettuccia e paletto sono meno visibili di una bella mantellina colorata (e domenica, ai punti 2 e 3, col sole ancora dietro la montagna, la visibilità nel bosco era davvero scarsa…).

Però… però non cambierei questa possibilità con nessun’altra. Ogni volta che mi cimenterò come speaker cercherò di strappare all’organizzazione una cartina di gara, e sempre per la categoria più lunga che sono in grado di fare. Ho cominciato a fare questa cosa nel lontano 2004 a Pian del Gacc, e lo so perché ho realizzato  poco tempo fa una specie di “curriculum orientistico”, ed ho mancato una sola gara in abbinata concorrente + speaker: alla staffetta del Trofeo delle Regioni di due anni fa in Liguria, e solo per motivi di trasporto. Non mi sono mai pentito della scelta che mi ha portato nel bosco all’alba, da solo, durante tanti Campionati Italiani o le 5 giorni o le Coppe Italia. Tra le soddisfazioni più notevoli della mia misera carriera orientistica ci sono alcune lanterne impossibili scovate nei posti più assurdi grazie all’aiuto del solo paletto metallico, i primi due terzi della gara di Campionato Italiano Long alla Foresta Umbra, ed i commenti di alcuni amici che tutto sommato, una volta o l’altra, vorrebbero provare la stessa sensazione. Un nome per tutti? Christine Kirchlechner ai Campionati Italiani dell’Alpe del Paneveggio! E poi il commento che fece Klaus Schgaguler al WRE middle di Asiago, mentre notavamo come il mio tempo di gara fosse il doppio del suo: “Si, ma tu l’hai fatta al buio sotto il diluvio!”. Poi mi chiedono perché ho una predilezione per Christine e Klaus…


Otto

“8” come metafora del loop finale della staffetta, per una considerazione che si appoggia al punto 7 della “Aprica dei miei sogni” (banale traduzione del titolo, trasposto da quello del film My Own Private Idaho, ovvero “l’Idaho dei miei sogni”). La gara a staffetta è la più adrenalinica, la più spumeggiante e la meno scontata tra quelle che assegnano un campionato italiano. Un tracciato molto impegnativo può dare origine ad una gara nella quale il confronto spalla a spalla viene a mancare perché i concorrenti sono più impegnati a lottare contro se stessi ed il percorso piuttosto che a sviluppare tattiche raffinate di controllo degli avversari. Uno troppo filante può favorire un vagone atleticamente al top ma orientisticamente poco preparato, rispetto a chi si presenta al via in condizioni contrarie.

La staffetta del sabato mi ha proposto entrambe le situazioni, anche se l’unico shoulder-to-shoulder che potevo fare era quello con la mia ombra… forse, se posso permettermi di fare il sofista, con un passaggio troppo brusco dall’uno all’altro approccio. Per me una prima parte sotto la pioggia nei prati, a tratti scrosciante, o nel buio del bosco che era davvero scuro ai punti 3, 5 e 6 mentre il punto 4 mi è sembrato una radurina ideale per un picnic con i sassoni a fare da panche. Poi una nuova salita verticale dalla fine del sentierino che mi ha avvicinato al punto 7 fino alla pista vicina al punto 9; qui ho incontrato il solito Moritz Etter che mi ha descritto la gara prima come facile (?), poi come quasi del tutto priva di pendenze (??), ed infine ha concluso dicendo l’immortale frase “per fortuna che almeno piove” (???)… ma lui è svizzero ed è forte, quindi la sua concezione della difficoltà e della salita è opposta ala mia.  Dal punto 9, posto in cima ad una canaletta più simile ad un fosso profondo (ma la descrizione punti parlava di avvallamento, forse alludendo alla parte terminale della canaletta stessa), una discesa in picchiata verso la zona dell’arrivo dove ho cercato senza riuscirci in alcun modo di avere una andatura perlomeno dignitosa: per mia fortuna la partenza all’alba mi ha consentito di passare in zona prima delle 8.30, con ben pochi orientisti già impegnati nelle operazioni in zona arrivo!

Le successive tratte filanti nei prati e nelle paludi avrebbero dovuto consentirmi di arrivare al traguardo in tempi rapidi. Così pensava Tommy Civera, che era in giro a controllare i punti. Così pensavo io, che ero in giro a cercare quegli stessi punti. Così non è accaduto per mio clamoroso errore: il sopracitato “8”! Dalla 11, in pura cecità da stanchezza, sono andato alla 15 (il sasso), e poi in uscita dal punto ho cercato invano l’area verde privata che doveva frapporsi tra me ed il punto successivo (che a questo punto era ovviamente il 14). Valutazione delle distanze: chi era costei? Il provato doveva essere a poco più di 50 metri da me ed io ho proseguito per oltre 200 metri fino ad una strada, che però era tortuosa e non retta come quella che pensavo di trovare… Ho ballato intorno per un paio di minuti prima di accorgermi che ero finito al punto 14 e che il sasso era quello della 15! Per fortuna che i punti erano tutti vicini: sono sceso alla 12, girando attorno finalmente all’area privata giusta, poi la 13, la 14 che avevo visto prima e comunque si vedeva da lontano anche da sotto, e la 15 che ormai conoscevo a memoria! E poi la lunga tirata per tornare al traguardo, dove Tommy mi aspettava almeno da 15 minuti…

Nove

Come nove anni fa, quando ho cominciato la mia esperienza come speaker al Trofeo delle Regioni di Pian del Gacc. Che ricordi! Mi sembra di tornare alla preistoria… ricordo che dovevo per forza di cose utilizzare un computer per controllare gli arrivi, ero costretto a leggere sullo schermo i tempi dei concorrenti al traguardo… avevo addirittura una cosa antidiluviana che non so descrivere se non come “un filo collegato con l’ultimo punto che mandava al computer l’informazione del prossimo concorrente che sarebbe arrivato al traguardo”! Sembrano cose degli ittiti o dei sumeri: per fortuna il progresso ha fatto tutta una serie di passi per aiutare il compito dello speaker. Purtroppo il sottoscritto provvede sempre a sollevare le organizzazioni da qualunque aggravio ripetendo che lo speaker è l’ultima delle cose di cui ci si deve occupare. Così accade che, ogni tanto, qualcuno mi dia retta… devo dire che non ricordo esattamente l’ultima volta che ho avuto a disposizione il computer! Di un collegamento on line con la linea dell’arrivo se ne sono perse le tracce; di un ulteriore collegamento on line con il penultimo punto o con lo spectator control se ne sono perse le tracce a Pian del Gacc! Va bene che, nel corso degli anni, mi sono fatto la fama di quello che riconosce gli atleti da lontano e riesce a fare i calcoli a mente azzeccando persino qualche ex-aequo, però l’età avanza, atleti nuovi arrivano, i ragazzi crescono, I ragazzi crescono, le ragazze mettono curve nei posti dove l’anno prima erano piatte, i master si agghindano come al Carnevale di Rio, non ce n’è uno che abbia la vera tuta della sua squadra di appartenenza, e si iscrivono alle categorie più impensate…

Nel sabato dell’individuale la distanza del punto spettacolo era di quasi 200 metri, che sono cresciuti a 350 circa nella domenica della staffetta; per fortuna che Tommy Civera mi ha dotato di radio con la quale comunicarmi un po’ di nomi e pettorali dei passaggi degli atleti. Ne sono venute fuori comunicazioni che, al confronto, quelle tra Neal Armstrong e Houston nella notte della luna erano dei capolavori di pulizia del suono; cose tipo “sta passando il pettorale crrrrrrrrrrrrrrrrrr ette nove… ripeto quat crrrrrrrrrrrrrrr ove”. A questo punto il compito consisteva nel: alzare gli occhi al punto spettacolo per avere un conforto visivo (a 350 metri di distanza…), cercare nella griglia per progressivi un numero di pettorale che potesse anche solo lontanamente assomigliare al rumore ascoltato, cercare il nome in una delle possibili categorie, calcolare mentalmente il tempo di gara e determinare in un nanosecondo se valeva la pena ammorbare le orecchie degli astanti o passare subito al crrrrrrrrrrrrr successivo che nel frattempo era già arrivato in cuffia. E questo valeva per il punto spettacolo, perché l’arrivo era invisibile. Tutto questo mentre, nel frattempo, essendo l’unico a disporre di griglie per categoria, piovevano domande sulle partenze, gli arrivi, le composizioni delle staffette, e buon ultimo un tale del posto che voleva sapere cosa stava succedendo e dove erano i gabinetti, ed ha pensato bene di chiederlo a quello con il microfono in mano!

Oh. Beninteso. La butto sul ridere e non è una critica. Ribadisco che la cosa importante è che ci siano percorsi, cartine, lanterne, stazioni, una partenza ed un arrivo e soprattutto tanti concorrenti! Ma non posso non ripensare a quella mia prima volta a Pian del Gacc e a quel benedetto filo che, collegato tra la 100 ed il computer, sembra essere stato sabotato dai luddisti del XXI secolo. Per pietà: la prossima volta, chiunque voi siate e qualunque gara stiate organizzando, un computer ed un programma con i tempi progressivi…

Dieci


L’ultimo numero è il 10. E non è il voto che si auto-attribuisce lo speaker. Un bel 10 tondo tondo se lo portano a casa la famiglia Donadini e la famiglia Casanova per il supporto e la sportività, “Ric e Giac” (ma che non passino alla storia con questo soprannome) per la staffetta US Primiero, Mario Ruggiero per la superba traversata a velocità siderale del costone prospicente l’arrivo della staffetta, Tobia ed Elena Pezzati per le medaglie vinte ai Campionati Svizzeri, Roberto Dalla Valle e Sebastian Inderst per la gara Elite del sabato e perché sono giovanissimi, Manuel Negrello per la stessa gara del sabato e perché lui è un po’ meno giovane, Christine Kirchlechner per aver trovato il tempo di darmi una mano a seguire la staffetta Elite femminile (lei che doveva ancora prendere il via)  e Metka e Kristian per aver tenuto a bada lo speaker ed aver vinto ugualmente due belle medaglie d’argento che non saranno le ultime. Tutti quanti hanno fatto del loro meglio per rendere questi Campionati Italiani degni di essere ricordati: gli errori, le omissioni e le topiche sono tutte e solo mie.

Sono sicuro: la W16 sarà una gran bella finale!

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Dopo qualche anno di assenza dagli schermi, torno a vestire i panni che già furono del mitico Professor Bertocchi e provo a svolgere la trama delle classifiche di Coppa Italia 2013 in vista dell’ultima prova di domenica prossima a San Cassiano. Tutti i conti sono già su carta, pronti per essere utilizzati dallo speaker (come se non ci fossero altre cose da dire…), con la verifica dei vari giochi degli scarti; andrebbero depurati esaminando l’elenco dei partenti, verificando le categorie di appartenenza, magari pensando ad un Roland Pin che avrebbe ancora qualche residua chance di vincere la classifica finale della M35 ma potrebbe cimentarsi (come ad Aprica) nella gara di recupero che assegnerà il titolo italiano MElite. Per il momento, di controllare le griglie di partenza non se ho alcuna intenzione: mi pare anzi che le iscrizioni non si siano ancora chiuse. Vorrà dire che, almeno per questo specifico aspetto, lo speaker andrà a braccio…


(ogni paragone con il maestro Dario Pedrotti è puramente...)

Categorie Elite

Tra le donne stavo per scrivere… anzi ho scritto “Kirchlechner ha già vinto”. In realtà c’è ancora una (remota) possibilità per Nicole Scalet: se Nicole vincesse e Christine non terminasse la gara, si avrebbe un arrivo 61 a 60; a Christine basta quindi un punto per vincere la classifica finale di Coppa, le basta terminare la gara: dubito che CK si accontenti! J Tra gli uomini possono vincere ancora in 4: Corona ha 4 punti di vantaggio su Negrello, ma Emiliano scarta un 9 mentre Manuel non scarta proprio nulla, come Dalla Valle e Schgaguler che però hanno un ritardo di 10 e 11 punti da Negrello. Vale sempre il detto andreottiano che “il potere logora chi non ce l’ha!”: Emiliano per il momento è in testa, e tocca agli altri andarlo a raggiungere.

Categorie Young

In M14 la sfida tutta “Masi” tra Lambertini e Mannocci ha già visto la vittoria del primo, perché Mannocci scarta perlomeno un 11 e può arrivare al massimo a 66. Anche in M16 i giochi sono già fatti: Melioli è irraggiungibile a 67, mentre Tait arriva al massimo a 65 (scarta un 8) e Nikolaus Danaj a 56 (scarta un 12). Poiché anche in W14 Erika Ceresa ha già vinto perché Raus, Danaj e Cudicio hanno degli scarti e non la possono raggiungere, resta la W16 a garantire un po’ di spettacolo per la conquista del vertice, e sarà spettacolo vero! Si tratta infatti della categoria con più pretendenti alla vittoria finale: ben 6. Si presenta in testa alla flame rouge dell’ultimo chilometro Maddalena Iennàco con l’accento sulla “a” che può arrivare al massimo a 66; Elena Bernardi, che alla flame rouge ha un solo punto di distacco dalla vetta, scarta un 11 e può arrivare a 62. Attenzione però a Francesca “Cancellara” De Nardis che, staccata di 6 punti (quindi quasi in scia) scarta un clamoroso “2!” e può arrivare a 66; fuori dai giochi, come un fuggitivo della prima ora raggiunto in vista del traguardo, Francesca Buffa che scarta un 9 e può arrivare anche vincendo al massimo a 53, ma ecco rientrare dalle retrovie (sembra il finale del Mondiale di Gap) Sabrina Raus con il suo 5 da scartare, e può arrivare a 57, e poi Anna Giovanelli con due vittorie su due sole gare che può arrivare a 60 e Chiara Dalla Santa che vincendo arriva a 59. Sarò lì a godermi la sfida…

Categorie Junior

In M18 la sfida è tra Fabiano Bettega, che parte da quota 69 ma scarta un 12, e Riccardo Scalet, che parte da 54 ma non ha scarti. Se in Val Badia Riccardo vince davanti a Fabiano, entrambi arrivano a quota 74 ma Riccardo vincerebbe grazie ai tre successi parziali contro i due di Fabiano; ma c’è una opzione clamorosa se invece arrivassero Ricardo secondo e Fabiano terzo. In questo caso, infatti, entrambi chiuderebbero a quota 71, entrambi con un punteggio dato da 20+20+17+14, ma qui entrerebbe in gioco il quinto risultato utile di Fabiano (il famoso scarto di 12) che vincerebbe visto che Riccardo non ha un punteggio da opporre. Certo… bisognerebbe trovare qualcuno capace di battere il neo campione italiano a staffetta M20 ed il neo campione italiano a staffetta Elite… avete provato a chiedere a Mattia De Bertolis e Samuele Canella? In M20 la classifica è già stata vinta da Giacomo Zagonel; lancio una proposta a Giacomo: provare a bissare il titolo, iscrivendosi in Elite? (sarebbe il primo e l’unico, credo, a poter vantare due titoli nazionali individuali nello stesso anno). Anche per Viola Zagonel in W20 vale il discorso della Coppa Italia già infilata in saccoccia; purtroppo per lei, il 2013 non le ha portato il titolo italiano sulla lunga distanza e non ci sarà replica alla gara WElite di Aprica. In W18 Arianna Taufer vince… se arriva al traguardo! I suoi 71 punti non possono essere raggiunti da Stefania Corradini, che vincendo arriva a 66, ma possono esserlo da Eleonora Donadini che parte da 51 e non ha scarti; in una situazione 20+20+17+14, il punticino conquistato da Arianna arrivando al traguardo dovrebbe garantirle il successo, interpretando il regolamento alla lettera fino ai punteggi che non valgono per il computo finale della classifica.

Categorie Master

In M35 Francesco Buselli è in testa con 2 punti di vantaggio su Carlo Rigoni e 5 su Dario Pedrotti. Francesco scarta un 8, contro nessuno scarto di Carlo che potrebbe vincere la classifica finale anche arrivando secondo in Val Badia dietro a Buselli (sarebbe Rigoni 74 vs. Buselli 71). Dario con uno scarto di 10 punti può salire a quota 64 ma deve guardarsi le spalle dalla decisione che prenderà Roland Pin, che parte da quota 48 e vincendo raggiungerebbe quota 68… bisognerà vedere in che categoria deciderà di iscriversi Roland: M35 e Elite? In M40 e M45 discorsi già chiusi con le vittorie di Andrea Cipriani e Nicolò Corradini, come pure in W35 a favore di Sabine Rottensteiner (la quale, se dovesse veramente tornare in Nazionale, darebbe vita alla notizia dell’anno… almeno per me!); in M40  lo speaker, vincendo, salirebbe al quinto posto in classifica generale ma dovrebbe contare su una notevole “moria delle vacche” di tutti quelli che stanno in mezzo... 


(sono il re del mondo! La foto è di oggi, dal terreno del model event...)

In W40 il punticino di vantaggio di Margherita Kurschinski su Larisa Anuchkina, nonché i modi diversissimi con i quali le due atlete hanno raggiunto i loro punteggi, assicurano la possibilità di dare luogo a varie combinazioni per la classifica finale; in casi di duplice debacle, non può rientrare il gioco la terza Loredana Crippa che scarta un 9 ma potrebbe inserirsi Ester Manfrin che non ha scarti in classifica. In W45 si è già aggiudicata la vittoria Anna Sedran: Cristina Grabar può infatti pareggiare il suo punteggio finale con una vittoria, ma Anna vincerebbe grazie ai piazzamenti parziali; troppo lontana Silvia Mantega per arrivare al primo posto.

Categorie Supermaster

In M50 al “Volga Express” Oleg Anuchkin, per il gioco degli scarti, dovrebbe essere sufficiente un 11° posto per battere Gianluca Di Stefano che scarta 10 punti e che in caso di parità di punteggio verrebbe sconfitto dalle tre vittorie di Oleg. La situazione è meno chiara in M55 nella quale la sfida è tra Lorenzo De Paoli e Augusto Cavazzani: De Paoli parte con tre punti di vantaggio, lo scarto tra i punti tra il primo ed il secondo o tra il secondo ed il terzo, ma scarta un 11 contro il 14 di Cavazzani; quest’ultimo ha inoltre al suo attivo una vittoria parziale contro nessuna, cosa che potrebbe far pendere l’ago della bilancia su Augusto in caso di arrivo a pari punti. In M60 vittoria netta di Helmuth Murer, sono almeno in quattro in lotta per la piazza d’onore. In M65 potrebbero non essere sufficienti 11 punti di vantaggio a Gino Vivian: Carlo Nessi non ha scarti e vincerebbe la Coppa Italia vincendo in Val Badia; Gino, con una vittoria, si metterebbe al riparo da insidie anche in caso di secondo posto di Carlo: per lui vale infatti il già citato discorso del “quinto risultato utile” di cui Nessi non dispone. Saranno Ernesto Rampado ed Harald Bertoldi a duellare in M70; gli 11 punti di vantaggio di Ernesto si assottigliano considerando lo scarto di 14 punti ed il fatto che Harald, invece, non deve contare alcuno scarto.

In W50 si sfidano le prime 4 in classifica: Maria Elena Liverani parte dalla prima posizione e da un vantaggio di 7 punti, e non scarta nemmeno un brutto punteggio (un 9); Cristina Turolla, staccata appunto di 7 punti, non ha alcuno scarto, come pure Laura Piatti che però deve rimontare 17 punti; decisamente ipotetico lo scenario secondo il quale Antonella Marcantoni, che scarta 8 punti, vince la gara arrivando a 55 punti, con uno 0 di Liverani e Turolla oltre l’ottavo posto: Marcantoni vincerebbe la Coppa Italia grazie al secondo miglior piazzamento parziale… una ipotesi, certo, ma visto che “nel bosco succede di tutto!”…. In W55 la  classifica ha già preso la strada di Milano e la Coppa tornerà a casa in auto con Lucia Sacilotto. In W60 c’è ancora uno scenario che coinvolge il quinto risultato utile nella sfida tra Anne Brearley e Anna Bazzaco; Anne (la friulana) scarta un 12 e può raggiungere, a seconda del piazzamento in Val Badia, un 71, 68, 65 o confermare il 63 di partenza; Anna (la veneta) non ha scarti e in caso di piazzamento nelle prime tre toccherebbe quota 71, 68, 65, come Anne. In caso di quarto posto Anne ed Anna sarebbero a pari punti e pari piazzamenti, ma l’atleta friulana la spunterebbe “arrivando al traguardo” e conquistando anche solo un punticino valido come quinto risultato parziale. Infine in W65 Licia Kalcich con 7 punti di vantaggio non ha ancora vinto la Coppa Italia: con 65 punti in carniere e uno scarto di 14 punti, può salire a 71 vincendo e a 68 arrivando 2°; Annamaria Abram, staccata di 7 punti, vincendo salirebbe a quota 66, ma sembra più possibile la rimonta in extremis di Cristina Chiettini che parte da 57, non ha scarti e che vincerebbe la Coppa con una vittoria o un secondo posto. In caso di terzo posto di Cristina (71 punti) Licia deve vincere la gara, pareggiando quota 71 ed i parziali 20-20-17-14, ed affidarsi al suo quinto risultato utile.

Conclusioni

Tutto sommato, mi sembra che la categoria da seguire con maggiore attenzione sia ancora la W16! Certo che se disponessi di un computer collegato alle classifiche di Coppa Italia che si aggiornano in tempo reale…
Oh! Tutto questo salvo errori (miei) ed omissioni (sempre mie). Che non salti in testa a nessuno di saltare la gara di La Villa, o decidere di partecipare, sulla base delle mie conclusioni: fatevi i vostri conti, se volete, ma pensate soprattutto ad onorare la vostra gara ed il bosco! Date il vostro meglio, che i conti si fanno sempre alla fine, anche senza bisogno di arrivare davanti a San Pietro!

Fallimento totale

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Sono troppo vecchio per queste cose.
Sono troppo stanco per queste cose.
Sono troppo impreparato per queste cose.

Forse sono anche troppo stupido per QUESTA cosa in particolare. Anzi, devo correggere, forse sono abbastanza stupido per QUESTA cosa. Perché se non sei preparato, se non sei allenato, se non hai l'età per QUESTA cosa, allora rimane solo la stupidità a giustificazione di QUESTA cosa.
Ma non è una bella situazione.

L'età avanza, non ci posso fare nulla.
Sull'allenamento si potrebbe fare qualcosa di più', magari pensandolo in prospettiva a QUESTA cosa, magari ponendosi come obiettivo QUESTA cosa che capita una sola volta all'anno e non arriva all'improvviso che puoi dire "eh! Ma non ero ancora preparato!".
Invece da 5 anni penso: "Ma l'anno prossimo arriverò allenato..."; solo un folle può pensare che le ultime 6 gare corse in 10 giorni (le 3 in Val Badia e le 3 a Lavarone) possano rappresentare un allenamento: dovrei sommare le lunghezze di tutte e 6 per arrivare a QUESTA cosa.

La preparazione logistica è quella che è, e mica da oggi: da sempre, ovvero nulla! Quante volte ho pensato "ok... L'anno prossimo arrivo con le barrette, il carbogel, la banana, gli integratori, gli aminoacidi ramificati, la bomba, il doping, la coca..."; quando ho preparato la borsa, l’altra sera, ho scoperto di non avere in casa nemmeno un sacchetto di Vicentini...
"E poi l'anno prossimo con le scarpe tecniche, le calze resistenti, le pomate da spalmare sui piedi e nelle parti intime, i cerotti per i capezzoli...!"; penso alla borsa che ho portato in metropolitana, prima tappa della trasferta: è già tanto se ho preso la termica con le maniche! Per le gambe ci sarà la solita protezione, quasi nulla, della tutina Trimtex...

Sono troppo vecchio per queste cose.
Sono troppo stanco per queste cose.
Sono troppo impreparato per queste cose. E poi basta con il forse: sono troppo stupido per QUESTA cosa. Ecco perché la faccio? Perché sono stupido... Ed è una prima risposta. La faccio perché ci provo da 5 anni, da quel giorno in cui per scommessa Marco ed io la provammo per la prima volta; ci riuscimmo, e da allora non abbiamo (e poi, una volta rimasto solo, non ho) più' smesso di tentare. QUESTA cosa é sempre lei. E' il muro contro cui vanno a sbattere gli stupidi, quelli che non sono abbastanza intelligenti o modesti da capire che non é cosa per loro. E' lei. La O-Marathon degli Altipiani, categoria Elite.

***

E’ la mia sesta edizione. Per quanto io non sia sempre risultato classificato, ho sempre cercato di onorare al meglio la gara. Nella classifica della terza edizione risulto PM: mi ero malamente infortunato al tendine d’Achille due giorni prima e, dopo essermi trascinato per una ventina di lanterne lungo l’altopiano zoppicando, mi risparmiai l’ascesa al gran premio della montagna sulla “carta bianca” per poter fare almeno gli ultimi 12 punti di orienteering. L’anno scorso la PM più clamorosa, dopo 20 km e 1000 metri di dislivello: io ed altri saltammo un punto, il ventesimo mi pare, al ristoro dopo aver soccorso Julia, aver dato una mano con il trasporto dei rifornimenti idrici e aver fatto una foto attorno al punto che non venne punzonato; l’unica PM certificata con tanto di foto! La gara del 2012 non è mai stata PM nella mia mente.
Quest’anno il menu ha proposto un allungamento dei chilometri: 24 con quasi 900 metri di dislivello, tutti sulla terribile carta di Passo Coe con 3 cambi cartina ed il “cancello” delle 4 ore e mezza per arrivare all’ultimo cambio. Il tempo, previsto brutto, ha tenuto almeno per buona parte della mattinata. E le cartine dei primi giri, previste terribili, si sono mostrate più abbordabili del previsto.

Sono andato via tranquillo, con il mio passo. Sempre in coda al gruppo ma per il primo giro sempre a contatto visivo con gli ultimi vagoncini. Qualche incrocio fugace alle “farfalle” con chi stava già concludendo quella parte di percorso ed era 3 o 6 lanterne davanti a me. Nel secondo giro devo affrontare la prima ascesa alla cima della cartina delle Coe;  è una tratta davvero lunga di puro orientamento, ed una volta in zona punto bisogna rallentare e cominciare a cercare. Perdo circa 6\7 minuti trovandomi spostato di circa 200 metri in una zona di rocce, ma riesco a raccapezzarmi ed a trovare il punto 10. Da lì un’altra tratta più breve, anch’ essa tecnica, per il punto 11. Arrivo sul punto insieme ad una coppia di fungaioli ed improvvisamente si materializzano intorno altri orientisti: Guasina, Ponteri, Dal Follo, Zanon ed un altro ancora. Guardo “Klaus” e con una certa invidia gli chiedo come sta andando il terzo giro, e lui mi risponde che tutti loro sono ancora al secondo giro, come me! Da lì in poi, per un paio di ore di gara almeno, sarà un tira e molla con i ragazzi, qualche volta avanti loro e qualche volta avanti io. Il terzo giro è abbordabile anche se nel finale restiamo solo in tre perché Ponteri e Zanon allungano il passo.  Al cancello dell’ultimo cambio ci arrivo in circa 4 ore, in anticipo di mezz’ora sullo stop previsto dall’organizzazione.

Adesso però cominciano i problemi, quelli seri. Uno di questi è che la schiena fa sempre più male: sono volato sulle pietre un paio di volte e devo aver irrigidito i muscoli dorsali (nonostante l’ampio strato adiposo, da qualche parte in profondità ci devono ancora essere dei muscoli), cosicché sono stato costretto a correre un po’ più rigido e adesso fa male anche la zona addominale. E’ venuto giù il freddo, e la maglietta è congelata sulla pelle: la termica non basta più a proteggermi e le nuvole basse, la pioggia gelata ed il vento cominciano a fare danni sul mio scarso fisico.

Ed infine la cartina con l’ultimo giro è la più terribile di tutte: più di 9 km, quasi 400 metri di dislivello, ed un percorso di livello tecnico Elite che spara più volte da una parte all’altra della carta. Senza linee conduttrici (almeno per me), senza punti d’arresto evidenti (almeno per me), senza una sola speranza di concludere un giro come quello in meno di 3 ore, neppure se la mia gara partisse in questo momento. E’ uno shock. Arrivo pochissimo fiducioso al primo punto: mi fermo a 3 metri dal punto, una buca dietro un mucchio di sassi, e me lo deve indicare Aaron. Il secondo punto è lontano ma facilissimo, eppure capisco che la testa è in cortocircuito perché faccio fatica a trovare pure quello: devo perlustrare con lo sguardo tutto il rudere prima di vedere la lanterna che occhieggia a pochi metri da me. Per andare al terzo punto, che comunque troverò mettetendoci circa 35 minuti (solo perché devo rifare la strada percorsa in precedenza per andare alla 10 del secondo giro), che Kristian - eroico - troverà dopo un’ora di ricerca e che tanti altri non troveranno mai, incrocio altri ritirati: il segnale che arriva dalla testa è che tra freddo (che aumenterà), fatica e terreno devo davvero mettere nel mirino altre 3 ore di gara. Inutile proseguire.

Sono troppo vecchio per queste cose.
Sono troppo stanco per queste cose.
Sono troppo impreparato per queste cose.

Ma ho dovuto faticare invano per quattro ore e mezzo per scoprirlo. Perché sono troppo stupido per capirlo da solo.
Negli ultimi 5 anni, come nei 15 anni precedenti, il mio piedone numero 50 non ha lasciato una grande impronta sull’orienteering italiano. Non sono uno che vince le gare, più spesso sono uno di quelli che le classifiche le guida a partire dal fondo. Però negli ultimi 5 anni avevo sempre concluso la stagione agonistica con la soddisfazione di aver tagliato il traguardo in una gara che è sempre stata al limite, oltre il limite, delle mie possibilità. Forse per 5 edizioni sono stato solo fortunato, avrei potuto sbattere la testa su questo muro in ciascuna delle prime 5 edizioni.

Quello che so, è che quest’anno non avrò nemmeno la soddisfazione di raccontare di aver terminato la O-Marathon. La borsa con le cose dell’orienteering è sul balcone, con tutte le cose sporche e sudate che ho portato a casa da Passo Coe. Prenderò qualcosa solo per andare al Rome Orienteering Meeting, dove sarò speaker, e poi vedremo…

Sono troppo vecchio per queste cose.
Sono troppo stanco per queste cose.
Sono troppo impreparato per queste cose.
Adesso lo so.

In memoria di Silvio Vicari, orientista ed amico

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"insomma c'è stato spazio anche per un bicchiere di vino :))
Un abbraccio e a presto.
Silvio".

L'ultimo scambio di email con Silvio, le ultime parole prima di quello che avrebbe dovuto essere un nuovo appuntamento. Una prima pianificazione dei sogni, degli appuntamenti del 2014 con la Swiss O Week ed i Mondiali. I complimenti per la vittoria dei suoi ragazzi all'Arge Alp.

Silvio Vicari. Come è potuto succedere a lui? Un ragazzo che dall'alto della sua abilità, della sua bravura, della sua velocità, dei suoi risultati avrebbe potuto passare vicino a me alle gare senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Quante volte invece ci siamo messi a confrontare scelte di percorso, a scambiarci informazioni sulle gare e sulle località dove trovare un alloggio.

E poi sempre la stessa gag, da almeno un anno: "Adesso che ho imparato a pronunciare il tuo nome correttamente, con l'accento sulla à, continua a vincere come hai sempre fatto. Ho imparato, devo ammortizzare l'apprendimento!". Silvio non se la è mai presa per quella storpiatura del nome. A tal punto che fu un'altra persona, dopo tanti anni di "Vìcari", a suggerirmi la dizione corretta...

Penso all'amico Silvio e penso all'amica Michela, nell'anno in cui ha vinto il Campionato del Mondo Master che Silvio ha continuato ad accarezzare anche in Piemonte. Penso al momento in cui ho ricevuto la notizia ed ho scorso l'elenco degli amici che correvano a Lodano, ed egoisticamente ho pensato "fai che non sia nessuno di loro"... come se John Donne non avesse mai scritto "Nessun uomo è un'Isola" e che, chiunque fosse quel ragazzo di cui parlava il titolo, non avesse avuto anche lui amici, parenti, una famiglia.

Poi ho letto il nome di Silvio e non ho potuto credere ai miei occhi.

Un ultimo bicchiere di vino per te, Silvio, come quello che abbiamo finito insieme al tavolo al Lavarone pochi giorni fa.

"Ogni morte d'uomo mi diminusce,
perchè io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te"
(John Donne)

In memoria di Silvio Vicari, orientista ed amico.

http://www.flickr.com/photos/orienteeringimst/10345500095/in/set-72157636687740944

(Silvio sul primo gradino del podio dell'Arge Alp, in qualità di capitano della squadra del Canton Ticino vincitrice dell'edizione 2013)

Tobia, ne hai fatta di strada!

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Da febbraio 2011...


"Il lungo trasferimento verso la 8 si conclude in compagnia di Tobia Pezzati, campioncino ticinese, che dà appena una occhiata alla mappa e cambia marcia in prossimità del punto lasciandomi in-de-per-mi (alone in the forest) alla punzonatura".

... a venerdì sera:


D'ora in avanti mai mettersi tra Tobia e la sua lanterna!


L'articolo preciso ed efficace di Lidia Nembrini sul Corriere del Ticino.


Complimenti Tobia!
E complimenti anche a Riccardo, ovviamente!

Non so perché, ma la giraffa GIFU sul cruscotto della mia auto sembra sorridere più del solito!

(firmato: il tuo MANAGER!!!)

Brescia da dentro il tunnel-el-el-el…

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La prossima volta giuro che mi ricorderò di puntare la sveglia all’ora giusta. Perché ogni volta, ogni anno, è sempre la stessa storia: quando c’è una gara il giorno dopo il cambio dell’ora da legale a solare, e viceversa, è sempre un casino! Per questo motivo la prossima volta me ne starò a letto… Una volta mi bastava puntare la sveglia, quella grande come uno zainetto con un ticchettio da bomba ad orologeria, un’ora prima o un’ora dopo, e poi passare la giornata regolando di volta in volta i vari orologi di casa (sapendo che ogni tanto qualche orologio lo trovi starato lo stesso e magari ti perdi l’orario di inizio della partita o del telefilm, ma tanto lo stomaco non ha orologio e anche se non è l’ora giusta si mangia lo stesso quando si ha fame).

Ma adesso c’è il blackberry. La domanda cruciale comincia a serpeggiare un paio di settimane prima. “Si regolerà da solo?”. A che ora metto la sveglia? Alle 6.30 con il rischio di svegliarmi alle 7.30 o alle 5.30, con il rischio di essere in piedi all’alba e perdere un’ora di sonno? L’orario indicato non è peregrino: per andare alla gara di Brescia in tempo per fare il giro-dello-speaker ed essere pronto per cominciare a parlare alle 9.45, devo prendere il treno delle 7.05. Quindi punto la sveglia, la radiosveglia, alle 5.40: 20 minuti per la colazione, 15 minuti per raggiungere a piedi la metropolitana (treno delle 6.21), 25 minuti per arrivare in Centrale e acquistare il biglietto e salire sul treno con calma. Tutto programmato con la radiosveglia: e che il blackberry si attacchi e faccia quello che vuole!

Sfiga. Durante la sera di sabato va via la luce. Mezzo rimbambito e imbesuito di sonno, ripristino l’orario sulla radiosveglia ma sbaglio e metto l’orario corrente, senza ricordarmi che cambierà alle 3 del mattino. Il risultato è che nel bel mezzo della notte la radiosveglia parte al ritmo di “Whatever you want” (sempre santi subito gli Status Quo) ed io mi sveglio di soprassalto urlando (me lo ricordo benissimo) “Minkiazza cavallina!”, chiedendomi subito dopo come può essermi venuto in mente una esclamazione simile.

Fuori dalla finestra c’è il buio più pesto. Troppo buio. E’ vero che c’è il discorso dell’ora legale e che sarebbero comunque le 5.40 ma… non avrebbe invece dovuto esserci più chiaro? Vado in bagno e, dalla finestra, vedo due piani più sotto in strada un tizio che sta pascolando il cane… è vero che può sembrare una follia, ma se ho sbagliato l’ora della sveglia la giornata va tutta a ramengo! “Scusi… pssst… scusi…!”. Il tizio con il cane alza lo sguardo verso la mia finestra. “Scusi… ma sono le 5.40 o le 4.40?”. “Sono le 4.40, è cambiata l’ora… ma il cane non porta l’orologio e deve uscire quando vuole lui”. Forse, tra tutti e tre, il cane è il più sano di mente.

Stabilito che mi sono svegliato un’ora prima, messa una nuova sveglia alle 5.30, torno a letto vestito da orientista, mi alzo alle 5.30 reali ed alle 5.55 esco per andare a prendere la metropolitana. Botta di culo: passa un tram! Da lì riesco a saltare al volo sulla metropolitana delle 6.00 (sfracellandomi le corna sulle porticine che si stanno chiudendo), in stazione mi faccio largo alle macchinette automatiche per acquistare il biglietto ed incredibilmente, sempre al volo, sono sul treno per Brescia delle 6.25.

DI solito sui treni c’è sempre qualcuno che, per sicurezza, chiede “E’ questo il treno per …?”. Stavolta è un po’ difficile: il vagone è deserto, viaggerò da solo fino a Brescia (senza nemmeno vedere il controllore). Per evitare botte di sonno impreviste, accendo il tablet su Youtube e mi sparo un filmato di una quarantina di minuti sulla staffetta Tiomila del 2011; vedendo passare le immagini e le interviste di Magne Daehli, di Jonas Leandersson, la fuga di Fabian Hertner in nona frazione e la corsa solitaria di Thierry Gueorgiou in ultima frazione, penso solo una cosa: “Magne, Jonas, Fabian e TG… a Brescia aiutatemi voi!”. La mia mente è già focalizzata sulla grande difficoltà delle gare a Brescia: il castello! Un autentico labirinto che avrei voluto preparare in anticipo, esaminando le carte della gara del 2011 la cui finale si era disputata proprio nel castello.

Bi-sfiga. Di quella gara mi sono rimaste due carte, ma tutte e due della qualificazione che non era passata intra-moenia… Mi tocca andare all’interrogazione impreparato, a secco di informazioni. Vabbé…

Arrivo a Brescia puntuale, metrobus gratuito offerto dagli organizzatori e alle 7.58 di domenica 27 ottobre (8.58 secondo l’orario del giorno prima, ma 7.58 per il resto del mondo) prendo il via dal lato sud di Piazza della Loggia. La gara di gara che riporto qui è quella presa dal sito di Alessio Tenani, con il suo percorso; da un primo veloce esame, le uniche tratte che abbiamo fatto sulla stessa linea sono quelle non più lunghe di 50 metri! 


A lui piace tagliare gli angoli usando le piazzette ed ogni piccola apertura diversa da un incrocio, a me invece piacciono gli angoli spigolosi… d’altra parte più di venti anni fa giocavo a basket e non correvo di sicuro per più di 10 metri nella stessa direzione, e sempre d’altra parte il campione di orienteering è lui. 

Comunque, tra un fiatone e l’altro, riesco ad arrivare alla 10 abbastanza in bello stile con un parziale di 19’20”, anche se praticamente già ho speso gran parte delle mie energie. Ho deciso, però, che userò le tratte che portano a nord 10-11 e 11-12 per studiare l’attacco al castello, l’ingresso nel labirinto di Brescia. Mentalmente mi sintonizzo con i Big Four che ho salutato nel filmato su Youtube, mostro loro telepaticamente la mia posizione sulla carta (sto arrivando lentamente alla 12) e li faccio entrare in azione.

Purtroppo loro parlano quattro lingue diverse, e le parlano tutte insieme nella mia testa! Così quello che segue è un gran casino. Uscendo dalla 12, infatti, decido di andare verso nord ed il mio sguardo viene catturato dalla “V” che compare poco a nord-ovest del punto 13 (perché sulla carta di Teno quella “V” appare nera e sottile, mentre sulla mia carta è rossa e cicciotta?); mi chiedo dove potrebbe mai portare quel sottopassaggio, e per qualche arcano motivo decido che deve portare ad un’altra “V” rossa e cicciotta che sta poco sotto il cerchietto del punto 13 (sulla carta di Teno è un po’ coperta), dentro il castello! Stabilisco quindi, lì per lì, che quello sia un passaggio sotto le mura che porta dritto in zona punto… una scelta di percorso vincente rispetto a quella che faranno i meno attenti, impegnati nel girare tutto attorno al castello per arrivare fino al ponte levatoio.

Poco importa che sia un passaggio segreto praticamente “in piedi”, che taglia dritto una decine di curve di livello in poche decine di metri… mi immagino un cunicolo buio fatto apposta per sfuggire all’assedio dei cattivi ai tempi del Medioevo e che ora arriva bello bello a far gioco a me che sto cercando di risparmiare le forze per terminare la gara in condizioni appena più che pietose. Magne ,Jonas, Fabian e TG intanto continuano a fare casino nella mia testa: estraendo a caso qualche parola dal loro norve-svede-svizze-cese mi convinco che la scelta dalla 12 alla 13 che sto facendo è quella giusta.

Arrivato in cima alla salita che porta dritta ad est verso le mura, al di là delle quali c’è la 13, quella strada ai cui lati ci sono le due zone gialle di prato, infilo le scale verso nord a scendere di un livello (scelta controintuitiva! Giusta, deve essere quella giusta! Si "scende" per poi "risalire", no?) e penso di trovarmi davanti al passaggio segreto. Errore: mi trovo davanti una fermata dell’autobus, con due tizie abbastanza frastornate che mi guardano. Cerco il cunicolo (lo cerco anche dietro il gabbiotto della fermata del bus), ma non trovo niente. Guardo dall'altra parte della strada: solida roccia e mura a strapiombo! Però c’è un’ampia galleria che si apre verso sud… Magne, Jonas, Fabian e TG continuano imperterriti a gridare nella mia testa, ed io decido immantinenti che il passaggio per il castello deve essere appena dentro la galleria, che infilo correndo sotto lo sguardo sempre più perplesso delle due tizie che avranno qualcosa da raccontare a casa.

Trattasi, purtroppo e come noto a tutti i bresciani, della galleria di scorrimento veloce che passa sotto il castello. Due corsie per ciascun senso di marcia, priva di marciapiedi ma ricca di fumi di gas di scarico! Sembra la galleria dove Mauser manda Mahoney a scontare le punizioni in “Scuola di Polizia”… Di passaggi segreti, di cunicoli, ovviamente nemmeno l’ombra (si vede che il “dado da 20” del Dungeon mi ha dato sempre il numero sbagliato). Però di tornare indietro non ne ho voglia: dovrei ripassare davanti alle tizie se il bus non è ancora arrivato, rifare le scale all’incontrario e mi troverei ancora al punto di prima; decido dunque di continuare imperterrito fin dall’altra parte del tunnel, anche se questa è la scelta più sbagliata, più sbagliatissima, più incomprensibile della storia dell’umanità orientistica planetaria. 

All’uscita dalla galleria (notare dove si trova la “V” nera puntata verso nord sulla carta di Teno) ho probabilmente il viso nero di tubi di scappamento e gas di scarico, sono pronto per vomitare i polmoni ed ho collezionato una serie da antologia di facce sbalordite di guidatori (anche di autobus) come non ne vedevo dalla volta che durante la gara Elite al Monte Tablat sotto la tormenta di neve avevo incrociato lo spazzaneve al bivio per Slaghenaufi.

Quando esco dalla galleria, il più è fatto: basta riguadagnare, con le mie gambe di legno ed il morale sotto i tacchi (oltre ai polmoni sputati) quegli ottanta metri di dislivello che portano al ponte levatoio del castello che è l’UNICO INGRESSO CHE PORTA OLTRE LE MURA (questo per ricordarmelo meglio alla prossima occasione), venire a capo del labirinto del castello che è sempre molto bello ma lo è ancora di più se lo corri alla velocità dei migliori (anche a costo di sbagliare) e non a quella di una lumaca asfittica, e poi scendere per l’ultimo giro attorno alla Piazza della Loggia. Arrivo qui in 66 minuti abbondanti, atteso praticamente da nessuno (credo di essere stato dato per disperso). 

Nella testa posso sentire distintamente le risate di Magne, Jonas, Fabian e TG, ma le ho fatte tacere con un urlaccio: "La prossima volta faccio da solo!"

Ps: vale percorrere, in gara, una strada che non è segnata in carta? No, perché qualcuno ha sollevato questo dubbio: dato che la strada nella galleria non era nemmeno tratteggiata...

It was a dark and stormy night...

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DRIIIIN! DRIIIIN! DRIIIIN!

No. Non è il telefono che suona ad un orario improponibile. Che se anche lo fosse (l'orario, intendo... quello improponibile), non ascolteremmo la voce di San Pietro, ma quella di un call center.

No. È il suono della campanella, quella più temuta, quella dell'inizio della giornata a scuola. Perché alla prima ora c'è la prof di inglese, quella stormenìta con gli occhialotti tondi che non fa altro che spiegare cosa c'è sopra il tavolo e cosa c'è sotto il tavolo... sempre 'sti tavoli che sembra di essere all'IKEA e non a scuola!

- Buongiorno ragazzi...
- Buongiornooooo prooooof...
- Vi vedo belli svegli e attivi oggi, dopo tre giorni di riposo dal primo novembre. Avrete avuto il tempo per studiare. Allora oggi interroghiamo...
- Ma come prof?!? Aveva detto che spiegava l'ottativo aoristo e il duale dell'articolo determinativo?!?!?
- E invece oggi interrogo! Interroghiamo... Interroghiamo... Pedrotti! Ecco, Pedrotti! È un po' che non lo sento... vediamo a che punto è la sua preparazione, Pedrotti. Ha studiato, vero?
- ... mmmhhh... bene Pedrotti, bene. Allora cominciamo con una piccola traduzione. Ascolti bene: "Il trasporto NON parte alle due e mezza". Traduca.
- La so, prof! La so! ... Dunque... "The pullmann don't start thirty minutes after two o' clock"
- ... Pedrotti... Pe-dro-tti!!! Io non so lei dove si sia immerso negli ultimi tre giorni. Ma una frase così, con tre erroracci così, poteva concepirla solo uno che sta per prendere un due, anzi un due e mezzo, in pagella. Ma come le salta in testa...?!?
- Ma come, prof!?! Non è giusta??? Ma io l'ho sentita ripetere per tre giorni dallo scooter...
- ... lo scooter...?
- No, volevo dire, lo scanner!
- ... lo scanner...???
- Lo speaker! Lo speaker! Giuro che diceva proprio così!!! E c'erano mille persone che lo stavano a sentire!!! E lui parlava così al microfono! E mi pareva di vedere il signor Webster, quello del dizionario, che spaccava a testate tutti i volumi!!! E quelli dell'Enciclopedia Britannica che si gettavano in mare dalle scogliere di Dover!!! Glielo giuro: lo stavano pure a sentire! E poi ha anche detto "If you don't like this, I don't wanna know you" mentre le casse mandavano la musica di Wild Boys!!! E c'è stato uno che è andato a dirgli che lui era il cugino di Simon Le Bon e lo scooter...
- ... lo scooter...?
- No, scusi, volevo dire lo scanner!
- ... lo scanner...?
- No, lo speaker, sempre lo speaker... ha capito che "Bon" era un osso e che al cugino di quello lì era successo qualcosa a un osso. Glielo giuro! Ho passato tre giorni a sentire questo che parlava così! Lei non può arrivare il lunedì ed interrogarmi in inglese... non sono pronto!
- Pedrotti... io non so cosa lei si sia benzinato negli ultimi tre giorni. So solo che adesso lei si prende un bel tre in pagella, e poi per la prossima ora riferirò alla mia collega di sentire cosa ha da dire nella sua materia. Ne riparleremo, Pedrotti... ne riparleremo!

DRIIIIN! DRIIIIN! DRIIIIN!

Seconda ora. La ranzata della prof di inglese ha lasciato il segno. Per un Pedrotti che non sa nemmeno dire a che ora non parte il pullman, la prof ha replicato con dieci pagine da mandare a memoria per dopodomani, compitino in classe a sorpresa sui verbi irregolari e ha cancellato dagli Ipod di tutti gli studenti le canzoni dei Duran Duran ed anche degli Spandau Ballet, per non fare discriminazioni!
E adesso arriva la seconda passata. Storia! Che se non ti ricordi a memoria chi era il sottosegretario del tizio che sotto il governo Giolitti aveva avviato la riforma agraria della repubblica cispadana della cistifellea dei cisticazzz.... Storia!

- Buongiorno ragazzi...
- Buongiornooooo prooooof...
- Ragazzi... mi giunge favella dalla prof di inglese che negli ultimi giorni ci siamo dati alla pazza gioia... ai bagordi parrebbe... qualche rave party nei parchi di cui non eravamo a conoscenza?!? Tranquilli ragazzi. La prof di inglese mi ha anche detto cosa devo fare... Pedrotti! Venga fuori alla lavagna!
- Ma no, prof! Dai! Sono stato appena brasato in inglese...!
- Appunto, Pedrotti, appunto. Dato che la sua preparazione in inglese parrebbe non essere del tutto ineccepibile, vorrà dire che avrà avuto tempo in questi tre giorni di studiare un po' di storia, vero?!? Cominciamo da un argomento che avevamo accantonato: la riforma urbanistica della capitale sotto il governo Crispi!
- Eh... le dicevo che non è che in questi giorni...
- Pedrotti! Non si preoccupi. Lei ha un santo in Paradiso, E NON È SAN PIETRO E NEMMENO WLADIMIR PACL!
- ... con la "V", prof, non con la "W".
- Appunto, Pedrotti. vede come è attento? Un allievo come lei... promettente... che riesce così bene nei compiti scritti quando si siede vicino ad una certa L'Erri... dopo interroghiamo anche lei.
- (Porco belino!)


- Ehm... prof... sarebbe "Larry": con la "a" e con la "i greca", e senza apostrofo per-altro...
- Pedrotti! Non abuserei troppo della mia pazienza! E nemmeno dell'italiano! Lei è già in Via Busca, e questa non stia nemmeno a cercarla sul Tuttocittà di Trento o di Trieste e nemmeno sul ponte che le unisce.
Animo, Pedrotti! Cominciamo. Mi parli delle modifiche avvenute a seguito del piano urbanistico sotto il governo Crispi.
- ...
- Forza, Pedrotti! Era nel capitolo da studiare per oggi!
- ...
- Oh suvvia! La zona del "Co"... la zona del "Co"...
- Del Colle Oppio! Del Colle Oppio! Fantastica partenza della terza tappa, suggestiva. L'ideale per mettere in moto le gambe. Da lì subito a sinistra e poi a destra verso la 1 e poi si piega di nuovo a sinistra superando via Cavour per la 2...
- ... Oppio ... Oppio ... Si, mi pare chiaro che il sospetto della prof di inglese fosse fondato. Deve esserci stato un rave party nel fine settimana a Roma... non ho letto notizie in cronaca... qualche villa un po' isolata, magari...
- Villa Ada, prof! Villa Ada e Villa Borghese!
Un sacco di verde ed un sacco di gente! Ed un sacco di musica, anche se lo scooter l'inglese lo parla proprio male...
- - ... lo scooter...?
- No, volevo dire, lo scanner!
- ... lo scanner...???
- Lo speaker! Lo speaker!!
- Pedrotti... io non ho capito nulla, se non che lei mi sembra un tantinello confuso. Io stavo parlando del "Co"... del "Co"...
- Conegliano! Ho capito! Conegliano... Sì! A Conegliano ci sono andato la settimana dopo, ma lì non si sentiva volare una mosca perché per fortuna non c'era lo scooter...
- ... lo scooter...?
- No, volevo dire, lo scanner!
- ... lo scanner...???
- Lo speaker! Lo speaker!!!
- Pedrotti... lei mi sembra davvero molto confuso. Io volevo solo che lei mi parlasse del "Colosseo"! Adesso... io non so come lei sia uso passare i fine settimana, ma credo che qualche domanda se la debba porre. Non sia mai che un giorno, mentre vaga completamente obnubilato per la città, non la ritroviamo infilzato su una cancellata a Gardolo o a mollo in una calle a Venezia. Che poi su queste cose la gente ciscrive i libri! In ogni caso, sa cosa le dico? Che adesso lei si prende un altro bel tre in pagella...
- Ma no, prof! Un altro "tre"? Dopo quello di Roma e quello di Conegliano, mi tocca prendere ancora un "tre"?
- Tranquillo Pedrotti! Nulla di irreparabile... in fondo le basta prendere un "nove" nel prossimo compito in classe.
- Un "nove"? Ma chi diavolo c'è in questa classe? Rigoni è uno, poi i due Grassi, poi Ingemar, Buselli, Ruggiero... ma cazzarola! Per prendere un "nove" devo farmi battere persino da Segatta e dallo scooter...
- ... lo scooter...?
- No, volevo dire, lo scanner!
- ... lo scanner...???
- Prof... lasci perdere... è una storia lunga...
- Beh! In ogni caso non può essere più lunga di quelle che racconta un certo Stegal!
Gliele consiglio, sa, Pedrotti? Una buona e sana lettura, e c’è sempre qualcosa da imparare. Soprattutto si impara una cosa: MAI lasciare l’ultima parola a quello che tiene in mano il microfono!

*** ***

Se è vero che tutte le strade portano a Roma, è anche vero che non tutte le strade di Roma portano gli orientisti nei posti giusti!

A Roma Caput Mundi abbiamo perso l'occasione di un confronto diretto tra "De most feimus orientiring blogger oll over de uorld" (così si è sentito dire durante le premiazioni) e quell'altro che per assomigliare a Dario si è persino fatto crescere la barba ma non sarà mai così veloce, così prolifico, così prolisso e così bravo. Eppure lo scambio di commenti su internet sembrava preludere ad un duello rusticano: "Ci vediamo a mezzogiorno dietro al Colosseo!", come da bambini ci si dava appuntamento davanti ai bagni per una bella resa dei conti.


Resa dei conti che, ovviamente, non ha mai avuto motivo di esserci. Corriamo in due categorie differenti: lui, quello più forte, nella categoria-dei-master-più-forti con le sue sempre ottime possibilità di ben figurare (i "3" in pagella sono ovviamente riferiti alla sua posizione sul podio a Roma ed a Conegliano). L'altro, più scarso e che si accorge solo ora di parlare in terza persona, si cimenta nella categoria-dei-più-fortissimi, ma senza speranze di ben figurare se non a spese di chi non termina la gara o di altri poveri tapini come lui... La categoria-dei-più-fortissimi è scelta ovviamente al solo scopo di ciulare le carte scannerizzate dal sito di Alessio Tenani!


Cosa resterà, dunque, nella mia mente di questo Rome Orienteering Meeting 2013, oltre alla speranza di ritrovarlo nel 2015 e, magari con cadenza biennale, di vederlo diventare una classica del calendario internazionale? Restano sicuramente tante cose, la stragrande maggioranza positive e pochissime altre un po' meno. Tra i "meno" metterei il mio stato di forma fisica, che non è responsabilità del Meeting come pure non lo è il mio rivedibilissimo inglese da battaglia, con il quale non potrei certo pensare di diventare uno speaker internazionale ai WOC (e nemmeno nazionale, ma è un altro discorso)... e poi basta, perché sono stati tre giorni veramente meravigliosi!

Tra le cose positive: forse ho finalmente imparato a distinguere le gemelle -  ooooppsss - le sorelle Brandi senza che una delle due sia costretta, come vado chiedendo da tempo, a farsi i capelli platinati. Elevo un ringraziamento particolare al gestore del bar "La Coccinella" di Via Cipro che, domenica mattina alle 5.50, ha visto entrare nel locale una specie di homeless zoppicante, con borsone verde distrutto, scarpe infangate in spalla ed una faccia da reduce della ritirata di Russia, e non lo ha buttato fuori di peso ma ha lasciato che si riprendesse a colpi di caffè.

Un pensiero speciale per gli operatori del pronto soccorso della zona di Piazzale degli Eroi che mi hanno rimesso in sesto sabato sera, quando la mia caviglia devastata nella tratta 3-4 di Villa Ada minacciava di "diventare provincia" (se domenica mi avessero cuccato al controllo antidoping, avrebbero restituito i 7 Tour de France a Lance Armstrong definendolo, in confronto a me, solo un simpatico mattacchione).

Un altro pensiero speciale a Zarfo, autista-motociclista-tuttofare che mi ha fatto da Cicerone lungo il tragitto all'alba di sabato verso Villa Ada: a' Zarfo!!! Se la carta di Villa Ada è 50% parco e 50% bosco verde, perché io sono stato per il 90% del tempo nel verde 2??? Va' che scherzo, Zarfo!


Ma l'immagine che porterò a casa da Roma, tra tutte, è quella dell'arrivo della seconda tappa di Villa Ada; quel finish sul quale si è palesato il cugino di Simon Le Bon, quel finish vicino al quale si sono cambiate le ragazze del team ceco scatenando gli ormoni di mezzo CCR Roma, ma soprattutto... soprattutto... quel finish sul quale è piombato a tutta velocità Giacomo "Jack" Nisi, ultimo a partire nella gara di Villa Ada e primo a scaldare i cuori di tutti i mille orientisti presenti con una volata generosa, emozionante, a vita persa dal penultimo punto all'arrivo nella quale ha staccato persino i vari Gvildys e Leandersson, che si sono chiesti chi fosse quel folle che mulinava le gambe ad una velocità insostenibile persino per loro. Grazie Jack per l'emozione, grazie per avermi detto che mi avevi sentito fin dal di là del lago e che anche le mie parole erano servite a farti dare il 110% di quello che avevi ancora dentro. Grazie Jack! Se faccio ancora queste follie, questi viaggi, queste levatacce, lo devo anche alle emozioni che voi ragazzi siete in grado di darmi.

“Fermato” durante la posa punti sulle Strade di ... San Francisco?!?

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Che non sarebbe stata una giornata facile per il posatore, l’ho capito fin dal primo punto dei 48 punti (quarantotto! Gli pòssino…). Il primo obiettivo era quello di non lasciare troppe tracce in giro, in fondo siamo in un cosiddetto "centro storico"... non così storico come Lissone o Muggiò, ma insomma siamo lì; il secondo era quello di non coinvolgere un intero esercito di aiutanti ed impiegare un’era geologica di tempo nella posa dei suddetti marcatori dei 48 cerchietti, in fondo è solo un allenamento dell’OK Bovec (anche detta “la squadra del Mino Raiola dell’orienteering nazionale”) in vista del primo appuntamento della stagione, ovvero la Sylvester 5 Days.

Parto quindi di buon mattino con la mia bella divisa ed uno zaino carico carico di: a) banda plastificata bianca e rossa in stile cantiere; b) pacco da 100+100 tovaglioli di carta bianchi ed arancioni c) 5 rotoli di carta igienica e (dulcis in fundo come extrema ratio) d) 3 rotolini di costosissimo nastro adesivo rosso brillante. Arrivato al primo punto, sto per attaccare 40 centimetri di striscia di plastica rossa e bianca al ramo di un albero e mi sento come trafiggere la nuca da una cosa puntùta… giro lo sguardo e questo incrocia l’occhiata in tràlice di una sciura che sta stendendo i panni sul balcone a pianterreno e che comincia ad apostrofarmi: “Cosa sta facendo?!?”.

Nulla, cara signora. Non sto facendo nulla. Sto mettendo dei segnali per indicare il percorso ad un piccolo gruppo di ragazzi che passeranno da qui di corsa… non si preoccupi, poi passiamo a ritirarli… Niente da fare: l’occhiata della signora, che avrebbe incenerito almeno metà di Quella Sporca Dozzina, continua implacabile. A questo punto metto via la striscia di plastica, bypasso al volo il piano B (i tovaglioli arancioni) e atterro direttamente sul piano C: una corta striscia di una trentina di centimetri di carta igienica di poco prezzo, che infilzo sullo stesso rametto. La sciura intanto è sparita all’interno della sua magione. A rompere i c… ehmmm… ad interloquire con qualcun altro, spero.

Con il mio bel rotolo di carta igienica in mano (una visione, penso, davvero inquietante), giro attorno al palazzo ed arrivo al secondo punto. Miro ad un cestino dell’immondizia di fianco all'albero isolato e avvolgo una bella striscia attorno al paletto. Quanto tempo sarà passato, nel frattempo? Va bene che sono lento, ma… tre minuti? Con la coda dell’occhio vedo che a venti metri da me, sulla strada, si ferma una pattuglia delle guardie giurate: “Lei… cosa sta facendo?”.

Nulla, caro signore. Perché me lo chiede? … Segue breve scambio di gagliardetti, io che faccio vedere la mappa e lui che fa vedere il distintivo. Alla fine se ne esce con un generico “Ci sono state segnalazioni… persone che circolano tra i palazzi per lasciare segnali…”; continua con un riferimento non proprio politically correct su una certa etnìa in particolare e, per finire, un avvertimento secco e pungente di piantarla lì subito e di non attaccare nulla da nessuna parte se non voglio avere problemi. Al che, pazientemente, cerco di spiegare di nuovo la situazione, mostro anche la tessera della FISO (seguire la storia della tessera Fiso che verrà buona in seguito) ed illustro il “piano D” che prevede di attaccare solo una strisciolina di nastro adesivo brillante; per garantire la mia buona volontà, torno indietro con lo sceriffo di Dodge City fino al punto precedente e stacco la carta igienica sostituendola con il suddetto nastro adesivo. Lo sceriffo si allontana con una faccia poca convinta e molto incaxxosa, come quella dello sceriffo Will Teasle quando fa testacoda sulla strada perché ha visto negli specchietti Rambo che sta riattraversando i confini di Hope.


(... la traccia evidente del mio passaggio, dopo aver salutato Will Teasle...)


(... questa invece devono averla messa per segnalare di andare a rubare a casa del picchio...)

Il resto della posa prosegue senza eccessivi problemi, anche perché cerco di mimetizzarmi il più possibile in questi felpati dintorni e l’operazione di attaccare la strisciolina di nastro la faccio con la stessa velocità con cui Tex Willer fulmina con la pistola il cattivo di turno (poco importa se i ragazzi avranno difficoltà a trovarla… dovranno fidarsi della mappa e convincersi di essere finiti sul punto). Dicevo, prosegue tranquilla fin quando non mi addentro nel boschetto a marcare la sequenza 28-32.

E’ vero, ho l’Ipod che manda Def Leppard a palla nelle orecchie, quindi sono un po’ anestetizzato rispetto al rumore che può esserci nei dintorni. Ad un certo punto riesco a percepire, persino sento alla schitarrata, un “Ehi tu!” gridato molto forte e, un istante dopo, qualcuno che mi prende per la spalla… Mi giro e mi trovo davanti una scena nella quale mancano soltanto i Navy Seals e la Delta Force, mentre forse i movimenti che percepisco nella parte alta del campo visivo non sono le foglie degli alberi che si muovono ma la S.W.A.T. che sta rapidamente calando sulla scena. Il labiale (ho Def Leppard sempre nelle orecchie) dice “pabomista i togunempi!”… che diventa un “favorisca i documenti!” non appena tolgo gli auricolari.

“Prego, scusi?”. “Ho detto favorisca i documenti e ci spieghi i motivi della sua presenza nel perimetro!”. Il cervello registra le informazioni a velocità supersonica e colgo: una persona accanto a me. Una poco lontana sulla strada, un auto sulla strada (forse due) con chiara indicazione di appartenenza sulla fiancata, una serie di radioline che gracchiano all’impazzata robe tipo “abbiamo raggiunto il sospetto… la situazione sembra essere sotto controllo… verifiche in corso… restate in contatto…”; intanto ci sono persone che fanno jogging accanto a noi, gente coi cani… metto su la mia migliore faccia di tolla e, visto che siamo in un piccolo boschetto a bordo strada, dico “Scusi, quale perimetro?”.


(... il luogo del remake dell'operazione Overlord...)

Non sto a menarla tanto, visto che da lì in avanti le cose assumono contorni tra il clownesco ed il surreale. Finisco con il dover fare un rapporto in un ufficio, rapporto dal quale si evince che:
1. Durante la posa avevo fatto scattare un qualche “allarme di intrusione ambientale” (so dove è successo, ma perché me l’hanno detto Loro... viva la segretezza... ed è un posto a 5 metri dall'asfalto!…)
2. A quel punto ero stato identificato sulle telecamere di sorveglianza e seguito come nemmeno Will Smith in “Nemico pubblico”
3. Avevo sollevato ulteriori sospetti perché mi muovevo in direzioni casuali (grazie coach! La prossima volta tira una bella linea dritta senza tutti quei rimbalzi!) e mi fermavo ogni tanto a guardarmi attorno con atteggiamento circospetto, attaccando dei segnali agli alberi
4. "Una volta deciso di stabilire un contatto col sospetto, questo non rispondeva alle indicazioni verbali…" al che si deduce che la colpa di tutto è di Def Leppard e che magari coi Matia Bazar più soffusi mi sarebbe andata meglio!

Da parte mia, tiro fuori nuovamente la tessera della FISO sul retro della quale era ancora pinzato uno dei vecchi biglietti da visita da addetto stampa che usavo due presidenti fa… “… e questa la teniamo Noi!”. Mostro la mappa di gara, segnalando come non sia la prima volta che veniamo in quel posto a correre (ed io di sicuro sono già passato nei pressi di quel punto dove è scattato l’allarme, anzi forse una volta avevo addirittura un punto proprio lì!), ma ottengo solo sguardi perplessi. Quando si capisce che è stato tutto un clamoroso equivoco, dopo saluti e convenevoli di prammatica (cit. Nico Zuffi) molto più rilassati, posso tornare a mettere gli ultimi piccichini rosso brillante seppure con un ritardo pazzesco sulla tabella di marcia.


(... traccia del mio evidente passaggio nel "perimetro"...)


(... il particolare della traccia, se non si vedesse bene nella foto sopra...)

Alla fine di tutto questo po’ po’ di baraonda, ci ho rimesso solo la mia tessera FISO rimasta in ostaggio della Squadra Aerea Speciale... anzi segnalo al mio Presidente ed al Presidente Gazzèrro - e non Gàzzero (cit. Mauro Nardi) - che sono privo di tessera FISO per il 2014. Ma la cosa che mi sembra più buffa è che, fossi stato io davvero un pericoloso personaggio, nessuno (nemmeno nei momento più caotici) ha mai voluto vedere i miei documenti ufficiali! Forse negli obiettivi della Fiso del terzo millennio c’era quello di rendere la tessera della Federazione un documento ufficiale di identificazione, valido anche per espatrio e sostituivo della patente C-D-E? Se così fosse, ci siamo vicini…


Un ringraziamento al coach che ha tracciato il percorso (48 punti! Te possino…) mandandomi dritto tra le fauci dei Marines, e soprattutto ai ragazzi che hanno aspettato pazientemente per un’ora al freddo, e che poi si sono dovuti sorbire un allenamento di “trova il pixel rosso nel bosco”.


(... Metka verso il cocuzzolo della 29. Si coglie in alto a sinistra un brandello della carta ed in basso a sinistra metà del nastrino rosso...)


(... Sissio impegnato nel bosco, in "zona perimetro"...)


(... un esordiente passato di lì per caso, sempre in "zona perimetro"...)

Il TOP ed il POT del 2013

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Per un anno che si va a chiudere c’è un anno appena trascorso, e si tratta dello stesso anno, che dal punto di vista orientistico non avrebbe nemmeno dovuto cominciare. Sono rientrato alle gare perché non potevo dire di no agli amici del Cus Parma e del GOS Subiaco che mi avevano chiesto di fare da speaker alle gare di Campionato Italiano (middle e sprint), ed alla fine mi sono trovato a gareggiare felicemente una stagione da 35 gare, 31 delle quali comprese tra il 1° giugno ed il 30 novembre! Posso persino vantare una vittoria, nella staffetta Open corsa con Rusky al Parco di Monza in occasione del Campionato Lombardo, ma i meriti della vittoria (come già alcuni anni fa, in M35, al Parco della Pellerina di Torino) vanno tutti ascritti a Rusky!

Tuttavia 35 gare sono un numero sufficiente per tracciare la classifica dei 5 POT e dei 5 TOP dell’anno, con l’avvertenza consueta ai vari organizzatori che i punti TOP della mia personale classifica non si guadagnano offrendo cioccolata e cannoli al ritrovo o mettendo a dormire nella camera a fianco alla mia una certa Johanna Hulkkonen, ed i punti POT non hanno nulla a che vedere con eventuali defiances organizzative ma solo ed esclusivamente con l’ardore, la passione e le incommentabili caxxate orientistiche che hanno accompagnato questa a dir poco tormentata stagione.


(meno 3...)

Una ultima avvertenza per Larry, quella di Larrycette (ma ormai la conosciamo tutti nell’ambiente orientistico): nonostante tutta la tua buona volontà, la strambata orientistica del 2013, forse del lustro se non del decennio, resta quella che ho fatto io a Brescia… Ed infatti è proprio da qui che voglio partire.

POT 2013 – 5° posto – Brescia, Finale Trofeo Centri Storici Nazionali

Se un giorno qualcuno mi avesse anticipato che mi sarei ritrovato, consciamente, volontariamente, consapevolmente ad attraversare di corsa il tunnel di scorrimento veloce che passa (senza marciapiedi) sotto al castello di Brescia, considerandola la scelta orientisticamente migliore che potevo fare… ebbene, forse quel giorno c’è stato ma con ogni probabilità stavo ancora giocando a pallacanestro. Mappe, bussole, scelte… chissà cosa mai significavano? Eppure quel tunnel sotto il castello di Brescia, in una mattina da totale sonno della ragione, sembrava una scelta così naturale… “dunque di continuare imperterrito fin dall’altra parte del tunnel, anche se questa è la scelta più sbagliata, più sbagliatissima, più incomprensibile della storia dell’umanità orientistica planetaria”. 

POT 2013 – 4° posto – Morbio (Canton Ticino), Trofeo Miglior Orientista Ticinese

“ho immagazzinato nel cervello una quantità di informazioni che possono essere così sintetizzate: sprint + in paese + terreno piatto”. No, la gara di Morbio non è per niente una sprint (anche se i vincitori la correranno a velocità da sprint) e l’unica cosa piatta è il mio encefalogramma quando faccio delle scelte di categoria come la HAL ticinese! Se aggiunga il caldo micidiale, una scelta di percorso (quella per andare alla prima lanterna) che il buon Gianni Guglielmetti ancora se la ride e la racconta ai suoi ragazzi ed alle sue ragazze della SeleTicino… “un bel coccolone da caldo e la pressione che, ancora dopo un’ora abbondante dal termine della gara, faticava a raggiungere come valore massimo un numero a tre cifre”: non poteva che essere questa la conclusione della mia giornata amMorb(i)ata dall’orienteering!


(meno 2...)

POT 2013 – 3° posto – Subiaco, Campionati Italiani Sprint

Credo che le giustificazioni ci siano tutte: ho cambiato lavoro da 12 ore circa in quella che, tutto sommato, resterà una delle giornate più importanti della mia vita recente. Ho viaggiato dall’alba per arrivare sui monti che hanno dato i natali a Gina Lollobrigida e Francesco Graziani, piove da far paura ed il dedalo nel quale gareggio è percorso, ad orario speaker, da torrenti di acqua impetuosa (ed impietosa). Da qui a mettere insieme il mio po’ po’ di scempi orientistici del sabato laziale di inizio giugno, ce ne passa (di acqua sotto e sopra i ponti). Quando dico che sono arrivato al traguardo seguendo le note dei Dire Straits mandate dal DJ, non esagero per niente!

POT 2013 – 2° posto – Vrsan Vrh (Slovenia), terza tappa della OOCup

Uscire di carta è una cosa che non mi capita tanto spesso, anzi in un paio di occasioni in carriera l’ho fatto volutamente per cercare di azzeccare una scelta “vincente” (d’altra parte, Minna Kauppi docet). Però non credo che mi sia mai capitato di uscire di carta, involontariamente, in un posto nel quale ci sono dei sentieri belli grossi a delimitare i confini del mappato da quelli dell’ignoto. A Vrsan Vrh l’ho fatto una volta dalla 8 alla 9, e per non saper né leggere né scrivere l’ho rifatto un’ora dopo, dalla 15 alla 16! Una roba da vergognarsi, anche perché per risalire all’interno della carta di gara ho dovuto incrociare i passi e gli sguardi perplessi di parecchi concorrenti che stavano andando in partenza (vero Bea?)

POT 2013 – 1° posto – O-Marathon degli Altipiani, Passo Coe

La gara che aspetto ogni anno per poter dire che è stato un anno meraviglioso. La gara che quest’anno mi ha lasciato con il morale a terra come poche volte prima d’ora in 20 anni di oresta carriera… sconfitto dal tracciato, dal freddo terribile, dall’ultimo giro di Passo Coe che mi prometteva altre 3 ore di fatica o più probabilmente di essere ritrovato congelato come la mummia di Similaun. Solo che, a fronte del mio crollo, altri hanno avuto la forza di arrivare fino in fondo! 

Per fortuna, oltre ai POT, ci sono anche 5 TOP! Le mie 5 gare TOP dell’anno!

TOP 2013 – 5° posto – Piz Sorega, Finale di Coppa Italia

Sarà stata la settimana di acclimatamento, o per meglio dire di adattamento all’altura, trascorsa a Corvara in avvicinamento alla gara. Sarà stato il timore reverenziale nell’affrontare il terribile altopiano a 2000 metri di quota, o più probabilmente il fatto che dopo le prime 6 lanterne la gara ha continuato quasi costantemente in discesa fino a San Cassiano. Sarà stato che, per una volta, gli dei dell’orienteering impietositi mi hanno consentito di lasciare la Val Badia con il ricordo di una gara decente, dopo che nel 2012 anche l’”orientista con l’ombrello” (neo tenutario di una società orientistica) mi aveva appioppato 30 minuti di distacco; ma stavolta posso dire di aver passato l’esame di ladino!

TOP 2013 – 4° e 3° posto – Lago di Lavarone, prima e seconda tappa della 2 giorni internazionale

Una bellissima gara middle Elite nella mattinata di sabato, con un tempo solo di poco superiore al doppio del vincitore Matthias Kyburz, ed una ancora bellissima gara long in M40, con un tempo solo di 4 secondi superiore a quello del giorno prima nella middle. Il tutto in un bosco che per me è stato e resta sempre da favola, fino ad arrivare là dove solo la prima edizione della 5 giorni dei Forti era giunta prima. A questo aggiungiamo il contorno dei vari Hubmann (“Stefano! Il grande speaker italiano!!!”), Gueorgiou, Dodin, Palmer, Bobach & sosia, Tikhonova e Novikov… 

TOP 2013 – 2° posto – Monte Livata, coppa Italia

A volte capita persino a me di tenere un contatto innaturale (dovrebbe essere naturale… e invece!) con la carta dal primo all’ultimo metro del percorso. Pare incredibile, ma è esattamente quello che mi è successo a Monte Livata. Ancora più incredibile il fatto che solo a gara ampiamente terminata, parlando con Denis Dalla Santa, mi sono accorto di aver gareggiato con la carta al 15.000 della MA e non con quella al 10.000 dei quarantenni. Pare evidente che, forse, quel famoso “contatto con la carta” non comprendeva la valutazione corretta delle distanze! Eppure le lanterne, quel giorno dopo la debàcle di Subiaco, mi sono venute letteralmente incontro al punto tale che sul costone a metà gara ho cominciato a mettere di traverso sui pali le mantelline (che erano per terra ai piedi del palo, ma arrivavo lo stesso dritto sui punti!) solo per pensare alla faccia che avrebbero fatto i posatori…


(meno 1...)

TOP 2013 – 1° posto – Stonah (Slovenia), quarta tappa della OOCup

E’ “la carta”, quella che anni addietro aveva mandato in crisi tanti Elite. E’ “il percorso”, quello con 6,5 km + 520 metri di dislivello. E’ “il tracciato”, perché Stonah non perdona(h) con le sue zone dettagliatissime e le pendenze improvvise e le ampie zone rocciose sulle quali è impossibile procedere diritti. Ci sarebbe anche un tempo massimo di due ore e mezza, totalmente irrealizzabile viste le nefandezze del giorno prima a Vrsan Vrh. Quando arrivo al penultimo punto in due ore, 28 minuti e 37 secondi ho ancora la forza per gettarmi a peso morto oltre l’ultimo ostacolo di verde fitto, di correre verso l’ultima lanterna e di sprintare fin sul traguardo. 2 ore, 29 minuti, 55 secondi. Non sarà una gara che gli annali orientistici ricorderanno a lettere miniate in oro, ma per me è questa la gara Top del 2013. 

Sbirciando ad un 2014 “mondiale” che si preannuncia fantastico!


 BUON ANNO A TUTTI!

Schegge di inizio anno

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"Nelle vesti di tracciatore, spesso mi volto a cercare con gli occhi la lanterna che ho appena posato. Con un senso di sollievo, la vedo là dove l’ho lasciata, sentinella di un percorso che ho inventato io, guardiana di un passaggio sul quale attende i primi concorrenti" (1° marzo – Parco Forlanini)


“Ci vuole giorno molto piovoso per annegare papera” (Charlie Chan)


 “Questa gara è una trappola! Fatichi come un animale, non hai il tempo per pisciare, corri nel fango, scivoli di continuo!” “Pensi di correrla ancora?” “Ma certo! E’ la più bella gara del mondo!””
(Theo De Rooy – 1985  - dopo il ritiro dalla Parigi Roubaix)


Quando si dice “Ai miei tempi saltavo i fossi per il lungo”. Loro l’hanno saltato!


Il futuro è sempre negli occhi di chi lo sa guardare…


... perchè, per fortuna, c'è un futuro!


Una volta alla Milano nei Parchi venivano ragazze con la borsetta ed il trucco. Adesso quelle ragazze affrontano anche il diluvio...


... e sorridono pure! (Non c'è più' la gioventù di una volta)


Il modo migliore per sveglliarsi dall'inverno: una mezza maratona, così, senza allenamento, senza preparazione, alla spera-in-Dio (Abbiategrasso – 16 febbraio  - qui ero già brutto…ma ancora in spinta. Lillomarka rulez!!!). La fatica di una podistica la misuro dal numero di giorni che trascorro lasciandomi cadere a peso morto sulla tazza del cesso, perchè le gambe sono come morte. Abbiategrasso 2 giorni - Strabesana 2 ore


Dai che si ricomincia! 

Lipica Open 2014 - the movie... my movie!

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“Io ho fatto 37 guerre, rivoluzioni, colpi di stato, guerriglia... Io sono stato deportato a Porto Longone. Ma io ero come bambino, poppante, invertebrato. Io non avevo ancora incontrato VOI”.


Ero così contento di essermi ricordato di questa frase, pronunciata dal personaggio di Katanga (Lionel Stander) nell’immortale “Stanza 17-17”, un film trattato molto ma molto male nel sito mymovies.qualcosa, e invece si tratta di una commediola divertente che va via liscia con i suoi quattro protagonisti cialtroni e un po’ sfigati che… ma cosa sto dicendo! Non sono mica diventato il Mereghetti! Una frase che si è scritta sul word processor praticamente da sola, a rappresentare al meglio l’inizio di quello che diventerà, se mai ne arriverò alla fine, il racconto del mio terrificante (per le condizioni in cui l’ho affrontato) Lipica Open 2014. Poi una vocina interna si è fatta largo tra torrenti di muco e di catarro, oltre la cortina dell’emicrania e di una infiammazione al nervo trigemino, al di sopra dei cumuli di questa ovatta che mi riempie la testa da 15 giorni e che mi rende difficile pensare, dormire e fare pressoché qualsiasi cosa. Una vocina che dice “guarda che questa frase l’hai già usata…”.

Sono andato a cercare nel mio motore di ricerca interno SteGaalgle ed ho trovato conferma ai timori: avevo usato la stessa frase in occasione della (altrettanto terrificante dal punto di vista della salute) Alpe Adria disputata in Croazia a Platak e Kastav, quella delle cartine “se mi davate la mappa della zona di gara era meglio”, quella dei percorsi “la partenza è ritardata perché il tracciatore non trova i punti di controllo”… cosa curiosa, però: ogni volta che aspetto una gara all’Est da così tanto tempo, come attendevo la Croazia da 1 anno e la Lipica praticamente dal giorno in cui ho cominciato a fare orienteering, succede qualcosa che mi mette in difficoltà dal punto di vista fisico, al punto da rendere veramente improba la mia partecipazione e togliere anche buona parte del divertimento.

Però è dannatamente più curioso un altro fatto avvenuto durante il Lipica Open di quest’anno (che “il Lipica Open e “la Lipica” sono sempre la stessa cosa). Uno – io - fa orienteering o perlomeno fa finta di fare orienteering da 22 anni. Gira l’Europa da 17 anni. Fa lo speaker alle gare nazionali da 10. Si guadagna l’appellativo di “speaker del popolo” perché si costruisce la nomea di conoscere tutti, dagli Elite più forti ai master locali che più locali non si può… e alla fine mi capita ancora di trovarmi in situazioni nelle quali faccio una figura da parvenu… ma da parvenu che più parvenu non si può, da esordiente stralunato che si guarda attorno come se fosse finito su Marte e fosse circondato da marziani, da “ultimo arrivato” come quel giorno del 1992 a Ronzone quando per la prima volta in vita mia ho preso tra le mani una mappa da orienteering (e, sfiga, in quel momento ero già in gara perché il biiiiip lungo era già suonato).

Alla fine ha sempre ragione Katanga! Ho fatto 22 anni di orienteering, Arge Alp, Campionati Italiani e Mondiali master. Sono stato portato a Soederkulla e Torslanda. Ma io ero ancora come esordiente, nemmeno un HC, praticamente una tessera Green. Io non avevo ancora incontrato il GAJA !!!

Giusto per essere chiari, annuntio vobis gaudium magnum: habemus affrontatum l’esperienza di una 5 giorni internazionale a fianco, sul telone e sotto il gazebo, ma anche a cena ed in macchina, con il GAJA. Ed il GAJA mi resterà impresso più della 5 giorni internazionale stessa… Ma andiamo con ordine.

Ogni multi-days che si rispetti parte con un viaggio verso l’ignoto, perché è essa stessa un viaggio dentro l’ignoto. Venerdì 7 marzo è uno Stegal molto, ma molto influenzato che affronta la traversata Milano  - Trieste verso la sua prima Lipica Open 5 days. Nella macchina dell’OK Bovec prendono posto 3 orientisti italiani, 3 orientisti svizzeri, 2 orientisti sloveni (1 vero ed uno che si è banalmente intrufolato) ed 1 orientista norvegese. Prima che il colto e l’inclita possano pensare che l’OK Bovec abbia ciulato nottetempo il pulmino della Besanese, occorre precisare che a bordo siamo solo in tre: Kristian B., Eleonora D. ed io, con la povera Eleonora che per 4 ore e mezzo si dovrà sorbire (fatto salvo l’abbiocco salvifico tra Padova e San Donà) i soliti estenuanti e ritriti racconti di gare di un passato talmente lontano che la punzonatura del testimone veniva effettuata ancora scalpellando la runa celtica; è d’uopo a questo punto un appello a coach Kackmarcik: anziché dire che Andrea Seppi dovrebbe fare bene anche nelle gare in bosco (abbiamo appena ritrovato il Seppino che metteva paura a Khramov, già gli seghiamo le gambe?) tolga dieci minuti a botta ai tempi di Eleonora durante la Lipica Open, dove ha pagato le terribili conseguenze del viaggio con “Stegal il tifoideo” (si, lo so, è una fesseria… ma anche quella detta su Seppino lo ). Sembra incredibile, ma la coabitazione di Stegal e del suo virus, di Kristian e di Eleonora in una piccola auto non produrrà effetti contagiosi sugli altri due occupanti del veicolo, cosa che non si potrà dire di almeno metà dei partecipanti al Lipica Open che torneranno a casa con una bronchite sulla cui diffusione repentina l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta ancora indagando e speriamo che non mi cucchino…! 

Il piano di battaglia prevedrebbe, nei miei sogni, l’arrivo a Trieste, una bella camomilla calda, un sonno ristoratore come lo cerco da giorni (tosse notturna) in vista della prima tappa di sabato 8 marzo. Ahimé… non so ancora che una triplice organizzazione Gaja + Primiero + Varese Or. mi ha iscritto ad una corsa in notturna per le strade di Trieste per guadagnarmi la cena; una corsa che ha una agghiacciante caratteristica: si svolge tutta in salita ed è una Lei&Lui nella quale sono in squadra con tale Larrycette. Ebbene… lo dico a tutti quanti mi ascoltano: diffidate di costei!


Diffidate sempre! Del suo sorriso e dei suoi occhioni languidi quando pronuncia frasi del tipo “io non corro veloce”; non è che costei sia una mentitrice professionista, infatti non corre… le basta camminare! Durante la scarpinata (in salita violenta) per Trieste di venerdì sera abbiamo battuto il primato mondiale sul miglio che resisteva dai tempi di Sebastian Coe, fatto scattare autovelox che hanno immortalato una strada deserta. Ho visto soprattutto i miei poveri polmoni vomitati sul selciato per impossibilità a reggere il ritmo infernale della tesserata GAJA, e dopo aver sudato tutto il sudabile non mi è restato che vaffanculare in salita tutto il vaffanculabile nell’inutile tentativo di resistere a questa specie di Schwazer in gonnella, che va molto più forte di Schwazer persino se indossa i tacchi con cui Carolina Kostner va in discoteca! Al termine di questo autentico WRE, le condizioni di Stegal sono quelle di una larva umana… e pensare che il Lipica Open non è neppure cominciato!

Sabato 8 marzo l’ultima cosa che mi passa per la testa è che sia il giorno in cui fare gli auguri a tutte le orientiste che incontro. Sono impegnato in una battaglia (persa in partenza) per la mia sopravvivenza dopo una notte passata a tossire quello che penso sia tutto il tossibile. Sono fiducioso che il bel tempo (finalmente un po’ di sole!) che si leva sopra la Slovenia ed il venticello che qui chiamano “borino” e che soffia sul campo di gara possano spazzare via i residui dell’influenza; mi presento dunque al via con indosso due magliette, la termica, l’antivento ed il top della divisa. La maggior parte dei concorrenti indossa solo una maglietta leggera… io però devo fare i conti con un 37,8 di temperatura all’apertura del fixing dell’influenza che mi accompagna alla partenza. In effetti parto di corsa, e pur sbagliando parecchio fin dal primo approccio con le doline di cui è piena zeppa la carta di Dutovlje (ah! Come amo queste carte slovene!), arrivo correndo al primo punto. Sarà, purtroppo, l’unico punto che sarò in grado di fare correndo in tutta la 5 giorni… non mi limito all’analisi di questa singola tappa: parlo proprio di tutta la 5 giorni. Il virus preme sulle gambe che non ne vogliono sapere di correre, preme sulla testa che è talmente gonfia di muco che mi basta girare la testa di scatto per sentirne lo sciabordio nelle orecchie, gli occhi mi dolgono ed i polmoni vorrebbero essere di nuovo sputati e lasciati lì a riposare, anziché dover alimentare un fisico (solo nel senso di “laureato in”) palesemente in sfacelo. Non riesco nemmeno a correre fuori dalla prima dolina, anche se il secondo punto è banale ed il terzo è quasi da esordienti, e decido immantinente di cambiare tattica di gara: poiché è evidente che non riesco a muovere un passo di corsa, farò la gara camminando e cercando di sbagliare il meno possibile se non zero. Devo ammettere che questa tattica, tra le doline ed i cento muretti di Dutovlje rende la navigazione assai più facile: mi compiaccio con me stesso per la precisione con la quale arrivo su tutti i punti (navigo di fatto sotto la linea rossa) ma una vocina mi ammonisce sempre che il vero orienteering è quello che stanno facendo gli altri, quelli che corrono al limite della combinazione delle possibilità tecniche ed atletiche, non certo quello che sto facendo io. Al traguardo, affronto il run-in alla chetichella cercando di mimetizzarmi, anche se vengo scoperto subito dalle tute del Trentino appostate il loco, e collasso dopo il traguardo. “Collasso” nel senso letterale della parola. Nonostante 77 minuti di puro cammino, sono in totale cortocircuito, i polmoni sono in sciopero, la testa è una specie di Zeppelin gonfio ma la pressione generale è quella di un pneumatico squarciato… non so quanto tempo passo accasciato sul telone del GAJA  prima che Metka e Daniela mi aiutino dandomi qualcosa da bere e convincendomi che, forse, un giretto all’ambulanza non mi farebbe male. Qui incontro il secondo grande protagonista del mio Lipica Open. Dall’aspetto fisico sembra uno di quei tozzi muscolati che fanno le gare dello Strongman, ma lo sguardo è deciso come quello di uno spetsnaz russo! 


E’ lui che si prende cura di me, mi prova la pressione e butta via lo sfigmomanometro perché pensa che sia guasto, poi me la riprova accorgendosi che anche la massima non raggiunge le tre cifre, infine mi prova la temperatura e scuote il capoccione sconsolato leggendo il dato finale: 34,3! Poiché l’ambulanza è letteralmente presa d’assalto da altra gente che sembra che abbia affrontato le pietre della Slovenia a calci o a testate, e poiché in fondo io sono accudito dagli amici, mi congeda intimandomi di avere cura di me stesso e di non farmi rivedere sul campo di gara finché l’influenza non sarà passata. Peccato che il programma stilato dall’agenzia di viaggio “Hells kitchen” preveda altri appuntamenti... Alle 17 di sabato crollo sul letto dopo aver affrontato barcollando anche la gara di temp-(oral-)O, e posso solo sperare che un miracolo abbia accoppato il virus dell’influenza prima ancora che il sottoscritto; sento la mia voce che delira sotto l’effetto dello Zerinol quando  riapro gli occhi alle 21 e poi a mezzanotte, di mangiare qualcosa non se ne parla ed al mattino di domenica 9 marzo l’unico piano di battaglia che ho in mente è cercare di evitare di incrociare lo spetsnaz.

In effetti domenica 9 marzo la mia seconda tappa in H40 del Lipica Open è brevissima. Le mie possibilità di portare a termine, persino camminando, la tappa più lunga e con più pendenza della 5 giorni, sulla carta più terribile, sono pari a un epsilon piccolo a piacere. Un epsilon che diventa asintoticamente pari a zero quando arrivo con Kristian e Metka sul campo gara e la prima persona che incontro è… lo spetsnaz. Il quale mi riconosce subito e la battuta che segue, puntualmente registrata dal magico duo dell’OK Bovec, è la seguente: “Do you really want to die today? You are a great candidate for that!”. Semplice, preciso, efficace nella sua cruda realtà. Spendo le ultime energie rimaste per raggiungere la partenza, il che si rivela già una cosa improba, alla ricerca di un miracolo italiano che non arriva; quando arriva il mio minuto, prendo la carta e faccio persino fatica a metterla a fuoco. Raggiungo il primo punto camminando e provo a risalire la china della collina verso il secondo punto, ma quando Kristian entra in gara e mi incrocia mi accorgo di essere ormai da due o tre minuti appoggiato al tronco mozzo di un albero a riprendere fiato. Decido di abbandonare.

Resto dell’idea che un ritirato ad una gara di orienteering dovrebbe poter abbandonare il ritrovo appena possibile. L’immagine di tutti i ragazzi che escono vincenti (qualunque sia la loro posizione in classifica) dal bosco è troppo avvilente per me che dal bosco e dal mio corpo sono stato sconfitto. Con gioia, ma ancora di più con una notevole invidia, vedo giungere sul traguardo Larry e poi Zzi (abbondantemente sotto le tre ore di gara immaginate dai suoi detrattori), i ragazzi della nazionale italiana e poi Kristian, con il quale vado ad affrontare la seconda tappa del trallall-o, in versione sprint (per quanto mi è possibile) visto che dobbiamo rientrare alla base del Lipica Open a riprendere Metka che sta affrontando il percorso in DElite.

Nonostante il ritiro dalla tappa di domenica, per rimettermi in sesto mi servirebbero un paio di settimane alla clinica del dottor Messegué. Ignoro che il destino sta preparando per me gli abiti di Katanga (Lionel Stander) e che sto per passare una delle serate più incredibili di questi primi 22 anni di orienteering. Accade infatti che domenica sera la GAJA-car mi porti fino a Padriciano (una località che mi era rimasta impressa fin dalla trasferta all’Alpe Adria croata), in un tragitto tra Sezana e Padriciano che prevede non meno di 142 svolte e girotondi. Se il Gaja voleva mantenere il segreto sulla destinazione finale del viaggio, potevano benissimo bendarmi ed incappucciarmi come si faceva una volta ai rapiti ed agli agenti segreti… andava bene lo stesso! (ad un certo punto non so più se sono al mare, in montagna, in città o in paese, in Italia o oltre confine… e la macchina continua a fare svolte e rotonde). Arrivati a destinazione, vengo informato del fatto che mi trovo a casa di Peter Ferluga e consorte, orientisti di lungo corso del Gaja e genitori di due tra i bambini più deliziosi che io abbia mai visto.  Alla serata si uniscono altri orientisti del Gaja ed improvvisamente mi giunge forte e chiaro da Milano l’ammonimento di Roberta ed Attilio “cerca di non parlare sempre e soltanto di orienteering!”. Beh… forse l’ammonimento andava passato a qualcun altro. Non passano infatti che pochi minuti che le mie orecchie comincino a registrare cose del tipo “domenica andiamo a Cividale che c’è una robetta da 23 km + 600 di dislivello, così ci teniamo un po’ allenati”, e poi ancora “eh si… bisogna che per il duathlon di Basovizza ci facciamo trovare preparati”, e si va avanti con la loro prossima organizzazione della gara regionale di Malchina, le future trasferte oltre confine (e non capisco se oltre confine significa “in Slovenia e Croazia” o significa “in Italia”). Gli aneddoti delle gare passate non risalgono alle rune celtiche, ma alla gara di sabato e a quella di domenica, e in un lampo vengono tirate fuori le cartine con i percorsi e cominciano i capannelli di discussione se la scelta alta in mezzo alle rocce ma piatta era più conveniente della scelta bassa tra le doline ma ripida… ed è tutto un confrontare i tempi e le scelte da cui non si sottrae – horribile dictu…  ma è ora di sfatare un mito!... neppure Larrycette! -. Quando cominciano a parlare del weekend che segue e de corso di cartografia a Paluzza, ebbene è in quel momento che io divento Katanga e, speaker del popolo o non speaker del popolo, devo ammettere che non conoscevo nemmeno l’epsilon per cento delle emozioni che prova questo gruppo di autentici appassionati, e non mi resta che esclamare alla Paul Olum “E’ così che sono gli orientisti del Gaja? E io non lo sapevo???”.
Detto tutto quello che si può dire sulla serata di Padriciano, perché “tutto quello che succede nella grotta, rimane nella grotta!” (cit. Hugh Hefner), posso passare a descrivere brevemente il resto del Lipica Open che tra domenica e lunedì perde l’80% degli iscritti (ma per fortuna non perde la nazionale norvegese femminile). Lunedì a Marezige, con un “borino” che si sta trasformando in “boretto”, la carta di gara è una costa di puro stampo ticinese, probabilmente l’unica del genere in Slovenia! gli atleti lombardi se la cavano benone, essendoci praticamente cresciuti sopra (a questo genere di carte, intendo) mentre assistiamo loro malgrado alle prime difficoltà da parte degli amici del Gaja-sottospecie-G.U.D. che sono assai più abituati a certe carte carsiche (cit. Stegal si qualche anno fa). Io non faccio altro che camminare nel bosco sia in salita che in discesa, gestendo sostanzialmente una gara sotto la linea rossa, a meno dei tanti valloni che si incrociano oggi. Larrycette riesce nel mirabile tentativo di fare tutta la gara in zona “Fuori Tempo Massimo” per poi scatenare tutti i cavalli del motore sulla salita ripidissima che porta dal penultimo punto all’arrivo e rientrare così trionfalmente in classifica.


Marco detto CP, alle sue primissime esperienze con una carta da orienteering (e gli è toccata la Lipica!) porta ancora a casa la pellaccia ed il buonumore e si candida ampiamente al ruolo di rookie of the year 2014 non solo a livello di FISO ma di tutta quanta l’IOF. Entrambi sfoggiano con ardore la nuova divisa del G.U.D., ovvero “Gaja Unemployed Dept.”, sottotitolo “Basically we don’t have anything better to do” che la dice lunga sul fatto che ancora una volta questi ragazzi sanno in che verso prendere la faccenda e la Lipica tutta!


(la foto è presa dal sito del G.U.D. ... poi sennò Larry mi dice che i miei pezzi mancano di colore!)

Martedì si torna a correre sulla carta vicina a quella della mia fatal-domenica, ma è la zona di fianco (al di là della strada provinciale o cantonale o statale o come si può chiamare in Slovenia). E’ una carta divertentissima, per dirla alla Pedrotti “se non sono segnate le pietre non vuol dire che non ce ne sono, ma che ce ne sono appena meno che altrove”, con un sacco di doline incastrate in un terreno sostanzialmente piatto. Compio il mio dovere di buon samaritano tenendo nel pre-gara un corso “come farsi il taping alle caviglie con poca spesa e massimo risultato”, prima che tutti quanti (ragazze del Gaja comprese) passiamo alla successiva sessione di apprendistato “10 modi diversi di indossare il gps” tenuto dalla nazionale femminile norvegese tutta quanta schierata! Sulla gara nulla da dire: a parte una tirata lunga su un sentierino spettacolare, morbido e piatto che consente di evitare l’attraversamento di varie cave di pietre, il tracciato si sviluppa tutto tra le doline e le pietre e non posso fare altro che mantenere la mia tattica di sopravvivenza elogiando nel frattempo l’estrema concentrazione di Peter, Paolo, Alessio detto Zzi e Marco detto CP che mi incrociano in varie occasioni e non si accorgono minimamente della mia presenza.

Mercoledì 12 marzo, l’ultima tappa è una specie di “liberi tutti!” e sarà ricordata non solo per il terreno di gara veloce (veloce e con un sottobosco a tratti addirittura troppo scorrevole e morbido per essere Slovenia), ma per le premiazioni finali che vedono premiati non solo Clizia e Remo (ma si tratta di due professionisti), ma anche Marco detto CP che alla prima esperienza orientistica porta a casa il bronzo in H21B (una HB che lévati… e adesso l’unica cosa più difficile che puoi fare, caro Marco, è l’O-Ringen – scritto così!).



Larrycette, ovvero colei che snocciola sempre “non sono una orientista… non me ne può fregare di meno… LALALALALALA…”, dopo cinque giorni di combattimento spietato tra i sassi può andare fiera della sua medaglia di bronzo in D21B visto e considerato che i suoi percorsi, in alcune regioni cardine del movimento orientistico italiano – escludo quindi la Lombardia–, sarebbero stati almeno da DAK se non da DAtoutcourt.


Io devo accontentarmi di tornare a casa con la mia pellaccia (lo spetsnaz sloveno non ha fatto altro che tenermi d’occhio a tutte le partenze, ed ero io che dovevo andare a dirgli al traguardo “guarda che sono tornato anche questa volta”… segue suo sospirone di sollievo) e, purtroppo, di riportare a casa anche l’influenza ed il virus che non sono riuscito a seminare tra le doline della Lipica. Mi toccherà quindi ripresentarmi a Clusone ancora un po’ “in chiesa” con la salute, e dovrò pure tenere da conto la voce perché comincia la serie di 23 appuntamenti stagionali nei quali potrei essere dietro al microfono. Ma questa è un’altra storia, cioè è la prossima storia…

Con un saluto, un ringraziamento per l’ospitalità, la sopportazione e la condivisione dei miei germi alla famiglia LarryeZzi, al G.U.D., al Gaja, a tutta la nazionale norvegese femminile, a DaniLuca, a MetkaKri, a MeryMarco, a Remo, alla Regina della Bussola ed al Più Affascinante Orientista del Mondo (ma quest’ultima non è una mia definizione, ma di Larrycette!).

SONO TUTTE CATHERINE TAYLOR! (with a rough English translation...)

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Domenica sera. Rientro a casa dalla due giorni internazionale di Clusone, bollito come poche altre volte. Si, ok: ho corso solo una sprint ed una middle (bellissime, peraltro, in categoria Elite! Io in Elite!), ma ho parlato per tutte le tre-gare-tre con i polmoni ancora in fiamme per l’influenza. Suona il telefono: sorpresa! Pietro Illarietti mi invita a collaborare alla realizzazione del programma di Azimut TV, la televisione del canale youtube della FISO. Il primo pensiero è: “ma di solito la voce narrante non è quella di Stefano Mappa? (nomen omen) … ah si! È vero! Ha pensato bene di dimettersi recentemente dal suo ruolo (chissà con chi, e quando, lo sostituiranno…)”.


 Ormai mi conosco bene: il mio understatement mi porta a pensare che nel processo di selezione del sostituto siano stati contattati prima di me altri illustri nomi, poi si è arrivati a Peppa Pig (ma sta organizzando il ristoro della gara di Malchina), al Commissario Basettoni (ma sta ancora festeggiando la vittoria a Clusone e rispondendo a 250 commenti sul blog) ed all’Orientista Più Affascinante del Reame, il quale purtroppo riesce a pronunciare solo le parole “Stegal! Vai a cag…!”… e pensare che gli ho solo attaccato il virus Ebola alla Lipica!

Alla fine, purtroppo per i fratelli Lumière e per tutti i tesserati FISO, non rimane che il sottoscritto, disponibile a buttarsi allo sbaraglio per spirito di servizio, votazione alla causa e tutto sommato in possesso di patente “F” ovvero “quel Fesso che parla sempre al microfono” (cit. sentita a Clusone). In ogni caso, per dirla tutta alla Caposséla

Se è circo che vogliono, circo daremo



Trascorro le ultime ore prima della registrazione a prepararmi in modo certosino, con giudizio e criterio, scaricando classifiche a manetta, riavvolgendo il nastro della memoria sui fatti di Clusone, imponendomi quell’autocontrollo e quell’aplomb che mi contraddistinguono (!) nelle cronache dal vivo.

Finalmente ci siamo! Vedrò dal vivo come viene realizzato il programma di Azimut TV! Arrivo alla sala di registrazione, estraggo dalla mia borsa il materiale richiestomi (classifiche, griglie di partenza, note varie) e sento distintamente le grida di giubilo degli astanti: le informazioni raccolte sono preziose… anvédi che roba lavorare con uno (io) che agisce quando gli viene assegnato un compito? Ma il giubilo si trasforma presto in un incitamento al linciaggio: vengono preparati dei cappi e vedo pure il tecnico del suono aggirarsi con pece e piume. Le classifiche che ho portato sono quelle della due giorni di Clusone.

Perché? Cosa dobbiamo commentare?
Le gare del MOC!

Argh!

E che ne so io delle gare del MOC?
Ci sono state?
Quando?
Dove?
Chi c’era?
Chi ha vinto?
Perché?
Perché io?

Se è circo che vogliono, arrivino i bimbi




Ora capitemi. A parte il fatto che, rientrando dalla Due giorni di Clusone, tutto quello che riuscivo a pensare sull’orienteering era “Clusone”, il MOC è per me la “gara innominabile”. Accadeva infatti in epoca pre-P.I., ma anche pre-“il-pre-P.I.” e persino pre-“il-pre-del-pre-P.I.”, quindi diciamo più o meno mentre gli Apostoli vergavano il Nuovo Testamento (ma noi facevamo già orienteering all’insaputa di Vladimir Pacl), che il MOC fosse quella gara alla quale partecipavano tutti i campionissime e le campionissime più extraordinaires dell’universo mondo, la squadra nazionale italiana sotto mentite spoglie, i fantastici Quattro e Silver Surfer, una bimbetta bionda di nome Catherine Taylor e infine Cristoforo Colombo, solo per citare uno che non si orientava bene…

Io che ero il finto addetto stampa che inseriva i pezzi sul sito Fiso non potevo nemmeno parlarne perché… perché… ecco, diciamo che c’erano dei motivi che non so se ne posso parlare persino adesso, se sono passati in giudicato, e quindi andiamo oltre. Di conseguenza ero bombardato di notizie dagli organizzatori (che poi mi bombardavano di loro quando non trovavano uno straccio di notizia sul sito federale) ed ero… niente, ero abbandonato a me stesso dalla parte “ufficiale” della federazione.

In mezzo a tutto questo, si sono sviluppati nel mio organismo alcuni anticorpi, alcuni si sono addirittura autogenerati al sole delle Canarie mentre sbraitavo al telefono con entrambe le parti in causa dicendo che si prendessero sito e MOC e se lo picchiassero dove non batteva il suddetto sole… il risultato è che ancora oggi questi anticorpi appena sentono la parola “MOC” si tappano le orecchie e urlano forte “LALALALALALALA”; così io tendo a disinteressarmi del MOC, e quest’anno ero pure giustificato perché ero in piena fase “rientra dalla Lipica organizza il trallall-ò a Milano”.

Ma torniamo sul set di Azimut TV. Sfuggito al linciaggio, osservo Pietro che scorre le immagini (lui è il professionista, l’avventizio cialtrone allo sbaraglio sono io): sono in tutto circa 32 minuti di immagini mai viste prima da me, di atleti mai visti prima, in un posto mai visto prima su una gara di cui non so niente. Direi che siamo messi benone! Il menabò del primo quarto d’ora però è pronto: ci sono dei punti dove Pietro ha scritto con mio sommo terrore  “qui entra Galletti”, solo che io non so bene cosa dovrò dire e quali sono i miei tempi di cronaca e le immagini che dovrò commentare. Il mio primo intervento è dopo 4’25” di immagini. Bene. E’ come essere sul miglio verde: mi sento come se qualcuno mi dicesse che ho 4’24” di vita prima che tirino giù la leva della corrente e mi friggano sulla sedia elettrica.

Parere da videospettatore: i video di Azimut TV sono come un rap o come una seconda manche di Tomba a Wengen: è tutto velocissimo! Io sono una specie di neomelodico romantico con tempi di reazione tipo Trio Lescano e ritmo ritmo ritmo di competizione di curling… L’idea è che le citazioni devono essere precise, indicando gli atleti più noti, in una cronaca brillante e frizzante. Rapidissima ma con calma sennò non si capisce niente di quello che uno dice… Cerco la via d’uscita ma Pietro, con una manovra da autentico Elite, mi ha cacciato nell’angolo. La notizia ferale che incrina appena la sua maschera di professionalità (di battaglie del genere ne ha viste più di me) è quella che arriva poco dopo: il video di cui stiamo preparando il menabò non è quello definitivo. La versione definitiva arriverà più tardi!

Se è circo che vogliono, si attacchi la musica




Uno dei problemi del video del MOC è quello che “affligge” in generale il mondo dell’orienteering Elite al femminile: le concorrenti sono per lo più bionde, abbastanza o decisamente gnoc… ehmmm… carine, e tendono a vestire tutte quante di rosa!!! Si vede fin dalle prime immagini che il gusto degli operatori impegnati sul campo e del regista tende al nordico!

Per me, si tratta di una naturale evoluzione dai commenti nazionali a quelli internazionali , con i Mondiali che sono proprio qui dietro l’angolo; è l’evoluzione degli anni di lotte con la famiglia Brandi, con il papà, con Adrienne e Andreina; l’implorazione “una delle tue deve essere platinata!!!” è sempre rimasta inascoltata. Caro papà Brandi: capisco che tu e la mamma le distinguete pure dall’ombra che proiettano sotto il sole, ma suggerimenti del tipo “una è appena più magra dell’altra” o “se le guardi bene in viso capisci subito che gli zigomi di questa sono diversi dagli zigomi di quella” non possono che rimanere inascoltati: come dire… io Adrienne e Andreina le vedo a 100 metri di distanza se va bene, di spalle e corrono pure come autentiche Atalante! Dopo innumerevoli cronache con tripli salti mortali per distinguere le sorelle Brandi o per evitare di palesare il fatto che non sapevo se stesse arrivando l’una o l’altra, ho trovato un modo tutto mio di distinguerle, ho ringraziato l’analista (quello bravo!) per l’assistenza ed il sostegno allo speaker e mi sono detto “fatta questa… il resto è una baggianata”.

Invece adesso il problema si è centuplicato. Sono tutte Catherine Taylor!!! Sono tutte bionde, sono tutte vestite di rosa, corrono tutte veloci, sono tutte forti, tutte gnoc… ehmmm… carine e simpatiche!

Una parentesi per il povero Cosimo. Scusami, Cosimo… anzi scusaci! Scusaci tutti! Per quando abbiamo pensato che tu, obnubilato dai chilometri che macini nelle tue ultra-super-maratone, non fossi in grado di distinguere Ida Bobach (bionda, forte, sempre vestita di rosa) da Catherine Taylor (bionda, forte, sempre vestita di rosa, alta uguale…). Invece, tu ci stavi solo schiaffando in faccia la cruda verità: quelle che per noi sembrano tutte Catherine Taylor, potrebbero invece chiamarsi Ida Bobach, o Lina Strand, o Emma Klingenberg, o Ildiko Szerencszi, o Sal Aminkia… Lasciate che io diventi presidente IOF e ve lo dico io come saranno le tute del futuro: NOME STAMPATO BELLO GROSSO! Davanti, dietro, di fianco e porteranno tutte un cartellone tipo donna-sandwich!

Insomma. Torniamo al video. Per dirla tutta: non ne riconosco una che sia una! Ma ecco che all’improvviso si parte. Si va di registrazione. In diretta.

Se è circo che vogliono, entri il pagliaccio…




Minuto 4’25”. Come il comandante del plotone di esecuzione che ordina di sparare, Pietro annuncia la presenza di “uno dei più noti speaker d’Italia”, e l’attimo di silenzio che segue è lungo come quello che ha preceduto il Big Bang! La mia prima frase è un capolavoro di pause, tentennamenti, interruzioni e punti interrogativi repressi. A risentirla oggi in video, mi fa venire i brividi. Come inizio non c’è male… peggio di me sono Hulk Hogan che introduce WrestlingMania XXX davanti a 75.000 persone e dice “Benvenuti al Silverdome” (che sta a Detroit) anziché “Benvenuti al Superdome” di New Orleans!

Poi si parte di gran carriera! Le voci di Pietro e la mia si sovrappongono perché io sono lento e lui deve partire con il nuovo filmato, ma nessuno ferma la registrazione. Alcune mie frasi restano con il soggetto ed il verbo ma senza il complemento oggetto e nessuno fa nulla. In più punti mi si intorcina la lingua e nessuno dice niente. Altre cose che avevamo provato nel menabò vengono cambiate in diretta... tanto non me le ricordo!

Vedo passare un biondino che probabilmente è un autentico nessuno e lancio lì nel nulla cosmico un “passaggio di Marten Bostrom” il quale, ovviamente, comparirà ben visibile subito dopo con una tuta diversissima, così faccio la figura di quello che non sa chi è il campione del mondo.

E passano solo ragazze bionde, tutte bionde, tutte velocissime, tutte vestite di rosa! Il mio incubo diventa quello di trovarmi in una strada molto stretta senza sbocchi laterali, con un plotone di ragazze nordiche bionde e vestite di rosa che mi corrono incontro! Compare sullo schermo un ennesimo clone, la solita nordica in rosa ed io mi decido e butto un “Catherine Taylor”... ma ho appena attaccato a dire “Ca” che l’immagine cambia su una danese (Alm? Klingenberg? un'altra ancora? Ma chi le distingue???).


Mi prenderanno tutti in giro.
Non mi diranno più“riconosce il 90% degli atleti a 500 metri di distanza guardando come corrono”.
Vado a chiudermi in una grotta, la scelgo in una zona che è stata cartografata una volta nel 1978, così so che la cartina esiste già e quindi nessun orientista ci tornerà mai perché non c’è in brivido della novità.

Sono tutte Catherine Taylor!
... ok, quasi "tutte" ...



*** Rough English translation ***

THEY ARE ALL CATHERINE TAYLOR !

Sunday evening . Returning home from two days of international races in Clusone, boiled as never before. Yes, ok: I've only raced a sprint and a middle (beautiful , however, in the Elite category ! Into Elite I ), but I talked during three races with lungs still burning for the flu . The phone rings : surprise ! Pietro Illarietti invites me to collaborate in the implementation of the program of Azimut TV, the youtube television channel of FISO. The first thought is "why me? Usually the narrator is Stefano Mappa! (Stephen Map: nomen omen) ... ah! It's true ! He has recently resign from his role (who knows with whom, and when , they will replace it ... ) . "

Now I know it very well : my understatement leads me to think that in the process of selection of the substitute have been contacted before me other illustrious names, then you arrived at Peppa Pig (but is organizing the race in Malchina), 
Chief Seamus O'Hara (but he is still celebrating the victory in H35 at Clusone and responding to 250 comments on his blog) and the Most Fascinating Orienteer of the World, which unfortunately is only able to pronounce the words " Stegal ! F**k you! " ... And you think I just attacked him with the Ebola virus at Lipica Open!
 
At the end, unfortunately for the Lumière brothers and all members of FISO, all that remains is myself, available to jump into the fray for a spirit of service to the cause and owner after all of a driver license "F" like “that (Fesso… not a good word always speaking at the microphone" (cited in Clusone by someone of public races). In any case, saying with Vinicio Capossela
 
If you want the circus, you got it!
 
I spend the last few hours before recording to prepare so meticulous, and with criteria, downloading charts, rewinding the tape of memory on the facts of Clusone , commanding self control and british aplomb that distinguish me (!) as a speaker.
 
Here we are! I'll see live how the programs of Azimut TV are! Coming at the recording studio, I extract from my bag all the material (charts, starting grids, various notes) and I distinctly feel the jubilation of the bystanders: the collected information is valuable ... look at this precious boy! But the joy soon turns into an incitement to lynching : the loops are prepared and I also see the sound engineer wander with tar and feathers . The rankings are the ones that I took from two days of Clusone .
 
Why ? What are we going to comment?
The races of the MOC !
 
Argh!
 
What the hell I know about the races of the MOC ?
There have been ?
When?
Where?
Who was there?
Who won?
Why ?
Why me?
 
If you want the circus , let the children enter
 
You have to think that, after the two days of Clusone , all I could think about orienteering was "Clusone". But the MOC is for me the "race unmentionable". In fact it happened before the actual press agent, before the before-the-actual-press-agent, before the before-the-before-thebefore-theactual-press-agent, so let's say more or less while the Apostles wrote the New Testament (but we already did orienteering ) that the MOC was that the race which included all the super champions from all over the world, the Italian national team in disguise, the fantastic Four and Silver Surfer, a little girl blonde named Catherine Taylor and finally Cristoforo Colombo, just to mention one that does not become disoriented good ...
 
At that time I was the press officer who inserted the articles on the website FISO: I could not even talk about it because ... because ... well, let's say that there were some reasons that I do not know if I can speak even now, and then we go over . As a result, I was bombarded with news from the organizers (who then bombarded me when they could not find a shred of information on the Federal website ) and I was ... no , I was left to myself from the "official" of the federation.
 
In the midst of all this , we have developed some defence in my body , some are even self-generated in the Canarian Island when I was hitting on the phone with both parties saying that they were taking news and website and pick everything up for their asshole... the result is that even today these defence as soon as they hear the word "MOC" plug their ears and shout loudly " LALALALALALALA"; so I lose interest in the MOC , and this year I was also justified because I was in full swing "coming from Lipica Open, going to manage the pre-o in Milan"
 
But back on-set Azimut TV. Escaped lynching, I would observe the press agent flowing images (he is the professional one, the casual clown is me): it’s about 32 minutes of never before seen by me, athletes never seen before, in a never before seen place, about a race of which I nothing know. I would say that we are going fine! The script for the first quarter of an hour, however, is ready : there are points where Pietro wrote to my great terror " here comes Galletti", but I do not know what I have to say and what are my times, news and images I'll have to comment. My first script after 4'25 ". All right. It's like to be on the Green Mile: I feel like if someone told me that I have 4'24 "of life before they pull down the lever of the current and burn me the electric chair.
 
Personal opinion: Azimut TV videos are as an Eminem-rap or as a second run in Wengen by Alberto Tomba: it's all fast! I'm a kind of a romantic crooner with times of reaction like a curling competition ... The idea is that the quotes must be accurate, indicating the most well-known athletes , in a chronicle bright and sparkling. Rapid but steady otherwise you will not understand anything of what anyone says ... I am looking for a way out but Pietro kicked me and my chair in a corner. The fatal news that just cracks his mask of professionalism is that the video we are preparing is not definitive . The final version will come later!
 
If you want the circus, let start the music
 
One of the problems of the video of the MOC is a "plague" in the general world of orienteering Elite women: the competitors are mostly blondes, so beautiful, and all of them tend to dress in pink! ! You can see from the first picture that the taste of those engaged in the field and the director of the Television tends to Nordic!
 
For me, it is a natural evolution from the comments domestic to international , with the WOC that they are just around the corner here ; is the evolution of years of struggle with Brandi family with dad , with Adrienne and Andreina ; the plea "must be one of you with platin hairs! " remained unheeded . Dear Dad Brandi: I understand that you and mom also distinguish the shadows that they project under the sun, but suggestions like " just one more lean of the other one " or " if you look them straight in the face, you immediately understand that the cheekbones of this one is different from the cheekbones to the other one" cannot but remain unheeded: ... I see Adrienne and Andreina 100 meters away if all goes well , the back and they run like Allyson Felix! After countless chronicles with triple somersaults to distinguish the Brandi sisters or to avoid reveal the fact that I did not know which one was coming, I found a way to distinguish my own, I thanked the analyst (the good one!) for assistance and support to the speaker and said to myself " this is done ... the rest is nonsense"
 
But now the problem has increased a hundredfold . They are all Catherine Taylor! They are all blondes, all dressed in pink, all run fast, they are all strong , all beaut… cute and funny !
 
A prayer for the poor Cosimo. Excuse me, excuse us ... really Cosimo! Excuse us all ! For when we thought that you, clouded by kilometer done during your super- ultra- marathons, you were not able to distinguish Ida Bobach (blond , strong, always dressed in pink ) by Catherine Taylor ( blonde , strong, always dressed in pink , the same high ... ). Instead , you were just putting in our faces the harsh truth : those that we all seem to Catherine Taylor, could instead be called Ida Bobach , or Lina Strand, or Emma Klingenberg , or Ildiko Szerencszi , or what else! ... Let me become IOF President and I'll tell you how the suits of the future will be : NAME PRINTED SO BIG! Front, back , side and bring all of a billboard!
 
In short . Let's go back to the video. To be honest : I do not recognize who is who! But then suddenly it starts . It goes registration . Live .
 
If you want the circus, let the clown enter
 
Minute 4'25 " . As the commander of the firing squad calls the fire, Pietro announces the presence of "one of the most well-known speaker of Italy", and the moment of silence that follows is as long as what preceded the Big Bang ! My first sentence is a masterpiece of pauses, hesitations , interruptions and question marks repressed . To hear it again today in the video , it makes me shudder . As a start it's not bad ... worse than me only Hulk Hogan introducing WrestlingMania 30 in front of 75,000 people and saying " Welcome to the Silverdome " (which is in Detroit ) instead of " Welcome to the Superdome " in New Orleans!
 
Then we start a great career ! The voices of Pietro and mine overlap because I'm slow and he has to start with the new movie , but no one stops the recording . Some of my sentences remain with the subject and the verb but without the direct object and nobody does anything . At several points I lose the language and nobody says anything . Other things that we had tried in the script are changed live ... so I do not remember what I have to say!
 
I see a blond runner (a male) who probably is no-one and I present him as “Marten Bostrom". Of course Bostrom appears visible just after a second very a suit very different, so I appear like that one who do not know who is the world champion.
 
And is plenty of blonde girls, all blondes, all fast, all dressed in pink! My nightmare becomes that I’m in a very narrow street, with a platoon of Nordic blondes girls dressed in pink and running towards me! Appears on the screen yet another clone , the usual Nordic pink and I decide by myself and I throw a "Look at Catherine Taylor " ... but I just stuck to saying the "Ca” that the image changes on a Danish ( Alm? Klingenberg ? Another one again? But who stands out ?) .
 
I will take all around.

Do not tell me more "he recognizes the 90 % of the athletes 500 feet away watching how they run ."


I am going to lock me in a cave, I choose it in an area that has been mapped once in 1978 , so I know the map already exists and therefore no orienteer we will never come back because there's no thrill in the news.
 
They are all Catherine Taylor!

Speaker and Catherine Taylor: The story continues ...

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Summary of the previous. After escaping the traps of Prince Cosimo of Vicenza and have camouflaged to avoid being recognized by the speaker at MOC, the mighty and famous British orienteer Catherine Taylor continues to be spotted everywhere. Today is the turn of Larrycette, in a special episode of the famous television format "Who has seen her?"

*** La storia continua... Riassunto delle puntate precedenti. Dopo essere sfuggita alle trappole del principe Cosimo della Vicentina ed essersi mimetizzata per evitare di essere riconosciuta dallo speaker al MOC, la prode atleta britannica Catherine Taylor continua ad essere avvistata ovunque. Oggi è il turno di Larrycette, in uno special GuestPost abbinato alla trasmissione televisiva di successo "Chi l'ha vista?" (e si tratta del PRIMO guestpost pubblicato su questo blog...)

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La recente disavventura del nostro ori-blogger preferito non deve scalfire la sua reputazione di “Speaker del popolo” e preparato conoscitore di atleti, capace di riconoscerli a chilometri di distanza, controsole, bendato, girato dall'altra parte, con la molletta al naso, la cera in un orecchio e Uma Thurman che gli bisbiglia cose sconce nell'altro.


Nel caso specifico della graziosa atleta inglese, inoltre, lo Speaker l'aveva incontrata molte altre volte, ed è, di conseguenza, impossibile pensare che non sia in grado di distinguerla da altre, pur giovani, forti e avvenenti, atlete bionde.



Ecco le immagini di alcune delle volte che lo Speaker ha visto Catherine Taylor, che ho raccolto in una piccola galleria proprio allo scopo di dimostrare che il nostro la conosce perfettamente e non può di certo averla realmente confusa, perché non l'hai mai fatto prima.





La giovane orientista inglese è una ragazza sportiva.

Qui lo Speaker l'ha immortalata mentre si rilassava giocando una partitella a tennis:










Naturalmente, lo sport preferito di Catherine Taylor resta l'orienteering, che ama praticare anche nelle versioni più alternative; il surf-o, per esempio (si noti la bussola sul pollice):




… o l'orienteering a cavallo:





Ma non pensate che la giovane non abbia a cuore i diritti degli animali.


Qui lo Speaker l'ha colta mentre si occupava amorevolmente di una creatura del bosco (purtroppo il la fotocamera del Blackberry dello Speaker non sempre fa ottime foto, perdonate la bassa risoluzione):




Catherine Taylor prende parte volentieri anche a gare di orienteering in centro storico, anche se – incredibile a dirsi – qualche volta l'ambiente urbano l'ha messa in difficoltà.


Eccola in un raro momento di confusione, mentre chiede indicazioni, immortalata da un prontissimo Speaker, che l'ha subito riconosciuta:


Qui, invece, l'ha fotografata durante una gara in Olanda (si capisce dal vento):




Dopo l'esperienza al MOV, invece, Catherine Taylor è rimasta tanto colpita dalla bellezza di Venezia che ha voluto farci ritorno per il carnevale.

Per pura coincidenza, lo Speaker era presente e l'ha riconosciuta senza fallo, nonostante il travestimento:




Da ragazza assennata qual è, però, la giovane non pensa solo all'orienteering e ai risultati sportivi, ma ha ben presente l'importanza degli affetti e del coltivare le relazioni.

Lo Speaker, che casualmente si trovava nell'appartamento dirimpetto, l'ha fotografata in un momento di relax, mentre era andata a far visita a un amico infortunato:












E, naturalmente, Catherine Taylor è pur sempre una ragazza, e come tale ogni tanto indulge in frivolezze.

Lo Speaker l'ha sorpresa mentre leggeva un rotocalco per aggiornarsi sulle ultime tendenze della moda sportiva



Come dimostrano queste immagini, dunque, lo Speaker non può aver realmente scambiato una bionda qualsiasi per Catherine Taylor, anche perché, come vedete di seguito, si erano perfino incontrati personalmente:



La sottile linea rossa

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Il pomeriggio di sabato 26 aprile ero immerso nei miei pensieri stanchi e per l’occasione ancora meno lucidi del solito, e mi sono domandato se mai un giorno Per Forsberg vorrà sapere chi è quel tale che gli è stato appioppato come spalla muta, tipo Fabio di “Fabio e Mingo”, per le cronache live dei WOC 2014 che stanno per arrivare.

Dal pensiero sono passato all’azione, e nel giro di una mezz’ora di lavoro ho messo insieme una specie di curriculum vitae delle mie esperienze al microfono, fresche del Campionato Italiano Sprint appena terminato a Sopramonte e… già che c’ero, del Campionato Italiano Middle che sarebbe andato in scena l’indomani.

Ho compilato la lista di gare che sono state accompagnate, talvolta (spero) allietate ed altre volte (certamente) afflitte dalla mia voce che sale e scende di tono senza un filo logico, che si esalta per un arrivo inaspettato in W14 (Vera Chiusole: il giorno che sarebbe diventata campionessa italiana, qualcuno avrebbe dovuto ricordarsi che io l’avevo pronosticato per primo… e quel giorno è arrivato a Sopramonte!) e si dimentica di Marco Seppi vincitore in MElite. Ho rivisto nel film le immagini della prima volta a Pian del Gacc, gli Altipiani di Asiago, il WRE in Andalusia, i tanti Campionati Italiani. In 10 anni, sono stato dietro al microfono 128 volte! Contate una ad una. In queste centoventotto volte, centoventisette mi hanno visto anche in gara prima della partenza del primo atleta; in due o tre occasioni (Monghidoro sotto la neve, la tappa del Lago di Lavarone alla 5 giorni dei Forti, a Pian del Gacc e forse anche a Lanzo d’Intelvi) non sono riuscito ad arrivare al traguardo in tempo per accogliere il primo concorrente “vero” della gara.

Ho sempre cercato di fare del mio meglio per gareggiare nelle stesse condizioni degli atleti, con una mappa vera in mano, con una categoria vera nella quale figurare in classifica fosse anche solo una classifica valida solo per me perché non ho i punti per fare l’Elite. Questo fatto di correre la gara nella stessa condizioni degli atleti è l’unica molla che mi dà la carica per cominciare a parlare al microfono; spesso ho usato la mia qualifica di “atleta in gara” per permettermi quelle libertà di pensiero e di commento critico che non mi sarebbero permesse, per rispetto verso gli altri atleti, se io non mi fossi cimentato prima di loro nelle stesse condizioni, sullo stesso terreno, tra le stesse pietre o paludi, salite o discese ripide, a cercare i loro stessi punti ed a penare per un errore di parallelo che ti lascia venti minuti a vagare in una zona identica a quella dove pensi di essere (ma uguale per cartografia… se non fosse per quella canaletta non segnata! Ma di sicuro è una dimenticanza del cartografo…) o quando le lanterne sembrano essere state portate via dagli alieni (passi dietro ad un sasso, la lanterna non c’è! Vaghi per cinque minuti per riposizionarti, ritorni allo stesso sasso e trovi la lanterna…).

Ricorderò sempre il commento assolutorio di Klaus Schgaguler dopo la sua vittoria ai Middle di Asiago, quando gli ho fatto notare che il suo tempo era esattamente la metà del mio “Si, ma tu hai corso al buio e sotto il diluvio!”. Ricordo tutte le volte che ho costretto un organizzatore a fare i salti mortali per consegnarmi una mappa di gara alle prime luci dell’alba, a gestire la mia iscrizione in una categoria alla quale non posso partecipare, a prevedere la presenza di un folle solitario nel bosco alle 7 del mattino, o anche prima quando è stato possibile. Ho ricordato poi tutti i commenti “Chi glielo fa fare?”. Ed infine, nella compilazione di quella lista che ha toccato quota 100 – a mia insaputa fino a tre giorni fa - agli European Master Games a Sgonico, ho ricordato quelle volte in cui sono stato io a chiedermi “Che ME lo fa fare?”. La risposta a quest’ultima domanda è sempre la stessa: io sono – ancora – un orientista. Non sono uno speaker. Se fossi uno speaker, proverei a fare il Per Forsberg; ma non mi divertirei così tanto. Sono un orientista, quindi provo a fare l’Alessio Tenani. Non ci riesco, ma mi diverto di più! E poi capitano le occasioni come a Overmountain, nello scorso fine settimana, quando in soli due giorni ho provato a fare sia Alessio Tenani che Christine Kirchlechner in un colpo solo.

Ho fatto fatica, tanta, fino a toccare spesso quella sottile linea rossa dell’indicatore della benzina nel motore che costituisce la differenza tra il divertimento puro e la sofferenza masochistica. Ho impiegato un’eternità a finire le gare, e quella sottile linea rossa è diventato il confine tra una prestazione decente, che però motiva la mia richiesta di correre una categoria superiore alle mie possibilità, ed una indecente che non è altro se non la rivendicazione edonistica di un falso speaker a gareggiare su un percorso che non ho più nelle gambe e neppure nella testa.

Verrà un giorno nel quale non sarò più in condizione (o non ci saranno le condizioni logistiche) di fare la gara E essere lo speaker. Quel giorno dovrò fare una scelta, e non è detto che abbraccerò la causa del microfono. A Overmountain mi è andata ancora bene, e se sono qui a raccontare la mia sfida alle Donne Elite nel Campionato Middle più duro che io abbia mai corso (e ne ho corso anche qualcuno maschile!), allora forse vuol dire che ho ancora un po’ di margine prima di dover gettare la spugna.

***

Dal punto di vista orientistico, la difficoltà più grande del fine settimana (ok… ci sarebbe anche la lanterna 2 del percorso di domenica, ma ci arriverò) è stata quella di uscire indenni dal paesino di Roncafort, periferia di Trento, paese che d’ora in avanti chiamerò “lasciate ogni speranza voi che entrate”! Non ho idea di chi abbia disegnato la planimetria di questo posto, ma ad un certo momento ci siamo trovati con il giro del Trentino tutto attorno a noi (e strade bloccate), una serie di stradine che non portano in nessun posto, una simil-tangenziale che ci riporterebbe indietro di qualche chilometro rispetto alla nostra destinazione, ed un navigatore che entra in sciopero suggerendo il fatto che il punto di arrivo è praticamente in mezzo ad una foresta.

A Roncafort esiste, e se mai ne è esistito un altro non lo so, un trivio da cui partono tre strade ognuna delle quali ha un cartello “divieto di transito – vietato l’accesso” all’inizio! Prima di cedere all’esaurimento nervoso, il guidatore PLab riesce nell’impresa di fare un quattrocento metri in retromarcia tra dossi, curve e recinti ed in qualche modo torniamo in carreggiata per arrivare alla promozionale dell’Orientaparco al Quartiere Albere, zona Muse e Stadio Briamasco, di Trento. Orientaparco: la risposta trentina alla “Milano nei Parchi”. Una risposta che, purtroppo per i milanesi, non ammette repliche: decinaia e decinaia di persone al via, gonfiabili, gazebi, punzonatura elettronica ed una carta piccola, piatta, sostanzialmente cittadina, ma divertentissima!



Fin dal primo punto di controllo del mio percorso MElite penso a che figata sarebbe se su quel punto ci fosse una telecamera fissa collegata ad un maxischermo in zona arrivo. Sarebbe bellissimo vedere gli Elite balzare felini nella canaletta che scorre tra i portici, con sbuffi d’acqua ovunque e slow motion, o sbucare tra le siepi o correre tra le persone assiepate attorno all’unica asperità del percorso (una depressione nel parchetto) che ovviamente nasconde la sua bella lanterna che dovrò ripetere due volte! Due volte? Due volte. La mia mente bacata è più instabile di quella del Barone di Muenchhausen, infatti, e non realizza che l’Orientaparco non è la Milano nei parchi, e quindi se c’è la punzonatura elettronica bisogna fare “clear and check”, e non capisce cosa intenda papà Raus quando alla partenza mi dice che la carta è già girata sul lato giusto. Cosa mi importa se è girata giusta? Sono un orientista, la oriento io la carta! L’importanza e la correttezza del suggerimento mi arriva forte e chiara dopo la lanterna 14, quando già in debito di forze ed ansante come un cane malato mi accorgo che il percorso ripassa dalla partenza.



Dopo aver scartato l’idea di dover fare un secondo giro, compio il gesto più ovvio di girare la carta e … sorpresa sorpresa!... c’è proprio un altro giro da fare. Peccato che le energie siano già al di sotto della sottile linea rossa della riserva e quindi il secondo giro (sempre divertentissimo) si trasforma in un piccolo calvario cui assistono purtroppo le tante persone che affollano il parco e che si saranno chieste chi è quella specie di bradipo grasso fasciato nei colori del Lillomarka OL che deambula avanti e indietro superato ad ogni incrocio da qualche ragazzino ben più atletico. Causa dimenticanza del clear and check, in mio tempo finale verrà calcolato con qualche algoritmo della Nasa, o forse è solo “Davide Volpi meno 1 secondo”!

Dal punto di vista della prestazione atletica, non mi va meglio nel caldo ed umido sabato mattina dei Campionati Sprint. Sono fisicamente esausto già prima di partire! Il fatto che le prime tratte di gara si corrano in una classica “erba da elefanti” da sfondare passo dopo passo (chi è partito dietro di me non mi ha nemmeno ringraziato!) abbatte ancora di più il livello del carburante a disposizione; se non sapete il significato di “erba da elefanti”, nessun problema: non avete letto “Il grande affare del sassolino” di James Grady e probabilmente eravate a fondo griglia…



Il percorso di gara è labirintico il giusto, duro il giusto, complicato un po’ troppo oltre il giusto per quanto riguarda quei muretti attraversabili o no (io che non ho problemi di tempo ho sempre fatto il giro largo, ma talvolta più per imperizia tecnica che per effettiva volontà di essere aderente ad un regolamento che non trovo equo). Quello che sicuramente non è al posto giusto è il sottoscritto che arriva al traguardo in un tempo da Campionato Middle dopo aver dato una piccola pettinata anche al campo da fieno posto sotto la zona arrivo, campo nel quale sono posizionate ben tre lanterne e che purtroppo si vedrà benissimo dalla zona spettatori ma dal quale lo speaker Andrea Segatta ed io riusciremo a cogliere i passaggi principali di una gara che è stata sicuramente emozionante e si è davvero chiusa solo con l’arrivo dell’ultimissimo concorrente.

Resta solo la gara di domenica mattina, per la quale Andrea Rinaldi ha in serbo per me una sorpresa: visto che non sono in condizioni di correre la MElite (arriverei al traguardo a mezzogiorno) e nemmeno la M35 (arriverei alle 11.45), e visto che non intendo fare il mio ingresso trionfale in M45 almeno fino a metà luglio (sindrome di Peter Pan, questa sconosciuta)… tanto vale attivare la molla che carica lo speaker con un percorso speciale, quello che per l’occasione non può vedere al via Christine Kirchlechner! Ebbene si. Grazie alla solita burattinata di regime mi è stato consentito di partire sul percorso delle WElite. Cosa che ho accettato di buon grado e anche con un certo spirito di sfida lanciata alle ragazzine ed alle ragazzone più forti della lista base italiana…



(questa è la carta Elite maschile presa dal sito di Alessio, perché NESSUNA WElite ha ancora un suo blog nel quale inserisce le carte di gara... quindi speriamo che prima o poi Larrycette passi in WE!)

… uno spirito di sfida che ha pensato bene di tornare alla base nel momento in cui è diventato palese che il bosco nel quale mi stavo infilando sotto il diluvio era più buio che guardare nel culo di una marmotta! Lo stesso spirito di sfida è poi tornato sotto le coperte a dormire quando mi sono accorto che la prima lanterna era in cima ad una salita terrificante in mezzo al disbosco (“… sembrava che avessero tirato giù gli alberi con le bombe!”). Comunque la prima lanterna l’ho trovata subito.

Non così la seconda. Per festeggiare il gemellaggio con il Semiperdo Maniago, con Clizia Zambiasi nello specifico, il mio tempo sulla lanterna due è di 17’42”! E non ho ancora affrontato la terribile pietraia nel verde che costituirà, penso il leitmotiv delle prossime discussioni orientistiche… Poiché Dario Pedrotti ha già descritto nel suo blog la mia stessa scelta di percorso, risparmio energie e faccio copia&incolla: “tratta lunghissima a scelta multipla (più da long che da middle, ma a me che'mmi frega) che decido di prendere di petto, puntando al sentierino che porta alla forestale che taglia il verdone sassoso, e a uscirne poi dalla strada più corta, diritto verso il punto. Esecuzione da manuale, discesa precisa poco sotto il bivio, saluto festoso alla stradina, discesa a manetta fino al curvone e corsa sgarrupata fra i sassi e il verdino fino a sbucare al sentiero dopo”. Purtroppo la festa finisce quando devo risalire alla mia 5 (la 6 del percorso MElite) tra canalette e fossi profondi che faccio davvero fatica a distinguere da tanto che fa buio (sono davvero nel culo della marmotta!). Attacco la 5 dal basso e non la trovo, poi dall’alto e non la trovo, poi per miracolo ci finisco addosso e piango per la fatica e le energie sprecate.

Da quel punto in poi, diventa quasi una passeggiata di salute.

So di aver fatto la maggior parte della salita, di aver superato il doppio passaggio nella pietraia più fetida e sono ancora in piedi. E’ una passeggiata un po’ masochistica e molto fradicia di pioggia, ma divertente perché non ho nulla da guadagnare e posso permettermi di prestare particolare attenzione nei passaggi tra e sopra le rocce che sono diventate delle autentiche saponette (non potrà essere la stessa cosa per tutti coloro, in tutte le categorie, che gareggiano per le medaglie e che in tanti si frantumeranno tra le rocce… assicuro che anche le mie gambe sono piene di ferite). Vengo a capo del secondo grappolo di punti appoggiandomi alla curva del sentierone posto a sud della 11 (la mia 8, mi pare di ricordare), proprio nessun problema sulla 9 e 10 (la 12 e 13 degli Elite maschili). La mia 11 e 12 sono la 16 e 17 del percorso Elite maschile, e di schiantarmi di nuovo tra i sassi non ne ho comunque voglia, quindi faccio il giro largo scendendo a nord-est e prendendo il sentierino che porta proprio in zona punto (scelta apprezzata da Davide Miori, in particolare per il modo in cui ho trovato la 11, entrando a muzzo dal sentiero…).

Le tratte successive si corricchiano persino bene fino al suggestivo passaggio nella “grotta” con il tavolo da lavoro tutto impolverato. Da lì è tutto facile. Avvicinandomi al traguardo spero di cogliere in lontananza la voce dello speaker, primo contatto umano dopo l’incitamento di Andrea R. al via, ma la pioggia sta costringendo gli organizzatori a fare gli straordinari per approntare una zona arrivo quantomeno regolamentare e la postazione microfonica è l’ultimo dei problemi. Chiudo il mio primo (probabilmente ultimo) Campionato Middle WElite con il ragguardevole tempo di 1 ora, 40 minuti e qualche secondo meno di 23, visto che il finish non era ancora approntato e Davide Miori è stato costretto a corrermi incontro con cavalletto e tutto il resto!

Un risultato che, unitamente a quello della Sprint che ho corso in un temo da Middle, mi consente di mettere in saccoccia una Middle con un tempo da Long se non Ultralong… Federica Negri e subito dopo Sara Liparesi e Anthea Comellini, prime al traguardo tra le vere WElite, mi picconano addosso quasi 30 minuti di distacco. Bravissime loro! Non ci sono più le WElite di una volta… adesso ogni fanciulla che corre in quella categoria non esiterebbe un secondo a scalcarmi via il cuore dal petto con le scarpe chiodate pur di lasciarmi indietro di almeno mezz’ora… Ma devo ammettere che non sono loro ad andare più forte ma io ad andare molto più piano. Però continuo a divertirmi. Verranno giornate migliori per le mie gambe e la mia testa e la sottile linea rossa che mi divide dalla scelta se tornare ad essere un solo-orientista sembra ancor lontana.

E che Per Forsberg si porti dalla Svezia un buon numero di pastiglie per la voce! Ne avrà bisogno…

Castelrotto: coming home...

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Voglio scrivere qualcosa sulla gara di Coppa Italia di Castelrotto prima che i ricordi di ieri sera, quando ho provato a rifare la gara nella mia mente punto per punto, sbiadiscano e si confondano con i prossimi appuntamenti. In realtà c’è ben poco da confondere… quello che al limite potrei mischiare insieme sono i ricordi di Castelrotto con quelli del bosco nel quale sono cresciuto!


Sono cresciuto infatti nel bosco di Tavon, una pineta\abetaia su un piccolo altopiano rettangolare circondato da: il burrone che butta verso San Romedio, la strada che collega Coredo alla località Due Laghi, il paese di Coredo, lo stradone che da Coredo porta a Tavon. Perdersi? Impossibile. In quella pineta c’è sempre stato posto per i sentieri più ampi, quelli che si usavano per portare avanti i trattori quando c’era da andare a fare le sorti di legna e quelli che sono poche volte i trattori percorrevano per andare a recuperare qualche albero caduto. E poi ci sono sempre stati quei piccoli sentieri, una piccola riga pelata e netta in mezzo agli alberi o ai licheni, che servivano ai fungaioli per andare a cercare nei posti che conoscevano. Una rete che noi bambini conoscevamo così bene che ci veniva concesso di andare a giocare nei boschi anche di notte; non ricordo che mai nessuno si sia perso! A scrivere così, tuttavia, sembra che si voglia fare un impietoso paragone con la gara di Sopramonte che si era disputata solo tre giorni prima… il che non è! Per questo voglio provare a dare sfogo ai miei pensieri e raccontare.

Allora. Dato che sono cresciuto nel bosco di Tavon, ho sempre creduto che tutti i boschi fossero come quelli di Tavon! Per dirla in linguaggio “comunicato gara”: visibilità ampia, percorribilità da buona a ottima, fondo del terreno compatto e asciutto, vegetazione non invasiva… Ho sempre pensato che, per definirsi “bosco”, queste fossero le caratteristiche necessarie. Quando ho scoperto l’orienteering, ero ancora contagiato dal “morbo di Tavon”. Ho pensato quindi, e l’ho pensato per anni, che essere un atleta Elite (che io non sono mai stato, ma me li immaginavo così) voleva dire poter correre (e cercare i punti) in uno bosco come quello della mia gioventù, facendo scappare da tutte le parti i cerbiatti ed i coniglietti e correndo veloce là dove nessun ostacolo si frappone tra me ed il prossimo punto. Che poi… “trovare il prossimo punto”… quella era la vera sfida!

Ero contagiato a tal punto che, pensavo, se io che sono un povero orientista sfigato posso correre nel bosco di Tavon, chissà gli Elite quando fanno i campionati mondiali in che razza di paradiso corrono! Questo pensavo. Finché un bel giorno, nel 1999, sono andato alla Sei giorni di Scozia che si disputava come gara parallela al mondiale Elite. Con mia somma sorpresa, ho scoperto che tutto quello che mi ero immaginato era falso: non che i boschi scozzesi fossero terrificanti… insomma…, ma è stato in Scozia che ho scoperto la “vegetazione percorribile in un solo senso” (in un ultimo impeto di stupidera mi ero convinto che fossero punti nei quali si poteva correre in una sola direzione, One Way appunto… e se scopro di essere arrivato lungo e devo tornare indietro, cosa faccio???), le distese di erica durissima e compattissima alta anche più di un metro nella quale cercare di nuotare facendo emergere solo il tronco e combattendo una battaglia (persa) a livello dei piedi, i boschi o meglio i dis-boschi con i rami buttati là come a confermare quello che ha detto Attilio “sembra che usino le bombe per abbattere gli alberi”.

Pensavo nel 1999: “Ma gli Elite li mandano a correre in questi posti? Dove non è quasi corsa d’orientamento ma un percorso di guerra?” (ecco perché ne vedevo tornare tanti all’arrivo laceri e sanguinanti…). Ho scoperto a quei WOC la nuda verità: orienteering vuol dire “andare a correre nel posto che il Good Lord ti ha messo a disposizione”. Certo, quando il Good Lord ti mette a disposizione la Capriasca (che odio) o il bosco di Carvico (che odio di più), pensi che si potrebbe anche salutare il Good Lord, voltare gabbana e votarsi a quel tale grasso e ciccione che predica la pace e la tranquillità o a quell’altra seduta all’indiana con 6 braccia… In buona sostanza, non ho più problemi a gareggiare in un bosco come quello di Sopramonte (che a tratti avrebbe fatto perdere la pazienza a Giobbe) più di quanto io non provi gioia nel poter scorrazzare nel bosco di Castelrotto.

Dico di più. L’80 se non il 90 per cento dei ragazzi che hanno partecipato alla gara di Sopramonte sono scesi in campo solo contro se stessi. Davvero un qualunque master che non sta in quel club ristretto che dà la tessera solo se ti chiami Cipriani, Corradini, Hueller o Beltramba o Dallasanta e compagnia ha pensato “adesso entro nella sassaia a grugno duro e vinco il campionato italiano”? Io, fossi stato (e lo sono stato, persino sotto il diluvio per tutta la gara) al posto di tanti dei partecipanti, mi sarei affidato a qualche scelta tranquilla… altro che “stavo saltando dalla punta di un sasso all’altra e sono scivolato per colpa della pioggia”! Perché poi il giorno dopo si va a lavorare, a scuola, si va in giro bendati come mummie ed alla vecchia scusa che sei stato aggredito da due rottweiler non ci crede più nessuno…

Lasciato quindi ai posteri il fatto che non mi crea problemi gareggiare a Sopramonte sotto il diluvio e che quella sassaia è stata quasi pure simpatica da vincere (Capriasca no! Carvico vade retro!!! Sopramonte promossa), resta però il fatto che preferisco i boschi come quello di Castelrotto, dove mi sento quasi a casa. “Quasi a casa” significa anche che quando, dopo la bellissima esperienza di Clusone, Fabio Marsoner mi ha chiesto se avrei gradito essere speaker a Castelrotto (per la prima volta speaker per il T.O.L.!), io ho risposto “Si! Dai! Chiedi la deroga per farmi correre in Elite!”. Perché sapevo che il bosco di Castelrotto non mi avrebbe fatto male e che gli alberi, seppure non avrebbero salutato il mio passaggio con incitamenti ed invidia, almeno non mi avrebbero rivolto sguardi perplessi e penosi. Dovevo però ancora fare i conti con il mio stato fisico, quello si penoso e da lasciare perplessi… Il mercoledì pre-gara, giunto alla SportZone di Laranza, non ero mica sicuro di riuscire a fare l’Elite: per precauzione ho chiesto a Thomas Widmann se c’era una carta in più della M40, per provare almeno quella. Thomas mi ha risposto “Si… maaaaa… tu non volevi fare l’Elite?” “Vediamo cosa succede domani, Thomas. Ok?”.

Mercoledì sera due spiegelei mi rimettono in sesto. La semifinale di Champions dura quel che deve durare e si capisce presto come va a finire, la notte porta consiglio e alla mattina il panorama che mi trovo davanti mentre scendo all’appuntamento con Giuliano e Federica per andare a Laranza è questo:


C’è anche una specie di selfie (se si dice così). Questa ombra nel prato infatti sono io.


Dall’altra parte della valle, verso nord, c’è quest’altra cosa… 


sono proprio tornato a casa! 

Ma la voglia di fare la MElite ancora non mi è tornata. Al campo di Laranza fervono i preparativi. Rudi con la sua giacca dalle mille tasche sta organizzando gli ultimi giri di controllo, io sono già pronto per entrare nel bosco, Thomas è pronto con una carta MElite tutta per me ed io dico “Thomas… tu sei sicuro che io posso farcela?”. E Thomas rispose (cit.) “Maaaaa… tu non volevi fare l’Elite?”. Avete mai fissato Thomas Widmann negli occhi? Se siete Johanna Murer, si. Se non siete Johanna Murer, avete perso in partenza la sfida: impossibile resistere a quegli occhi azzurri e decisi! “Ok, Thomas, vada per la MElite… ma ricorda che mi avrai sulla coscienza!”. Ultimo messaggio di Thomas: “Non credo proprio. Vai e divertiti, è quello che dici a noi ogni volta, o no?”.


E così è stato che sono andato nel bosco di Castelrotto a fare la MElite. E che l’ultima cosa che ho visto prima di entrare nel bosco è stata questa cosa qui, che occupava uno spazio di visuale di circa 120° davanti a me… 


E poi così è stato che non ho avuto un solo cattivo pensiero, perché era proprio come essere nel bosco di Tavon, anche se a Castelrotto ci sono più pietre e Rudi e Thomas avevano piazzato parecchie lanterne proprio in mezzo ai roccioni con il solito metodo “prima vedere oggetto, poi vedere lanterna”. Ed è così che, infine, sono tornato alla base con tutti i punti in saccoccia, con i miei errori talvolta grossolani, talvolta quasi impalpabili, con la mia lentezza e con 270 metri di dislivello nelle gambe che… sentirli? Dove? Senza un solo cattivo pensiero e con tutte le sensazioni giuste al loro posto. Però ad Ernesto Rampado gliel’ho detto, che certe cose sul comunicato gara non deve proprio scriverle, perché poi la gente si fa una impressione sbagliata e magari mette le scarpe con la suola sbagliata e non vince la categoria! “Visibilità ampia. Percorribilità da buona ad ottima. Possibilità di vedere caprioli, conigli e cervi”.

Io di cervi non ne ho visti!!!

La più "City" delle City Races

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Cose che ho imparato:


1. Prima LOOK RIGHT, poi LOOK LEFT!
2. Non importa se sto attraversando la strada nella direzione opposta: è sempre “prima LOOK RIGHT, poi LOOK LEFT!”
3. Ok… guardiamo pure da tutte due le parti, male non fa. Alla peggio capiscono subito che sono italiano…
4. La signora afro-coloniale che guida il bus a due piani numero 35 è capace di infilarlo in curva a tutta velocità anche nel vicolo dove mi trovo! Se penso di attraversare in corsa, quella signora mi infila il bus a due piani anche su per il buco del c…o se vuole! Ricordare sempre: quella signora sarebbe in grado di far vincere pure la Ferrari… NON ATTRAVERSARE DAVANTI A LEI!
5. Se sono l’unico che si tira su il cappuccio appena comincia a piovere, sono l’unico italiano in giro. Il tempo che armeggio ad aprire la zip e calcarmi il cappuccio in testa, ha già smesso di piovere…
6. Esistono pertugi più stretti di una calle veneziana… Telegraph Street, per esempio. Quindi posso continuare a correre fino al muro della casa… non sto sbagliando: il passaggio si aprirà come per magia alla mia destra
7. Tagliare per i giardini della St-Paul Cathedral è una opzione, ma solo se NON parto tardi!
8. Tagliare tra le vetrine del Mall NON è una opzione, a meno di non partire tardi!
9. Quell’ovale enorme in mappa non è la plaza de toros,  Finsbury Circus. Nulla di memorabile.
10.   Quando torno a casa, PRIMA look left, POI look right! Ma è meglio continuare a guardare da tutte e due le parti, che non si sa mai…

Mission: (im)Possible!

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"Come sempre, se tu dovessi perderti nel bosco o precipitare in una trincea, 
l'organizzazione negherà di essere al corrente della tua gara all'alba. 
Questa mappa si autodistruggerà entro le ore 9.00 a.m. 
Buona fortuna, Stegal"


TUUM-TUUM-TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-ZA-ZA-ZAAAAAMM...

Missione compiuta.
Non ci avrei mai creduto, ma adesso lo posso proprio dire: missione compiuta! Dovevo essere pazzo, o ubriaco, nel momento in cui avevo accettato quella missione. Ma adesso che è finita, non vedo l'ora di ricominciare a sentire l'adrenalina che scorre nelle vene! Mi sono giocato tutti i travestimenti come nemmeno Stanislao Moulinski in SuperGulp... ho speso tutti gli slogan ad effetto come nemmeno Matteo Renzi in campagna elettorale... ho esaurito tutte le energie residue come Giacomo Zagonel durante la ultra long di lunedì! Con il cervello che non ha smesso per un solo istante di mandare messaggi chiarissimi, tipo "'azz!!! - devoprendereilpulminoErebus - devoessereallarotondaallesei -
dov'èlamappaElite??? - devoarrivarealfinishentrolenove - azz!azz!pant!pant!noncelafaròmai!".
Tutto questo per poter dire: Missione compiuta. Ed io, last man standing, sono ancora in piedi!

Ma non è stato facile. L'ho capito già alla partenza della missione, sabato mattina, sull'ultra-tecnologico veicolo iper-computerizzato in dotazione al GOK: il mio stato di prostrazione fisica poteva facilmente essere attribuito al tentativo di qualche Mata-Hari d'oltre cortina di avvelenarmi! Pur barcollando, mi sono rifiutato di cedere (gli ospiti dell'area di servizio "Adige" stanno ancora pensando "varda lì che brùtt drùgà che va in gìr inscì cunscià..."). Giunto infine sul luogo dell'operazione, Pergine Valsugana, mi sono calato nei panni del perfetto James Bond sfoggiando il primo travestimento:

1. Fanciulla (poco) piacente
Per poter perlustrare i dintorni senza dare troppo nell'occhio, ho pensato bene di travestirmi da "prima frazionista donna" di una immaginaria staffetta sprint-mixed-relay-togliete-mixed-sennò-l'IOF-si-inca$$a.


Nel breve giro di 24 minuti e pochi secondi ho avuto sotto controllo tutta la zona e mi sono potuto dedicare ad un attento studio del bersaglio... Per questo però ho dovuto passare al travestimento numero 2.

2. Vaso di gerani
Cosa c'è di più comune di un vaso di gerani in una cittadina di montagna? Nulla. Soprattutto se il vaso di gerani è appollaiato su un ballatoio (nello specifico il balcone del municipio di Pergine).


Se poi davanti al vaso di gerani mettiamo un microfono, sopra al vaso di gerani mettiamo un telo di plastica per proteggere dal sole (telo di plastica che era talmente basso che l'ho tenuto su per la maggior parte del tempo con la testa) e diffondiamo tutto attorno tramite altoparlanti la voce di uno che bercia senza sapere di cosa sta parlando... si sono sentite cose del tipo "favorite in prima frazione la Gran Bretagna con Tessa Hill e la Danimarca con Emma Klingenberg!"... infatti: prima Kelemen (Ungheria) e seconda Loesch (Germania)!
E poi ancora: "Non scommetterei sulla Gran Bretagna al comando al passaggio in quarta frazione! Maja Alm recupererà di sicuro i 28 secondi di distacco!". C.V.D.: al quarto passaggio Gran Bretagna avanti con 28 secondi di vantaggio, e Maja Alm a casa!

Una volta terminato il simpatico circo, dovevo procedere con un contatto diretto del bersaglio, che però nel frattempo si era dileguato! Per essere sicuro che non fosse ancora nei paraggi, ho dovuto adottare il travestimento numero 3.

3. Vecchiaccio Master
Se il bersaglio era ancora in zona, potevo rintracciarlo solo perlustrando di nuovo, da cima a fondo, tutta l'area della missione. Ci ho messo qualche minuto in più, 30 minuti e 59 secondi, ma solo perchè come Vecchiaccio Master non potevo muovermi troppo veloce! (Giovanni Greco ha svolto la stessa perlustrazione in qualche secondo in meno... ma mi deve pagare lo stesso un caffé, lui sa perchè!).


Niente da fare. Il bersaglio si era dileguato davvero con la velocità di una gazzella. Scoprirò poi che, mentre io affannosamente e per la seconda volta (perchè errare humanum est sed perseverare orientisticum) risalivo il Muro di Grammont posto alle spalle del centro di Pergine, il bersaglio si era già spostato in cima al Monte Tablat!

Dopo il primo giorno di missione, il Grande Capo al centro operativo non era proprio soddisfatto dei risultati. Tanto è vero che annunciava l'intenzione di spostarsi pure lui sul luogo delle operazioni, in quello che sarebbe stato il momento cruciale a Monte Zebio. Per questa parte della missione avevo in serbo il piatto forte del mio trasferimento: il numero 4.

4. Men (Elite) at W(o)R(k)E
E' il pezzo forte del mio trasferimento, quello che fa dire a tutti "guarda lì che autentico Man Elite che sta passando!". Per traverstirsi da Man Elite bisogna dotarsi di un abito a colori sgargianti (si va dal nero+rosso brillante al blu oltremare con inserti bianchi ed un sacco di scritte addosso), diventare magri come chiodi, assumere uno sguardo perennemente annebbiato salvo quando si ha in mano un pezzo di carta variamente colorata, un pettorale azzurro con il proprio nome sopra e con un numero di un certo effetto...


... ed infine infilarsi un retrorazzo nel didietro per raggiungere la velocità warp. Ecco. Io il retrorazzo non ce l'avevo nella mia dotazione, mannaggia! Deve essere stato per questo unico motivo che la mia perlustrazione di Monte Zebio è durata 98 minuti e 12 secondi, circa tre volte quello che ci ha messo quel tipo buffo del SSF (Servizio Segreto Franzo-finlandico).


Eppure ho messo in atto anche uno dei suggerimenti di questo tizio con il nome strano Thierry-qualcosa (sicuramente inventato con le lettere dello Scarabeo... solo che sono venute giù le vocali tutte il una volta... dai, un agente segreto non può mica andare in giro con quel nome lì!): "Quando sei lì, fai sparire tutte le rocce ed il punto ti apparirà come d'incanto!", che sembra un po' una cosa del tipo "Prendi un blocco di marmo e togli tutto quello che non assomiglia al Mosé di Michelangelo"... però funziona!!!


La perlustrazione di Monte Zebio poteva dare i suoi frutti se non fosse che il bersaglio, una volta arrivato a tiro... è sparito un'altra volta alla velocità della luce! Deve essere sempre quella faccenda del retrorazzo...

Preso dalla disperazione, con il fiato sul collo del Grande Capo che silenzioso scuote il capo valutando l'esito finora negativo della mia missione, sapendo che nella valle di fianco si stava svolgendo una riunione sediziosa di personaggi poco raccomandabili, mi sono tuffato nel mio ennesimo travestimento, il numero 5.

5. "Z" generation
Una riunione di intellettuali concettosi. Non saprei come definirla altrimenti. Mi mescolo a loro cercando di fare lo gnorri anche se il mio arrivo tardivo non passa inosservato. Un gruppo di intellettuali variamente composto si aggira pensoso e serioso scrutando oltre l'orizzonte delle umane facezie, valutando panorami e destini, incrociando pensieri e parole, ipotesi e teorie...

Del bersaglio, però, nessuna traccia. Dopo 30 minuti passati a fingere di sapere anche io quel che devo fare, decido di rinunciare e tenere da parte le ultime risorse per il giorno successivo, il terzo. Mentre mi allontano da questa strana genìa di umanità, non colgo l'essenza profonda della loro riunione, racchiusa tutta nella parola d'ordine con la quale anche a me sarebbe stato concesso di sedere al loro fianco nei futuri consessi: la parola d'ordine è "Zeta", da ripetersi per ben 14 volte su 21 tentativi! Concettosi... decisamente concettosi.

L'ultimo giorno di missione arriva così tra capo e collo, in pratica dritto sulla cervicale. Il piano originale prevedrebbe di bardarsi nel travestimnto definitivo, il Men-in-Ultra-Long. Ma non ho le forze e neppure il tempo per mettere in atto il piano, visto e considerato che dalla riunione degli intellettuali sono uscito con molta confusione in testa ma soprattutto con qualche linea di febbre. Ripiego quindi su una variante sempre in voga, il travestimento numero 6.

6. Lost in the forest.
E' l'alba di lunedì quando quando il furgoncino dell'E/rebus)-team mi affida alle mani del capo dei rivoltosi dell'Altopiano di Barricata, tale "Bepi". Ancora una volta le buone abitudini prevedono la perlustrazione dell'area nella quale il bersaglio dovrebbe apparire prima o poi. Avendone però piene un po' le tasche (e poi "la mappa si autodistruggerà alle 9.00 a.m."), decido di fare di testa mia e perlustro una porzione di area più piccola di quanto pianificato, quella nota cone "area M45" per non confonderla con l'"area 51" che sta da un'altra parte. E che il bersaglio, se ha voglia di fare un giro più lungo, faccia un po' quel che vuole!


Nella prima parte della spedizione affronto il ghiaccio e le rocce, e non ci capisco una beneamata svèrza.
Penso che il vicecapo dei rivoltosi, Andrea detto "il Cip", abbia infrattato tra le rocce il primo microchip (con la "h") che devo trovare... infatti dopo 6\7 minuti che cerco nei buchi più assurdi del terreno, mi riposiziono vicino alla depressione e lo vedo da 40 metri appoggiato ad un sasso in bella vista. Il secondo chip invece lo trovo contando sulle mie doti di speleologo, in fondo ad una buca piena di neve e ghiaccio! Il difficile non è arrivarci: il difficile è uscire da quella buca! (per fortuna, solo di tutti gli altri e più tardi, Cip sposterà molto più in alto il punto di controllo, così solo io mi sono dovuto calare al centro della Terra!).

Quando, sfinito per la febbre, arrivo al quarto chip e non ne ho veramente più, decido di piantarla lì per evitare di mancare il bersaglio e mandare in buca la missione. Il quinto chip è tra me ed il campo base, ed io ci cado letteralmente sopra. Il sesto chip è poco più lontano, e potrei provare a raggiungerlo, tanto se non lo trovo il campo base è comunque vicino... e ci cado sopra! Il punto 7 mi porta più lontano ma... ci cado sopra di nuovo!! E' come se nel bosco fosse disegnata sul terreno una linea color magenta, ed io non devo fare altro che seguirla pedissequamente (cit. Agente Carlo Cristellon). Chip numero 8, 9, 10... che problema c'è? Lì c'è l'avvallamento, lì la collina, lì il sasso dove se fossi stato bravo ci sarebbe il punto... E C'E'!

Quando arrivo al campo base sono soddisfatto ed il morale è ottimo ed abbondante, come la grandine che poco dopo comincia a cadere! Mi nascondo per l'ennesima volta dietro ad un microfono ...


... e depisto tutti coloro che cercano di scoprirmi con frasi di sicura efficacia del tipo "noi misuriamo gli errori con l'orologio del campanile, per te invece di quanti secondi è fatto un errore?", ed ancora "guardate là Ikonen che fisico da copertina di Men's Health!" (c'è un tale Per Forsberg, del SSS - Servizio Segreto Svedico - che a 2000 km di distanza sente una fitta al duodeno ogni volta che dico cose del genere).


Infine, quando ormai siamo alla deadline e la missione sta per essere abortita, ecco comparire il bersaglio! Afferro la mia arma, inquadro nel mirino, ed il gioco è fatto. Consegna effettuata = Missione compiuta. The mailman delivers, always! (anche se questa forse la capisce solo Federico Bacci).


(consegna)


(dettaglio)


il cast di Mission (im)Possible. Da sinistra a destra:
la Costumista = Larry (prima idiota)
il Narratore = Stegal (secondo idiota)
la Vittima = Catherine Taylor
il Principe Azzurro = Cosimo
il Coach = Cristian (terzo idiota)

Perchè, se ancora non si fosse capito, il Bersaglio era proprio lei!



Missione compiuta! Ma tra 30 giorni arriverà un nuovo messaggio...

TUUM-TUUM-TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-TUM-TUM
TU-TU-ZA-ZA-ZAAAAAMM...

(il "Making of" lo trovate su
http://www.larrycette.com/barricata-%e2%80%a2-bilancio-ringraziamenti-e-making-of/)
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